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Baby.com: Harmony Destiny
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E-book146 pagine2 ore

Baby.com: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Un cesto dietro la porta. Una bambina dentro un cesto. Un indirizzo internet sul quale trovare informazioni. È evidente che la tranquillità di Sam Evans ha i minuti contati. Scapolo incallito, geloso della propria privacy e innamorato del proprio lavoro di programmatore di computer, Sam si ritrova di punto in bianco con la piccola Juliet tra le mani. Che sa lui di bambini? Potrebbe trovare una risposta sul sito internet che gli è stato consigliato. Ma non è finita. Un'altra donna sta per irrompere nella sua vita...
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2016
ISBN9788858956076
Baby.com: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Baby.com - Molly Liholm

    successivo.

    1

    Un bambino piangeva.

    Sam Evans guardò accigliato lo schermo del computer. Digitò una serie di cifre e aspettò che il programma eseguisse il calcolo. Dannazione, ancora un messaggio di errore! Era più di una settimana che era fermo su quel problema, ma sapeva che si stava avvicinando alla soluzione. Ancora quel pianto di bambino. Sam sollevò lo sguardo, irritato per l'interruzione. Spense il computer e guardò dalla finestra. Che fosse una persona, quell'ombra che gli pareva di aver visto muoversi dall'altra parte della strada? No, era solo un uccellino che spiccava il volo.

    Ripensò a quello che gli aveva detto Ellen, la sua socia, prima di partire: gli avrebbe telefonato non appena arrivata in albergo, a Seattle. Ellen si preoccupava per lui, e lui lo apprezzava. Se vent'anni prima, quando passava l'estate da zia Gwen insieme a Ellen, gli avessero detto che loro due sarebbero diventati soci di un'agenzia di successo, non ci avrebbe creduto. Era nato un profondo legame tra i due cugini quella prima estate che avevano trascorso insieme: avevano parlato di tutti i loro sogni e, dopo aver tra scorso un triste inverno con le rispettive famiglie, avevano iniziato a concretizzare insieme i loro sogni fino a mettere in piedi una società, la . Avevano scelto quel nome anni prima, giocando sia sulle iniziali dei loro cognomi, sia sulla famosa formula di Einstein, E=mc². E Sam considerava la una figlia, l'unica che desiderasse, in effetti.

    Sam aveva avuto la passione per i numeri fin da bambino. Per sottrarsi ai litigi dei suoi si rifugiava in biblioteca fino all'ora di chiusura e poi si trasferiva in camera sua, sperando che nessuno si accorgesse della sua assenza. I suoi insegnanti si erano resi conto del suo genio matematico e gli avevano dato modo di procedere con gli studi, il che lo aveva reso un bambino prodigio in una classe di studenti molto più vecchi di lui: e così si era trovato emarginato.

    Ellen lo aveva spinto a ignorare i compagni che lo stuzzicavano e a darsi da fare. Avevano trascorso quella prima estate insieme perché Sam era stato bocciato: si annoiava talmente tanto in classe che aveva fatto un numero considerevole di assenze. Così, nonostante il suo genio matematico, aveva perso un anno. I suoi genitori non sapevano come gestire quella specie di estraneo che si ritrovavano in casa e così zia Gwen si era offerta di ospitarlo a trascorrere l'estate con lei e la cuginetta. Inutile dire che i suoi genitori avevano colto l'occasione al volo. La dolce Ellen, con gli occhiali, i capelli arruffati e i vestiti di due taglie più larghe, era riuscita a compiere il miracolo: lui si era laureato in Informatica, e lei in Economia e Commercio a Harvard. Poi si erano messi in proprio con l'idea di sfondare, e avevano avuto più successo di quanto osassero sperare.

    E allora come mai Ellen, prima di partire, lo aveva guardato con quella strana espressione pensierosa e gli aveva chiesto se fosse davvero felice? Lui era sdraiato sul divano e la guardava sistemare il materiale per l'incontro di Seattle, e quella domanda l'aveva colto di sorpresa. «Certo che sono felice! Stiamo facendo quel che abbiamo sempre sognato, e tutto va a gonfie vele: tu ti occupi dei contratti e io penso e progetto i software.»

    «E questo ti basta?» gli aveva chiesto preoccupata, giocherellando con una ciocca di capelli.

    «Qualcosa non va, Ellen? Sei preoccupata per l'affare con la ComputExtra

    «No» aveva sospirato lei. «È solo che a volte mi chiedo se non ci stiamo ingannando: abbiamo realizzato ciò su cui fantasticavamo da piccoli.»

    «Vero» aveva annuito Sam. «Abbiamo messo in piedi la nostra società.»

    «Già, e siamo diventati ricchi» aveva borbottato Ellen, girandosi verso di lui con una strana espressione in viso. «Ma questo basta? Tutto quel che facciamo è lavorare.»

    «È ben più che lavoro» aveva ribattuto Sam. «In fondo, molti dei nostri programmi hanno aiutato non poco il progresso della medicina.»

    «Lo so, e so anche che ce la stiamo cavando bene. Solo che ho trentadue anni e sono ancora da sola.»

    «Non capisco cosa ci sia di preoccupante. Se credi che non sia il caso di vendere il nostro programma alla ComputExtra...»

    «No, va tutto bene. Sono solo sciocchezze.» Poi si era avvicinata alla finestra e aveva ammirato il panorama, lasciandosi sfuggire un sospiro. «A volte dimentico quanto sia bella la vista che si gode da qui.»

    A quel punto Sam si era preoccupato. Non era da lei guardare fuori dalla finestra per ammirare il panorama. Di solito Ellen guardava al futuro. C'era qualcosa che non andava. «Ellen, che cosa ti succede?» Se gliene avesse parlato, era sicuro che sarebbe riuscito a risolvere tutto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Ellen Evans.

    Ma lei si era stretta nelle spalle. «Niente, sono solo un po' giù di morale. Ti chiamo appena arrivo in albergo.»

    Ellen era partita e lui si era rimesso al lavoro, finché quel pianto di bambino non lo aveva distratto. «Non essere ridicolo» rifletté ad alta voce. «Non ci sono bambini...» Ma proprio in quel momento un vagito risuonò nitido nell'aria. «Ma cosa diavolo...?»

    In preda all'inquietudine Sam decise di concedersi una pausa. L'ufficio occupava il pianterreno di una grande villa vittoriana, lui abitava al primo piano, mentre Ellen si era sistemata nell'appartamentino del secondo piano. Chiuse a chiave la porta dell'ufficio e si fermò nell'atrio della villa. Dannazione, meglio aprire il portone e dare un'occhiata, giusto per essere sicuro di aver avuto un'allucinazione acustica. Probabilmente il bizzarro comportamento di Ellen lo aveva scosso più del previsto.

    Aprì il portone e guardò nella via deserta. «Niente» borbottò. «Che idiota...» Uno strillo acuto lo bloccò a metà della frase, costringendolo ad abbassare lo sguardo: dentro una cesta di vimini, avvolto in una copertina bianca, c'era un neonato. «Ma che accidenti succede?» Sam si sentì mancare mentre si inginocchiava accanto al cesto. Quella non era un'allucinazione: era tutto vero. Il cesto di vimini con il manico giallo, la copertina di soffice lana bianca e il bambino. Si guardò intorno: non si vedeva nessuno. Si chinò oltre la ringhiera e scrutò tra i cespugli. Niente. «Vieni fuori, ti ho visto!» urlò.

    Nessuna risposta. Cercò in lungo e in largo per la proprietà, ma non c'era nessuno in giro, tranne che quel fagottino nel cesto, davanti alla porta di casa sua. Tornò lentamente verso il portico. Gli sarebbe piaciuto poter far finta di niente: magari sarebbe arrivato qualcun altro e si sarebbe preso cura del piccolo. Lui non sapeva assolutamente niente di bambini e voleva continuare così. Prese il cesto ed entrò in casa. Chissà perché, tutto gli sembrava diverso, anche il suo appartamento. Cercò di scuotersi di dosso quella strana sensazione e appoggiò il cesto sul tavolo della cucina. E adesso che cosa doveva fare?

    Un biglietto! C'è sempre un biglietto quando abbandonano un bambino, pensò avvicinandosi al tavolo e sbirciando all'interno del cesto. Tutto quel che vide fu un visetto roseo. A disagio infilò un dito sotto la coperta, ma non trovò altro che un piedino del piccolo. «Dannazione!» esplose. «Scusa, non volevo imprecare in tua presenza, anche se sei troppo piccolo per capire» aggiunse subito dopo. «Ma non sono abituato a trattare con gente della tua età.» In effetti non era abituato alla gente di qualsiasi età e, a pensarci bene, non era mai stato a tu per tu con un bambino prima d'allora. Si chinò sulla cesta. «Ehi, va tutto bene?» chiese quando il piccolo emise uno strano gorgoglio. «Dovrebbe esserci un biglietto» proseguì desiderando che il piccolo potesse parlare. Si rese conto che non sapeva neppure a che età iniziassero a parlare i bambini. Chi mai poteva aver messo un neonato davanti al portone di casa sua, visto che lui era completamente ignorante in materia? E se non fosse stato in casa? Anche se l'autunno era appena iniziato, le notti iniziavano a farsi fresche, e quel batuffolo roseo si sarebbe potuto ammalare seriamente, o peggio.

    Rabbrividì e si sforzò di cancellare dalla mente l'immagine che aveva evocato. Continuando a cercare, trovò ai piedi del piccolo un pacchetto. Lo tirò fuori e lo aprì, per scoprire che conteneva dei pannolini e un paio di biberon di latte. Sconvolto rimase a fissare il contenuto del pacchetto: chissà come funzionava la questione. Pensò di chiamare immediatamente la polizia: cambiare pannolini non rientrava nei suoi programmi.

    Il piccolo gli sorrise, e Sam sentì una curiosa sensazione alla bocca dello stomaco. «Oh, no, non ci riuscirai» borbottò prendendo il biglietto che alla fine aveva scovato sotto la copertina.

    Lesse il messaggio avidamente, sperando che contenesse qualche elemento utile a svelare il mistero. Una parte di lui sperava che il biglietto fosse indirizzato a Ellen. Sapeva che il piccolo non poteva essere figlio suo, perché per quanto distratto potesse essere, una gravidanza non sarebbe certo passata inosservata. Piuttosto sperava che a lasciare il bimbo sui gradini di casa sua fosse stata qualche amica di Ellen, ma con sommo disappunto constatò che il biglietto era indirizzato a lui. E per giunta era estremamente breve: Per Sam Evans, da www.baby.com.

    «Ma che...?» Si interruppe prima di imprecare di nuovo davanti al piccolo. Doveva tornare al computer e collegarsi alla pagina web del bambino. La pagina web del bambino? Quella storia stava diventando sempre più surreale. Ma a chi sarebbe potuto venire in mente di recapitargli un bambino con un indirizzo Internet?

    Ormai non dubitava più che il piccolo fosse stato spedito proprio a lui: il collegamento con il computer ne era la prova. Dopotutto lui era un'autorità in materia di informatica. Durante l'università era stato contattato da grosse società del ramo, e dopo la laurea anche da una ditta di Silicon Valley, ma aveva sempre preferito rimanere autonomo. Ellen lo aveva definito un solitario. Gli piaceva essere responsabile solo per se stesso. E per Ellen, naturalmente, ma lei era un tipo forte e sapeva come tenergli testa. Era l'unica persona a cui si sentisse legato.

    Prese il cesto, tornò in ufficio e riaccese il computer appoggiando il cesto ai suoi piedi. Guardò il faccino che sbucava dalla coperta e che lo osservava curioso. «Ma chi sei?» gli chiese. Il piccolo non rispose, e Sam tornò a concentrarsi sul computer. Poco dopo si collegò con la pagina web indicata nel messaggio, ma proprio allora il piccolo iniziò a strillare. Sam guardò la boccuccia rosea che emetteva quel rumore assordante e si mise un dito sulle labbra. L'unico risultato fu che il piccolo iniziò a strillare ancor più forte. «Ssh! Sta' tranquillo ancora un attimo, così riesco a capire a chi appartieni.» Il piccolo lo ignorò e pianse così forte da diventare paonazzo. «Ehi, che cosa c'è che non va?» chiese Sam chinandosi sul piccolo. Poi, incapace di resistere oltre, prese il piccolo in braccio e iniziò a camminare su e giù per la stanza rimpiangendo di non essersi mai trovato a tu per tu con un neonato prima di quel momento.

    Del resto aveva fatto di tutto per non trovarsi mai in quel genere d'impaccio. Quando era stato fidanzato con Darlene aveva

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