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Il cacciatore di situazioni: Racconti brevi
Il cacciatore di situazioni: Racconti brevi
Il cacciatore di situazioni: Racconti brevi
E-book186 pagine2 ore

Il cacciatore di situazioni: Racconti brevi

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Info su questo ebook

Sistemò l'imbrago e si mise in posizione: "Oggi è un buon giorno per volare", pensò, risalendo la radura per prendere la rincorsa.
Poi guardò in alto, e la pioggia gli disegnò un ghigno beffardo: "Voglio un finale all'altezza dei sogni che ho vissuto", disse ad alta voce.
Lo ripeté tre volte, prima di iniziare la sua corsa nella nebbia...
LinguaItaliano
Data di uscita28 giu 2017
ISBN9788826462820
Il cacciatore di situazioni: Racconti brevi

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    Anteprima del libro

    Il cacciatore di situazioni - Marco Invernizzi

    Marco Invernizzi

    Il cacciatore di situazioni

    Racconti brevi

    UUID: 9fffa6b2-5c21-11e7-a87a-49fbd00dc2aa

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice

    Online

    Primo lunedì del mese

    Turista per sempre

    Legame inesistente

    Mala suerte

    Quattro coperti all'aperto

    Il golfista d'appartamento

    A poche spinte dalla luce

    Attestato di volo

    L'amarena piangente

    Il nullatenente armato

    Infiltrato speciale

    Alla grande

    Go away bear

    I regali non regalati

    Il giorno dei sogni

    Auto d'occasione

    Il maglione arcobaleno

    Once in a life

    La perfezione

    Controcorrente

    La maledizione della stella

    Il tuktukista incompreso

    Stesso porto stesso mare

    Via dell'amore

    Il prete rock

    Gira il mappamondo

    Alle falde del Capanne

    Capolavoro incompiuto

    Il tassista di Bleik

    Happy ending

    Offline

    Online

    User name: pianetaterra

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    Password errata. Hai ancora 2 possibilità

    User name: pianetaterra

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    Password errata. Hai ancora 1 possibilità

    User name: pianetaterra

    Password: **********

    [Online]

    Ora che sono in linea con il mondo, per mandare segnali di fumo dalla mia navicella manca soltanto l'ispirazione. Un dettaglio irrilevante per un hacker di passaggio.

    Da quassù si può improvvisare tutto, non certo l'ispirazione.

    Per prima cosa occorre procurarsi una situazione, bianca o nera. Il grigio difficilmente genera ispirazione. In secondo luogo, bisogna intrufolarsi in questa situazione, bella o brutta che sia. Infine, non scordarsi di abbandonarla, con tutti i pro e i contro del caso.

    La responsabilità per la sorte di questa situazione, contrapposta alla necessità di dimenticarla, crea l'ispirazione.

    Giunti sin qui, non si può non considerare ciò che comporta tenere in vita una situazione. Il rischio che si corre per vivere, dopo averlo riesumato, qualcosa di apparentemente morto, o comunque fermo al passato. Il rischio di ingigantire o sminuirne la reale dimensione, dal contenuto iniziale al prodotto finale. Il rischio di entrare troppo nella parte: in una che non si rappresenta più da tempo, rivivendo in HD un film a bassa risoluzione; oppure in un'altra, mai rappresentata e presa in prestito da qualcun altro, pur di produrre fumo.

    Rischi del mestiere insomma, tutti elementi che aggiungono qualcosa e tolgono qualcos'altro. Tanti regali per altrettanti scippi.

    Alla fine, quel che rimane siamo noi, cacciatori geneticamente modificati: con tre occhi e un'orecchia, con una mano e tre piedi, con due bocche senza il naso; ma siamo sempre noi, hackers pronti a colpire.

    Primo lunedì del mese

    Giacca, cravatta, una spruzzata di profumo, e via. Come tutte le mattine dal lunedì al venerdì, il pendolare, uscito di casa da una manciata di minuti, saliva sul treno che l'avrebbe portato al lavoro. Sbarbato e con la borsa a tracolla, partiva dal capolinea, una grigia stazione di periferia popolata perlopiù da senzatetto, tossici in cerca di moneta e studenti senza una meta.

    Giacca, cravatta, una spruzzata di colonia, e vai. Come il primo lunedì di ogni mese, il barbone aspettava il treno che lo avrebbe portato in città. Una volta al mese poteva permettersi una gita fuori porta, e come ogni mese da vent'anni a quel giorno, aveva scelto il lunedì per andare in vita. Come ogni primo lunedì del mese indossava la giacca della domenica e annodava la cravatta che aveva portato dal lunedì al venerdì, per un ventennio filato, prima che lo licenziassero per giusta causa.

    Attendeva lì, alla prima fermata del regionale che ospitava il suo compagno di viaggio, il pendolare. Quest'ultimo, accomodato sul solito sedile accanto al finestrino con visuale opposta al senso di marcia, era già immerso nel suo tablet, online con il mondo. Sulla banchina, il barbone gironzolava nel suo metro quadro a riparo da un fastidioso vento d'autunno, in attesa di prendere posto sul vagone: il posto-finestrino di fronte al pendolare.

    Condividevano il medesimo scomparto da vent'anni senza aver mai scambiato una parola; eppure vent'anni prima si erano scambiati il testimone. Della loro staffetta però, era al corrente solo il barbone. Il pendolare neanche lontanamente s'immaginava di aver preso il posto di lavoro del barbuto che ogni primo lunedì del mese si trovava di fronte sul treno. Al contrario, il barbone col vestito della domenica l'aveva intuito da parecchi lunedì, rivedendo nell'eccessiva concentrazione del pendolare nella lettura del tablet il suo passato da factotum d'azienda, speso a leggere tutte le sante mattine il Corriere di Milano dalla prima all'ultima riga. Una lettura dettagliata a cui non poteva sottrarsi per non farsi cogliere impreparato dal capo, che lo aspettava in ufficio per interrogarlo sulle notizie della giornata, minacciando di licenziarlo in tronco qualora non sapesse rispondere.

    Dalle nascite ai necrologi, dalla cronaca bianca a quella nera, dalla rosa alla giudiziaria, il capo pretendeva che il suo factotum fosse aggiornato su tutto ciò che accadeva nell'hinterland milanese. Ufficialmente gestiva una società di credito, sotto falso nome un'azienda di pompe funebri e un'agenzia immobiliare. Aveva intrallazzi politici e le mani in pasta sia nel campo fallimentare che in quello santo. Era un uomo senza scrupoli, schiavo del denaro e fin troppo pieno di sé, ma lo stipendio lo pagava regolarmente sia in euro sia in vecchie lire, il ché era tutto dire; quantomeno per tacere sui suoi loschi affari quotidiani.

    Nonostante la fitta di negatività avvertita solo al pensiero di aver messo piede in quell'ufficio, il barbone, tutte le volte che andava in città non riusciva a fare a meno di passare davanti al suo vecchio posto di lavoro, anche solo per guardarlo da fuori. Si fermava lì, davanti a quel portone blindato; lo osservava dall'altra parte della strada, immobile, per qualche minuto, poi ripartiva per la sua passeggiata.

    Proprio da quel portone in legno massello, un lunedì mattina d'inverno vide entrare il nuovo factotum d'azienda, il pendolare. In quel frangente ricevette la conferma di quanto aveva già intuito sul vagone: era a costui che aveva passato il testimone.

    Si aprirono le porte e il barbone salì in carrozza. Si fece largo tra le due file di sedili e andò a sedersi al suo posto-finestrino, di fronte al pendolare. Questi, pur avendo perso da mesi la cognizione del tempo, facendo passare i giorni della settimana come le palline di un pallottoliere ma badando più al filo che al numero di pallina che vi scorreva sopra, non parve minimamente stupito di vederlo, anzi, fu quasi compiaciuto. Nel breve tragitto fino alla stazione, in quel grigio lunedì di novembre, aveva percepito qualcosa di strano nell'aria, come se il vento che copriva il cielo di nubi lasciasse presagire qualcosa di diverso rispetto al solito viaggio in treno. Come se sapesse anche lui che da lì a breve si sarebbe incontrato con il barbone, ma non solo, come se si aspettasse dal loro incontro qualcosa di diverso rispetto al classico silenzio-assenso.

    E come volevasi dimostrare:

    – Che bella giornata di pioggia – esordì il barbone, posando a terra il suo ombrello di cartapesta.

    – Perché? Sta piovendo? – chiese il pendolare, cadendo dal pero.

    – Non è ancora arrivato alle notizie sul meteo? – chiese il barbone, con finto stupore.

    – No, mi stavo soffermando sulla cronaca nera – rispose il pendolare indispettito – e poi, scusi, chi le dice che stia leggendo il notiziario, e non stia facendo, chessò, le parole crociate?

    – Ai miei tempi non c'erano questi affari, usavamo i giornali di carta – borbottò il barbone, sorvolando sulla domanda e indicando il tablet con il capo.

    Il pendolare chiuse il tablet.

    – Mi sa che non le conviene chiudere il suo talb... il suo giornale elettronico.

    – Tablet. Si chiama tablet il mio giornale elettronico – puntualizzò il pendolare – e perché mai non mi converrebbe chiuderlo? Se volessi guardare il panorama fuori?

    – Non vorrà rischiare di farsi licenziare? – disse il barbone, fattosi serio d'improvviso.

    – Licenziare? È così convinto che stia lavorando?

    – L'eccessiva concentrazione che dà ad intendere si può sperperare solamente nel lavoro.

    – Ah sì? Addirittura sperperare? Dev'essere davvero evidente questa mia eccessiva concentrazione.

    – Veda lei, non si è neanche accorto di quella ragazza che la sta fissando da un quarto d'ora.

    – Quale ragazza? – domandò il pendolare, fracassandosi quattro costole cadendo da un pero centenario.

    – Non ci faccia caso, tante volte è meglio non vederle certe cose.

    – Lei dice?

    – Chissà quanti me ne sono persi io, di sguardi come quelli...

    – Immagino – fece il pendolare, non troppo convinto dal sex appeal del barbone barbuto.

    – Tutto sommato la capisco – riprese il barbone – le distrazioni si pagano nel lavoro. Non vorrà rischiare anche lei di fare la mia stessa fine?

    – Come sarebbe a dire la sua fine? C'entro forse qualcosa io con lei?

    Il barbone tirò fuori dalla tasca un filo bianco e una pallina gialla con un piccolo foro nel mezzo. Con la mano sinistra teneva la pallina e con la destra il filo. – Supponiamo che lei sia questa pallina gialla, ed io il filo bianco – infilò il filo nel foro, e come per magia la pallina vi scorse dentro – ecco, diciamo che io c'entro con lei come questo filo entra nella pallina gialla.

    Il pendolare simulò un applauso ironico. – Non si offenda, ma sinceramente non capisco dove voglia arrivare con questo stupido gioco di prestigio.

    – Non pensavo ci rimanesse così male. Preferisce fare il filo bianco? Se vuole faccio io la pallina.

    – Ma mi faccia il piacere! La smetta con queste stupidaggini. Metta via il suo giochetto e mi lasci in pace.

    – Ha ragione. Non si preoccupi, non la stancherò più. Sia mai che un giorno al mese cambiasse le sue abitudini. Vada pure avanti a leggere il suo talbet.

    – Tablet, non talbet – lo corresse stizzito il pendolare. Poi però qualcosa sembrò fargli cambiare idea, e si ammorbidì – sa, in effetti non ha tutti i torti. Non stavo facendo nulla di particolarmente importante, se non leggere le solite notizie che leggo da vent'anni, su questo maledetto tablet-giornale.

    – Tablet-giornale, divertente – se la rise il barbone.

    – Già – pronunciò il pendolare, con il timbro della voce di chi ha capito di aver buttato via una buona fetta di vita. Girò la testa verso il finestrino alla sua destra, in segno di protesta.

    Il barbone rimise in tasca la pallina gialla, senza sfilarla, e si girò anch'egli verso il finestrino alla sua sinistra. Fuori piovigginava a raffiche e sui vetri del regionale le gocce disegnavano lunghe linee oblique.

    – Era una mattina come questa, di tanto tempo fa – riattaccò il barbone con la sua voce rauca – quella mattina però, non resistetti alla tentazione. Mollai il giornale sul sedile e aprii il finestrino. Fuori pioveva che Dio la mandava. Feci tutto il viaggio con la testa fuori dal vetro. Quante volte avevo desiderato quel momento.

    Il pendolare seguiva il discorso senza staccare gli occhi dal finestrino, dove riflesso appariva il suo volto smascherato. – Vada avanti, la prego.

    Il barbone proseguì. – Arrivai in ufficio con mezzo busto lavato e il Corriere di Milano accartocciato. Il capo era seduto alla scrivania e mi dava le spalle, come sempre. Attaccò con la solita farsa: mi fece la prima domanda. Non risposi. Mi rifece la stessa domanda. Non risposi. Si girò verso di me e mi squadrò da capo a piedi: scorse la mia sagoma inzuppata dalla cintola in su. Mi rifece la domanda per la terza volta, ed io risposi. Dissi che quel giorno avevo preferito sentirlo, il mondo, anziché leggerlo.

    Il pendolare, intanto, a ogni passo in avanti nella comprensione ne faceva uno indietro nella memoria, verso quel fatidico passaggio di consegne di vent'anni prima. Scambiò nel vetro un ghigno d'intesa con il barbone, che continuò il suo racconto: – mi chiese se sapessi ciò che avrebbe comportato il non rispondere correttamente a una sua domanda. Gli risposi di sì. Mi intimò di uscire dal suo ufficio, non prima di aver lasciato la mia copia di chiavi sulla scrivania. Mi disse di non presentarmi il giorno dopo. Mentre stavo chiudendo il portone alla mia vecchia vita, aggiunse che avrei ricevuto una comunicazione via posta la mattina seguente.

    – Cosa si prova? – interruppe il pendolare, girando la testa verso il barbone – cosa si prova a sentire il mondo?

    Il barbone tacque, poi ruotò la testa di mezzo giro. I due compagni di scomparto si trovarono faccia a faccia. Tra i loro sguardi non vi era più alcun vetro a fare da tramite. Si guardarono negli occhi, e in pochi, lunghissimi secondi, percorsero a ritroso la staffetta che li aveva separati per anni, fino a scambiarsi di nuovo quel testimone che li aveva legati per sempre.

    Si alzarono insieme e con un movimento simultaneo abbassarono il finestrino. Si sporsero fuori dal vetro, lasciandosi bagnare dal capo alla cintura dalla pioggia che veniva a raffiche.

    La gente che riempiva il vagone, pendolari imbambolati e pensionati ammazzatempo,

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