Quando il tempo tornò indietro
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Anteprima del libro
Quando il tempo tornò indietro - Adriana Paraninfo
Adriana Paraninfo
QUANDO IL TEMPO TORNÒ INDIETRO
Prima Edizione Ebook 2020 © R come Romance
ISBN: 9788893471138
Immagine di copertina su licenza Adobestock.com, elaborazione Edizioni del Loggione
www.storieromantiche.it
Edizioni del Loggione srl
Via Piave,60
41121 Modena – Italy
romance@loggione.it
http://www.storieromantiche.it e-mail: romance@loggione.it
La trama di questo romanzo è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni coincidenza con fatti e persone reali, esistite o esistenti, è puramente casuale.
Adriana Paraninfo
QUANDO IL TEMPO
TORNÒ INDIETRO
Romanzo
Indice
CAP. 1 – Tsunami
CAP. 2 – Ricorsi… storici
CAP. 3 – Gioia e sofferenza
CAP. 4 – Allegra e Lucio
CAP. 5 – Antonio
CAP. 6 – Confusione
CAP. 7 – Soluzione
CAP. 8 – Sipario?
Ringraziamenti
Catalogo
Alla Maestra Emma Pasetti per averci insegnato ad opporre amore a pregiudizio.
CAP. 1 – Tsunami
Bastò lo spostamento d’aria a farle volare via i pensieri positivi. Un lungo treno merci le era sfrecciato assordante a distanza un po’ troppo ravvicinata, sorprendendola pensierosa al limite della riga gialla del binario. Come sempre in situazioni rischiose, rimase in immobile attesa, e quando tutto finì ebbe la consapevolezza del passo falso. L’ultimo volo pindarico l’aveva portata così in alto che il tonfo sarebbe stato micidiale. Questa volta sarebbe morta. Mise sul telefono un promemoria: mettere per iscritto no mio cadavere esposto
e no autopsia
. Che non venisse in mente a nessuno di tagliuzzarla: la sua inaspettata e prematura dipartita avrebbe autocertificato, dal letto di dolore, un’ulcera perforante. Meglio così, pensò per la milionesima volta tornando alla realtà, camminando incontro al suo treno in arrivo, sarò libera da questo stillicidio, liberissima e pronta ad andare avanti. Soprattutto, oltre. Veramente erano anni che almeno una volta al mese si preparava psicologicamente al distacco definitivo. E al fatto che doveva avere comunque fiducia: la sofferenza è parte della gioia, ogni cosa che ci capita in questa vita è il meglio in quel determinato momento, e la vita è saggia, e bla bla discorrendo. Le sembrava funzionasse, comunque. Anche se le prime volte si era sciolta in pianti di disperazione, poi con il tempo questi si erano affievoliti. Oggi l’occhio non sembrava volersi nemmeno inumidire. Secca. Come un ramo in inverno. Brutto paragone, in effetti, pensò arricciando le labbra in una smorfia.
Sospirò profondamente, trovando posto a sedere. Inforcò gli occhiali e rilesse per l’ennesima volta il messaggio che gli aveva mandato qualche ora prima. Copiando e incollando il testo dagli appunti a Whatsapp, cancellava o cambiava così tante parole che rischiava ogni volta che il risultato finale non illustrasse poi correttamente il suo pensiero iniziale. Aveva il difetto di curare all’estremo la forma e la scelta dei termini, per esigenza di essere inequivocabile. Perché lei tendeva a interpretare alla lettera, e dunque alla lettera voleva esprimersi. Ma con tutti i cambiamenti che apportava, alla fine si ingarbugliava sempre. Tutta colpa del fatto che cercava ogni volta di immedesimarsi nel destinatario del messaggio, cercando di indovinare come il suo modo di sentire avrebbe potuto modificare il significato che lei dava alle parole. Un lavoraccio. Estenuante e soprattutto inutile, oramai… Normalmente, dopo aver finalmente inviato, credendosi soddisfatta del risultato estetico dei termini, le prime riletture delle sue parole erano esaltanti, si beava della scorrevolezza del testo e della scelta degli avverbi. Poi inevitabilmente iniziava a trovarci difetti, fosse anche una virgola, o si arrabbiava per una posizione infelice di un aggettivo. Alla fine, a ore di distanza come adesso, ripeteva in sarcastico silenzio (perché era in pubblico, in privato lo faceva ad alta voce) gli stessi avverbi di cui sopra. Perché nel frattempo non era arrivata alcuna risposta. Non che ne desiderasse proprio una, anzi… solo che quel silenzio le sembrava un’attesa di sentenza peggiore di una condanna certa.
Le scappò un gesto brusco nel rimettere vie gli occhiali da lettura per prendere quelli da sole. Si pentiva di esserci andata così pesante, di essere stata tanto categorica. Aveva tratto un dado, indietro non sarebbe potuta tornare. Si agitò sul sedile, improvvisamente imbarazzata, sentendo le guance arrossarsi, come se i suoi compagni di viaggio si fossero accorti della terribile stupidaggine che aveva commesso. Accavallò le gambe girandosi verso il finestrino. Sistemarsi gli auricolari le permise di nascondere un attimo il viso. Il tentativo di recuperare il controllo però fallì. Sentì lo sconforto prendere il posto della vergogna. Che palle.
Per consolarsi (o piuttosto per rimanere aggrappata a un’emozione anche se vana tortura, autolesionismo oramai automatico) Mariagrazia ritornò con il pensiero alla magia di quel giorno la rinascita
, come lo aveva battezzato. Giorno fausto o infausto a seconda del punto di vista, ma affatto casuale.
Il caso non esiste.
Era stato un incontro virtuale, uno di quelli capitati a migliaia di ultra-quarantenni che per un periodo ricevettero con sgomento via mail interi pezzi del proprio passato considerato perso, fino ad allora, per sempre. Per tanti, allora, Facebook fu uno choc. Poco tempo dopo la magia sarebbe svanita, perché tutti avrebbero potuto immaginare di ritrovare chiunque avessero voluto, la sorpresa era solo di riuscire a ricordare un nome, o un luogo.
Ma allora c’era stato un momento prodigioso in cui ci si poteva imbattere, del tutto inaspettatamente e in qualsiasi istante di un vivere quotidiano qualunque, in persone di vite precedenti che saltavano fuori dal limbo e, senza ordine cronologico, alla rinfusa, si presentavano con un te più giovane accanto. Ricostruire i propri puzzle esistenziali divenne per un po’ l’attività non lavorativa più svolta. Quasi come nei film, ci si ritrovò tutti a ricostruirsi la propria vita come confezionare una coperta patchwork. C’era chi poteva andare in tilt. Come successe a lei.
Tutto era cominciato una manciata di anni prima, non avrebbe potuto essere diverso, con una mail.
Mandata però a sua sorella, più facilmente rintracciabile nella rete, che l’aveva chiamata per dirle senti, c’è qualcuno che cerca te
. Qualcuno con cui lei aveva trascorso cinque anni di scuola… trentatré anni prima.
Non ci posso credere
aveva detto ad alta voce alta prendendo in mano la foto di classe di fine ciclo elementare che un paio di anni prima chissà come le era venuta in mano e chissà perché non aveva mai rimesso via, lasciandola sulla scrivania dello studio di casa. Quante volte aveva scrutato quella foto rimpiangendo il fatto che non si potessero ingrandire quei volti sorridenti, quegli occhi infantili che ancora così tante cose dovevano vedere, quei lineamenti che chissà come si erano conservati, già, chissà se li avrebbe mai riconosciuti… Non aveva fatto fatica alcuna a trovare Antonio nella foto, sapeva a memoria la disposizione di ognuno nel gruppo. Quando guardava quella foto, immancabilmente fantasticava di come fossero diventati. Di alcuni aveva avuto notizie negli anni, di seconda e terza mano. Di altri sapeva che ancora vivevano là, dove lei da anni non aveva avuto cuore di tornare. Ma Antonio era come sparito dopo la scuola e lei nemmeno aveva mai saputo dove. L’ultimo ricordo che aveva di lui era di quella stessa estate, due mesi dopo l’esame di quinta. Sua sorella (sempre lei!) lo aveva incontrato per caso in montagna scendendo per commissioni in centro paese, mentre Mariagrazia, quel giorno stranamente pigra, era rimasta a casa in frazione. Il mancato incontro le aveva procurato chissà come mai un dispiacere che ancora ricordava: aver perso quell’occasione unica di un estremo saluto o