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Israel Jihad in Tel Aviv
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E-book441 pagine9 ore

Israel Jihad in Tel Aviv

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Info su questo ebook

Ariel Lili Cohen è una agente militare di un'unità speciale delle forze di sicurezza israeliane (IDF) Ha partecipato a varie azioni con ruoli per lo più "sotto copertura". Per questo ha vissuto molte vite in una. Per non impazzire e riuscire a ritrovarsi ha deciso di scrivere questo libro. Per raccontare tutte le sue esperienze, paure, speranze, amori, verità non dette e situazioni inammissibili ha scelto la forma del romanzo. Innamorata del suo paese è certa che il desiderio del suo popolo è solo quello di vivere in pace, ma purtroppo deve continuamente difendersi da tutti nemici esterni ma anche dai suoi stessi cittadini. Un cammino che comincia nel 2014, prima della guerra a Gaza. Il lavoro di un gruppo di amici che, in pochi mesi sono diventati una delle migliori squadre operative del Mossad.
LinguaItaliano
Data di uscita6 dic 2017
ISBN9788892698918

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    Anteprima del libro

    Israel Jihad in Tel Aviv - Ariel Lilli Cohen

    Citazione

    In Israele, nessuno muore veramente. In Israele nessuno vive veramente.

    "Sotto lo stesso cielo, chiusi nella stessa prigione, divisi dallo stesso muro.

    Il muro della diffidenza e dell’odio, che aumenta nella sua verticalità, attentato dopo attentato."

    Ariel Lilli

    Dedica:

    Hodaya Asulin

    (Mevo Horon 1997 - Jerusalem 2017)

    Hodaya Asulin è morta il 22 novembre 2017. Dopo aver passato sette anni in coma a seguito di un attacco terroristico per un’autobomba su di un autobus a Gerusalemme.

    Hodaya Asulin il giorno dell’attentato aveva 14 anni.

    Il mio pensiero va a lei e a tutte quelle vittime innocenti che hanno visto recidere, come lo stelo di un fiore prima della fioritura, le loro giovani ed innocenti vite.

    Prefazione

    "Gli Ebrei sono sopravvissuti attraverso tutti i secoli, gli Ebrei hanno dovuto soffrire per tutti i secoli, ma ciò li ha anche resi più forti." (Anne Frank)

    Il freddo pungente del vento di Haifa nelle prime ore della mattina, quanto mi manca, quanto mi manca Haifa. Avere un QI così alto è stata quasi una maledizione, la mia intelligenza mi ha privato della giovinezza. Avrei potuto fare tante cose, giocare a pallavolo, suonare il pianoforte, fare la modella… Invece mi ritrovo qui. In una delle più prestigiose squadre operative del Servizio di Sicurezza Nazionale.

    Mettere nero su bianco, tirare fuori tutte le mie emozioni, non è stato facile. Ho vissuto tante vite in una sola. Per non diventare matta e cercare di ritrovare me stessa, ho deciso di scrivere questo libro. Per raccontare tutte le mie esperienze, tutte le mie paure, tutte le mie verità non dette. Stare sotto copertura per mesi, a volte per anni, senza tornare mai a casa, senza avere rapporti con la mia vita reale, mentendo ai miei amici, alla mia famiglia, spesso a me stessa, ha creato un rapporto conflittuale con le identità che di volta in volta uso. Questo modo di vivere ti cambia, cambia il modo di percepire la vita reale.

    Un signore, mentre giocavo a biliardo in un club qui a Montreal, mi ha detto che gioco molto bene per essere così giovane. Ma l’età non si misura in anni, bensì in chilometri percorsi. Io ne ho fatti molti e sono stanca. Stanca di dover sempre rincorrere. Stanca di dover mentire. Stanca di avere paura. Quando stai in missione non sai mai quello che ti può accadere.

    Due mesi fa Shani ed io abbiamo rischiato di farci scoprire. Ci hanno picchiato violentemente. Mentre avevo in gola un sapore misto tra il mio stesso sudore e quello acre del sangue, quando il cuore sembrava scoppiarmi nel petto, ho ripensato alle motivazioni che mi hanno fatto diventare un’agente operativa dei servizi segreti israeliani. Il terrore che ho provato mi accompagna ancora oggi, ogni volta che sento lo sguardo di un estraneo posarsi su di me. Perché faccio questo? Perché sacrifico la mia vita? Allora il mio ricordo è andato ad un agosto di qualche anno fa, ci avevano segnalato che una cellula terroristica di Hamas si era infiltrata in Israele e stava per colpire il Dizengoff Mall con un attacco batteriologico. Quella volta siamo riusciti a neutralizzarli appena in tempo. Qualche ora dopo sono tornata al centro commerciale per prendere un gelato con i miei compagni, Shani, Shlomit, Zoe e Aviv. Tutte quelle famiglie, tutti quei bambini sarebbero morti senza il nostro intervento. È per questo che lo faccio, per difendere la mia gente, il mio popolo e, anche se sembra un po’ ambizioso, per difendere la democrazia nel mondo.

    Adesso, mentre permetto alla penna di scrivere i miei pensieri, sono seduta in un locale a Richardson Street a Montreal, devo incontrare una risorsa. Spero che vada tutto bene, spero di portare il culo in salvo anche questa sera. Ma quando tutto questo finirà? Quanto lavoro abbiamo fatto e quanto ne rimane!

    Penso a Milano sei mesi fa, a San Diego e a Buffalo, a Tel Aviv, tre mesi fa a Madrid, il mese scorso al negozio di dischi tra Pitt Street e la Circular Quay di Sydney. A tutti gli attentati che ho contribuito con la mia squadra a neutralizzare. A tutte quelle stelle senza un nome che sono all’ingresso della sede dell’agenzia a Tel Aviv. Stelle senza un volto, solo il ricordo indelebile di chi le ha conosciute.

    Tutti quegli agenti che hanno sacrificato la vita nell’adempimento del proprio dovere. Per salvare anche la vostra vita. Fate che il loro sacrificio non sia stato vano.

    Vorrei un mondo dove il mio lavoro non sia necessario, un mondo senza conflitti causati da estremismi religiosi.

    Mentre scrivo, penso ai miei colleghi giù a Gerusalemme che ancora, giorno dopo giorno, difendono come ultimo baluardo la frontiera della democrazia. I leoni e le leonesse del Magav. Penso a Shira che combatte ogni giorno, ad Heli che dopo tre anni ha lasciato il servizio operativo alle porte di Damasco, grazie per il grande privilegio di proteggere il popolo di Israele nel luogo più sacro del mondo.

    Penso ad Hadar e Hadas che hanno sacrificato la loro vita a Gerusalemme, a Solomon che è morto ad Har Adar. Penso alla sua ragazza, Betty, ai suoi familiari.

    Quante persone, madri, padri, fratelli, sorelle, fidanzate e fidanzati dovranno rimanere soli nel cammino della vita, privati dei loro cari dalle azioni dei terroristi? Io non mi sento di condannare del tutto le mani responsabili di questi attacchi.

    La mia ira, la mia rabbia, il mio disprezzo sono rivolti a coloro che con le loro ideologie hanno armato quelle mani. I loro discorsi pieni di odio, di rancore, riempiono come l’acqua nel deserto la vita vuota di persone plagiate da una folle ideologia estremista.

    Quelli sì che hanno le mani macchiate di sangue. Mentre se ne stanno al caldo delle loro case, in compagnia delle loro famiglie, mandano a morire giovani che hanno fatto crescere in un odio cieco che non conosce dialogo.

    Sento che prima o poi finirò anche io su quel muro, una stelletta tra le altre. Allora mi riunirò a tutti i miei compagni che si sono sacrificati, tanti ragazzi innamorati di una vita che non hanno fatto in tempo a vivere, e a volte desidero per davvero essere lì.

    Fare questo lavoro logora la coscienza, vedi e devi fare cose che nessuno vorrebbe vedere e fare. Prima o poi anche io farò qualche imprudenza, farò una valutazione sbagliata, commetterò l’errore che mi costerà la vita. Una vita che adesso sento vuota.

    Ho dovuto cambiare qualche nome e camuffare qualche circostanza che potrebbe, se scoperta, minare la sicurezza dello Stato di Israele. Le mie esperienze le ho tradotte nella forma di un romanzo. Un viaggio al confine della legalità. Spero riusciate a cogliere il messaggio di speranza e di amore che si cela tra le mie parole.

    Un cammino che comincia nel 2014, prima della guerra a Gaza. Il lavoro di un gruppo di amici che, in pochi mesi, sono diventati una delle migliori squadre operative del Mossad.

    Ariel Lilli

    Israel Jihad in Tel Aviv è tratto dalla serie originale israeliana Israel Jihad, con più di seimila copie vendute in tutto il mondo. Ariel Lilli Cohen con il suo primo romanzo è stata prima su Amazon America - Australia e Italia.

    Un successo di self-publishing nato dal passaparola. Attualmente tradotto in sette lingue.

    Israel Jihad in Jerusalem, il secondo capitolo della storia.

    Molte domande e molti degli enigmi del primo romanzo, sono rimasti senza una risposta.

    Chi è il responsabile dell’attentato a Tel Aviv?

    Chi vuole distruggere lo Stato di Israele?

    Trump e Putin riusciranno a siglare un accordo di pace per il Medio Oriente?

    Il 6 dicembre 2018 è la data alla quale guarda il mondo civile per avere una speranza di pace.

    Il Daesh è ridotto ai minimi termini, i foreign fighters attaccano le cellule della democrazia nella loro vita quotidiana dal di dentro, come una metastasi.

    Il diavolo in questo secondo romanzo ha preso le sembianze di Hamza bin Laden. Al Qaeda vuole distruggere l’occidente nella città più religiosa al mondo. La città che divide e unisce le religioni e la politica di tutto il mondo. Canada, Francia, Italia, Russia, Belgio, America e Australia, nessuna democrazia al mondo si può sentire al sicuro dalla follia omicida di chi prende in ostaggio la religione per creare terrore.

    Chi è Hamza bin Laden e perché vuole distruggere Israele?

    Sulle ceneri del Daesh, risorge Al Qaeda ed Israele è il suo obiettivo.

    Nessuno è più sicuro a casa propria.

    Il muro del pianto e la spianata delle moschee potranno coesistere in pace?

    Un thriller che accompagna il lettore nel viaggio accanto a chi queste operazioni le ha vissute dal vivo, raccontando antefatti e storie al di qua della camera da presa, dove la politica stringe spesso mani insanguinate, in quel lembo di terra grigio, ai margini delle nostre coscienze, dove complotti e alleanze si mescolano ad analisi politiche e militari delle quali difficilmente troverete traccia sui giornali.

    Capitolo 1 - Curling days

    "So quello che voglio. Ho uno scopo, un pensiero, ho la fede e l'amore.

    Permettetemi di essere me stessa e sarò soddisfatta.

    So che sono una donna, una donna piena di coraggio e di forza d'animo."

    Anne Frank

    Shani è la prima ad arrivare in ufficio oggi, ha lasciato delle pratiche in sospeso e le vuole sbrigare prima dell’arrivo degli altri, posa lo zaino con i vestiti per la sera, è una giornata importante, è il compleanno di Zoe e festeggiano il primo anno che stanno insieme. È euforica, nonostante l’ora mattutina è piena di energie, la sua mente è abituata a ridurre tutto come un codice binario, allora prende il blocchetto colorato di post-it sotto lo schermo del computer e scrive le cose che deve ancora fare. Di sicuro scendo giù dal fioraio all’angolo per comprare dei fiori per il mio amore prima che arrivi, poi devo telefonare al ristorante a Dublinov 8 per confermare la cena, voglio che sia tutto perfetto, nulla potrà rovinare questa giornata dice tra sé e sé mentre con un balzo entra in ascensore.

    Sai quanto sarà contenta Zoe quando la porterò al ristorante, sono mesi che desideravamo andarci, ma tra una cosa e l’altra non siamo mai riuscite a organizzare.

    Mentre si guarda allo specchio dell’ascensore, con le mani si scuote la testa piena di ricci per sistemarsi i capelli fino alle punte, l’ascensore è pervaso del profumo di MoroccanOil, ogni volta che lo usa sente delle sensazioni sempre diverse. Oggi ha una luce particolare negli occhi, si sente bella e felice, e questo la fa stare bene, controlla lo status di Whatsapp per vedere se Zoe si è svegliata. Le porte dell’ascensore si schiudono, allora fa un paio di passi avanti a testa bassa ma si scontra con una persona che sta entrando.

    Agente Shani! Fai attenzione. L’urto fortuito ha rischiato di far rovesciare il caffè dalle mani del direttore Yossi Kadosh.

    Ehm, mi scusi, direttore… ero distratta… scusami.

    Come mai così presto in ufficio? È successo qualcosa di importante?

    Speriamo di no direttore… sai, oggi festeggio un anno con Zoe e sono arrivata presto perché non riuscivo a dormire e vorrei che nulla rovinasse questo giorno.

    Brava ragazza, è bello vederti innamorata… allora ci vediamo dopo per il follow-up e fai attenzione, cerca di riportare la testa dalle nuvole alla Terra, qui da noi…

    Appena passata la linea dello sguardo del direttore, come se si rivolgesse a qualcuno, Shani fa un sorriso imbarazzato, mordendosi il labbro inferiore per quanto appena successo. Yossi Kadosh ha con loro, con la squadra di Yael, un atteggiamento più permissivo rispetto alle altre unità dell’agenzia.

    Mi devo ricordare di contattare Yael appena torno in ufficio, vorrei che registrasse un messaggio di auguri per Zoe, sarebbe bellissimo.

    ****

    La scansione dei piani scorre veloce sul display dell’ascensore. Quando si arresta, le porte si aprono sull’open space che ospita l’ufficio operativo della squadra di Yael.

    Ho una consegna per la signorina Zoe... balbetta lo spaesato fattorino, parzialmente nascosto dal vistoso mazzo di fiori che porta in braccio, rivolgendosi alla soldatessa all’ingresso della stanza. Questa, immaginando l’imbarazzo di Zoe alla consegna, con un sorrisetto impertinente indica con un gesto della mano la destinataria al ragazzo, che subito si dirige verso il suo obiettivo.

    "Scusa ma al momento non ti posso rispondere, sono molto occupata, ma sto bene e ti chiamerò non appena sarò più libera, così ci faremo una bella chiacchierata. Salutami tutti i ragazzi."

    Il messaggio di Yael che Shani ha appena ricevuto sul suo cellulare, la fa pensare. Ognuno di noi, scrivendo un messaggio informale a un amico, usa sempre una modalità che lo rende riconoscibile, uno stile unico, che sia una emoticon o una punteggiatura, ma stavolta Shani trova questa comunicazione stranamente fredda, impersonale, distante dallo stile dell’amica. Ma quello che la mette in allarme è la sintassi stessa. Un agente in missione che si mette in comunicazione con un collega, inserisce sempre dei codici per dimostrare la propria identità. È il protocollo.

    In questo caso Shani, nel messaggio appena ricevuto, non riconosce né l’amica né tantomeno il suo capo. E questa sensazione, insieme al fatto che la stessa Yael non rispondesse al telefono da qualche tempo, comunicando solo tramite questo tipo di messaggi, la preoccupa non poco. In lei sta germogliando il seme del sospetto, quando viene riportata alla realtà dai commenti indiscreti e goliardici che intanto accompagnano il tragitto del fattorino fino alla postazione di Zoe, che intanto, mentre realizza cosa sta accadendo, lascia sempre più spazio all’imbarazzo.

    Quando il ragazzo giunge a destinazione e annuncia di avere una consegna proprio per lei, il viso di Zoe muta forma e colore, nonostante il leggero velo di trucco che usa. Il suo sguardo cerca subito quello della compagna che in effetti già la fissa, incuriosita dalla sua reazione. Lo scambio di sguardi, anche se effettivamente è durato pochi secondi, per Zoe e Shani ha avuto una durata indefinita, rendendolo quasi intimo, anche se si trovavano al centro dell’attenzione di altre persone. Durante questo attimo interminabile la destinataria dei fiori, presa alla sprovvista, non sa se arrabbiarsi con la compagna, per averla messa in una situazione tanto imbarazzante, o se amarla ancora di più, se mai fosse stato possibile, per aver avuto quel pensiero tanto delicato. Il momento di tempo sospeso tra le due ragazze è improvvisamente rotto dal commento di Green:

    Ragazze! Mi state facendo venire le carie ai denti assistendo dal fondo della stanza alla consegna dei fiori.

    Che bello, ragazzi, avervi tutti qui intorno… dai Shlomit, vieni anche tu, che fai lì in disparte… Dai che mangiamo la torta.

    Arrivo, arrivo bofonchia Shlomit mentre sta ancora seduto davanti al computer.

    Shlomit ha quella sensazione che gli viene tutte le volte che qualcosa non gli torna; quel senso di disagio lo pervade dal di dentro, gli capita da sempre e già lo ha salvato in passato. Sente quel dannato formicolio alle dita dei piedi.

    Allora con la testa fa capolino dal monitor del computer in direzione di Shani.

    Shani! Ma Yael? Hai provato a chiamarla?

    Certo che ho provato, ma non ha risposto, dopo qualche minuto mi ha mandato un messaggio per dirmi che stava sotto la doccia e che va tutto bene.

    Tutto qui? replica Shlomit. Non ti ha chiesto e detto nient’altro?

    Effettivamente nel messaggio non ha inserito il codice che dobbiamo sempre mettere quando siamo in missione… Sarà una disattenzione, forse perché era sotto la doccia… più tardi provo a richiamarla.

    Shani! Ma che aspettavi a dircelo? il tono di Shlomit questa volta è più rude di quanto lui vorrebbe.

    Che ti prende, Shlomit? Sarà una coincidenza…

    Dici sul serio? Lo sai che non credo alle coincidenze… né tantomeno quando si parla di Yael, e soprattutto quando è in missione all’estero!

    Zoe prende la mano di Shani, che dopo aver preso il rimbrotto da parte di Shlomit si è rabbuiata, e l’abbraccia, sporcando il suo naso con la panna della torta.

    La confusione che Shlomit sente provenire dal fondo della stanza si attutisce sempre di più. Non esistono coincidenze, non esistono coincidenze solo queste parole echeggiano nella sua mente. Yael è in pericolo, me lo sento. Sento che è in pericolo. Prova a triangolare il segnale proveniente dal cellulare di Yael. Bene, il cellulare è acceso, si trova in Canada pensa tra sé e sé mentre con le mani si sposta da una finestra all’altra del monitor del suo computer.

    Oh Shlomit, ti serve una mano? Ti vedo preoccupato gli dice Green, che nel frattempo si è discostato dal gruppo in festa.

    "Vedi Green, la cellula islamista nella quale Yael sta cercando di infiltrarsi è molto pericolosa, è composta per lo più da foreign fighters tornati dalla Siria, sono tutti elementi molto pericolosi."

    Capisco… Dai, vedi se c’è qualcosa di strano, così puoi tornare a festeggiare con Shani. Lei ci tiene molto alla compattezza del gruppo.

    Certo Green, nessuno sa quanto tengo a questo gruppo di lavoro, ma dobbiamo sempre guardarci alle spalle… e c’è qualcosa che non mi torna in tutta questa storia… vedi? Guarda qui! Shlomit indica con il dito il monitor di fronte a lui. Vedi, il cellulare di Yael è sempre stato nella stessa posizione negli ultimi tre giorni… come è possibile?

    Fammi vedere, Shlomit. Accidenti, hai ragione! Ragazze, ragazze, venite a vedere! Shlomit ha geolocalizzato il cellulare di Yael, non si è mai spostato negli ultimi giorni! la voce di Green esce quasi urlata in direzione del gruppo in fondo alla stanza.

    Come una nuvola carica di pioggia, l’espressione di Shani cambia. Se lo sentiva che era troppo bello, era troppo bello che tutto andasse così come stava andando, così come aveva previsto… Prende il cellulare dal tavolino accanto alla torta e si allontana dall’open space.

    Dopo cinque minuti, le porte dell’ascensore si aprono, Yossi Kadosh è il primo ad uscire, poi Ronen e Shani.

    Allora ragazzi, datemi un aggiornamento su quello che avete scoperto! Voglio tutte le risorse in Canada e Nord America disponibili in 20 minuti, voglio ripercorrere gli ultimi spostamenti di Yael. Chi è che l’ha sentita di persona per l’ultima volta? Intanto, Ronen, chiamami il Segretario di Stato americano… e contatta immediatamente la nostra ambasciata in Canada.

    Direttore, mi dia solo cinque minuti, sto mettendo tutti i dati nel software… gli ripete come un mantra Shlomit, senza staccare le mani dalla tastiera.

    Ronen si avvicina a Yossi e gli pone la mano sulla spalla.

    Se questo fosse un atto criminoso e non una coincidenza, questo attacco è rivolto a noi, un segnale… ma viene interrotto dal vibrare della suoneria del cellulare. Ronen con la mano sinistra lo prende e lo avvicina agli occhi.

    È il numero di Youssef. Si rimette il telefono in tasca e con una smorfia di soddisfazione torna a parlare con Yossi.

    Shani, che gli sta esattamente di fronte, non può non notarlo.

    Capitolo 2 – Il buio

    Che cosa succede, dove mi trovo?

    Quando viene privato un senso principale come la vista, tutti gli altri si acutizzano. Yael cerca di allargare le pupille nel vano tentativo di percepire la presenza della più piccola fonte di luce, ma niente. Buio, buio pesto. La profondità del buio è angosciante quanto l’assenza di suoni. Il cuore batte così forte nel petto che sembra che le scoppi, le vene del collo pompano sangue e adrenalina al cervello. Un soffio di vento la colpisce sulla spalla. Ha paura. Ha paura di alzarsi, ha paura di rimanere così come sta. Sente un odore forte di bucato pulito, come quello che senti quando cammini tra le vie di Tel Aviv, contrapposto al concime di stallatico. La mente cerca di proteggerla e la riporta a quando da bambina correva nel giardinetto della casa dei nonni a Tel Aviv: lei correva tra lenzuola stese, poi giù fino al vecchio albero e alla stalla di famiglia. Quell’immagine a colori nella sua mente le mette tranquillità. Poi un altro soffio di vento gelido la riporta con la mente al presente. Il respiro è sempre più concitato: Sì, potrebbe essere una stalla. Ma perché? con la mente cerca di ritornare a immagini che la facciano sentire bene, ma la paura ha di nuovo il sopravvento. Il suono del suo respiro affannato le fa un’eco sinistra in quel luogo senza colori. È come piombare in un'altra dimensione.

    Si deve calmare, deve cercare di rimanere lucida e capire.

    Cos’è successo? Ho la testa confusa, non ricordo, non riesco a ricordare nulla.

    Con le mani cerca di delimitare lo spazio vitale intorno a sé. Nel farlo se le sgranchisce quasi a verificare che ci siano tutte quante, anche le dita dei piedi. Senza muoversi allora a tastoni esplora lo spazio intorno a lei, il terreno è umido, oleoso. Sente un pezzo di legno tra le sue mani.

    "Sì ma non è un pezzo di legno, è un coltello.

    Perché mai un coltello?

    Che cosa mi sta succedendo, dove sono, perché?"

    Prova ancora a estraniarsi da quel luogo. Pensa a quando se ne stava stesa a guardare il tramonto e le stelle, pensa al padre che tornando a casa con la macchina, dopo una giornata di duro lavoro, la chiamava per la cena. Funziona. Il battito cardiaco comincia ad avere un ritmo regolare. Fa dei respiri profondi. Rotea le spalle all’indietro mentre muove le dita dei piedi. Il suo fisico si sta abituando a quella situazione estraniante. Dopo tutto il tempo passato in quell’ambiente, ha sviluppato una sorta di nictalopia e come in molti animali selvatici, riesce a ottenere una buona capacità visiva al buio. Poi, finalmente, il rumore di una macchina in lontananza completa la sua capacità sensoriale, o almeno è quello che pensa. Il suo cervello lo collega a quello dell’automobile del padre. Un’autovettura che passa nelle vicinanze illumina con i fari quello spazio, quel luogo, squarciando il buio della sua anima.

    Un soffio di vento gelido la fa piombare nell’oscurità della paura.

    La luce per un attimo la acceca. Ripensa allora al coltello. Le mani sono intrise di sangue, a pochi passi il cadavere di un uomo.

    Non capisce.

    Dall’oscurità le si staglia davanti una figura familiare che non riconosce subito.

    Mammina... fa appena in tempo a dire.

    La macchina e i suoi fari passano oltre.

    È di nuovo silenzio, buio.

    Un urlo.

    Bene, vedo che si sta riprendendo. Spero di non averle dato troppo narcotico, devo avvertire che si sta risvegliando, vado a telefonare. Tu, Ahmad, controlla subito la pressione del sangue e il battito cardiaco, non possiamo rischiare che ci muoia tra le mani, non qui.

    "Bene, il battito è regolare, si dovrebbe risvegliare tra poco. Yalla yalla, vai a prendere degli asciugamani puliti e una bacinella d’acqua quando torni."

    Yael ha di nuovo freddo, sente qualcosa che le sta camminando sulla gamba, ora sulla spalla. Sgrana gli occhi, è un ragno. È tutto molto confuso, gli oggetti non hanno forma intorno a lei. Le labbra sono screpolate, ha sete. La testa è pesante, le fanno male gli occhi, sente una voce in lontananza, poi sempre più vicina, l’odore che sente è quello del profumo del fratello. È Avner! Com’è possibile? Non può essere vero!

    Yael, Yael svegliati, Yael, Yael, Yael…

    Avner! Avner! Sei tu? Quanto mi sei mancato, ma cosa succede? Dove sono? Sei veramente tu? la vista appannata piano piano torna ad essere normale.

    Yael, Yael…

    Di scatto, come fosse stata toccata da un tizzone ardente si volta, sgrana gli occhi. Il freddo sparisce, viene catapultata a forza nella realtà.

    Non è Avner!

    Bentornata principessa le dice Nasir.

    Yael ha le pupille sgranate, si guarda atterrita intorno. Si trova in un ambiente asettico. Una sedia, un tavolino e un piccolo materasso per terra. Sembra una cella. Non riesce a sentire nessun odore, nessun suono. Cerca di riconoscere il volto di quest’uomo, lo guarda con disprezzo. Ancora non capisce. Ha le mani e i piedi legati.

    Principessa, ti starai facendo tante domande: chi sono io, perché ti trovi qui. Non avere fretta, tra poco lo scoprirai.

    Mentre Nasir parla, Yael si guarda intorno. Non aveva fatto caso che dietro di lui, all’altezza del suo sguardo, su di un tavolino con delle piccole ruote arrugginite, ci sono degli attrezzi. Non riesce a vedere bene, ma riconosce gli arnesi usati dai dentisti, varie siringhe e degli utensili da elettricista. Un brivido che parte dallo stomaco la fa svegliare del tutto.

    Ho visto che hai notato i miei attrezzi da lavoro le dice voltando lo sguardo sul tavolino Nasir, mentre le si avvicina. Se farai e dirai quello che voglio, non ci sarà bisogno di usare nulla, ma qui il tempo non manca, abbiamo tutto il tempo che ci serve. Vuoi qualcosa da bere? cerca di sembrare cordiale e gentile.

    Yael, che ancora non ha aperto bocca, mentre ascolta le parole di Nasir, si volta con la testa dall’altra parte in senso di rifiuto.

    Principessa, capisco… Mi avevano detto che sei una ragazza tosta. Ti lascio da sola per pensare e riflettere sulla cosa giusta da fare le dice. Ti piegherai, oh se ti piegherai… bisbiglia allontanandosi. È incredibile il dolore che si può infliggere a una persona aggiungendo o sottraendo elementi chimici al corpo. Ti piegherai principessa, in un modo o un altro, ti do la mia parola.

    Yael non riesce a togliere lo sguardo dal carrello con sopra tutti quegli attrezzi. Pensa a quello che le hanno insegnato durante il corso nel deserto del Neghev. Lei tutte quelle torture le ha già subite, ma la paura di provare di nuovo quelle sensazioni sul proprio corpo, sulla propria psiche, la fa vacillare.

    Che succede principessa, hai perso quell’aria di superiorità che avete voi altri? Ti sei resa finalmente conto di quello che ti aspetta? Bene, bene… mentre, con la scusa di mettere ordine sul carrellino, tira fuori tutti gli arnesi per la tortura.

    Nasir comincia con un dilatatore del bulbo oculare. Yael lo fissa come per mettere a fuoco, e subito le vengono in mente come in un flashback i suoi primi giorni in accademia…

    ****

    Dalla colonnina in plexiglass al centro dell’aula magna è Yossi Kadosh che parla, il direttore del Mossad.

    Ragazzi, se voi siete qui è perché siete stati selezionati tra i migliori giovani che questa Santa Terra ci ha donato. Solo il cinque percento di quelli che fanno domanda sono seduti dove siete voi oggi. E solo il quaranta percento passerà alla fase finale dell’addestramento. Alla fine di questi tre mesi, tra voi cinquanta, solo poco più di dieci diventeranno agenti operativi del Mossad. Gli altri purtroppo verranno terminati... Yossi chiude con una battuta per misurare nella risata il livello di tensione dei ragazzi.

    Yael si guarda intorno, scruta i volti dei suoi compagni, un’abitudine che l’accompagna da sempre e che le fa capire prima di altri il carattere delle persone, i punti deboli, i punti di forza. Proprio all’apice del discorso del direttore, il suono di una campanella lo interrompe. Pausa pranzo.

    Ci voleva proprio una piccola interruzione, ancora non mi sono abituata ad alzarmi alle sei del mattino… sussurra sottovoce a Shlomit, il suo amico più fidato, mentre si china per prendere lo zaino.

    Yael, che fai? Vieni a fumarti una sigaretta nel cortile?

    Grazie Shlomit, ma lo sai che detesto il fumo… però ti faccio compagnia volentieri.

    Che fate ragazzi, venite anche voi?

    Nel cortile della caserma insieme a Yael e Shlomit, si aggiungono Aviv, Zoe e Shani, loro compagni di corso.

    ****

    Le mani di Nasir prendono con forza le spalle di Yael da dietro, Yael fa un sobbalzo, la sua mente torna al presente.

    Principessa, da te vorrei avere un po’ di informazioni! I nomi dei componenti della tua squadra, le loro specificità. Inoltre ci serve sapere lo username e la password di accesso al sistema centrale del Mossad. Lo so che sei addestrata per resistere a gente come me ammette quasi divertito Nasir, ma… lo sono anche io…

    L’uomo sa che prospettando alla sua vittima quello che l’aspetta, molto probabilmente creerà una prima crepa nella sua forza di volontà di resistere al dolore.

    Ma contrariamente a quello che si aspetta, rimane stupito dalla pronta risposta della ragazza. Lo sai che è un lavoro inutile. Appena l’agenzia scoprirà del mio rapimento, bloccherà tutte le mie credenziali di accesso gli dice Yael guardandolo fisso negli occhi a mo’ di sfida.

    "Questo lo sappiamo, principessa… è per questo che dal tuo

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