Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Israel Jihad in Gaza
Israel Jihad in Gaza
Israel Jihad in Gaza
E-book741 pagine10 ore

Israel Jihad in Gaza

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un cammino che comincia nel 2014, prima della guerra a Gaza. Il lavoro di un gruppo di amici che, in pochi mesi, sono diventati una delle migliori squadre operative del Mossad.
Ambientato in Medio Oriente, è focalizzato sulla spinosa questione dei rapporti tra Israele e la Palestina, e in generale tutti i paesi islamici di quella regione. Yael, la protagonista, è una giovane soldatessa, figlia di un agente dei servizi segreti, morto in Libano quando era bambina. La protagonista accetta la proposta di entrare a far parte dei servizi segreti, e viene messa a capo di un gruppo di giovani agenti dall’altissimo QI col compito di anticipare ogni mossa del nemico e neutralizzare le minacce terroristiche. In questo scenario si alternano così eventi per la maggior parte realmente accaduti e si susseguono sanguinosi attentati e tragedie scongiurate all’ultimo respiro, e le vicende private di Yael e dei suoi colleghi si inseriscono nel complesso quadro storico-politico della questione palestinese.
Ariel Lilli Cohen è nata il 6 dicembre 1998 a Haifa (Israele) ed è la terza di tre fratelli. Suo padre Darius Cohen è stato un ex agente dell' Ha'Mossad e sua madre Noha Avner è un alto ufficiale di Shin Bet, l'agenzia di sicurezza israeliana. È stata in passato una leonessa del Magav, la polizia di frontiera israeliana a Gerusalemme. 
Ariel è stata una operativa delle unità speciali delle forze di sicurezza israeliane. Ha partecipato a varie azioni con ruoli per lo più “sotto copertura”. Per questo ha vissuto molte vite in una. Per non impazzire e riuscire a ritrovarsi ha deciso di scrivere questo libro per raccontare tutte le sue esperienze, paure, speranze, amori, verità non dette e situazioni inammissibili ha scelto la forma del romanzo.
Innamorata del suo paese è certa che il desiderio del suo popolo è solo quello di vivere in pace, ma purtroppo deve continuamente difendersi da tutti nemici esterni ma anche dai suoi stessi cittadini.
LinguaItaliano
Data di uscita27 set 2022
ISBN9791222004822
Israel Jihad in Gaza

Leggi altro di Ariel Lilli Cohen

Correlato a Israel Jihad in Gaza

Ebook correlati

Thriller per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Israel Jihad in Gaza

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Israel Jihad in Gaza - Ariel Lilli Cohen

    Indice

    Dedica

    Antefatto

    Capitolo 00      il diavolo non esiste

    Capitolo 0      anime fragili

    Capitolo 1      hezbollah connections

    Capitolo 2      la quiete

    Capitolo 3      quando si dice la fortuna

    Capitolo 4      hamas derailment

    Capitolo 5      attrazione universale

    Capitolo 6      sangue del mio sangue

    Capitolo 7      la scala di Penrose

    Capitolo 8      costante di Plank

    Capitolo 9      principio zero

    Capitolo 10      il paradosso di Russell

    Capitolo 11      entropia

    Capitolo 12      l’equazione di Dirac

    Capitolo 13      non essere tra i dubbiosi

    Capitolo 14      è la dose che fa il veleno

    Capitolo 15      principio di conservazione

    Capitolo 16       informazione o comunicazione

    Capitolo 17      fragilità

    Capitolo 18      fiducia

    Capitolo 19      l’uomo

    Capitolo 20      consapevolezza di se

    Capitolo 21      l’Es

    Capitolo 22      l’Io

    Capitolo 23      super io

    Capitolo 24      la miseria

    Capitolo 25      gioia nascosta

    Capitolo 26      qual buon vento

    Capitolo 27      venti di burrasca

    Capitolo 28      scirocco

    Capitolo 29      polvere di ammonio

    Capitolo 30      la rossa di sera

    Capitolo 31      dna e rna

    Capitolo 32      h2o come l’acqua

    Capitolo 33      il pensiero e la fede

    Capitolo 34      la speranza

    Capitolo 35      tutto bene?

    Capitolo 36      l’uomo imperfetto

    Capitolo 37      la scoperta

    Capitolo 38      l’inizio della fine

    Capitolo 39      tolerance zero

    Capitolo 40      blu cobalto

    Capitolo 41      fuoco freddo

    Capitolo 42      siamo tutti morti

    Ariel Lilli

    Dedica

    Eli Cohen

    dove non c’è consiglio il popolo cade, ma nella moltitudine dei consiglieri c’è salvezza

    Noam Raz

    Gerusalemme 1975 - Burkin May 2022

    Shirel Abukarat

    Netanya 2003 - Hadera Marzo 2022

    Yezen Falah

    Kisra-Sumei 2003 - Hader  Marzo 2022

    Amir Khoury

    Nof HaGalil 1990 -Bnei Brak Marzo 2022

    Reuven Magen

    Tel Aviv 1994  - Tel Aviv 2022

    Barel Shmueli

    Be’er Ya’akov 2000 - Gaza border August 2021

    Amit Ben Yigal

    Ramat Gan 1999 - Ya’Bad Maggio 2020

    Ori Ansbacher

    Tekoa 2000 - Ein Yael Forest 2019

    Rina Shnerb

    Lod 2002 - Dolev 2019

    Gal Keidan

    Be’er Sheva 2000 - Ariel 2019

    Yoseph Cohen

    Ashkelon 1999 - Givat Asaf 2018

    Ron Kokia

    Tel Aviv 1998 - Arad 2017

    Bar Falah

    Netanya 1992 -  Jalamah 2022

    Noa Lazar

    Bat Hefer 2004 - Jerusalem 2022

    Che il loro ricordo sia benedizione

    Possa HaShem vendicarne il sangue

    "Sapevo ciò che stava succedendo. Non è che me lo sentivo, lo sapevo con certezza. E lo sapeva anche Eli. L’ho visto con i miei occhi, l’ultima volta che era tornato a casa. Sapeva che i siriani lo stavano aspettando, sapeva che in Siria lo attendeva la morte. Ed era a casa con me, vivo, ma era come se fosse già morto. Quando mi dissero che l’avevano catturato, non fui sorpresa. Ero pronta, già lo sapevo.

    Non passa giorno senza che io pensi a lui, che io pianga per lui, senza che io veda i suoi occhi. Occhi tristi, occhi infossati, occhi tormentati. E io lo vedo lì, seduto sulla panchina, accanto alla corda, pronto per essere impiccato. Mi manca la sua voce. La sua stabilità. Mi manca vederlo invecchiare. Vederci invecchiare insieme. Mi manca appoggiare la mia testa sulla sua spalla. L’ho amato molto, solo Eli però. Oggi e sempre. Lui è con me, mi accompagna. Vedo il suo sorriso, la sua malinconia, la sua rabbia. Ma non mi ha mai lasciato. A volte mi siedo davanti alla finestra e controllo se passa per caso davanti a casa. Ogni volta che vedo una nuvola sorridermi, sono sicura che sia lui."

    Nadia Cohen

    "Non dicano, oggi come allora, che non sapevano.

    Vedevano ad Auschwitz il fumo dei crematori, l’odore di carne bruciata è stato nell’aria per anni. Ci vedevano, miserabili relitti umani, lungo le strade del loro paese. Molti campi di sterminio erano vicini a città importanti. Abbiamo lavorato da schiavi nelle loro fabbriche, in quelle famose allora e famose ancora oggi. Hanno indossato i nostri vestiti, hanno camminato con le nostre scarpe, guardato l’ora sui nostri orologi, scritto con le nostre penne…sapevano, tutti sapevano.

    I miei genitori, i miei nonni, i miei fratelli, cugini, zii. Tutti sono andati in fumo. E quanto e quale potrebbe essere il risarcimento per la mia adolescenza rubata, per le mie sofferenze. Per la mia salute minata, per le mie notti insonni, per il furto dei miei sogni, per il regalo dei miei laceranti incubi.

    Perché ogni notte io torno a Birkenau.

    C’è anche chi afferma che è giunto il momento di perdonare.

    Io non posso perdonare. Non perdonerò mai."

    Ida Marcheria

    "In Israele nessuno muore veramente, in Israele nessuno vive veramente"

    Ariel Lilli

    "Su ognuno di noi incombe continuamente lo spettro della morte. Quando sentiamo il sibilo di un proiettile non possiamo fare altro che abbassarci, perché non sappiamo mai dove può cadere. Potrei finire in mille pezzi in una trincea a prova di bomba o restare illeso per dieci ore fuori, all’aperto.

    Ogni soldato crede nel destino e confida nella propria fortuna ma nessuno può sperare di farla franca quando il destino bussa così spesso alla porta."

    Erich Maria Remarque

    Antefatto

    Questa è una grande storia d’amore, o meglio, è l’atto d’amore di un popolo intero verso il suo Paese.

    La lotta quotidiana per la sopravvivenza, la morte sempre in agguato, nemici conosciuti e sconosciuti determinati a seminare terrore e distruzione, l’angoscia per ciò che potrebbe accadere tra un mese, tra un giorno, tra un’ora…

    Tutto questo è anche una storia d’amore nel senso più classico del termine, un amore appassionato e impossibile tra un uomo e una donna che si amano disperatamente ma che il destino ha schierato sui fronti opposti della barricata.

    La famiglia Cohen ha dato un grande contributo di sangue alla causa israeliana: papà Eran è rimasto ucciso eroicamente in combattimento.

    Mamma Hodaya è una vera madre coraggio, premurosa e amorevole con i suoi familiari, ma anche fieramente consapevole del valore del sacrificio per la difesa dello Stato. Avner è il primogenito, poi altre due figlie: Ariel, una quindicenne inquieta, ansiosa di dare un contributo alla causa del suo Paese e Yael, 21 anni, arruolata come agente dei servizi di sicurezza per la sua innata attitudine al comando e soprattutto per il suo prodigioso eQI. Ben presto la ragazza assumerà la guida di una squadra speciale di analisti, programmatori informatici e matematici, in grado di svelare e sventare i più gravi attentati al cuore dello Stato di Israele.

    La storia ha inizio il giorno della commemorazione di Eran Cohen, eroe di guerra.

    Davanti alla famiglia e ad alti rappresentanti dello Stato, il Rabbino ricorda la figura di un uomo che oltre alla sua generosa attività militare, ha praticato con grande passione lo sport. Ne rievoca il coraggio, la determinazione, ne ricorda la delusione di quando ancora ragazzo gli fu preferito un atleta russo naturalizzato israeliano nella squadra di lotta libera alle Olimpiadi di Monaco e la sua rabbia mista a dolore davanti alle bare degli atleti dopo l’attentato. Uno strano, incomprensibile gioco del destino…

    Nel cimitero affollato le parole del rabbino fluiscono insieme alla commozione, ai ricordi silenziosi dei presenti.

    Al termine della cerimonia, proprio mentre madre e figlie stanno definendo l’organizzazione per il martedì successivo di una festa a sorpresa per il compleanno di Avner, Yael viene avvicinata da un alto funzionario del Mossad: l’indomani dovrà recarsi al quartier generale per una comunicazione importante.

    In un letto d’ospedale di Tel Aviv, collegato ai tubicini della dialisi, è disteso Mohammad, soldato palestinese. Rivediamo il giorno del suo ferimento e della sua cattura. L’uomo racconta alla dottoressa di come si è salvato da morte sicura grazie alla presenza sul luogo di una giornalista italo-francese. Aggiunge sarcastico che Israele, con la sua storia, si sta facendo una bella pubblicità.

    Il commento della dottoressa è quanto mai laconico: Qui si salvano vite, non si fa politica!

    Il mattino seguente mentre Yael si sta preparando per il suo appuntamento al Mossad, la TV dà la notizia del rinvenimento dei corpi di 3 ragazzi israeliani. Netanyahu dichiara di voler dare un’ultima possibilità ad Hamas: se fermerà il lancio dei razzi, anche Israele si fermerà.

    Una dissolvenza ci porta alla stessa immagine sullo schermo del televisore della stanza d’ospedale. Improvvisamente scatta l’allarme: il vicino di letto di Mohammad ha un attacco di cuore. I medici cercano con il defibrillatore di salvargli la vita, ma tutto è inutile.

    Il crudele commento di Mohammad, tra sé e sé: Un sionista di meno!

    Yael parla al fratello, ancora insonnolito, della sua convocazione al Mossad. Ne è sicura: presto dovrà fare una scelta di vita decisiva. Anche Avner si trova davanti a un bivio: confessa che pur amando il suo Paese e avendolo sempre difeso con coraggio e sprezzo del pericolo, è ormai disgustato dall’odore marcio della guerra e da quell esistenza sempre in bilico tra la vita e la morte. Ha deciso di accettare l’offerta di andare negli USA per intraprendere la carriera di modello. Alla sua fidanzata Zohar, lo dirà martedì quando Avner compirà 23 anni.

    Nell’abbracciare il fratello, Yael scoppia in un pianto dirotto.

    Yossi Kadosh, direttore del Mossad, con il suo più stretto collaboratore Etzion Glick e il generale Ronen Uziel, eroe di guerra, discutono dell’affondamento di un sommergibile israeliano con la morte di tanti marinai giovanissimi e dell’abbattimento dell’aereo di linea iraniano ad opera degli americani.

    Quindi commentano il recente ritrovamento dei 3 ragazzi morti nell'attentato: Ronen vorrebbe una risposta dura, immediata, ma Yossi è contrario. In quel mentre arriva la notizia del rinvenimento del corpo di un ragazzo palestinese.  Tra Yossi e Ronen l’ennesimo, vivacissimo scambio di opinioni contrastanti.

    Facciamo ora la conoscenza di Zoe e Shani, rispettivamente l’analista e la matematica dei servizi di sicurezza del Mossad. Sono una coppia molto affiatata nel lavoro come nella vita e la loro è una relazione solida: sono belle, profondamente innamorate l’una dell’altra, anche se a volte la gelosia di Shani riaffiora per qualche relazione eterosessuale del passato di Zoe.

    Yael viene ricevuta da Yossi. Il Direttore del Mossad, vecchio amico del padre, le parla con tono affettuoso ma fermo: la ragazza ha un quoziente di intelligenza altissimo e pertanto è suo dovere entrare nei servizi di sicurezza per aiutare il suo Paese.

    Yael è incerta, la famiglia Cohen ha già pagato un pesante tributo di sangue, non sa cosa fare.

    Chiede una settimana di tempo prima di dare una risposta.

    Avner si trova in servizio al check-point. Il drappello di soldati viene preso d’assalto da un gruppo di giovani palestinesi urlanti. Un militare israeliano per liberarsi da una ragazzina particolarmente fastidiosa, la strattona in modo deciso.

    La scena viene ripresa da un operatore, Avner protesta: è chiaro che si è trattato di una provocazione ma la giornalista Gorelli gli urla in faccia con arroganza che tutto il mondo vedrà la scena.

    Segue un violento scontro verbale tra i due, il ragazzo le grida: Sei una iena, uno sciacallo!

    E tu sei carne da macello!

    L’espressione degli occhi di Avner rivela quanto sia stufo e schifato di tutto questo e quanta voglia abbia di approdare ad una nuova vita negli USA.

    Un nuovo personaggio, Shlomit: fa parte anche lui dei servizi di sicurezza come cripto analista e hacker. È un mago assoluto della tecnologia, non c’è computer o device elettronico in grado di resistergli.

    Ma ha un problema: stimatissimo e ammirato dai colleghi e dai superiori al Mossad, in casa viene trattato come un ragazzino da una madre tenerissima ma ossessivamente protettiva.

    Avner e Zohar hanno appena fatto l’amore e stanno sonnecchiando.

    Squilla il telefono, codice di emergenza: Avner deve presentarsi immediatamente al Quartier Generale.

    Il ragazzo si riveste, cerca di rassicurare la fidanzata ancora mezza addormentata, passa a dare una carezza a Yael e ad Ariel, un bacio alla madre ancora sveglia davanti al televisore ed esce di casa.

    È quasi l’alba. Le strade di Tel Aviv sono deserte. Fermo ad un semaforo, il giovane guarda con una punta di nostalgia alcuni ragazzi che escono allegri da una discoteca.  Riparte con una sgommata e in poco tempo raggiunge il Quartier Generale.

    La missione che gli viene affidata è molto delicata: deve preparare l’arrivo delle truppe di terra a Gaza e raccogliere quante più informazioni possibili sui movimenti dei palestinesi.

    Dopo essere stato posato da un elicottero con la sua squadra nelle vicinanze del kibbutz di Zikim, Avner arriva a Gaza City. Si mette in attesa. Passano pochi minuti, dei miliziani si avvicinano parlando tra di loro a bassa voce: il punto di raduno per le squadre che partiranno per i tunnel sarà proprio lì sotto.

    Dal suo nascondiglio Avner ha sentito tutto: deve trovare un posto sicuro per comunicare l’informazione ai suoi superiori.

    Si infila in un portone.

    Al quartier generale il Primo Ministro è visibilmente agitato: i droni stanno mostrando le tragiche immagini di un padre che sacrifica la sua famiglia per addossare la colpa agli israeliani.

    Il Primo Ministro asserisce che i finanziatori di Hamas sono principalmente l’Emiro del Qatar, l’Iran e il premier turco Erdogan.

    Avner raggiunge l’ultimo piano dell’edificio e inizia a trasmettere comunicando le informazioni.

    Yael si sveglia e prepara la colazione: è pensierosa, ha un brutto presentimento.

    Dalla Centrale un messaggio urgente per Avner: dei miliziani si stanno avvicinando con un cane in perlustrazione.

    Sono momenti concitati di altissima tensione, il giovane lascia la sua postazione e cerca di raggiungere un balcone vicino.

    Purtroppo il cane avverte la sua presenza.

    Individuato, viene raggiunto da una raffica di proiettili. Il corpo insanguinato, caricato su un pick-up, è poi scaraventato sull’asfalto a 100 metri dal posto di blocco militare.

    Un segnale per Israele: Siamo in grado di fare ciò che vogliamo.

    Avner è a terra, esanime, ma respira ancora.

    Mohammad esce di casa per andare a sottoporsi alla dialisi.

    All’ospedale il referto medico per Avner è drammatico: morte cerebrale.

    La famiglia Cohen, avvertita da una telefonata, si mette in macchina.

    I medici consultano la lista dei malati in attesa di organi: il più compatibile per ricevere il rene del ragazzo è Mohammad. Decidono che è loro dovere tentare il trapianto. Il giovane soldato verrà tenuto in vita da un respiratore artificiale fino al momento dell’eventuale espianto.

    Intanto, nella sala d’attesa, Hodaya, le ragazze e Zohar vivono momenti di infinita angoscia. Un medico le raggiunge e scuote la testa: ha il camice macchiato dal sangue di Avner.

    Le quattro donne lo fissano in un misto di incredulità e disperazione. Il chirurgo parla loro della possibilità di donare gli organi del loro congiunto ad un malato, Mohammad, un palestinese. È una decisione terribile, sta a loro prenderla.

    Le Cohen si guardano negli occhi: non c’è bisogno di parole.

    Hodaya bacia le sue figlie e Zohar, e, dopo un doloroso, intenso sguardo con Yael, dà il consenso.

    In un clima irreale entrano nella sala operatoria dove giace Avner: è l’ultimo straziante addio.

    Viene staccato il respiratore e il ragazzo muore a 23 anni, il giorno del suo compleanno.

    In auto verso l’ospedale, Mohammad viene informato della possibilità del trapianto. La notizia lo sconvolge: ferma la macchina e pensa alla nuova vita che potrebbe attenderlo. Riparte a tutto gas.

    Salendo le scale dell’ospedale incrocia col suo sguardo quello di Yael che sta uscendo.

    In una sala del Mossad, il Primo Ministro e Yossi analizzano la situazione politica e la presenza dei virus informatici che dirottarono i terroristi in Egitto: è necessario entrare nella mentalità dei nemici, infiltrarsi nelle moschee, utilizzare sempre di più i robot, cercare nuove strategie. L’aiuto degli americani è estremamente importante.

    È necessario mettere la parola fine al conflitto e smascherare i giornalisti che diffondono fake news contro Israele.

    La Gorelli incontra un personaggio di una TV straniera: le viene proposto di assumere l’incarico di corrispondente da Istanbul.

    In casa Cohen con gli occhi gonfi di lacrime Hodaya e le due figlie sfogliano le foto dell’album di famiglia: è il momento del grande dolore, della tristezza. Con voce sommessa rotta dal pianto ricordano il loro caro e gli episodi della sua vita, fin da quando era un bambino.

    Dalla televisione, un grave attentato negli Stati Uniti: il senatore che stava finanziando con un trust estero le trivellazioni di gas nelle acque contese tra Israele e Libano viene ucciso. Delle indagini si occupa l’agente della National Security Agency Jason Green che riesce a trovare sul luogo dell’attentato brandelli di un computer dai quali estrae un file.

    In piedi, davanti alla tomba di Avner, le donne Cohen fissano mute la lapide con la scritta: In Israele nessuno vive per davvero, in Israele nessuno muore per davvero.

    Dopo una settimana di convalescenza, Mohammad esce dall’ospedale e sale sul pulmino che lo riporterà a casa.

    Sedute in salotto, Hodaya e Yael stanno seguendo un’intervista televisiva a Lucy Aharish, una profonda conoscitrice della situazione israeliana. Le sue parole dure sono rivolte contro quanti fingono di ignorare i genocidi perpetrati nei luoghi più caldi del Medio Oriente come quello in Siria.

    Le due donne commentano che ce ne vorrebbero di giornalisti come lei.

    Mohammad è a casa con la sua famiglia: in un’atmosfera serena gioca in giardino con i figli e si dedica ad esercizi fisici.

    Il direttore del Mossad parla con Zoe e Shlomit di nuove strategie per captare le intenzioni bellicose dei palestinesi.

    In USA riunione al vertice: il Presidente degli Stati Uniti ordina all’agente Green di andare in missione a Tel Aviv.

    Yael che in cuor suo ha già deciso di accettare la proposta di entrare nei servizi di sicurezza, si reca comunque dal Rabbino per chiedergli un consiglio. Le sagge e affettuose parole dell’uomo la rafforzano nella sua decisione.

    All’aeroporto, Green si inalbera per le strettissime procedure di sicurezza adottate dalla compagnia aerea israeliana, tanto da decidere di cambiare vettore. 

    Arrivato a Tel Aviv, raggiunge la caserma, luogo del suo appuntamento con le autorità, dove viene sottoposto a un terzo grado che lo innervosisce non poco. A salvare la situazione interviene Yossi che lo fa entrare senza ulteriori formalità.

    Nel palazzo reale di Doha l’Emiro del Qatar discute animatamente con Youssef: dalle parole che i due si scambiano emergono con chiarezza le differenze caratteriali e ideologiche tra padre e figlio.

    Una riunione di alto vertice viene indetta nella sede del Mossad: sono presenti le più alte cariche dello Stato, Generali e Direttori. Viene presentato anche l’agente Green il quale va a sedersi accanto alla new entry Yael.

    Il Generale Hovav spiega brevemente i motivi dell’incontro: trovare nuovi metodi per arginare gli attacchi palestinesi di terra. Chiamata in causa, Yael prende la parola e lancia l’idea di introdurre nei tunnel delle sonde e di piazzare delle cariche esplosive.

    Al termine della riunione Green avvicina Yael e inizia un corteggiamento discreto. La ragazza, anche se il giovane agente non le è indifferente, si mostra cortese ma non disponibile, declinando con gentilezza il suo invito a cena. È ancora frastornata per la morte del fratello e per il delicato incarico che le è stato assegnato: guidare la squadra addetta alla intercettazione di ogni tipo di attacco proveniente dai nemici di Israele.

    Youssef, il figlio dell’Emiro del Qatar, incontra la giornalista Gorelli: le chiede di continuare il suo lavoro di discredito nei confronti di Israele con le fake news e con la sua opera di controinformazione.

    Le sarà riconoscente.

    Mohammad sta tornando a Tel Aviv per i controlli medici.

    L’idea di Yael si rivela vincente e molti attacchi nei tunnel vengono sventati.

    Tornato in Palestina, Mohammad riceve l’incarico di compiere un’azione dimostrativa: uccidere un ebreo e issare su un palazzo di Tel Aviv la bandiera dello Stato Islamico.

    Il successo delle strategie difensive ideate da Yael hanno dato una forte impennata alle sue quotazioni, tanto che i capi del Mossad, dopo essersi consultati, hanno concordato di affidarle il comando di una importante missione denominata Zeitnot.

    La ragazza riunisce la squadra: spiega nei minimi dettagli i contenuti, il senso dell’operazione e assegna ad ognuno un’identità di copertura.

    Lo scopo finale è provocare l’esplosione della Centrale iraniana: I nostri virus informatici dovranno mettere fuori uso il sistema operativo dell’Isis. Il morbo maligno del sedicente stato islamico sta contaminando ogni angolo del mondo occidentale, nessuno escluso, neanche lo Stato della Città del Vaticano.

    Ci trasferiamo adesso in Ghana.

    Una donna di nome Alma raggiunge una chiesa cristiana. In confessione rivela a Padre Lewis che il suo ragazzo si farà esplodere in Piazza San Pietro.

    Il confessore, dopo averle dato l’assoluzione, è tormentato da un dubbio atroce: non può tradire il segreto confessionale, ma con il suo silenzio potrebbe rendersi complice di una strage. Mancano ormai solo 90 minuti all’ora dell’attacco suicida. Decide di tacere, sperando che le forze di sicurezza sventino l’attentato.

    Yael sta illustrando alla sua squadra la seconda parte della missione.

    Da uno dei televisori della sala, le immagini di una Piazza San Pietro affollata.

    Una forte esplosione, il panico tra la folla. I corpi insanguinati di molti fedeli disseminati sul selciato.

    Padre Lewis ha appena appreso dalla TV quanto accaduto a Roma. Che Dio mi perdoni! e si lancia nel vuoto dalla finestra della canonica.

    Grazie ad una scrupolosa indagine sui videogames, utilizzati dai terroristi come strumenti di comunicazione tra i vari reparti d’assalto, Yael e i suoi collaboratori riescono a intercettare un piano determinato a portare morte e distruzione in Israele.

    Mentre il Direttore del Mossad è in riunione con i suoi più stretti collaboratori, arriva la tragica notizia della strage di Piazza San Pietro. Sgomento generale. Yossi sostiene che la recente decisione di Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme sta aggravando i problemi non solo in medio oriente, ma anche in Europa e negli Stati Uniti.

    A New York, in un covo segreto, tre terroristi stanno progettando un attentato con lo scopo di minare la sicurezza degli abitanti della città simbolo della libertà, della democrazia e cuore pulsante del mondo occidentale.

    Decidono di agire in tre zone diverse della metropoli.

    Mohammad sta tornando a Tel Aviv per i controlli medici post-operatori.

    Il piano terroristico va in porto esattamente come era stato congegnato. I tre attentati dinamitardi si susseguono a distanza di poco tempo l’uno dall’altro: vengono colpiti il giardino zoologico, il quartiere di Soho e una biblioteca. Si conteranno più di cento vittime, tra cui molti bambini in visita allo zoo. Si tratta di una delle azioni terroristiche più vili di sempre.

    Jason Green è fuori di sé dalla rabbia. Vorrebbe ripartire subito per gli Stati Uniti, ma viene convinto da Yael a rimanere in Israele, osservatorio privilegiato per studiare e contrastare la violenza terroristica. L’americano interpreta questa richiesta anche come un affettuoso gesto di avvicinamento della ragazza.

    Yael dopo aver assistito con Zohar e sua madre alla recita scolastica di Ariel, incontra per strada Lior, sua amica da sempre e figlia di un collega di suo padre, il generale Nagure.

    La giornata è bella, le due ragazze vanno a sedersi a un tavolino all’aperto di un bar del centro.

    Approfittando dell’assenza degli operai per la pausa pranzo, Mohammad sale sul tetto di un edificio in costruzione.

    Yael e Lior chiacchierano amabilmente mentre Mohammad dalla sua postazione imbraccia il fucile di precisione e comincia a esplorare con il mirino la strada in cerca di un obiettivo. La sua attenzione si concentra sulle due ragazze e indirizza la mira proprio su Yael. Il suo volto tradisce una grande tensione. Yael si gira di scatto ed incrocia inconsapevolmente lo sguardo di Mohammad proprio come quel pomeriggio in Ospedale. Una frazione di secondo. Mohammad preme il grilletto e il forte rumore di uno sparo squarcia l’aria. Dopo aver piazzato la bandiera islamica, si precipita giù per le scale, esce per strada cercando di confondersi tra i passanti in preda al panico.

    Si avvia verso l’ospedale per sottoporsi ai controlli medici.

    Attraverso le immagini riprese dalle telecamere gli inquirenti cercano di individuare il colpevole; tra la folla notano un uomo che si muove in maniera sospetta.

    Mohammad sta tornando a casa: sopraffatto dai sensi di colpa, sente su di sé un peso insopportabile.

    Una più attenta e scrupolosa osservazione delle immagini rivela l’identità del terrorista: è Mohammad.

    Yossi ordina ai suoi uomini di catturarlo, vivo o morto.

    Lo Shin Bet si mette sulle sue tracce, ma lo trovano in un lago di sangue, sgozzato senza pietà: l’Isis non gli ha perdonato il fallimento della missione.

    Yael, colpita solo di striscio, è in un letto d’ospedale, assistita da Hodaya e Ariel. Sarà dimessa il giorno seguente.

    Nella stanza entra il generale Ronen il quale, dopo aver abbracciato la madre e la sorella, consiglia a Yael di andare a riposarsi qualche giorno a Parigi.

    Jason Green viene convocato da Yossi: gli chiede di seguire in segreto Yael.

    Green ne domanda il motivo. È molto giovane, anche se brava. Diciamo che lei la deve in qualche modo proteggere.

    La spiegazione non convince l’agente americano: Non vi fidate di lei?

    Il Direttore del Mossad sorride a mezza bocca: Caro Green, non è molto tempo che lei è qui con noi. Presto imparerà che in Israele non ci si fida neanche di se stessi.

    A Parigi, Yael nota un segno sul selciato: è il segnale che un agente vuole fare una comunicazione al Comando Generale.

    Ronen Uziel sta parlando al telefono con un interlocutore misterioso: È tutto sotto controllo. È già partita. Ti informerò sulle prossime mosse.

    Yael esce dall’albergo e si reca al posto indicato, sedendosi su una panchina.

    A distanza, Green la segue.

    La ragazza scorge Valéry, una sua vecchia fiamma amorosa: è entrato nel negozio di fronte. Anche lui è un agente del Mossad ed è infiltrato nella comunità musulmana di Parigi.

    Lo raggiunge, si abbracciano di nascosto e rievocano i tempi del loro amore accennando con un sorriso ai loro reciproci tradimenti.

    Il ragazzo le parla della tensione che si respira in quei giorni nella capitale francese, specialmente nelle banlieues. Ha sentore di un imminente grave attentato.

    I due si danno un appuntamento per la sera seguente: andranno insieme a un concerto rock.

    L’incontro con Valéry non ha lasciato Yael indifferente: nel rivederlo ha sentito riaccendersi qualcosa che né la distanza né il tempo hanno spento del tutto.

    13 novembre ore 20:00.

    In albergo Yael si sta preparando per la serata: sceglie con cura nell’armadio un vestito, lo indossa, quindi, con attenzione comincia a truccarsi.

    Alla fine si guarda soddisfatta allo specchio: quell’incontro per lei è molto importante. Chissà... E poi, perché no?

    Davanti all’hotel cerca di fermare un taxi…niente, il traffico è congestionato, anche perché quella sera è in cartello una partita di calcio della Nazionale.

    Nella strada regna il caos, poco lontano il suono lacerante delle sirene di ambulanze.

    Il teatro è vicino, decide di andare a piedi. Si avvia lungo il boulevard ma a un tratto viene quasi travolta da una marea umana, una folla di persone che corrono terrorizzate all’impazzata, qualcuno piange, qualcuno grida frasi confuse, una donna urla che una bomba è esplosa allo stadio…

    Yael prova a chiamare Valéry: inutilmente. Il ragazzo non risponde.

    Si toglie le scarpe e si mette a correre a perdifiato.

    Green, per seguirla, è costretto a correre a sua volta in mezzo a quella calca di gente impazzita.

    Squilla il telefono di Yael. È Valéry.

    Dove sei?

    Sto arrivando

    Bene, ti aspetto fuori del teatro… Yael?

    Sì, dimmi, Valéry

    Ti amo, stai attenta

    Anch’io ti amo… mi raccomando, sempre sopravento!

    E Yael corre, corre, sempre più veloce. Arriva nei pressi del teatro e vede Valéry dall’altra parte della strada.

    Alle sue spalle sopraggiunge anche Green che si nasconde dietro un autobus per non farsi scorgere dalla ragazza.

    Yael, ansimante, si appoggia a un albero per riprendere fiato un attimo. Urla il nome di Valéry, lui la sente, la cerca con lo sguardo e le sorride. Poi in una frazione di secondo, l’espressione del suo volto cambia. Tre persone vestite di nero escono rapide da un’auto; hanno degli zainetti e sono armate con dei fucili a pompa.

    Yael fa solo in tempo a gridare: Stai giù, stai giù… È un attentato!.

    Ma il ragazzo ha già visto i terroristi, li ha già riconosciuti. Quello più alto gli spara una raffica colpendolo all’addome e poi alla testa. Valéry crolla a terra in una pozza di sangue.

    Yael è paralizzata dal dolore e dalla paura, vorrebbe urlare ma la voce le si strozza in gola.

    Un terrorista punta l’arma contro di lei. È un attimo: Green fulmineo la butta a terra, salvandola miracolosamente dalla raffica che stava per raggiungerla. Fortunatamente i terroristi si allontanano di corsa verso il loro prossimo obiettivo mentre l’agente americano aiuta la ragazza ad alzarsi, la spinge oltre un portone socchiuso: Yael si abbandona in lacrime tra le sue braccia.

    la strage del Bataclan aveva avuto il suo epilogo.

    Aamir Al Mulla, arabo israeliano, ha imparato a odiare i suoi concittadini da sempre, a cominciare da quando ancora bambino a causa della sua religione veniva emarginato alle festicciole per poi, una volta cresciuto, essere escluso dal servizio di leva.

    Quegli sguardi accusatori, quei commenti sprezzanti mormorati alle sue spalle hanno fatto crescere in lui la determinazione a vendicarsi una volta per tutte.

    Sin dalla più tenera età ha aiutato suo padre nella piccola azienda di costruzioni che nel corso degli anni si è notevolmente ingrandita: a Tel Aviv si ristrutturano continuamente case, si costruiscono palazzi e grattacieli e una fila ininterrotta di gru sovrasta la città.

    Oggi, a 50 anni, è uno degli uomini più ricchi di Israele, ma non sarà mai completamente soddisfatto fino a quando il profeta Muhammad al momento giusto non gli darà modo di compiere la sua vendetta, la vendetta di tutti i fratelli musulmani nei confronti degli usurpatori sionisti.

    A Dubai Aamir sta depositando del denaro in nero quando l’impiegato della banca gli dice che il direttore desidera parlargli. Strano, pensa l’uomo, non ricorda di avere mai avuto nessun contatto con il direttore, né ci sono mai stati problemi con le sue precedenti transazioni economiche. Qualcosa non lo convince.

    Viene introdotto in una sala, dove lo aspettano due uomini: il figlio dell’Emiro del Qatar Youssef, potentissimo capo in ombra dei servizi segreti, e Faysal, un vecchio dal volto scavato e segnato da due profonde cicatrici.

    Sappiamo che ogni casa, ogni palazzo, ogni grattacielo che tu hai costruito è minato nelle fondamenta da cariche esplosive. Una vendetta nutrita in tanti anni che finalmente sta per essere compiuta…

    Aamir è con le spalle al muro, pietrificato. Pensava che la sua condotta irreprensibile e la cautela nel pianificare la sua azione di rivalsa fossero il miglior baluardo possibile per la sua insospettabilità. E invece no, sanno tutto. Non prova nemmeno a smentire. Cosa volete da me?

    I tuoi operai preleveranno alcune valigie contenenti delle fiale che dei giovani pakistani prepareranno per noi. Nelle murature delle fermate della metro sono state incastonate delle microcariche esplosive, accanto alla zona di ventilazione. La dinamite che hai collocato sotto i palazzi farà il resto. Tel Aviv sprofonderà su se stessa. Ne rimarrà solo un cumulo di macerie e, soprattutto, diventerà una facile preda per i miliziani dello Stato Islamico e della Nuova Alleanza Musulmana che, via mare dalla Turchia, con truppe dispiegate dal Libano alle alture del Golan con la Siria, dalla Striscia di Gaza e dall’Egitto, fino alla Giordania, cingeranno Israele in una morsa mortale.

    Aamir è allibito: mai avrebbe immaginato di poter diventare una pedina fondamentale per un piano internazionale dalla così vasta portata. Ma in fondo è quello che vuole, quello che ha sempre sognato: vendicarsi di Israele.

    A Parigi, la mattina dopo l’attentato al Bataclan, Yael saluta Green in partenza per gli Stati Uniti. Sono in piedi, uno di fronte all’altra sulla porta dell’albergo: la ragazza gli chiede di prometterle che tornerà presto a Tel Aviv.

    Si sente confusa, avverte nei confronti del suo salvatore un sentimento che va al di là della semplice riconoscenza, ma al tempo stesso è profondamente delusa perché il Mossad l’ha fatta seguire. Perché? Forse non si fidano di lei?

    Durante il volo da Parigi fa conoscenza con Youssef. Si presentano: lei dice di chiamarsi Monique e di lavorare in un call center di Haifa, lui dice di chiamarsi Steven, di professione critico d’arte. Lei è diretta a Tel Aviv, lui a Roma dove l’aereo farà scalo.

    Ma in realtà il fine della missione dell’uomo è sapere tutto di lei, scoprire a che punto è la sua indagine sul terrorismo internazionale. A causa della segnalazione di una bomba a bordo, l’aereo fa scalo a Francoforte. I rispettivi voli per Tel Aviv e Roma partiranno l’indomani.

    I due pernotteranno nello stesso albergo. Quella sera a cena Yael si sente attratta da quel ragazzo bello, gentile, colto. Più tardi durante un ballo lento, Youssef le sfiora il collo con le labbra, Yael avverte un brivido lungo la schiena, ma la morte di Valery e l’essere scampata per un pelo a un attentato, le impediscono di abbandonarsi alla tentazione di una notte d’amore.

    Si salutano senza sapere se mai si rivedranno: il destino deciderà per loro.

    Tel Aviv. È notte. Yael si rigira nel suo letto: non riesce a prendere sonno. Troppe domande le frullano nella mente: perché è stata mandata a Parigi? E perché Green l’ha seguita? C’era qualcuno che voleva eliminarla? Ripensa a Steven e si rasserena: potrebbe essere lui il ragazzo perfetto che ha sempre cercato, la sua parte mancante.

    Si getta a capofitto nel lavoro e scopre un flusso continuo di denaro sul conto della Gorelli che da qualche tempo vive in Turchia. Chi la finanzia?

    Convocata dallo Stato Maggiore del Mossad, le vengono mostrate delle foto che la ritraggono con il suo compagno del volo Parigi Tel Aviv.

    Questa volta Yael è fuori di sé in un misto di delusione e rabbia: Mi spiegate che cazzo significa tutto questo? Perché mi avete fatto seguire? Perché avete queste foto? Voglio una risposta!.

    La spiegazione è sorprendente: Steven in realtà è Youssef, il figlio dell’Emiro del Qatar, la persona che stavano seguendo. Una soffiata lo segnalava a Parigi nei giorni dell’attentato.

    Yael è infuriata per essere stata spiata, pedinata e manovrata. Soprattutto è delusa. Pensa tra sé: Era troppo perfetto per essere vero, troppo perfetto per me, mi ha fatto il profilo, ecco perché ha sempre fatto e detto la cosa giusta al momento giusto. M’ha fregato! E io stupida che ci sono cascata!.

    Guarda i suoi interlocutori e con voce ferma chiede: E adesso che devo fare?

    Ronen le risponde gelido: Usiamo la situazione a nostro vantaggio. Sfrutta la tua rabbia, la tua delusione contro di lui. Cerca di farlo crollare, cerca di ottenere le informazioni che ci servono.

    Mentre ancora Ronen parla, Yael risente quel brivido di desiderio sulla pelle e all’improvviso un pensiero: infondo era stato Ronen  a mandarla a Parigi, a parlarle dei concerti… E poi c’era stato il Bataclan. Una coincidenza forse, ma le coincidenze non esistono. Lei lo sa bene.

    La ragazza vorrebbe confidarsi con Green, appena rientrato dagli USA, ma ha paura: il morbo del sospetto e della diffidenza così di casa in Israele ha ormai contagiato anche lei.

    L’Emiro del Qatar ha appena definito con Faysal, suo braccio destro, gli ultimi particolari del nuovo attacco a Israele: in questa fase stavolta sarà utilissimo anche l’affiancamento dei talebani. È pienamente soddisfatto.

    Youssef però ha un problema, si rivolge al padre: vorrebbe interrompere l’indagine su Yael. L’Emiro si infuria: Sei un rammollito, ho fatto male a mandarti a studiare in Occidente. Spero proprio che Allah ti protegga e ti riporti sulla retta via che ha tracciato per te. Specialmente dopo che è riuscita a salvarsi dall’attentato, dobbiamo scoprire che cosa sappia realmente dei nostri piani, e lo devi fare tu. Adesso sparisci dalla mia vista e vai a fare il tuo dovere!.

    Noora, terza moglie dell’Emiro del Qatar, si trova a Ginevra per un congresso dell’UNICEF, di cui è ambasciatrice.

    Seduta al bar dell’hotel Kempinski, controllata a vista dalla guardia del corpo, pensa agli anni meravigliosi passati a Eton dove si è laureata, poi il master alla NYU in scienze sociali… New York… quanto le manca quella città con le sue giornate di vento freddo, quello stesso freddo che lì a Ginevra rende l’aria così tersa e trasforma il lago in uno specchio che riflette il Quai du Mont Blanc.

    A differenza dei mediorientali, lei ama il clima rigido, le fa venire voglia di essere coccolata da qualcuno, qualcuno capace di scaldarla. Quel viaggio in Svizzera è la prima evasione dopo tanto tempo da un posto che non riesce più a riconoscere come casa sua. Del resto è quello che si doveva aspettare accettando di diventare la terza moglie dell’Emiro. All’inizio si era sentita lusingata, sperava con la sua posizione di poter mettere in pratica, soprattutto con organizzazioni come l’UNICEF, quello che aveva studiato, ma in seguito la realtà si era rivelata molto diversa: un’infinita serie di eventi mondani, feste, cene di rappresentanza, tutto all’insegna del lusso più sfrenato, una continua ostentazione di ricchezza e di potere…

    È vero, era diventata ambasciatrice dell’UNICEF, un incarico affidatole unicamente per l’intervento autoritario dell’Emiro.

    Un uomo elegante si avvicina al bancone del bar: attraente, atletico, ha qualcosa di strano nello sguardo.

    Noora distoglie gli occhi; la sua guardia del corpo la sta certamente osservando e chissà cosa potrebbe raccontare all’Emiro.

    L’uomo, dopo aver ordinato un whisky, chiacchiera con il barman, dice di chiamarsi Jamal, di essere un giocatore professionista di poker. Ha un’aria vissuta, uno sguardo penetrante. Noora ne rimane affascinata, colpita dalla leggerezza con cui il nuovo arrivato parla della sua vita avventurosa in giro per il mondo per i vari tornei.

    La donna accavalla le gambe, fa uscire il tallone dalla sua Jimmy Choo sinistra e la lascia dondolare appoggiata alle dita del piede. Il suo gesto ha attirato l’attenzione di Jamal, Noora ne sente lo sguardo che percorre il suo corpo. Il cuore della moglie dell’emiro comincia a battere più forte.

    Il barman chiede a Jamal: E prima di venire a Ginevra dov’eri?

    A New York, due settimane per un torneo da tre milioni di dollari.

    E l’hai vinto?

    Noora per la prima volta punta lo sguardo su Jamal sfiorandosi con la lingua il labbro superiore. Si alza, raccoglie la sua pochette e si avvia verso la toilette .

    No, sono arrivato in finale e ho vinto solo duecentomila dollari.

    Noora nel bagno sta tremando. Cosa le è passato per la testa? E se la guardia del corpo se ne fosse accorta? E se Jamal raccogliesse l’invito e la seguisse? No, non può essere.

    Si riprende, si sente più calma, apre la porta che dà sull’antibagno. Mentre si sta ritoccando il trucco, vede riflesso nello specchio Jamal che sta entrando.

    Ricomincia a tremare. Una voce roca che non riconosce come sua gli chiede: E com’era New York?

    C’era tanto vento

    Jamal la attira a sé e la bacia. Solo ora Noora realizza la stranezza dello sguardo dell’uomo: un occhio è verde intenso scuro, l’altro è azzurro striato, l’occhio di un felino.

    Tutto esplode nella testa di Noora, lui si china e le sussurra nell’orecchio: Posso?

    Fai tutto quello che vuoi.

    Yael è assorta nei suoi pensieri, rimuginando sui più recenti avvenimenti e sulla grande delusione che ha provato. Squilla il cellulare: è Youssef, alias Steven, che la invita a Roma per una mostra d’arte.

    D’istinto la ragazza risponde che deve solo preparare la valigia ed è già sull’aereo.

    Roma, in un ristorante tipico. Yael disobbedisce agli ordini impartiti e fa il gioco che le si congegnia meglio, sbatte sul tavolo le foto che li ritraggono insieme, lei sa tutto, anche la sua vera identità.

    Youssef non si scompone, l’ha voluta incontrare per dirle la verità. È in forte dissidio con suo padre, ha capito che per l’Emiro e i suoi alleati gli attacchi terroristici sono finalizzati soltanto ad accumulare denaro e accrescere così il potere a scapito della popolazione. L’Islam è solo un pretesto. La fissa negli occhi: prova per lei quello che non ha mai provato per nessun’altra donna. Le propone di fuggire insieme in un posto lontano dove nessuno potrà mai trovarli.

    Yael sente di non potersi fidare di lui, gli risponde di essere lusingata, che ci penserà.

    Però prima c’è una cosa che devi fare per me

    Dimmi Yael, farò tutto quello che vuoi

    Prendi questa pennetta USB e inseriscila nel computer di tuo padre

    Mi stai chiedendo di tradire il mio Paese, la mia famiglia

    Se è vero quello che mi hai detto, se è vero che ti sei innamorato di un’ebrea, di un agente del Mossad, li hai già traditi

    Ci devo pensare Yael, è una scelta difficile

    Una scelta difficile, dici? Mi hai mentito, mi hai ingannato, ma se è vero, come dici, di amarmi, prendi questa pennetta e fai quello che ti ho detto. È soltanto un virus che metterà fuori uso per qualche giorno i computer degli Emirati. Dobbiamo arrestare gli esponenti di Hamas che trovano rifugio a Doha

    Non credo di poterlo fare, Yael

    Non vali niente, sei un uomo da nulla.

    La ragazza se ne va via, senza voltarsi.

    Youssef la raggiunge: Ti prego, rimani qui questa sera, partirai domani, devo ancora dirti tante cose. Poi, se vuoi, se questa è la tua ultima decisione, io non ti disturberò più. Però rimani, fidati di me.

    Yael non ha dubbi: una parte del suo cuore sa che quella dichiarazione d’amore è sincera. E poi è solo per una notte…

    Youssef sdraiato supino nel letto apre gli occhi: sente ancora addosso il profumo di Yael. Si gira di scatto. Lei non c’è più, tra le lenzuola solo la pennetta USB.

    Nei giorni che seguono inizia tra i due uno scambio acceso di messaggi in codice. La ragazza insiste, è inutile che Youssef inserisca la pennetta nel computer di altri fingendo che sia quello di suo padre e facendole pervenire informazioni di nessuna o quasi importanza. I suoi informatici se ne accorgono subito.

    La squadra di Yael scopre che i bonifici versati alla Gorelli provengono direttamente dal conto corrente privato di Youssef.

    Yael dice al ragazzo di non volerlo vedere mai più.

    Netanyahu convoca l’intero staff dei servizi di sicurezza: Come sapete Trump ed io abbiamo deciso di uscire dall’UNESCO. Il problema è il nuovo Oro Nero, l’acqua. Tra due giorni si svolgerà ad Amman una conferenza su questo argomento alla quale parteciperanno i più alti rappresentanti del Qatar, dell’Iran, della Turchia, del Libano, dell’Egitto e della Siria. È più che probabile che non parleranno solo dell’acqua, ma elaboreranno e concorderanno nuovi piani di attacco contro di noi. È un’occasione che non possiamo farci sfuggire. Dobbiamo sapere tutto, intercettare tutto e tutti. Sarà la squadra di Yael a compiere la missione.

    La ragazza si prepara alla partenza accompagnata dalle raccomandazioni di Hodaya.

    I grandi della Terra sono riuniti ad Amman, Giordania.

    È presente la stampa, compresa la Gorelli.

    Yael e Green, sotto copertura, sono rispettivamente una giornalista e un operatore mentre Zoe è la producer. Shani e Shlomit restano in un appartamento. Dopo la riunione ufficiale sul tema dell’acqua, la giovane Cohen incontra un finto giornalista (in realtà un agente) e la Gorelli alla quale clona il cellulare, scoprendo così l’ubicazione della stanza della riunione segreta.

    Il rappresentante dell’Iran dichiara che il suo Paese è pronto a dare il colpo di grazia all’Occidente e che Putin è dalla loro parte.

    L’Emiro prende la parola: descrive come sarà il nuovo Medio Oriente chiamato Islam, la capitale verrà portata a Gerusalemme, le risorse saranno condivise e non esisteranno più i confini tra Stato e Stato.

    A Tel Aviv, nella sede del Mossad si sente ogni parola grazie alla squadra di Yael che è riuscita a piazzare delle microsonde ricetrasmittenti nei condotti del condizionatore d’aria.

    Il Primo Ministro commenta: sarà un Armageddon.

    A Teheran il colonnello Nissim interrompe una riunione del premier iraniano Rohani per comunicare una notizia importante. Al telefono Youssef conferma che l’attentato all’ambasciata americana da lui ideato e condotto a termine dalle due italiane convertite all’Islam è perfettamente riuscito.

    Sul tetto della sede diplomatica statunitense ora sventola la bandiera dell’Islam.

    Nell’ufficio dell’emiro del Qatar entra Faysal accigliato. Ha un tablet.

    Altezza, devo mostrarle una cosa e gli porge l’ipad su cui scorrono le immagini del tradimento di Noora. L’ira del sovrano esplode.

    Maledetta troia! Maledetta! Neanche tre mesi fa l’ho sposata quella cagna e guarda cosa fa non appena mette piede fuori da Doha. Si fa scopare come una puttana nel cesso di un hotel! Io l’ammazzo con le mie mani! Fa per alzarsi ma la ferma mano di Faysal lo trattiene.

    C’è una cosa ancora più grave, Altezza, la persona che ha osato commettere questo oltraggio è un agente israeliano.

    Faysal si aspetta un’ulteriore sfuriata, invece l’anziano emiro rimane in silenzio e quando parla la sua voce è fredda come il ghiaccio. È il momento. È giunto infine. Con l’aiuto di Allah non rimarrà neanche una pietra del maledetto Stato di Israele. Dobbiamo chiudere i conti con la Storia. Faysal, amico mio, chiamami quelli di Hamas e chiamami Khalid. E ora lasciami solo.

    Prima di congedarsi, Faysal sussurra: Altezza… e Noora?

    Ci penseremo al momento opportuno.

    Sadi è un alto funzionario, capo dell’unità Yamas addetta al controllo perimetrale dello Stato di Israele. È un marito premuroso e un padre esemplare, ma nasconde un segreto, una pulsione sessuale incontrollabile. Nelle afose serate di Tel Aviv, al termine del turno di lavoro, invece di tornare subito a casa dalla famiglia, si approfitta di giovani emarginati per consumare del sesso veloce in automobile, nei pressi della stazione Lewinski.

    Un pomeriggio, uscendo dal lavoro, trova una busta posata sul parabrezza della sua auto. Contiene le foto che lo ritraggono mentre abusa di un ragazzino. Insieme c’è un foglietto con indicati l’ora e il luogo in cui si dovrà presentare l’indomani.

    È il giorno seguente. Sadi al rientro dall’appuntamento ripensa a quello che gli hanno comunicato: dovrà inserire una pen drive nel suo computer di lavoro, aspettare che il led diventi verde e subito dopo estrarla e nasconderla. Se non lo farà le foto dei suoi incontri clandestini finiranno nell’edizione serale di Channel 10.

    Non ha scelta: agisce come da istruzioni ricevute. Inserisce la pen drive: all’improvviso tutte le boe di segnalazione marittima si spengono e la spia di funzionamento dello scudo protettivo contro gli attacchi dal mare va in avaria.

    Sadi si rende conto del disastro che seguirà di lì a poco: lui ne è l’unico responsabile. È pietrificato. Sente bussare con insistenza.

    Mentre apre la porta, il soldato sente uno sparo risuonare all’interno della Centrale operativa. Sadi si è suicidato sparandosi un colpo alla testa.

    Tel Aviv è sotto attacco. La situazione è terribilmente critica.

    Arriva finalmente un messaggio non criptato da Youssef: inserirà la pennetta nel computer dell’Emiro. Le informazioni pervenute consentono di ripristinare le difese aeree e marittime di Israele.

    Green intercetta e uccide il costruttore Aamir prima che possa mettere in atto con i suoi complici l’azione dinamitarda.

    Tel Aviv è salva, Israele è salva.

    Il Generale Ronen e Faysal si scambiano una telefonata amichevole: è evidente il loro ruolo di doppiogiochisti, con l’unico scopo di ricavare dalla situazione politica dei vantaggi personali.

    A Doha Youssef raggiunge il padre: Ho sentito Rohani, Erdogan, Aoun e Hariri: è andato tutto storto, dobbiamo essere pronti ad una grossa ritorsione, è meglio se per un periodo rinforziamo le misure di sicurezza. Netanyahu e Trump ce la faranno pagare

    Hai ragione, Youssef, ci aspetta un momento difficile. - Poi a Faysal - Amico mio, tu sai quello che va fatto, io domattina parto per una visita ufficiale all’estero. Intanto pensa tu a quella cagna di Noora. Ma fallo quando io sarò fuori dal Paese

    Il suo volere è un ordine Emiro, provvederò io stesso.

    Youssef ha capito: suo padre vuole eliminare Noora. Non può permetterlo. Lei è la figlia di un Ministro degli Emirati, la sua uccisione comprometterebbe in modo definitivo le relazioni economiche tra tutte le nazioni. E adesso, dopo il fallimento dell’attacco a Israele, c’è assolutamente bisogno che tutte le componenti del mondo arabo siano dalla stessa parte.

    Ormai è l’alba, Youssef ha passato tutta la notte al computer per muovere denaro da una parte all’altra del mondo.

    Ha preparato una piccola valigia con tutto il necessario, entra nella stanza di Noora, immersa nel suo profumo. La ragazza dorme, è bellissima. Youssef le chiude la bocca con una mano per impedirle di gridare.

    Noora, sei in pericolo. L’Emiro vuole ucciderti. Ti porto fuori dal Paese in un luogo segreto dove abbiamo una protezione e dove troverai del denaro che ho appena versato in una banca. Là potrai prendere una nuova identità.

    Grazie Youssef, l’ho sempre saputo che sei una persona speciale.

    Gli bacia la mano.

    All’aeroporto Youssef e Noora sembrano una coppia come tante altre.

    Il ragazzo invia un messaggio a Yael: Spero di aver fatto la cosa giusta, ora devo allontanarmi per qualche tempo.

    Lei lo richiama subito. Come stai?

    Bene, Yael, come ti dicevo mi devo allontanare per un po’, ti richiamo appena posso, stai bene.

    Appena sistemata Noora, tornerà a Doha per convincere la Lega Araba a fare pressioni per far abdicare suo padre l’Emiro in suo favore.

    Montréal, Canada.

    Dammi la tua posizione squadra Alpha

    Squadra Alpha in posizione davanti al locale. Lei è dentro, sembra che stia scrivendo qualcosa. Questa volta siamo stati fortunati, che Allah sia benedetto, il cameriere appena l’ha vista ci ha avvisato subito, anche se ha cambiato pettinatura e colore dei capelli, lui l’ha riconosciuta. È Yael Cohen, agente dei servizi segreti israeliani. Pronti all’azione tra sessanta secondi a partire da adesso. Ci vediamo stasera al rifugio segreto sotto la Moschea. Che Allah ci protegga, che il mondo conosca l’ira di Al Qaida. Hamza bin Laden avrà una merce rara e preziosa da scambiare.

    È il giorno del compleanno di Zoe. Shani, la sua compagna, vorrebbe festeggiarla nel miglior modo possibile: ha preso un mazzo di fiori e ha prenotato, per la sera, un tavolo nel loro ristorante preferito.

    Mancano ancora gli auguri di Yael… Shani cerca di contattarla per ricordarle di inviare un messaggio alla sua fidanzata ma l’agente Cohen risponde con un freddo sms: al momento è molto impegnata, la richiamerà appena possibile.

    Shani si meraviglia per il tono distaccato ma soprattutto per l’assenza del codice di identificazione che gli agenti usano quando sono in missione. Comincia a temere che Yael sia in pericolo.

    Anche Shlomit è preoccupato e dopo aver sentito che Yael non ha inserito il codice, si convince sempre di più che c’è qualcosa che non quadra. Prova a triangolare il segnale del suo cellulare e ha la conferma che la ragazza si trova ancora in Canada, ma c’è un problema: il telefonino è fermo da più di tre giorni nella stessa collocazione.

    Yossi interviene: vuole essere informato sugli ultimi spostamenti di Yael. Dice a Ronen di chiamare il Segretario di Stato americano e di contattare l’ambasciata israeliana in Canada.

    Ronen riceve una telefonata di Youssef, non risponde e si mette il cellulare in tasca.

    Il suo imbarazzo non è sfuggito all’attenzione di Shani.

    Yael è legata mani e piedi a una sedia in un locale buio, forse una stalla.

    Per cercare di placare la sua ansia, ripensa al passato, alla sua casa, quando suo padre rientrava la sera la chiamava per la cena...

    Un’auto passa nelle vicinanze, illumina per pochi attimi l’ambiente, poi di nuovo il buio più completo.

    L’agente Cohen intravede la figura di un uomo che si avvicina. Nella sua fantasia lo confonde con suo fratello, ma Avner è morto, e quello è Amin, il suo aguzzino, là, in piedi con gli strumenti di tortura: prima o poi Yael si piegherà.

    L’uomo comincia con un dilatatore del bulbo oculare, Yael, per sconfiggere il dolore, torna con il pensiero ai primi giorni di Accademia con i suoi colleghi Shlomit, Aviv, Zoe e Shani. 

    Amin vuole che Yael riveli i nomi dei componenti della sua squadra, le loro competenze, le specificità oltre allo username e alla password di accesso al sistema centrale del Mossad.

    La mente di Yael vola verso le esercitazioni in cui simulavano nella gabbia, la sala degli interrogatori, i ruoli del prigioniero e del carceriere. Il cambio continuo dei ruoli, i metodi adottati per estorcere informazioni e la capacità di resistere al dolore fisico, contribuirono a creare tra i componenti della squadra un legame che sarebbe durato per tutta la vita.

    Inutilmente Yael cerca di stabilire un rapporto umano con il suo torturatore. Con ferocia Amin le risponde che lei e tutta la sua gente dovranno essere sterminati, come è scritto nel Corano.

    Youssef non riesce a non pensare a Yael: perché non s’è più fatta viva?

    Quando l’amico Hamid gli rivela che Al Qaeda ha rapito un’agente dei servizi segreti del Mossad, teme si tratti proprio di lei.

    Convocato con urgenza dal padre, lo trova a colloquio con Faysal. Il vecchio consigliere sostiene che in Occidente sta accadendo qualcosa di molto importante. Pare ci sia di mezzo Israele.

    L'Emiro ordina al figlio di fare in modo che l’agente che ha avuto un rapporto sessuale con sua moglie venga sgozzato senza pietà, quindi chiede a Faysal i particolari dell’uccisione di Noora. Imperturbabile Faysal risponde di averla uccisa nel sonno.

    Youssef è perplesso: perché il vecchio amico dell’Emiro, mente in maniera così spudorata?

    Sicuramente ha un suo piano….

    Serata serena. Zoe e Shani, sdraiate sul divano, stanno per fare l’amore.

    Arriva una chiamata di Yossi: sono convocate per una riunione segreta tra 15 minuti.

    Il direttore del Mossad rivela che un messaggio proveniente dal cellulare di Youssef afferma che l’agente Yael Cohen è stata rapita e che non si tratta di una sua operazione. Se è vero che è stata rapita e che il rapimento non è opera di Youssef, voglio sapere chi l’ha presa.

    I colleghi di Yael rimangono ammutoliti, sono sopraffatti da quanto hanno appena appreso.

    Zoe rompe il silenzio: il messaggio proveniva senza ombra di dubbio da Youssef. Resta da capire perché ha voluto dare loro l’informazione.

    Yossi comincia a impartire direttive: chiede ad Aviv di andare a Doha per tenere sotto controllo Youssef, a Zoe di stilare un resoconto delle attività più recenti di Yael per capire se ha commesso passi falsi e a Shani di fare da punto di riferimento tra la squadra e la Centrale operativa. La ragazza lo ringrazia, ma aggiunge che accetta l’incarico solo perché sa che è temporaneo: Il capo di questa squadra è Yael e appena tornerà sarà un piacere per me restituirle il comando.

    Yossi dice a Green che più tardi avrà una conference call con la Direzione della NSA per capire se lui possa essere più utile a Tel Aviv o in America. L’agente dichiara di avere dei contatti in Canada ed esclude che Yael possa aver fatto dei passi falsi. L’analisi politica dei rapporti tra i vari Stati del Medio Oriente porta ad escludere che Yael sia stata rapita da Hamas o dal Daesh.

    Ultimo incarico a Shlomit: deve sorvegliare la famiglia Cohen. È sicuramente in pericolo.

    Yossi e Tamir, suo collaboratore intimo della famiglia, danno a Hodaya la notizia del rapimento. Sicuramente Yael è viva, tornerà a casa sana e salva. È una promessa.

    Hodaya, impietrita, segue con lo sguardo fisso l’auto di Yossi che si allontana.

    Yael è pronta ad affrontare le dure prove che l’aspettano.

    Amin apre una valigetta: all’interno i giocattoli del figlio di sette anni ucciso da una pallottola vagante sparata da un soldato israeliano.

    Li porto sempre con me per ricordare, mi danno la forza per fare quello che devo fare, per terribile che possa essere.

    La spiegazione

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1