Il brigante e la mondina: Lomellina 1902
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L'omicida, una donna dalla folta chioma mora, riesce a fuggire al di là del torrente Agogna facendo perdere le sue tracce. Le indagini sono condotte dal brigadiere Angelo Pesenti, che allo stesso tempo dà la caccia al brigante monferrino Francesco De Michelis, detto il Biundén. Intanto, le campagne s'infiammano.
I sindacalisti della Federazione proletaria lomellina, capitanati da Piero Corti, affrontano i padroni. Le mondine, locali e forestiere, sono guidate dalla pasionaria Gina Provera.
Proprio mentre la stagione della monda del riso giunge al termine, il brigadiere risolverà il caso dell'omicidio del fittabile.
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Anteprima del libro
Il brigante e la mondina - Umberto De Agostino
Capitolo 1
«Milia, fammi un po’ d’aria con quel tuo gonnellone, che così brutti si trovano solo al mercato di Stradella. Altrimenti il padrone rischia di trovarsi una mondina in meno in squadra».
«Senti, Giuanìna, se io dovessi darti retta, il padrone potrebbe dire addio a quattro braccia, non solo a due. E trovi anche il coraggio di chiedermi di rinfrescarti, tu che sei vicina al finestrino!».
La Rosa e la Caterina, nel sedile accanto, controllavano con cura i bagagli nei quali avevano fatto solo in tempo a infilare pochi indumenti intimi e un lenzuolo, prima che sulla piazza del paese il caporale si mettesse a ingaggiare altre donne al loro posto. Non fare la monda in Lomellina avrebbe significato la credenza vuota per molti mesi, soprattutto se anche i mariti non avessero trovato un impiego stagionale.
La locomotiva sbuffante sarebbe entrata a passo d’uomo nella stazione di Ferrera Lomellina di lì a una manciata di minuti. Il cielo limpido e il sole della fine di maggio già alle prime luci dell’alba facevano presagire una giornata afosa, una di quelle nelle quali l’umidità sfianca anche i corpi più robusti e le zanzare non danno tregua ronzando e colpendo con scientifica caparbietà.
Ai finestrini erano affacciate decine di donne di ogni età reclutate nei paesi arroccati sulle colline dell’Oltrepò orientale. Per quaranta giorni avrebbero estirpato le erbacce infestanti nelle risaie di questo borgo di 2.200 anime della Lomellina meridionale.
«È l’unico paese che conosca a portare due nomi differenti» riprese il discorso la Giuanìna sbirciando verso il campanile in mattoni in pietra a vista. «L’altro anno mi hanno spiegato che sugli atti ufficiali del Regno si chiama Ferrera Erbognone, dal torrente che scende da Mortara, ma la Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, nelle tabelle degli arrivi e delle partenze, ha conservato il nome precedente, Ferrera Lomellina».
La Milia e la Giuanìna erano due delle cento mondariso destinate alla Confaloniera, grande cascinale lungo la provinciale per Lomello e a pochi metri dalle rotaie che collegavano Pavia ad Alessandria.
«E anche per questa stagione della monda andremo a vivere in quella cascina che da tre secoli ingrassa i Cicogna Mozzoni» aggiunse la Giuanìna. «Chiamali stupidi questi conti: abitano a Milano e concedono il fondo di 2.600 pertiche milanesi a imprenditori agricoli scelti per l’indiscutibile competenza e la più completa affidabilità. Così da avere sempre l’affitto garantito ogni anno».
In quella primavera del 1902 il fittabile era Pietro Gusmani. Aveva cinquantadue anni ed era l’esponente di una dinastia di agricoltori trasferitasi dal Vercellese, nelle cui vene scorreva il riso invece del sangue. Era di carattere autoritario, dai modi spicci e perentori, avvezzo al comando sia in casa sia in cascina. Nel 1890 era stato eletto sindaco di Ferrera a capo di una lista moderata, ma nel settembre del 1901 aveva dovuto cedere il bastone del comando all’avvocato Attilio Strada, rampollo della casata di nobiluomini che da più di mezzo secolo teneva in pugno il borgo.
«Ma com’è questo Gusmani, voi che lo conoscete già da qualche anno?» s’incuriosirono la Rosa e la Caterina.
«Guardate, sul lavoro è scrupoloso fino all’esasperazione» rispose la Milia. «Ogni anno, con l’arrivo della stagione primaverile, segue personalmente la concimazione, l’aratura e la semina dei fondi destinati a essere trasformati in camere di risaia, le quali sono da quasi quattro secoli il simbolo indiscusso della Lomellina».
La Lomellina: una rigogliosa mesopotamia stretta fra il Po, il Ticino e il Sesia. Una terra fatta d’acqua, eternamente in bilico fra l’emisfero lombardo e quello piemontese.
«Ma c’è una cosa che non mi quadra: perché scendiamo al casello di Confaloniera e non alla stazione del paese?» volle sapere la Caterina mentre si faceva aria con un ventaglio pieghevole decorato con motivi spagnoleggianti.
«Questa è bella!» ribatté la Giuanìna. «Senti che cosa s’inventa Gusmani ogni ultima settimana di maggio. Impartisce l’ordine di consegnare tre litri di latte fresco, munto nelle stalle della sua cascina, e due sacchi di farina bianca a Paolino Angeleri, il casellante che gestisce l’attraversamento sui binari fra le cascine Confaloniera e Bosatra. Noi oggi siamo salite sul treno nelle stazioni di Broni e di Pavia, ma questo zar delle risaie ne ha una personale. Tutto grazie a quel leccapiedi di Paolino, che ogni anno non rifiuta mai l’omaggio in natura dell’influente vicino di casa».
Quella mattina il fittabile si preparò di tutto punto indossando l’abito intero confezionato a Mortara e il Borsalino, entrambi di color bianco sporco. Dal portico del palàsi, la dimora signorile della cascina separata dall’aia da una fitta siepe di biancospini, ordinò al fedele fattore Giacomo di mettere il guinzaglio a Marte, il suo levriero preferito. Poi i due s’incamminarono verso il casello ferroviario.
«C’è da sperare vivamente che quest’anno il raccolto sia migliore: nell’ultima stagione agraria il Bertone ha avuto una resa troppo bassa» si lamentò il fittabile. «Semi che cadevano troppo facilmente, una volta giunti a maturazione: così mi sono deciso e quest’anno ho seminato il Lencino».
«Ma, siùr Pédar, il ciclo vegetativo di questa varietà è troppo lungo: arriva fino a centosettanta giorni».
«Non m’interessa un fico secco. Al mercato di Mortara questo semifino è quotato in modo soddisfacente e poi presenta una buona resa alla brillatura, fino al 75%» ribatté Gusmani. Nel frattempo, diede una rapida occhiata al prato che l’anno successivo, per via della rotazione delle colture contemplata nel contratto d’affitto, sarebbe stato trasformato in risaia.
La sua preoccupazione principale, però, era la squadra di risaiole, in maggior parte dai quindici ai venticinque anni d’età, assoldate in diversi paesi dell’Oltrepò Pavese: Broni, Canneto, Castana, Cigognola, Montecalvo Versiggia, Montù Beccaria, Mornico Losana, San Damiano al Colle e Stradella.
«Giacomo, parlando di donne, ti sei assicurato che le maltone¹ di quest’anno sappiano estirpare il pabi² come si deve e non siano solamente capaci di intonare quel maledetto canto, Il ventiquattro di maggio a Ferrera, che mi fa andare il mangiare di traverso?».
«Non vi preoccupate. Ho chiesto al caporale di reclutare ragazze senza grilli per la testa, soprattutto per evitare di dover gestire altri scioperi come quelli che ci hanno rovinato la stagione passata».
«Lo puoi dir forte. Io devo far tornare i conti o il prossimo San Martino faccio fagotto. Per fortuna, il canone d’affitto è rimasto invariato e per questa stagione pagherò ancora 129,17 lire. Gli scioperi, però, hanno quasi raddoppiato il salario in contanti dovuto ai miei süggit³. Pensa che siamo passati da 72 a 125 lire. E senza contare le scorte in natura: trenta quintali di legna verde, 1,92 di frumento, 1,76 di granoturco, 1,14 di riso di dispensa e 0,84 di segale».
Ormai mancavano pochi metri al casello ferroviario. Il treno, entrato con qualche minuto di ritardo alla stazione di Ferrera Lomellina, stava rallentando per fermarsi alla Confaloniera. Gusmani estrasse l’orologio dal taschino: segnava le 11.43. Al termine del lancinante stridore di freni, dai finestrini abbassati si percepì distintamente il canto «Mamma mia, che treno lungo / Tutto pieno di rose bianche / Siam mondine tutte quante», abbinato per tradizione al momento dell’arrivo sul posto di lavoro.
Il fittabile, impettito accanto al casellante e al fattore, si asciugò la fronte. Poi tolse il toscanello di bocca per accennare una smorfia di insofferenza.
Lo sciame di mondariso vocianti invase la Confaloniera passando sotto l’arco di fianco alla casa padronale. La tenuta si trovava sulla parte più elevata, e quindi più asciutta, del fondo: a meridione fronteggiava, divisa solo da due camere di risaia, la linea ferroviaria e a settentrione era rivolta verso la rettilinea provinciale che da Ferrera portava allo svincolo per Lomello e per Ottobiano. Fino ai primi dell’Ottocento la strada lambiva il palàsi, ma il Bonaparte nato in Corsica aveva ordinato ai