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Scampoli e strasse. Storie de sti ani
Scampoli e strasse. Storie de sti ani
Scampoli e strasse. Storie de sti ani
E-book209 pagine2 ore

Scampoli e strasse. Storie de sti ani

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Info su questo ebook

Retrospettiva su Brendola, paese del Vicentino, negli anni 1930-1945, basata sui ricordi personali: l'autore ha 90 anni. La storia minima di un paese del Veneto ai tempi dei filò riporta alla memoria la vita di allora, tra i lavori dei campi e l'ombra del campanile. Protagonista è la grande famiglia degli affittuari dell'azienda agricola di villa Anguissola, storica villa padronale decaduta ad abitazione di contadini, la cui vita operosa e frugale è rievocata negli aspetti pratici e quotidiani. Di racconto in racconto emerge la mappa del paese: i vecchi nomi delle vie e dei poderi; i tanti corsi d'acqua oggi interrati; i mulini, le osterie e le botteghe, con la loro ubicazione; i mestieri che non ci sono più. E la cronologia dello sviluppo: l'arrivo dell'acqua corrente nelle case, gli orari delle corriere, il primo ufficio della Cassa Rurale, le trasformazioni agricole. Una storia abbastanza vicina nel tempo da essere nota nelle sue linee essenziali, non così vicina da essere conosciuta da tutti, a rischio di essere dimenticata.
LinguaItaliano
Data di uscita15 mar 2016
ISBN9788893328272
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    Anteprima del libro

    Scampoli e strasse. Storie de sti ani - Armando Magnabosco

    Indice

    Prefazione

    Introduzione

    I luoghi dei nostri avi

    Sti ani antichi

    In casa e in corte

    Come eravamo (1920-1936)

    I lavori nei campi (anni fino al 1935)

    I letti con il pajòn (fino al 1935-1936)

    Artigianato casalingo, ovvero chi fa da sé fa per tre (dagli anni ’20 fino al 1935)

    La pasta fatta in casa (anni 1920–1950)

    Le frìtole (anni 1928-1935)

    Orzo e caffè. (anni 1925-1945)

    Lo scopetòn (anni 1938-1941)

    Fuasse di suentri (anni 1935-1939)

    Dalla terra alla tavola (dagli anni ‘20 fino al 1936)

    Il maiale (anni 1929-1935)

    I cavalieri (anni ‘20–1944)

    Ognuno ha la sua compagnia (anni ‘20–1945)

    Igiene personale (anni ’20–1938)

    La lìssia, la bròa e il broòto (anni 1925-1935)

    La graspa (anni 1924-1945)

    La Prima Comunione (anni 1930-1934)

    La giornata delle donne (anni 1920-1936)

    In paese

    La Césa Nova (tempi incerti)

    Artigiani e piccoli commercianti (anni ’20-1944)

    La canapa (fine Ottocento-1935)

    I strassari e altri ambulanti (anni 1930-1937)

    Piero Toj e le scarpe (anno 1937)

    Persone in vista (anni 1928-1950)

    Società di mutuo soccorso e casse mutualistiche (anni 1920–1945)

    La processione del Corpus Domini (anni 1930-1932)

    Mezzi di trasporto (anni 1938-1941)

    Rubare la frutta (1945-1946)

    Santa Bertilla (anni 1926–1950)

    Il dialetto (1930-1955)

    Il teatro (anni 1946-1947)

    Per non smentirsi (inverno 1942-1943)

    Macchine agricole (1934-1947)

    Nomi e soprannomi

    Tradizioni, usanze e credenze

    Il filo’ (anni 1926-1936)

    La Stella (anni 1928–1935)

    La Stria (anni 1928-1934)

    Bàti marzo (1930-1935)

    Anguàne e salbanéi (dai tempi remoti sino al 1934)

    I Sequéri (anni 1938-1940)

    Indice dei nomi

    Ringraziamenti

    Note

    Ar­man­do Ma­gna­bo­sco

    Scam­po­li e stras­se

    sto­rie de sti ani

    Bren­do­la, gen­na­io 2016

    You­can­print

    Ti­to­lo | Scam­po­li e stras­se. Sto­rie de sti ani

    Au­to­re | Ar­man­do Ma­gna­bo­sco

    In pri­ma di co­per­ti­na I mo­ra­ri, fo­to­gra­fia di Lau­ra Sto­ra­to, per gen­ti­le con­ces­sio­ne

    In quar­ta di co­per­ti­na fo­to­gra­fia di Lo­ret­ta Ma­gna­bo­sco

    As­si­sten­za tec­ni­ca di An­drea Ma­gna­bo­sco

    Edi­ting di Sil­va­na Ma­gna­bo­sco

    ISBN | 978-88-93328-27-2

    Pri­ma edi­zio­ne di­gi­ta­le: 2020

    © Tut­ti i di­rit­ti ri­ser­va­ti all'Au­to­re.

    Que­sta ope­ra è pub­bli­ca­ta di­ret­ta­men­te dall'au­to­re tra­mi­te la piat­ta­for­ma di sel­fpu­bli­shing You­can­print e l'au­to­re de­tie­ne ogni di­rit­to del­la stes­sa in ma­nie­ra esclu­si­va. Nes­su­na par­te di que­sto li­bro può es­se­re per­tan­to ri­pro­dot­ta sen­za il pre­ven­ti­vo as­sen­so dell'au­to­re.

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    Al­le mie ca­ris­si­me ni­po­ti

    Eleo­no­ra, Eva e Cla­ra

    Prefazione

    Du­ran­te le mie pas­seg­gia­te mat­tu­ti­ne, nei lun­ghi po­me­rig­gi te­dio­si, la mia men­te spes­so va­ga in un pas­sa­to lon­ta­no e riaf­fio­ra­no i ri­cor­di. A vol­te so­no im­ma­gi­ni net­te e pre­ci­se, al­tre vol­te han­no con­tor­ni più slab­bra­ti e con­fu­si, ma co­mun­que per me so­no sem­pre ca­ri­che di si­gni­fi­ca­to.

    E i miei fi­gli mi chie­do­no di scri­ver­li, que­sti ri­cor­di. Mai avrei pen­sa­to di tro­var­mi al­la mia età a svol­ge­re il fi­lo del­la me­mo­ria per tes­se­re tra­me di pa­ro­le.

    E’ sta­to co­me ri­tro­var­mi da­van­ti al mio lun­go ta­vo­lo da la­vo­ro so­vrac­ca­ri­co di bel­le pez­ze, di tes­su­ti fi­nis­si­mi, ma an­che di scam­po­li e stras­se che non sa­pe­vo be­ne co­me rior­di­na­re.

    E per non but­ta­re via nien­te è na­to que­sto ter­zo li­bro, che ho scrit­to sem­pre con il mio com­pu­ter, do­ve ho rac­col­to scam­po­li di vi­ta di pae­se fil­tra­ti dal­la len­te del­la mia espe­rien­za per­so­na­le.

    Bren­do­la, gen­na­io 2016

    Introduzione

    I luoghi dei nostri avi

    Pri­ma di ini­zia­re a met­te­re ne­ro su bian­co una se­rie di epi­so­di che va­ga­no nel­la mia me­mo­ria, vor­rei spen­de­re qual­che pa­ro­la in ge­ne­ra­le sui tem­pi an­da­ti, al­tri­men­ti le mie pic­co­le sto­rie re­sta­no sen­za uno sfon­do do­ve col­lo­car­si.

    A gran­di li­nee il ter­ri­to­rio di Bren­do­la si di­vi­de in due par­ti.

    Una par­te è col­li­na­re, con­si­sten­te in ter­re­ni vul­ca­ni­ci im­pie­ga­ti per col­tu­re mol­to va­rie al­me­no si­no ai quat­tro­cen­to me­tri di al­ti­tu­di­ne.

    In que­sta zo­na è tra­di­zio­na­le il si­ste­ma di trat­te­ne­re il ter­re­no con dei mu­ret­ti a sec­co, for­man­do co­sì de­gli am­pi ter­raz­za­men­ti per le col­tu­re.

    So­pra la col­li­na il bo­sco, mol­to gran­de, con­fi­na sia con il co­mu­ne di Ar­cu­gna­no sia con Al­ta­vil­la.

    L’al­tra par­te del ter­ri­to­rio di Bren­do­la, quel­la ai pie­di del­le col­li­ne, si apre co­me un gran­de spa­zio pia­neg­gian­te, un tem­po sol­ca­to da mol­te­pli­ci cor­si d’ac­qua che scen­den­do dai col­li con­flui­va­no nei mol­ti fos­sa­ti del­la zo­na, con ac­qua per­ma­nen­te tut­to l’an­no, per poi unir­si nel Fiu­mi­cel­lo. Ogni fos­so, ogni ri­vo, ogni ca­na­le ave­va il pro­prio no­me, co­sì co­me gli ap­pez­za­men­ti agri­co­li o le pic­co­le lo­ca­li­tà ave­va­no tut­ti una pre­ci­sa de­no­mi­na­zio­ne.¹

    Nel­la zo­na di pia­nu­ra il ter­re­no era sud­di­vi­so in tan­ti ap­pez­za­men­ti pa­ral­le­li ai va­ri fos­sa­ti.

    Nel cor­so del­le ara­tu­re si ave­va cu­ra di te­ne­re co­stan­te­men­te il col­mo del ter­re­no mol­to al­to, al­me­no più di un me­tro, de­gra­dan­do man ma­no ver­so gli sco­li in mo­do che l’ac­qua po­tes­se flui­re age­vol­men­te nei va­ri fos­si; tut­te que­ste ope­re era­no fat­te a ma­no usan­do le car­rio­le per spo­sta­re la ter­ra.

    Se l’ap­pez­za­men­to era am­pio, ogni due­cen­to me­tri i con­ta­di­ni for­ma­va­no un al­tro pic­co­lo sco­lo che por­ta­va le ac­que nei fos­sa­ti prin­ci­pa­li, e già do­po ogni ara­tu­ra e pri­ma di ogni se­mi­na ri­si­ste­ma­va­no il ter­re­no per evi­ta­re il ri­sta­gno del­le ac­que.

    Que­sta zo­na pia­neg­gian­te era un tem­po mol­to, mol­to ric­ca d’ac­qua: vi era­no sor­gen­ti e ri­sor­gi­ve un po’ ovun­que, che, se non in­di­riz­za­te con con­ti­nui la­vo­ri di ma­nu­ten­zio­ne, avreb­be­ro al­la­ga­to tut­to.

    Quin­di il pae­se ave­va al­lo­ra una ric­chez­za d’ac­qua che og­gi non è im­ma­gi­na­bi­le: con i suoi fos­si, ca­na­li, sca­ràn­ti e sca­ran­té­li era il pae­se più ric­co d’ac­qua dell’in­te­ra pro­vin­cia e i pe­sci d’ac­qua dol­ce com­pa­ri­va­no ab­ba­stan­za re­go­lar­men­te sul­la ta­vo­la dei con­ta­di­ni: mia non­na Te­re­sa era un’abi­le pe­sca­tri­ce e spes­so ri­me­dia­va dai fos­si e dai ca­na­li qual­co­sa da met­te­re in ta­vo­la. Pe­sca­va tin­che e al­tri pe­sci d’ac­qua dol­ce, an­che di mez­zo chi­lo.²

    Og­gi l’ac­qua è sta­ta ar­gi­na­ta, in­ca­na­la­ta, pro­sciu­ga­ta, tom­bi­na­ta, e il pae­sag­gio di Bren­do­la ha as­sun­to una fi­sio­no­mia com­ple­ta­men­te di­ver­sa.

    Quel­lo che sal­ta agli oc­chi con­fron­tan­do le im­ma­gi­ni del­la me­mo­ria con l’as­set­to at­tua­le del ter­ri­to­rio non è so­lo l’ab­bon­dan­za di edi­fi­ci e di ca­pan­no­ni che han­no so­sti­tui­to i cam­pi di gra­no e di sor­go, le vi­gne e i mo­rà­ri,³ non so­no le tan­te stra­de asfal­ta­te al po­sto dei viot­to­li, dei tro­di e del­le ca­ve­sà­gne, ma pro­prio l’ac­qua che pri­ma c’era e og­gi non c’è più.

    Da quel che ri­cor­do, al­me­no nel­la par­te del pae­se a me più fa­mi­lia­re, in que­sta zo­na di pia­nu­ra ave­va­no ori­gi­ne i due cor­si d’ac­qua più im­por­tan­ti.

    Il Fiu­mi­cel­lo, det­to el Si­me, che og­gi co­me tut­ti gli al­tri fos­sa­ti non esi­ste più, ave­va la sua pri­ma sor­gen­te al di là del­la stra­da per Lo­ni­go – là si chia­ma­va Si­gnò­lo - e scor­re­va ver­so Bren­do­la pas­san­do sot­to la stra­da; c’è tut­to­ra un pon­te in quel pun­to. Già do­po una de­ci­na di me­tri dal pon­te c’era­no al­tre sor­gen­ti di no­te­vo­le por­ta­ta, che pro­gres­si­va­men­te au­men­ta­va­no il flus­so e ali­men­ta­va­no il cor­so d’ac­qua fi­no al­lo sbar­ra­men­to del mu­li­no di Cam­pa­gna­ro, in lo­ca­li­tà Mo­li­net­to: una par­te ali­men­ta­va il mu­li­no, la par­te ec­ce­den­te pas­sa­va so­pra lo sbar­ra­men­to.

    L’al­tra sor­gen­te, che ini­zia­va cen­to­cin­quan­ta me­tri cir­ca al di qua del­la pro­vin­cia­le per Lo­ni­go, al­la si­ni­stra del Si­me e quin­di più pros­si­ma al­la via Be­ne­det­to Cro­ce, da­va ori­gi­ne al Bar­ta­glian (Bar­ta­ian), che an­co­ra og­gi si può ve­de­re scor­re­re a cir­ca due­cen­to me­tri dal­la pre­det­ta via Be­ne­det­to Cro­ce, ma ora non è al­tro che un ca­na­le di sco­lo.

    Era­no due cor­si d’ac­qua se­pa­ra­ti che scor­re­va­no qua­si pa­ral­le­li tra lo­ro, a una di­stan­za di una tren­ti­na di me­tri l’uno dall’al­tro. Al­lo­ra era­no lar­ghi sei/set­te me­tri cia­scu­no, e si riu­ni­va­no tre­cen­to me­tri do­po il mu­li­no in un so­lo ra­mo det­to Fiu­mi­cel­lo: lì ter­mi­na­va il Bar­ta­ian.

    La lo­ro sor­gen­te prin­ci­pa­le non era af­fat­to un sem­pli­ce zam­pil­lo, ma co­me una fon­ta­na di sei set­te me­tri di dia­me­tro, e in pra­ti­ca nel­la zo­na c’era­no ri­sor­gi­ve un po’ do­vun­que.

    Que­sto so­lo per quan­to ri­guar­da la par­te a me più no­ta del ter­ri­to­rio, che era la zo­na do­ve i miei col­ti­va­va­no i cam­pi.

    In un'al­tra zo­na, os­sia do­po il ci­mi­te­ro, esi­ste­va un la­go pe­ren­ne det­to Pa­lù, bo­ni­fi­ca­to cre­do nel pe­rio­do tra le due gran­di guer­re;⁴ nel cor­so dei la­vo­ri sca­va­ro­no il fiu­me si­no a do­po Me­le­do-Sa­re­go con­sen­ten­do co­sì il de­flus­so del­le ac­que, e in­ter­ca­la­ro­no i va­ri ap­pez­za­men­ti con fos­sa­ti lar­ghi due-tre me­tri: è ri­ma­sta una pic­co­la de­pres­sio­ne chia­ma­ta La­ghet­to.

    In que­sto con­te­sto idrau­li­co già de­gno di at­ten­zio­ne la si­tua­zio­ne po­te­va pre­ci­pi­ta­re a se­gui­to di even­ti par­ti­co­la­ri. De­vo ri­cor­da­re a que­sto pro­po­si­to le pe­rio­di­che inon­da­zio­ni do­vu­te al­la rot­tu­ra dell’ar­gi­ne Agno-Guà; io mi ri­cor­do che nell’im­me­dia­to do­po guer­ra un even­to di que­sto ti­po fe­ce al­la­ga­re la pia­nu­ra si­no al­la ca­sa na­ta­le di San­ta Ber­til­la.

    Co­sì si spie­ga co­me mai le abi­ta­zio­ni sin dai se­co­li scor­si ve­ni­va­no co­strui­te nel­la qua­si to­ta­li­tà sul­le col­li­ne, e con ra­re ec­ce­zio­ni in al­tri luo­ghi co­mun­que in ge­ne­re leg­ger­men­te so­prae­le­va­ti.

    De­du­co che que­sto ter­re­no pia­neg­gian­te sia il ri­sul­ta­to di se­co­li di la­vo­ro e che la col­ti­va­zio­ne di que­sti ter­re­ni sia sta­ta per va­rio tem­po pe­san­te­men­te con­di­zio­na­ta dal­le con­di­zio­ni cli­ma­ti­che.

    Ol­tre al mu­li­no che ho ri­cor­da­to, a Bren­do­la al­lo­ra era­no pre­sen­ti al­tri due mu­li­ni ad ac­qua: il mu­li­no del Vo’, ali­men­ta­to dal Fiu­mi­cel­lo, e il mu­li­no di Val del so­le, nel­la fra­zio­ne Ca­no­ve-Ron­dò­le, ali­men­ta­to da un al­tro fiu­me il cui no­me non mi è no­to.

    Il fos­sa­to che fian­cheg­gia­va la via Be­ne­det­to Cro­ce per buo­na par­te del­la sua lun­ghez­za, e pre­ci­sa­men­te dall’Or­na fi­no ai Pon­te­sei, era il luo­go do­ve le don­ne di Go­ia an­da­va­no a la­va­re i pan­ni: era sta­to sca­va­to uno spiaz­zo ap­po­si­to, e la gros­sa pie­tra che an­co­ra esi­ste al bor­do del­la stra­da a que­sto in­cro­cio ne è la te­sti­mo­nian­za.

    Lo stes­so fos­sa­to de­via poi ver­so il Mo­li­net­to per con­flui­re in­fi­ne nel Bar­ta­ian.

    Lun­go la via San­ta Ber­til­la, da en­tram­bi i la­ti, scor­re­va­no ac­que in al­tri am­pi fos­sa­ti.

    Quel­lo di si­ni­stra dan­do le spal­le al Mo­li­net­to era ali­men­ta­to dap­pri­ma dal­le so­le ac­que tor­ren­ti­zie che scen­de­va­no dal Poz­zet­to - pom­pa co­mu­na­le in lo­ca­li­tà Mu­ra­ro­ni – e poi dal­le ac­que pio­va­ne si­no a cen­to­cin­quan­ta me­tri do­po la ca­sa di S. Ber­til­la; di lì in avan­ti, all’in­ter­no del fos­sa­to sgor­ga­va­no del­le pic­co­le sor­gen­ti, quin­di il fos­so ave­va ac­que per­ma­nen­ti.

    La sua por­ta­ta si in­gros­sa­va no­te­vol­men­te con l’in­ne­sto del­la Fos­so­na, cor­so d’ac­qua che an­co­ra si può no­ta­re die­tro la ca­sa di Mar­chet­to; il fos­sa­to si uni­va all’in­cro­cio dei Pon­te­sei con quel­lo che an­da­va al Bar­ta­ian, quin­di sem­pre con ac­qua pe­ren­ne.

    Era­no cor­si d’ac­qua lim­pi­da, mol­to ric­chi di gam­be­ret­ti e di spi­no­se, che noi ra­gaz­zi­ni an­da­va­mo a pe­sca­re usan­do il cri­ve­lo, il se­tac­cio del gra­no. In­ve­ce nel Bar­ta­ian si pe­sca­va pe­sce più gros­so, co­me i mar­so­ni che si pren­de­va­no in mo­do ru­di­men­ta­le sol­le­van­do len­ta­men­te le pie­tre: i mar­so­ni era­no lì, fer­mi, e noi, se era­va­mo for­tu­na­ti, riu­sci­va­mo a in­fil­zar­li con una for­chet­ta.

    In tut­ti que­sti cor­si d’ac­qua era­no pre­sen­ti le ra­ne, che si cat­tu­ra­va­no fa­cil­men­te an­che nei ter­re­ni vi­ci­no ai fos­si, ed era­no mol­to nu­me­ro­se al Pa­lù, do­ve in tan­ti si re­ca­va­no a pren­der­le con l’amo.

    Sti ani antichi

    1. Fi­ne Ot­to­cen­to-pri­mi No­ve­cen­to.

    Tra la fi­ne dell’Ot­to­cen­to e i pri­mi an­ni del No­ve­cen­to Bren­do­la era un pae­se che vi­ve­va esclu­si­va­men­te del­la pro­pria agri­col­tu­ra: que­sto con­sen­tì al pae­se di man­te­ne­re le pro­prie ca­rat­te­ri­sti­che, con­ser­van­do le mo­da­li­tà di vi­ta e di cul­tu­ra del vec­chio mon­do ru­ra­le.

    Non man­ca­no al­tri aspet­ti: pur es­sen­do di di­men­sio­ni ri­dot­te e no­no­stan­te non aves­se un gran nu­me­ro di abi­tan­ti, Bren­do­la co­nob­be una cer­ta no­to­rie­tà ne­gli an­ni in cui il con­te Fe­li­ce Pio­ve­ne, che di Bren­do­la fu an­che Sin­da­co, pro­prio qui fis­sò la sua re­si­den­za e die­de al pae­se un vi­go­ro­so im­pul­so an­che di ca­rat­te­re cul­tu­ra­le: a quei tem­pi a Bren­do­la era at­ti­va una com­pa­gnia tea­tra­le di tut­to ri­spet­to ed an­che una ban­da mu­si­ca­le di un cer­to li­vel­lo, tan­to che i suoi con­cer­ti ve­ni­va­no ri­chie­sti in cen­tri mol­to im­por­tan­ti, e ar­ri­vò più di una vol­ta a esi­bir­si si­no a Ro­ma.

    Ma, in ge­ne­ra­le, lo svi­lup­po era li­mi­ta­to, l’eco­no­mia era an­co­ra­ta al­la ter­ra e l’in­no­va­zio­ne agri­co­la era osta­co­la­ta dal­la pre­sen­za di mol­te pic­co­le pro­prie­tà, fon­di ri­pe­tu­ta­men­te fra­zio­na­ti nel tem­po in re­la­zio­ne al­le vi­cen­de del­le fa­mi­glie pro­prie­ta­rie, e quin­di con ter­re­ni di di­men­sio­ni pic­co­le o me­die; in pae­se man­ca­va­no quin­di sia la pro­prie­tà ter­rie­ra di una cer­ta di­men­sio­ne, sia il ca­pi­ta­le ne­ces­sa­rio a fi­nan­zia­re le tra­sfor­ma­zio­ni.

    An­che le ca­rat­te­ri­sti­che del ter­ri­to­rio pe­sa­ro­no nell’osta­co­la­re i mu­ta­men­ti: gran par­te del ter­ri­to­rio di pia­nu­ra era sog­get­to a pe­rio­di­che inon­da­zio­ni, fat­to­re di per sé che sco­rag­gia­va gli in­ve­sti­men­ti.

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