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Il destino dell'Ariete
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Il destino dell'Ariete
E-book407 pagine5 ore

Il destino dell'Ariete

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Info su questo ebook

Gli "Uomini d'acciaio" non sono più i padroni delle Alpi e il giovane Samuele è in un vicolo cieco. Sua madre è in piena depressione e tutti i tentativi di curarla continuano a naufragare miseramente. L'incontro con Marta però, cambia le cose; lo costringe a guardarsi intorno e ad accorgersi che c'è qualcosa che non va. Tra la Torino del prossimo futuro, la cittadina di Glorenza, le cascate di Molina e il forte dello Chaberton il complotto pian piano verrà a galla e Samuele si troverà a giocare una partita che rivoluzionerà completamente la sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita21 gen 2018
ISBN9788827555934
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    Anteprima del libro

    Il destino dell'Ariete - Giorgio Truccone

    Il Destino dell'Ariete

    di

    Giorgio Truccone

    Capitolo 1

    1

    La cappa di fumo è così densa che gli occhi bruciano ormai da diverse ore.

    Samuele ha alberghi in Largo Impero e Corso Giulio Cesare ma, senza le Stazioni e la Compagnia Elettrica, il suo angolo d'oro non è poi così redditizio come sperava. Si era svenato per edificare ma gli incassi per adesso sono troppo esigui per sperare di insidiare Carlo e la sua pila di banconote.

    Né Gabriele con le sue quattro case su Viale dei Giardini e sul mitico Parco della Vittoria, né Davide col suo angolo Rosso e Marrone hanno grosse speranze.

    La partita sarà ancora lunga.

    Gabriele e Davide sono appassionati oltre che collezionisti di vecchi giochi da tavolo e la Monopolata ad oltranza aveva avuto la meglio su una vecchia e consumata versione di Risiko. Il freddo e la neve impedivano ogni altra velleità ma non avevano tenuto conto delle sigarette e della stufa.

    Con buona pace di Davide che è l’unico che non fuma.

    Le lancette arrugginite della vecchissima sveglia che troneggia al centro della credenza, non si muovono da chissà quanti anni ormai, e l'ultimo ultrafonico si è scaricato una decina di minuti fa.

    L’euforia di pubblicare su Socialize le varie foto dei muri anneriti, piuttosto che della stufa o del vecchio lavello incrostato, hanno piegato la resistenza anche dell’ultimo acquisto di Gabriele. Gli ultimi bit della batteria sono serviti a fotografare lo stallo della partita prima di andare a far compagnia agli altri.

    Tutti e quattro gli ultrafonici ora sono spenti e se non ci fosse stata la provvidenziale e unica presa multipla nella sala della stufa, il gruppo sarebbe piombato nel panico più completo.

    Quando Gabriele aveva tirato fuori dalla borsa quelle vecchie prese ingombranti e voluminose, l'avevano preso tutti in giro ma adesso, dopo neanche mezza giornata di novità, gli ultra-capacitori al silicio così tanto decantati dal web, sono attaccati all’unica presa bianca vicino alla grossa panca di legno scuro, come tanti cuccioli attaccati alla mammella.

    Moderno latte tecnologico.

    L’unico indizio del trascorrere del tempo quindi è dato dal livello di riempimento dei due posacenere e dalla sempre più crescente facilità di sollevamento del pintone di frizzantino pazientemente in attesa ai piedi del tavolo.

    La Tassa Matrimoniale su cui Davide è finito per l’ennesima volta richiede una bevuta consolatrice e non si fa più alcuna fatica a sollevarlo dal pavimento di cotto ormai annerito dal tempo. Un altro suo compagno di due litri sta pazientemente in attesa lì, vicino al muro, e almeno cinque pacchetti vuoti di ProChips giacciono inermi su una vecchia sedia di paglia.

    Saranno passate le due.

    L’idea della vacanza era stata dei suoi amici, per distogliere Samuele dai suoi impegni quotidiani e farlo svagare un po’, anche se l'idea di lasciare la sua mamma da sola in quelle condizioni non lo entusiasmava poi così tanto.

    I suoi amici invece non vedevano l'ora.

    Non erano mai andati in vacanza da soli e l'idea di questa sorta di gita avventurosa aveva mandato in fibrillazione l'intero gruppo.

    Il vecchio casolare di montagna dove avevano vissuto i nonni di Gabriele era il primo posto in cui sarebbero stati completamente soli.

    La valle Po, in questo piccolo angolo di montagna, è ancora piuttosto nervosa e grezza; la pianura è molto lontana e il Gigante di pietra è ancora troppo vicino per non sentirne la presenza ingombrante. Le sorgenti del fiume più lungo d’Italia sono nascoste all’interno della sua enorme massa rocciosa e le paffute nuvole che per buona parte dell’anno ne nascondono la cima, provvedono di continuo a mantenerle prospere.

    I nonni di Gabriele si erano arrampicati fin sotto le ampie braccia del Monviso per costruire la loro dimora e dare un tetto di pietra alle molte bestie che gli davano di che vivere, ma sono parecchi anni che i loro discendenti non frequentano più questa porzione di valle.

    Troppo invitante il richiamo della città.

    La strada sterrata è carrozzabile dalla primavera inoltrata e d'inverno ci si arriva solo a piedi o con le ciaspole se ha nevicato parecchio. L'auto bisogna lasciarla un chilometro più a valle, vicino alla cascina dei Roastri e salire con gli zaini in spalla, impresa tutt'altro che semplice per quattro ragazzotti di città alla loro prima uscita senza genitori.

    Il casolare è ancora in buone condizioni anche se, a parte qualche piccola riparazione improvvisata, il suo interno è ancora nelle stesse condizioni di cinquant’anni prima.

    Un timido tentativo di ristrutturare l’esterno dell’edificio è stato avviato una decina d’anni or sono ma i soldi e la buona volontà sono finiti presto. Qua e là per tutto il cortile si possono ancora notare diverse tracce dell’abbandono di quel timido cantiere. La scala esterna è di cemento grezzo e mancano ringhiera e corrimano; un fascio di tondini di ferro ormai arrugginiti affiora minaccioso dalla neve ai lati di un piccolo rialzo divisorio e la sagoma di una betoniera arrugginita spunta dal deposito della legna.

    La temperatura esterna era molto al di sotto dello zero al loro arrivo e l’impatto con quell’ambiente freddo e stantio aveva inizialmente fatto storcere il naso a quel maniaco della pulizia che è Samuele. L’interno, con quel profumo di vecchio, il mobilio molto datato e i muri anneriti, era molto diverso dalla sua casa calda, profumata e luminosa di Rosta e la voglia di tornarsene nel suo piccolo mondo ovattato gli era rimasta per le prime ore. Poi però gli erano tornati alla mente il buio e l'aria viziata della sua nuova dimora di Torino e il bisogno di urlare era diventato quasi vitale.

    Una volta accesa la stufa, comunque, il piccolo ambiente si era riscaldato subito e il calore lo aveva ben presto riportato a più miti propositi.

    Aveva davvero bisogno di cambiare aria e godere un po’ della rassicurante compagnia dei suoi cari amici d'infanzia.

    Erano parecchi giorni che Samuele stava facendo i conti con un sentimento molto vicino allo sconforto.

    La voragine che si era creata per la morte del padre era già abbastanza grande così da sola ma ad essa, si era aggiunto il nuovo peggioramento di sua mamma e la spasmodica ricerca di qualsiasi cosa che potesse riempire quel vuoto lo stava facendo diventare matto. Il suo carattere ribelle e bisognoso di sfide aveva sempre trovato in suo padre una rassicurante valvola di sfogo, il fantoccio naturale e a portata di mano su cui riversare i suoi pugni di Ariete. L’unica maniera sana e positiva che la sua energia aveva di sprigionarsi.

    Senza quei battibecchi e quelle guerre, ora però si sentiva perso.

    Sua madre purtroppo non lo aveva mai aiutato in questo, anzi.

    Samuele stava scoprendo a sue spese quanto fosse importante avere una persona da contrastare, una battaglia da combattere, un obiettivo da raggiungere.

    Adesso che sua mamma stava ricadendo nell'oblio, si sentiva come un pugile solitario in un ring. L’altra notte aveva sognato di correre su un terreno che diventava sempre più molle e instabile; le scarpe rimanevano impigliate in quella che sembrava un’enorme caramella e ogni passo diventava sempre più faticoso.

    A un certo punto poi si era trovato a scuola ma i banchi erano rivolti al contrario e la maestra era una signora vecchissima che continuava a gridargli nell’orecchio con un suono fastidioso.

    Era la sveglia.

    Sette!!

    Il piccolo candelabro di Samuele si posa gongolante su Largo Impero.

    Metto un altro albergo.

    Eh già, l’altra volta volevo farlo io e mi avete detto che non si poteva.

    Ora sul ring c’è Davide.

    Ariete contro Scorpione.

    Il libretto d'istruzioni del Monopoli è troppo lungo per seguirlo alla lettera e ad inizio partita si era convenuto di affrontare ogni dilemma man mano che si fosse presentato.

    Un albergo dove c’è già un altro albergo si può o non si può mettere?

    La questione è spinosa ma ormai è troppo tardi per una paziente ricerca; consultare il manuale con gli occhi brucianti e i fumi dell’alcool che accendono gli animi, è praticamente impossibile: la soluzione è lasciata alla legge del più forte.

    Al ring.

    L’altra volta, infatti, non aveva vinto poi nessuno!

    E va beh, ma almeno una volta non possiamo provare a vedere come si fa ad arrivare alla fine? Sono due ore che giriamo in tondo.

    ...e guarda caso sei tu quello che è messo meglio.

    Il pintone di frizzantino esala il suo ultimo respiro e Samuele nervosamente si accende l’ennesima sigaretta.

    Ma che c’entra!!

    C’entra, c’entra, non è che dobbiamo stare sempre ai tuoi comodi.

    Davide parla al plurale anche se Carlo e Gabri non mostrano alcun segno di disagio o d'impazienza; sembrano due ragazzini che guardano la Formula 1 in attesa di qualche auto che si ribalti. Sono abituati da anni ai loro battibecchi e soprattutto alle sfuriate di Samuele; alle elementari era famoso per le sue crisi isteriche e addirittura una volta aveva rovesciato il banco davanti alla maestra. Quando giocava a pallone, se l’allenatore lo stuzzicava troppo, lui cominciava a diventare rosso in faccia e a bestemmiare contro la luna. Aveva un fuoco troppo grande dentro che bruciava tanta carta di giornale e ogni tanto aveva bisogno di esplodere.

    Per un tunnel di un avversario, un gol dell'altra squadra, un rimbrotto del padre o un albergo alla partita di Monopoli.

    Davide e Samuele erano nati praticamente insieme e avevano condiviso sino ad ora ogni fase della vita, dalle botte che si davano da piccoli alle partite interminabili alla X box. Dagli stessi lunghi e interminabili pomeriggi ai giardini a fare i bulletti con le ragazzine, alle serate a casa di uno o dell’altro a inventarsi profili; prima su Facebook e poi, dopo la sua chiusura, su Socialize.

    La voglia di emergere dei loro caratteri troppo simili aveva costruito un’intesa di ferro che ingenuamente pensavano potesse durare per sempre. Non avevano ancora fatto i conti con l’imprevedibilità della vita.

    La morte del papà di Samuele aveva cambiato tutto.

    E aveva cambiato Samuele.

    Per sempre.

    Ma smettila, non vedi che ormai siamo in stallo? Se non movimentiamo la partita, fra tre ore saremo ancora a questo punto.

    Ma perché devi movimentarla per forza? Non possiamo fare come abbiamo sempre fatto?

    Sempre con sta solita scusa, se fosse per te non si cambierebbe mai niente.

    ...e allora?

    L’alcool ormai aveva fatto il suo effetto.

    E allora bisogna evolversi, mi son stufato di fare sempre le stesse cose.

    ...e cosa me ne frega a me che ti sei stufato? Se non ti sta bene, puoi sempre andare di sopra a dormire e continuiamo noi.

    Carlo si china per prendere l’altro pintone appoggiato al muro quando arriva il primo montante di Samuele.

    E allora andiamo a dormire tutti!

    Io non ho sonno.

    Fattelo venire!

    Io faccio quello che mi pare...

    A casa tua, qui siamo ospiti di Gabri.

    Il tono di voce comincia ad alzarsi sensibilmente e i visi già rosei dall’alcool diventano sempre più paonazzi.

    E io l’albergo lo metto lo stesso!

    E io te lo tolgo.

    Il piccolo segnalino rosso diventa un’insolita pallina da ping pong tra il tavolo da gioco e la scatola del Monopoli, sotto lo sguardo divertito di Carlo e Gabri, prima che i toni improvvisamente prendano una piega inaspettata.

    Le parolacce cominciano a dominare la scena e da lì agli insulti il passo è breve.

    L’incontro verbale va avanti ancora per qualche minuto fino a quando la faccia di Samuele diventa rossa come la bandierina dell’URSS che penzola da un gancio sopra la credenza

    BASTAAAAAA, porco….

    La bestemmia rimbomba nella piccola sala e percorre la spessa cortina fumogena poco prima che la mano aperta di Samuele si schianti violentemente sul piccolo tavolo traballante.

    L’effetto è dirompente. Le casette verdi e gli alberghi rossi, pazientemente allineati da ore da mani sempre meno lucide, si sparpagliano disordinatamente per tutto il quadrato di gioco.

    La partita è finita.

    Il meraviglioso cielo stellato di questa limpida notte di fine inverno è lì davanti a loro come non l’hanno mai visto prima. L’inquinamento luminoso della città ne nasconde la sua incredibile profondità.

    Se Samuele fosse stato un esperto, avrebbe potuto ammirare la costellazione di Orione che in questo periodo dell’anno è ben visibile subito sopra la luminosissima Sirio. Avrebbe potuto ricercare la rossa Aldebaran all'interno del Toro o seguire le due stelle di Cassiopea che lo avrebbero portato senza possibilità di errore al Quadrato di Pegaso, ma dopo neanche dieci secondi la testa pesante ha cominciato a girare vorticosamente e lui e Gabri si sono ritrovati sdraiati nella neve.

    L’uscita all’esterno è stata un toccasana per i polmoni dei quattro ma non per le loro gambe.

    Carlo cerca strenuamente di rimanere in posizione eretta ma è costretto a fare molti passi di assestamento per non cadere come gli altri. Il delicato equilibrio si rompe appena decide di orinare sui tondini arrugginiti che spuntano dalla neve. Il fumo dell'immancabile sigaretta che gli penzola dalla bocca gli impedisce di abbassare il mento e così finisce per perdere l'equilibrio mentre il getto gli finisce un po' nei pantaloni.

    L'unico lucido è Davide ma il cielo gli interessa poco.

    La lite non è stata come le altre e i colpi di Samuele questa volta hanno lasciato il segno.

    La zona notte è al piano superiore ma ci si arriva solo dalla scala esterna sotto la quale si trova anche l’unico bagno.

    L’ingrato compito di modificare la temperatura polare delle due camere è lasciato a due piccole stufette a olio che Gabriele ha comprato qualche anno prima nel piccolo negozietto del paese, ma i risultati sono piuttosto scarsi. I muri sono freddi tutto l’anno e il calore delle due sale sottostanti non riesce a passare per il pavimento.

    Il termometro segna dieci gradi.

    Sopra l’armadio della camera principale s'intravedono due vecchi scalda coperte.

    Con un po' di brace della stufa avrebbero potuto scaldare i letti ed evitare di mettersi un doppio pigiama ma Gabri e Davide non li avevano né visti né cercati.

    Carlo era salito sulla sedia e ne aveva preso uno in mano ma solo per spostarlo e guardare se dietro c'erano delle prese.

    Samuele invece li aveva visti appena entrato in camera ma pensava fossero due slitte.

    2

    Il sedile è troppo scomodo e Samuele deve assolutamente alzarsi. Il passaggio è molto stretto e per arrivare ai bagni in fondo all’aereo deve fare molta fatica a passare, tra carrelli, ginocchia e piedi che gli impediscono un incedere fluido.

    La luce è molto soffusa e sembra che stiano tutti dormendo.

    La porta del bagno è senza maniglia e, mentre Samuele si sporge verso la zona del portellone per chiamare qualcuno, vede una hostess spaventatissima che sta usando il telefono di bordo. Il rumore di sottofondo gli impedisce di ascoltare ciò che sta dicendo ma, appena volge lo sguardo in direzione del piccolo oblò alla sua sinistra, lo vede.

    Un caccia da guerra sta volando parallelo e minacciosamente compie una manovra di rotazione che lo porterà a breve ad avere i suoi missili puntati su di lui. Le hostess sono sempre più frenetiche e appena il muso del caccia è completamente distinguibile, segno che il puntamento è completato, gli avvenimenti precipitano.

    L'hostess al telefono comincia a urlargli qualcosa nell’orecchio mentre con una mano gli infila velocemente un paracadute e con un calcio apre il portellone.

    Tempo zero e Samuele si ritrova da solo a precipitare nel vuoto e la consapevolezza di non saper usare un paracadute diventa realtà quando si trova in mano un filo giallo e uno rosso non sapendo quale dei due tirare.

    Decide per quello giallo ma si strappa.

    Quello rosso non c’è più e il buio velocemente s'impadronisce di lui.

    Ora sente anche tanto freddo e i battiti del cuore sembrano impazziti.

    Il forte odore di stantio però è familiare e man mano che le pupille si abituano a quest'assenza di fonti luminose, la sagoma del letto matrimoniale dove dormono Gabriele, Carlo e Davide comincia ad apparire rassicurante di fronte a lui.

    Era solo un sogno.

    Il sapore del mattino è la logica conseguenza della sbornia della sera prima ed è qualcosa che Samuele ultimamente conosce troppo bene. Al risveglio però la sensazione di disagio nell’incrociare lo sguardo di Davide è molto più forte delle altre volte.

    Samuele aveva dormito da solo nella piccola brandina vicino alla stufetta ma era come se avesse dormito nel freezer; gli altri erano stati più fortunati e si erano scaldati a vicenda nel grande letto matrimoniale dei nonni.

    Ci sono voluti però due colpi di fucile all’una del pomeriggio per costringere qualcuno ad andare ad aprire le imposte.

    Il papà di Gabriele aveva preso un camoscio, stamattina, e aveva trasformato il cortile in un piccolo mattatoio incurante della possibile sensibilità degli altri.

    Anzi, i colpi di fucile, oltre che a svegliare i pelandroni imbelli, avevano il preciso scopo di invitarli a vedere il trofeo.

    La luce penetrata all’interno della camera buia e silenziosa ha avuto lo stesso effetto di uno schiaffo a mano aperta e gli occhi hanno fatto parecchia fatica ad adattarsi alla nuova situazione.

    Carlo si è svegliato nella stessa posizione in cui si era coricato diverse ore prima, ma aveva i capelli così spettinati che gli inevitabili commenti dei suoi compagni di letto si stavano sprecando.

    L’aria non è più tagliente come la notte passata e il sole ormai abbraccia tutta la scala grezza che di malavoglia Samuele si appresta a scendere. L’idea di lavarsi la faccia con l’acqua gelida non lo spinge di sicuro ad accelerare il passo ma il richiamo della pulizia è più forte di tutto il resto.

    Deve assolutamente togliersi di dosso l’odore di quella coperta polverosa che l'ha accompagnato per tutta la notte.

    I suoi amici sono gli stessi giocherelloni di sempre; lontani ancora anni luce dall’essere svegli ma si comportano come se avessero già dimenticato l’episodio di ieri sera. Gabriele sta prendendo per i fondelli Carlo per l’alone giallo che ha sui pantaloni e Davide sta litigando con dei jeans troppo stretti perché s'infilino al primo colpo.

    Un piede gli rimane incastrato nell'orlo e gli esce un porca …. con una voce così tetra che

    Il gruppetto pian piano riprende i suoi soliti rapporti di forza eppure Samuele è a disagio.

    L'ultrafonico di sua mamma è ancora spento e questo vuol dire solo una cosa: sta ancora dormendo.

    Bisognerà ricominciare da capo.

    Di nuovo.

    Il rapporto con sua madre è sempre stato piuttosto combattuto sul piano materiale ma molto asettico su quello sentimentale. Poche smancerie e molta praticità. Molto rigorosa e severa quando si trattava di attribuire compiti e punizioni ma assente per buona parte della giornata quando era il momento di sentirsela vicino. Il suo incarico nell’ormai quasi centenaria organizzazione veicolava tutte le energie e a Samuele rimanevano le briciole.

    L'incidente di suo padre però l'aveva pian piano trasformata e una lenta depressione aveva cominciato a farsi strada nel suo animo. All’inizio erano solo piccoli segnali, distrazioni improvvise, sguardi talvolta assenti e privi di partecipazione, poca voglia di truccarsi al mattino.

    Samuele all’inizio era troppo occupato a sopravvivere, sotterrando i suoi sentimenti e buttandosi sulla solidità degli amici, per occuparsi di quelli di un’estranea com'era la mamma in quel momento. Solo quando un giorno il suo sguardo era capitato su una foto sorridente alle cascate di Molina, si era reso conto di quanto fosse cambiata.

    Lo sguardo era quasi spento, usciva sempre più di rado e i vestiti erano diventati tutti larghissimi.

    Samuele allora aveva messo da parte ogni rancore ed era intervenuto.

    A modo suo.

    Da Ariete.

    All'inizio erano solo litigi, poi però si era accorto che era solo lui che litigava e allora era passato agli insulti, sperando in un ceffone o in un suo qualche scatto d’ira ma nulla. Un giorno durante un acceso litigio aveva addirittura rovesciato tutta la tavola apparecchiata ma l’arrendevolezza e lo sguardo spento della sua mamma non se ne erano andati neanche così.

    Allora col papà di Davide aveva organizzato il trasferimento verso la casa dei nonni, incurante delle critiche dei parenti che alla fine lo avrebbero portato all’isolamento familiare.

    Da solo poi si era messo in contatto con uno psichiatra consigliatogli dal papà di Gabriele e da solo era riuscito a convincere la sua mamma ad andarci prima che fosse troppo tardi.

    Non aveva mai accettato la sua resa di fronte alla vita e in tutti i modi sentiva il bisogno di scuoterla e di farla uscire da quello stato catatonico.

    Doveva essere guarita e in forze perché solo così avrebbe finalmente potuto riversare su di lei i rancori di una vita ma vederla così arrendevole e spenta non faceva altro che accendergli un irrazionale senso di protezione.

    E questo gli dava tremendamente fastidio. Voleva urlarle tutta la sua rabbia e invece non poteva fare a meno di aiutarla.

    Questi sentimenti contrastanti l'hanno accompagnato per tutto il periodo della cura e finalmente il mese scorso era riuscito a portarla qualche giorno al Lago Maggiore, dove per la prima volta nella sua vita lei gli aveva chiesto scusa.

    E lui si era sciolto.

    3

    Le venature nel marmo dei quarantaquattro gradini che lo separano dalla porta di casa sono una diversa dall'altra e Samuele le conosce ormai tutte a memoria.

    La lucentezza di quel bianco interrotta qua e là da sottili e gradevoli venature rosee, gli ha sempre trasmesso una piacevole sensazione di distacco dalla sporcizia esterna. L’illusione che nessun esercito di batteri fosse mai riuscito ad oltrepassare questo muro di gradini, è tutt’ora ben radicata nella sua mente e ogni volta che si ritrova a calpestare la loro superficie liscia e luccicante viene pervaso da un sincero senso di tranquillità.

    I due piccoli corridoi che sbucano fuori durante la salita, si perdono in curve a gomito e soffitti bassi che solo da qualche tempo Samuele ha cominciato a considerare tali. Il labirinto in cui si annidano i portoncini degli appartamenti del cosiddetto piano ammezzato, non ha più molti segreti per lui ma all'inizio era tremendamente affascinante.

    Da quando con sua madre si è trasferito nella casa dei nonni, saranno passati quasi due anni ormai e la curiosità di andare a verificare tutte le storie sentite da piccolo, è stata ampiamente soddisfatta.

    L’unica parte del palazzo che non ha ancora osato esplorare sono gli infernotti.

    Suo nonno da piccolo gli aveva raccontato la storia di quella fitta rete di gallerie sotterranee che scorrono sotto il piano delle cantine e che si dice fossero usate dai Carbonari nel 1800 per spostarsi di palazzo in palazzo senza esser visti dalle Guardie Reali.

    Molte di queste partivano proprio dal Palazzo Antonelli ma le varie edificazioni del secolo scorso ne avevano in pratica ostruito ogni accesso.

    Il logorio del tempo e dei materiali però aveva provocato dei cedimenti e recentemente si era aperta una breccia in una delle cantine. Gabriele qualche anno fa col gruppo di Torino sotterranea ne aveva visitata una ed era sbucato nel cortile del palazzo di fronte, attraverso le cantine della lavanderia.

    A Samuele però il solo pensiero di affrontare quei luoghi angusti e pieni di sporcizia lo faceva rabbrividire.

    Meglio sentire gli aneddoti e le storie comodamente seduto e pulito in salotto, come quando era piccolo e il nonno lo faceva viaggiare con la fantasia.

    Quelle che gli piacevano di più riguardavano il costruttore Antonelli, quello della Mole. Il nonno di nonno Eugenio aveva un bar in Piazza Vittorio dove l'architetto veniva sempre a prendere il suo vermouth. Una domenica pomeriggio, passeggiando vicino a uno dei tanti cantieri che lui presiedeva, lo incontrò che era tutto concentrato sulle sue carte e si fermò a guardare la strana costruzione che stava prendendo forma e a valutare come fosse possibile costruire un edificio così alto e stretto quando, a un certo punto notò una grossa vibrazione all'altezza del cornicione.

    Un enorme pezzo di pietra si stava staccando e rischiava di finire proprio sulla testa dell'architetto chino sulle sue carte e così, senza pensarci due volte, il nonno del nonno si buttò su di lui e lo spinse via proprio un attimo prima che quell'enorme pietrone crollasse a terra.

    Antonelli si salvò e gli regalò un appartamento al piano nobile dell'edificio che aveva appena terminato in quella che poi sarebbe diventata via Vanchiglia.

    Samuele ascoltava sempre con gli occhi sgranati questa storia e aveva fantasticato più volte su come si sarebbe comportato lui in quel frangente. Se fosse stato l'Uomo Ragno o Superman sarebbe stato molto facile bloccare il masso con una ragnatela o con una mano; se fosse stato Hiro Nakamura, il protagonista di Heroes, una delle sue serie TV preferite, sarebbe tornato indietro nel tempo e con una scusa l'avrebbe fatto spostare prima della vibrazione del cornicione. Ogni volta che il nonno gli raccontava il medesimo aneddoto, s'immaginava poteri sempre nuovi e più raffinati, poi però quando un giorno nuvoloso di ottobre il nonno morì, lui non aveva quello necessario ad impedirlo.

    Un altro aneddoto riguardava l'inquilina altissima che abitava nell'ammezzato sopra il barbiere e che sbatteva sempre la testa nella trave di acciaio che attraversava il suo appartamento. Il nonno diceva che siccome era una testa dura, sapeva quando aveva sbattuto perché in tinello si muoveva il lampadario. Samuele in casa se l'era sempre immaginata curva e china con la testa piena di bernoccoli ma ora, ripensando all'aneddoto e all'altezza del corridoio che ha davanti a sé, un sorriso divertito inevitabilmente s'impossessa del suo viso. Dall'alto del suo metro e ottanta, le cose assumono tutta un'altra prospettiva e forse il nonno con gli aneddoti esagerava un po'.

    L'immagine bonaria e mite di quell'omone che lo portava sempre a

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