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Provocante seduzione: Harmony Destiny
Provocante seduzione: Harmony Destiny
Provocante seduzione: Harmony Destiny
E-book163 pagine2 ore

Provocante seduzione: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Una notte di trasgressione sarà sufficiente?

Vista la recente delusione d'amore, probabilmente Daisy Campbell ha proprio bisogno del fiero e sexy straniero che le si presenta davanti alla porta di casa. Tornata al paese in cui era nata dopo anni, lei certo non si aspetta come prima cosa di buttare al vento tutta la sua cautela, insieme ai suoi vestiti. La colpa di questo cambiamento si chiama Teague Larson, un uomo capace di farle salire la temperatura alle stelle. Lui è affascinato dall'indipendenza e dalla raffinatezza di Daisy, per non parlare delle sue lunghe gambe e dal suo modo di ancheggiare. Ma entrambi hanno ricordi da dimenticare e desideri irrealizzati nel cassetto.

Potrà una notte davanti al fuoco di un camino scaldarli a tal punto da rinunciare ai sogni e da permettere loro di riaprire il cuore all'amore?
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2016
ISBN9788858952894
Provocante seduzione: Harmony Destiny

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    Anteprima del libro

    Provocante seduzione - Jennifer Greene

    successivo.

    1

    Quando la macchina slittò sulla lastra di ghiaccio, Daisy Campbell fu sul punto di lanciare un urlo terribile.

    Non lo fece, ovviamente. Se c'era una cosa che aveva imparato negli anni appena trascorsi, era che doveva starsene zitta e buona e che doveva riflettere, invece di essere impulsiva. Ma dentro di sé, avrebbe solo voluto gridare.

    Conosceva bene il clima del Vermont in gennaio, il vento selvaggio e le tormente di neve, i tetri alberi nudi e le strade ghiacciate che sembravano specchi. Tutto le era familiare come un film in seconda visione. Anche per quella ragione aveva lasciato White Hills e non avrebbe mai pensato di farvi ritorno.

    In ogni modo, in quel momento, era nel bel mezzo di un testacoda mozzafiato e non le sembrava proprio il caso di lasciarsi andare ai ricordi.

    La piccola automobile che aveva noleggiato all'aeroporto non aveva niente a che vedere con la Ferrari che aveva guidato in Costa Azzurra, ma quando una vettura inizia a slittare e si rischia di andare a sbattere, il tipo di automobile non fa differenza.

    La monovolume ruotò di trecentosessanta gradi, slittò nella corsia opposta e proseguì verso il bordo della strada di montagna. L'aspettava una caduta non troppo piacevole. Assolutamente sgradevole. Difatti, sarebbe potuta morire se le gomme non fossero riuscite a frenare alla svelta.

    Per fortuna ci riuscì. Le ruote morsero la strada ghiacciata stridendo e fermandosi sul ciglio. Fortunatamente non c'era anima viva, a causa della tempesta di neve, quindi non aveva rischiato di investire nessuno. E non si era ferita. Andava tutto bene, si disse, anche se il cuore sembrava volerle schizzare fuori dal petto. Ma a quello c'era abituata: il suo ex marito le aveva sempre fatto salire la pressione.

    Era piuttosto stanca di quella sensazione.

    Gli ultimi due mesi passati al mare erano stati un incubo, così come gli ultimi due giorni che aveva trascorso in viaggio, facendo scalo in diversi aeroporti e guidando in condizioni spaventose.

    L'orologio dell'auto diceva che erano le tre del pomeriggio, ma poteva benissimo essere mezzanotte. C'erano nuvoloni neri che oscuravano il cielo e i tergicristalli riuscivano a stento a contrastare le sferzanti raffiche di neve. Sulle staccionate e sui tetti delle case si stavano formando dei candidi cuscini, ma la superficie della strada era completamente ghiacciata.

    Anche se era esausta non poteva riposarsi. Non ancora. Entro una decina di minuti sarebbe arrivata a casa, anche se Daisy non aveva più considerato tale la fattoria dei Campbell da oltre dieci anni. Ma il suo corpo sembrava rilassarsi sentendo che il pericolo era scampato.

    Non poteva ancora vedere Firefly Hollow, il posto dove, per tradizione, tutti i ragazzi si incontravano al sabato sera; e neppure il laghetto del vecchio Swisher, ma vi aveva passato così tante ore, quando era una ragazzina, che sapeva dove fosse dalla curvatura della strada. Un grosso sbadiglio le riempì la bocca, non mancava che mezzo miglio. Poi, sarebbe stata al sicuro.

    Ma, dopo un centinaio di metri, la monovolume trovò un'altra lastra di ghiaccio. Fu come tentare di controllare un proiettile. Daisy fece tutto quello che doveva, ma la piccola automobile slittò compiendo un'altra rotazione prima di imboccare il fossato a lato della strada.

    Le ruote posteriori giravano ancora quando Daisy urlò.

    C'erano situazioni in cui si doveva mantenere il controllo... e circostanze in cui era giusto che una donna andasse in bestia, si mettesse le mani nei capelli e altro.

    Spense quella maledetta vettura e afferrò la borsetta e la piccola valigia ventiquattrore, poi cercò di aprire la portiera. Immediatamente, i suoi eleganti stivali italiani si immersero nella neve per una buona spanna. Ovviamente scivolò a terra, poi, abbandonando ogni orgoglio personale, s'inerpicò fuori dalla buca.

    In quei pochi minuti, il naso e i piedi le si erano completamente ghiacciati. Avrebbe volentieri cambiato il suo cappotto rosso di cachemire, il cappellino francese e gli eleganti stivaletti con un abbigliamento montano e sgraziato, come quello che un tempo era abituata a portare e che aveva giurato che non avrebbe indossato mai più per tutta la sua vita.

    Con gli occhi socchiusi per le raffiche di vento e neve, camminò faticosamente fino a casa. Non era mai stata così esasperata. Non aveva paura. Daisy Campbell Rochard, ora di nuovo solo Campbell, non si lasciava spaventare. Conosceva bene le tempeste di neve, sapeva che ce ne erano alcune che potevano isolare gli abitanti della zona per interi giorni. Se qualcuno cadeva in un fosso, poteva non ricevere soccorso per una settimana. Se si aveva un po' di cervello, con un tempo come quello, si rimaneva in casa.

    Poi, nonostante le folate di neve, riconobbe la staccionata, la collina da dove, con le sue sorelle, era scesa molte volte con la slitta, il grande acero in mezzo al cortile.

    Finalmente era a casa. La struttura era quella antica che suo padre aveva giurato risalisse al primo Campbell giunto fin lì dalla Scozia, dopo aver compiuto la traversata sulla Mayflower. Nel corso degli anni vi erano state aggiunte delle stanze, ma l'aspetto era cambiato di poco. Era sempre la vecchia e robusta dimora con le finiture bianche e il tetto traballante. Per qualche istante, un'ondata di ricordi la travolse: c'era del fumo che usciva dal camino e le luci calde della casa illuminavano le finestre; Colin e Margaux uscivano sulla soglia per salutare la loro figlia maggiore, mentre Violet e Camille ridevano e si parlavano nell'orecchio.

    Daisy sentì il cuore sprofondarle nel petto. Non le sembrava affatto di essere a casa ora che le luci erano spente e non c'era nessun segno di vita. La fattoria era fredda e buia. Nessuno aveva spazzato il viale da settimane.

    Si disse che era completamente stupido da parte sua avvertire quel senso di malinconia. Era ovvio che non ci sarebbe stato nessun comitato di benvenuto, poiché nessuno immaginava che sarebbe tornata, e sapeva già che la casa sarebbe stata vuota.

    Difatto, tutti i suoi famigliari erano via. I suoi genitori si erano ritirati nella più calda Arizona; Camille, la piccola di famiglia, che era tornata a White Hills alcuni mesi prima per riprendersi da una brutta tragedia personale, grazie all'intervento di Daisy, aveva ritrovato l'amore e la voglia di vivere e ora stava trascorrendo una lunga vacanza in Australia con il nuovo marito e la sua famiglia; Violet, l'altra sorella, aveva condotto la fattoria per circa tre anni da quando aveva divorziato dal signor sono-il-farabutto-numero-uno-dell'universo. Aveva sempre temuto l'incontro con altri uomini finché, di nuovo, Daisy non si era messa in mezzo e le aveva fatto incontrare un individuo abbastanza coraggioso da poterla affrontare. Adesso anche Violet era sposata e, grossa quasi come una mongolfiera, avrebbe partorito da lì a un paio di mesi. Era andata a vivere col marito nello stato di New York. Daisy era riuscita ad impicciarsi e a sistemare tutt'e due. Cosa che, invece, non riusciva a fare per se stessa. Eppure, standola a sentire, si sarebbe detto che aveva imparato dai propri errori: se Mister Universo avesse attraversato il viale in quel momento non sarebbe uscita con lui neppure per un milione di dollari.

    Se gli uomini erano un problema facilmente risolvibile, c'era un'altra incognita che la preoccupava di più: doveva mettersi al riparo da quella tempesta di neve. Stava rapidamente perdendo la sensibilità nelle mani e nei piedi. Aveva perso chissà dove il suo cappellino alla moda e adesso i capelli si avvolgevano umidi intorno al viso.

    Si sforzò di arrivare fino alla porta sul retro e armeggiò nella borsetta per cercare la chiave. Ma le sembrava di avere delle salsicce ghiacciate al posto delle dita e le fu difficile reggere la chiave, infilarla nella toppa e farla girare.

    Finalmente i suoi sforzi furono ripagati e la porta si aprì. Si sentì avvolgere da una calda sensazione di sollievo.

    All'interno, il terribile ululato del vento fu subito ridotto al silenzio. Ovviamente, la temperatura era ancora polare, ma tutto quello che doveva fare era accendere il termostato.

    Lasciò cadere a terra le borse e si tolse i guanti innevati mentre, coi denti che battevano e le mani tremanti, si avviava al termostato. Lo accese e aspettò di sentire il familiare e rincuorante rumore di avviamento.

    Ma non ci fu nessun rumore. Nessun suono.

    Aggrottando la fronte cercò di accendere la luce, pensando che, forse, nell'oscurità, aveva sbagliato le impostazioni. Ma nessuna luce si accese.

    Provò quelle della cucina. Niente. Andò al telefono ma, ovviamente, non essendoci più nessuno da mesi, era stato staccato. E lei non era tornata da abbastanza tempo da comprarsi un telefonino che funzionasse in America. Per qualche momento si guardò intorno. La cucina non era più come la ricordava. Doveva essere stata Violet a fare tutto. Ovviamente non aveva importanza che il nuovo arredamento non fosse di suo gusto. Il cuore di Daisy continuava a battere a un solo ritmo: casa, casa, casa...

    Ma non poteva rimanere lì. Se non c'era energia elettrica e il termostato non funzionava, non aveva possibilità di riscaldarsi. Non avrebbe potuto cucinare alcunché. E non poteva andare fuori, con la neve che fioccava, per cercare della legna. Tornò nuovamente al termostato e riprovò ad accenderlo, pregando con tutta se stessa di sentire il motore che si avviava. Niente.

    Non riusciva a pensare a nulla. Aveva bisogno di calore. La tempesta di neve sarebbe potuta andare avanti per giorni. Aveva bisogno di riscaldarsi, di cibo e di riparo prima di non averne più la forza, prima che facesse troppo buio.

    Per qualche secondo, un pensiero codardo le attraversò la mente. Per una volta nella sua vita avrebbe voluto che un eroe venisse a salvarla. Avrebbe voluto qualcuno che si prendesse cura di lei, qualcuno da cui sarebbe potuta dipendere. Era un pensiero stupido e cercò di eliminarlo subito.

    Daisy non aveva mai avuto problemi ad attrarre gli uomini, ma erano sempre stati gli uomini sbagliati. Uomini di cui doveva essere lei a prendersi cura.

    Mentalmente si diede una scrollata e si decise a muoversi. Quasi tutti i suoi bagagli le sarebbero stati spediti dall'Europa e con sé aveva solo una piccola valigia e la borsetta. Le venne in mente, però, che nel vecchio sgabuzzino potevano esserci ancora dei cappotti smessi che erano appartenuti alla sua famiglia. Era così, e c'erano anche dei guanti spaiati e dei vecchi cappelli di lana. La maggior parte delle cose risaliva a molti anni prima ed era completamente fuori moda, ma cosa importava?

    Doveva coprirsi, proteggersi il più possibile per essere in grado di andare dai vicini. Era a White Hills, diamine! Non aveva importanza che da ragazza, molti anni prima, ne avesse combinate di tutti i colori, nessuno avrebbe rifiutato di aiutare una Campbell.

    I MacDougals erano via, lo sapeva perché Camille aveva sposato Pete, il capofamiglia ma, dall'altro lato della strada c'era la fattoria dei Cunningham. I Cunningham erano anziani, dovevano avere all'incirca una settantina d'anni, ormai, ma sapeva che l'avrebbero aiutata. Forse il signor Cunningham si intendeva di termostati e riscaldamenti.

    Si lasciò cadere sulla sedia a dondolo e cercò di togliersi i suoi bellissimi, e ormai rovinati, stivali. Non volevano sfilarsi. Erano ghiacciati. Quando riuscì a levarseli, vide i suoi piedi rossi e gonfi.

    Ah, non andava per niente bene.

    Sentiva la paura montarle dentro. Avrebbe voluto lasciarsi andare. Invece, si infilò un vecchio paio di calze di lana e gli stivali da fattore di suo padre e indossò un giaccone pesante sul cappottino di cachemire. Subito sentì un po' di calore penetrarle nelle ossa. Finì di avvolgersi una lunga sciarpa intorno al collo, coprendo anche parte del viso e infilò un paio di muffole. Poi afferrò le sue borse. Non pensare, fallo e basta, si esortò. Quando aprì la porta, il vento e la neve la colpirono con violenza facendola indietreggiare, ma non si lasciò intimidire. Sarebbe andato tutto per il meglio se non avesse perso la ragione.

    Aveva dovuto camminare un bel po', ma poi, finalmente, vide le luci. Le finestre illuminate la rassicurarono. I Cunningham dovevano essere in casa e, soprattutto, luce e riscaldamento funzionavano. Lacrime di sollievo le affiorarono negli occhi mentre percorreva gli ultimi metri verso

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