Per illegittima difesa
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Anteprima del libro
Per illegittima difesa - Giuseppe Grattaduria
insoddisfacente!
Una ragazza frivola e narcisista
Le informazioni finora ricevute erano interessanti, ma, a suo parere, non sufficienti. Il commissario voleva un quadro generale che la riguardasse, il più completo possibile. Pertanto incaricò il maresciallo Migneco ad interessarsene, seguendo alcuni suoi dettami.
Dati importanti gli pervennero la mattina successiva quando, appena giunto, sul suo tavolo trovò una relazione accurata, riguardante, oltre che i dati anagrafici e scolastici, una puntuale ricognizione del passato e dei recenti trascorsi personali di Mary Lo Presti. Fortuna volle che Migneco era riuscito ad ottenere il brillante risultato in così breve tempo, in virtù di una conversazione informale avvenuta tra il maresciallo ed un giovane studente, amico e fidato allievo della donna.
L’ho incontrato per caso, in strada, nei pressi del portone di casa mia, si chiama Salvatore Li Fauci detto Totò ed è figlio di miei vecchi conoscenti del quartiere, che aveva letto la notizia del suo assassinio, stamattina, sul giornale. Mi disse che la conosceva bene e mi raccontò l’ultimo incontro che aveva avuto con Mary. Per questo gli ho consigliato di venire in questura con me e vorrei che ora lo ascoltasse
.
Aprì la porta e fece entrare il giovane, che d’istinto cominciò a parlare, prima che glielo chiedessero l’ultima volta che l’ho vista è stata ai primi di settembre, prima che partisse per Scibilia. Allora ci salutammo, io ero sconvolto, mentre lei mi apparve estranea e fredda.
Poi, fattolo accomodare sulla poltrona di pelle, dirimpetto al tavolo del commissario, continuò a parlare, come se si volesse liberare da un pesante magone che lo assillava l’ultima che ci siamo visti, lo ricordo come se fosse ora, mi disse, ti auguro una buonanotte, ragazzo mio e mi allungò una mano, chiamandomi affettuosamente Totò, dato che mi considerava molto di più di un semplice allievo. Dopo il saluto, rimase appoggiata al portone di casa, come se volesse sbarrarmi la strada d’accesso all’ingresso dello stabile e mi disse che si sentiva troppo stanca e che voleva riposare. Tentai di dissuaderla
te ne vai a letto così presto? Chiesi, mentre avvertivo un improvviso brivido di freddo lungo la schiena, stravolto al solo pensiero che immediatamente dopo sarebbe uscita nuovamente, senza che me lo dicesse. Dopo un attimo si voltò di scatto e mi disse porta i miei saluti al professore, quando domani mattino andrai in facoltà!
poi chiuse il portone con una spinta. Io ci rimasi male e mi chiesi perché le dava fastidio la mia compagnia? Nel contempo mi domandai se stesse scomparendo anche quel poco di tenero che era rimasto fra noi e per quale motivo. Avevo notato che da un po’ di tempo Mary aveva la smania di isolarsi e mi chiedevo per quale motivo spesso spariva senza dire niente, tanto da farmi pensare che forse le avevo fatto qualche torto! Non credo, mi rispondevo! Per qualche attimo si zittì e chiese un bicchiere d’acqua, ma subito riprese il racconto
quella sera continuai a dannarmi l’anima, dopo qualche minuto presi a camminare di buona lena per raggiungere casa mia, che è all’altro capo della città. Giunsi dispiaciuto ma apparentemente sereno, perché in compenso non sarei stato costretto a chiedere scusa ed a giustificare, al resto della famiglia, il ritardo all’abituale all’appuntamento delle 21 per la cena, impostomi dopo i recenti insuccessi universitari, in particolare quello di non aver superato lo sbarramento del secondo biennio nel mio corso di studi della facoltà di matematica, necessariamente da conseguire prima dell’ultimo anno, per essere così ammesso alla laurea.
Dopo la cena, i cattivi pensieri ripresero a frullarmi in testa e a picchiarmi con lena perchè, tra l’altro, ero conscio che non potevo fare a meno dell’aiuto di Mary per uscire dall’incombente tunnel di buia disperazione per una laurea tanto desiderata ma che si allontanava dal mio orizzonte, sempre di più.
Avevo ancora bisogno di lei, ma non solo per motivi di studio, speravo di non perderla definitivamente ma, intanto, non riuscivo ad immaginare la reazione di Mary, che da lì a poco avrebbe avuto l’esito del test di gravidanza, richiesto dopo l’unico rapporto avuto con me.
Giunto a casa cenai con il resto della famiglia, dopo recitai la parte di chi doveva studiare, ma, per la verità, non me la sentii di riprendere i libri. Le ultime materie, da preparare per la sessione autunnale possono aspettare, mi dissi, mentre la cappa dei cattivi pensieri iniziò a pesarmi come un cerchio sulla testa. Tuttavia, nonostante la compagnia di questi incombenti ed allucinanti spettri mi accinsi a trascorrere una nottata insonne, che poi risultò addirittura tremenda. Appena appoggiata la testa sul cuscino, la bobina del film dei ricordi iniziò a srotolarsi e mi comparve la scena di quei tre uomini che picchiavano Mary all’uscita dal pub di via Carcaci.
Rividi quegli uomini senza volto, enormi, grassi, con mani simili a delle mazze nodose, spietati, colpirla in faccia, in testa e in tutto il corpo. L‘aggressione durò alcuni minuti, la sera del dodici di luglio, ormai erano trascorsi quasi due mesi. Mi ricordai che, nei giorni immediatamente successivi, trassi un sospiro di sollievo in quanto l’episodio era rimasto isolato e non era apparso sul giornale ne sui telegiornali locali. Solo alcuni passanti avevano notato la scena del pestaggio e l’avevano giudicata non degna di segnalazione, per quanto feroce fosse stato l’evento.
Potrebbe essersi trattato di un errore, fosse uno scambio di persona
avevano detto, ma lei sapeva che non era così, anche perché io avevo trovato a terra un pezzo di carta d’imballaggio sgualcita, dove qualcuno aveva scritto a stampatello ultimo avvertimento
.
Forse qualcuno le ricordava che doveva interrompere la gravidanza?
Almeno, per quella sera, mi sembrò che tutto fosse finito lì, anche se avevamo riferito i dettagli del pestaggio, prima al piantone di polizia del pronto soccorso e subito dopo all’uomo in camice bianco che aveva preso con buona lena a pulire i coaguli, rimuovendoli da sotto il naso con un tampone imbibito di soluzione fisiologica.
E’ appena accaduto
ripeté Mary, dopo aver dato le generalità al poliziotto di guardia, che rispose di malavoglia, rimanendo con la schiena dritta, incollata alla sedia, frenando un incipiente sbadiglio ed affermando, con gli occhi rivolti chissà dove, immagino che non sai chi è stato, ma te la caverai lo stesso!
Subito dopo seguì l’intervento sanitario ad opera dell’infermiere, che allarmato per il sospetto di frattura del setto nasale, ci condusse in una medicheria, dove continuò a pulirle il volto e la testa insanguinata con zelo ed altrettanta a pignoleria. Alla fine della medicazione, conclusasi con una mossa controllata, come il lancio dei tamponi sporchi in un contenitore, l’infermiere esclamò una sorta di sentenza ora verrà il medico e deciderà se tenerla in osservazione con il ricovero o mandarla a casa
. Dopo rapidamente si allontanò, buttando i guanti di lattice mono uso appallottolati, nello stesso cestino dei rifiuti sanitari.
Fu a questo punto che Mary saltò giù dalla barella, scansò la folla di pazienti e parenti, che indugiava nel corridoio e filò dritta verso l’uscita, in un attimo oltrepassò l’arco del portone d’ingresso del vecchio nosocomio e si trovò per strada, quasi correndo senza mai voltarsi.
Prendiamo un taxi
mi bisbigliò all’orecchio e riprese a camminare velocemente, pulendosi gli avambracci ricoperti da croste di sangue raggrumato, aiutandosi con le mani e con le unghie per staccarle, mentre si nascondeva, con i lunghi capelli corvini il volto. Dopo una breve corsa il taxi si fermò davanti al portone di casa, subito si liberò dal sostegno del mio braccio, per appoggiarsi al passamani della scala, bussò alla porta, aprì sua madre, quando lei, con la vista abbagliata dalla luce intensa di una lampada alogena, posizionata all’interno dell’ingresso, cominciò a gridare in maniera risoluta e per nulla accomodante "mamma…mamma...non dirmi nulla e non farmi