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I tre giorni di Atavanno
I tre giorni di Atavanno
I tre giorni di Atavanno
E-book142 pagine1 ora

I tre giorni di Atavanno

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Info su questo ebook

Nilio, guerriero Aldair, è tornato a casa.
I suoi dieci anni di servizio a Endora sono finiti, eppure il suo cuore è pesante. Lo aspettano i suoi genitori e una vita onorata, ma incompleta: Vikandro, l'uomo che Nilio ama da quando erano entrambi ragazzi, non potrà essergli vicino.
Nella società bisessuale degli Aldair l'amore fra due uomini non turba nessuno, ma il padre di Vikandro, un nobile fanatico, contrario a qualsiasi cambiamento, non ha mai accettato la relazione del figlio con chi proviene da una famiglia di mercanti e lo ha punito offrendolo al tempio di Atavanno, il Dio Senza Cuore. Ormai è un guerriero sacro, costretto a portare sempre un maschera con l'effigie della divinità e a ripudiare qualsiasi sentimento.
Ma, durante i tre giorni dedicati a celebrare Atavanno, Nilio e Vikandro si troveranno l'uno di fronte all'altro e il loro sentimento esploderà di nuovo, portando un barlume di speranza.
Dovranno superare il dolore e il rancore, affrontare il sangue e la morte sempre in agguato e sconfiggere gli intrighi degli uomini, più che la collera di un dio.
 
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2018
ISBN9788828316756
I tre giorni di Atavanno

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    Anteprima del libro

    I tre giorni di Atavanno - Fernanda Romani

    Romani

    1

    Ancora prima di entrare a Ulmer Sida, Nilio aveva deciso: avrebbe evitato la strada che lo costringeva a passare davanti al tempio di Atavanno. Oltrepassò la porta sud della città e diresse il cavallo verso destra, inoltrandosi nel quartiere dei mercanti di lana. Si guardava attorno con curiosità, osservando le nuove botteghe e i visi sconosciuti che si affaccendavano nell’esporre tessuti e sfumature di colore mai viste. Durante i dieci anni in cui era stato assente erano cambiate molte cose e, come tutti i guerrieri che tornavano dall’Epoca dell’Offerta, lui era consapevole di dover riprendere dimestichezza con la sua vera vita. Il periodo passato al servizio dell’esercito di Endora era stato la parte peggiore, la punizione secolare a cui nessuno di loro poteva sottrarsi, ma era sopravvissuto. Era il passato.

    Da parecchi giorni rifletteva sul proprio ritorno.

    Subito dopo aver attraversato il fiumiciattolo che segnava il confine tra il Regno di Endora e il Ducato di Odi, la terra degli Aldair, si era fermato ad annusare l’aria, quasi si aspettasse che fosse diversa. In realtà, ciò che aveva percepito era il profumo degli uomini liberi. Finalmente non era più un servo, una creatura priva di dignità solo perché nato maschio.

    Era un guerriero, e lo sarebbe stato fino alla morte.

    Aveva spronato il cavallo verso la capitale del clan degli Ulmer senza una cognizione precisa riguardo alla data. A Endora il conteggio dei giorni era diverso e tutti gli Aldair, nel corso dell’Epoca dell’Offerta, faticavano parecchio a mantenere il proprio calendario. Anche lui era riuscito a calcolare il passare degli anni con una certa approssimazione, sapendo bene che, di certo, avrebbe sbagliato almeno di un ciclo lunare.

    L’ansia di rivedere la sua famiglia si era fatta sempre più flebile, a mano a mano che si avvicinava a Ulmer Sida. Giorno dopo giorno, il peso che aveva sul cuore era divenuto un macigno e il viso che aveva inutilmente sperato di dimenticare acquisiva contorni sempre più marcati, come una presenza costante, quasi tangibile.

    E ora osservava i vecchi quartieri e i nuovi palazzi signorili con la consapevolezza che proprio lì, in quelle città così diversa eppure familiare, c’era l’uomo che per molti anni era stato il suo respiro, la sua casa, la luce di ogni nuova alba.

    L’uomo che non sarebbe mai più stato suo.

    Nilio, impegnato a scacciare l’amarezza di quei pensieri, si accorse appena di essere arrivato davanti a un palazzo dove grandi finestre rettangolari erano protette da inferriate modellate in complicati ghirigori in ferro battuto. Alzò gli occhi e rimase senza fiato nel riconoscere i tre balconi di marmo verde che sporgevano dal piano superiore. Scrutò la facciata con occhi increduli. Si era aspettato di vedere i segni del tempo su quella dimora dentro la quale anche suo padre aveva passato l’infanzia, invece era tutto uguale, tutto mantenuto alla perfezione, come se lui fosse partito il giorno prima.

    Smontò da cavallo e lo legò a uno degli anelli di ferro fissati al muro, senza smettere di osservare il portone di legno, dipinto di fresco: verde scuro con al centro due sottili spighe rosse. Fin da bambino aveva ammirato la leggiadria di quei disegni.

    Impugnato il proprio bastone tribale, Nilio si avvicinò al portone e usò il battente per bussare. Trascorse l’attesa sistemandosi gli abiti consunti e rammendati più volte, pur sapendo che nessuno dei guerrieri che tornavano dall’Epoca dell’Offerta era in condizioni migliori delle sue. Saggiò con le mani lo stato dei capelli. La cresta irrigidita dal succo di biancospino si era ormai afflosciata, anche a causa della pioggia che lo aveva colto lungo la strada, qualche giorno prima. Cercò di pettinare con le dita quel poco che era rimasto, non voleva rinunciare alla capigliatura da guerriero. Era un segno di ciò che aveva sempre voluto essere. Lui, il figlio di un mercante, era riuscito a entrare in una casta da secoli riservata ai nobili. Solo da qualche decennio le cose erano cambiate, grazie alle idee liberali del nuovo Duca, insediatosi sullo scranno di Odi.

    Il rumore del portone che veniva aperto mise fine alle sue riflessioni. Il viso familiare dell’anziana serva, affacciatasi con aria burbera, strappò a Nilio un sorriso. E lo divertì ancora di più vederla sbarrare gli occhi nel riconoscerlo, mentre le parole le si strozzavano in gola. Appena la donna si riprese, lo fece entrare pronunciando un fiume di parole frammiste a esclamazioni e gemiti di gioia.

    Ricevette parole di benvenuto e pacche sulle spalle dalle guardie del vestibolo, tra le quali qualche anziano guerriero lo aveva riconosciuto.

    Salì con calma la scala che portava al piano di sopra, ridendo tra sé della serva che lo precedeva di corsa gridando: È arrivato! È arrivato!

    Appena mise piede nel corridoio soprastante un’esclamazione provenne dall’altra estremità.

    – Oh, Sacra Odimara, ti ringrazio!

    Nel vedere sua madre che gli correva incontro seppe quanto aveva desiderato quel momento. Accelerò il passo, fino a che non si tuffò tra le braccia protese verso di lui.

    Finalmente, era a casa.

    Quando notò l’altra figura avanzare dal fondo del corridoio la sua gioia si spense: suo padre, Alistro, aveva il capo coperto di capelli grigi e camminava appoggiandosi a un bastone.

    A Nilio bastò un istante per riprendersi. Si affrettò verso il genitore e si godette il suo abbraccio. Venne affettuosamente trascinato nell’anticamera e poi attraverso altre stanze fino ad arrivare alla sala da pranzo, dove il lungo tavolo che lui ricordava affollato era apparecchiato solo per due. La madre si affannò nel chiamare i servi e ordinare di aggiungere un altro posto.

    – E dite alla cuoca di affrettarsi! – aggiunse. – Mio figlio è affamato!

    Nilio scoppiò a ridere.

    – Ti ringrazio, madre, ma posso aspettare qualche momento.

    Il padre si unì a lui nel canzonarla.

    – Spero tu non voglia fargli mangiare carne cruda. Non penso sia affamato fino a questo punto.

    – Oh, sacri antenati, sentiteli! Si sono già alleati contro di me!

    Il suo viso imbronciato si distese subito in un sorriso; gli posò una mano sulla guancia, quasi volesse accertarsi della sua reale consistenza.

    – Tu non hai idea di quanta paura ho avuto in questi dieci anni, nel saperti tra le mani di quelle donne.

    Niliò percepì la profonda preoccupazione di quegli occhi grigi, ma le risate di poco prima avevano suscitato in lui un tale desiderio di leggerezza da fargli intravedere subito l’involontaria allusione, insita in quelle parole.

    Sorrise.

    – Ti assicuro che il problema non sono le loro mani, ma il loro alito. Più invecchiano e più diventano golose di cipolla.

    La risata del padre si unì alla sua mentre la madre sbuffava, tornando al broncio di poco prima.

    – La volete smettere di burlarvi di me? Sai bene che non mi riferivo all’obbligo di vendergli il tuo corpo, ma alle loro terribili leggi contro gli uomini.

    Nilio le circondò le spalle con il braccio.

    – Non ho mai avuto problemi a rispettare le loro leggi. Nei dieci anni che ho passato a essere poco più di un servo non ho mai preso nemmeno una frustata. – Il suo tono cambiò. In un istante ridivenne serio. – Ma ho una cicatrice sulla coscia pronta a ricordarmi che il vero pericolo erano i Qanaki.

    – Ti hanno ferito!

    Il padre intervenne subito, pronto a mitigare la gravità di quella notizia.

    – Sika, è un guerriero. Non possiamo vivere nel timore che debba combattere, possiamo solo rallegrarci che sia tornato in buona salute. – Spostò lo sguardo su di lui, fissandolo negli occhi. – Ed essere fieri della scelta che ha fatto.

    Nilio lo ringraziò, felice del suo sostegno, ma la madre gli prese la mano, stringendola tra le proprie.

    – È l’unico dei nostri figli ad aver fatto questa scelta e non credo che riuscirò ad abituarmi.

    – Spero che questo non ti impedisca di essere orgogliosa di me, – la incalzò lui. – Anche perché potrei darti qualche altro motivo per esserlo.

    Entrambi i genitori lo guardarono con curiosità.

    – Cosa intendi dire?

    La voce del padre pareva già pregustare una notizia lieta.

    – Per diverso tempo ho avuto l’onore di prestare il mio servizio nella brigata di Daigo, il figlio del nobile Utro. C’è stato un giorno, circa tre anni fa, in cui le donne ci hanno concesso di combattere contro i Qanaki che le attaccavano. Erano numerosi e le guerriere avevano bisogno d’aiuto. Mi sono battuto fianco a fianco con Daigo e lui ne è rimasto talmente colpito che mi ha promesso un posto nella sua guardia personale quando tornerà. E dovrebbe tornare l’anno prossimo.

    – La guardia personale dell’Erede del Clan...

    Gli occhi del padre sfavillavano, pieni d’ammirazione.

    La madre gli prese il viso tra le mani.

    – Sono felice per te. – Eppure i suoi occhi dicevano che c’era altro. – Ma non smetterò mai di preoccuparmi dei pericoli che dovrai correre.

    – Sika, ti prego. Non rovinargli questa gioia. Un giorno Daigo sarà il capo del clan Ulmer, un uomo potente all’interno del Ducato, e se manterrà la sua parola dovremo solo essere orgogliosi di nostro figlio.

    – Daigo non è come

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