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In guerra col capo: Harmony Collezione
In guerra col capo: Harmony Collezione
In guerra col capo: Harmony Collezione
E-book170 pagine2 ore

In guerra col capo: Harmony Collezione

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Info su questo ebook

A Gregorio de la Cruz non importa che l'innocente Lia Fairbanks lo ritenga responsabile della rovina della sua famiglia. Quello che davvero lo preoccupa è il fatto di non riuscire a togliersi dalla testa la visione delle sue seducenti labbra. Per questo non troverà pace finché Lia non sarà esattamente dove lui la vuole: tra le sue braccia.



Lia non ha intenzione di cedere alle lusinghe provocanti del suo nuovo capo, non importa quanto il proprio corpo lo desideri. Lei sa di non potersi fidare di quell'uomo, ma Gregorio sa essere molto persuasivo e presto Lia si renderà conto che le energie che ha usato fino ad allora per combatterlo le serviranno per soddisfare ogni suo desiderio.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2018
ISBN9788858982600
In guerra col capo: Harmony Collezione
Autore

Carole Mortimer

Carole Mortimer was born in England, the youngest of three children. She began writing in 1978, and has now written over one hundred and seventy books for Harlequin Mills and Boon®. Carole has six sons, Matthew, Joshua, Timothy, Michael, David and Peter. She says, ‘I’m happily married to Peter senior; we’re best friends as well as lovers, which is probably the best recipe for a successful relationship. We live in a lovely part of England.’

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    Anteprima del libro

    In guerra col capo - Carole Mortimer

    successivo.

    Prologo

    «Cosa ci fa lui qui?» Lia non riusciva a staccare gli occhi dall'uomo di fronte a lei, che si teneva leggermente in disparte dal loculo, dove stava per essere messa a riposo per sempre la bara di suo padre.

    «Chi...? Oh, Dio, no!»

    Lia ignorò l'esclamazione contrariata della sua amica, mentre i piedi sembravano muoversi indipendentemente dalla sua volontà, avvicinandosi a quell'uomo scuro e minaccioso, la cui immagine aveva ossessionato le sue giornate e infestato i suoi incubi nelle ultime due settimane.

    «Lia... no!»

    Si rese conto a malapena di avere respinto Cathy che cercava di trattenerla, mentre la sua attenzione era tutta concentrata su un solo uomo: Gregorio de la Cruz, il maggiore dei tre fratelli de la Cruz. Era ben più alto della media e portava i capelli scuri leggermente lunghi. Aveva una carnagione olivastra e un viso dalla bellezza fiera di un conquistatore. Lia sapeva che era anche spietato e freddo. de la Cruz era un miliardario trentaseienne privo di scrupoli, amministratore delegato dell'impero finanziario mondiale appartenente alla famiglia de la Cruz. Negli ultimi dodici anni da solo, grazie alla sua risoluta determinazione, aveva costruito quell'impero per sé e per i suoi due fratelli. Era anche l'uomo responsabile di avere ridotto, due settimane prima, il padre di Lia in un tale stato di disperazione, da farlo rimanere vittima di un attacco cardiaco che gli era risultato fatale. Lia lo odiava con ogni cellula del proprio essere. «Lei come osa venire qui?»

    La testa di Gregorio de la Cruz scattò in su e i suoi occhi neri si socchiusero fissando Lia con la stessa crudeltà del suo cuore. «Signorina Fairbanks...»

    «Le ho chiesto come osa mostrare qui la sua faccia?» sibilò lei, le mani così serrate lungo i fianchi, che le unghie penetrarono nella carne dei suoi palmi.

    «Questo non è il momento...» Fece per rispondere lui, ma fu subito interrotto dalla mano di Lia che fulminea scattò sulla sua guancia cesellata, lasciandovi piccole strisce di sangue a causa dei piccoli tagli che si era procurata nel palmo.

    «No!» Lui alzò la mano per fermare due uomini in abito scuro che erano subito scattatati in avanti. «È la seconda volta che mi schiaffeggia, Amelia. La avverto, non permetterò che accada una terza.»

    La seconda volta?

    Oh Dio... sì! Due mesi prima, una sera suo padre li aveva presentati in un ristorante. Entrambi stavano cenando con altra gente, ma Lia si era continuamente sentita addosso lo sguardo insinuante di Gregorio de la Cruz. Era rimasta a dir poco sorpresa quando, a metà serata, uscendo dal bagno delle signore, se lo era trovato davanti che la aspettava in corridoio. Ed era rimasta ancora più sorpresa, quando lui le aveva sibilato quanto la desiderasse prima di baciarla. Quella era la ragione per cui lo aveva schiaffeggiato la prima volta. A quel tempo lei era fidanzata e quella sera de la Cruz era stato presentato anche al suo fidanzato oltre che a lei, quindi era andato ben oltre il limite.

    «Tuo padre non avrebbe voluto tutto questo.» Gregorio mantenne la voce bassa per non farsi sentire dagli altri partecipanti al funerale riuniti attorno al feretro.

    Gli occhi di Lia luccicarono di rabbia. «E tu come diavolo faresti a sapere cos'avrebbe voluto mio padre, quando non sai, non sapevi, nulla di lui? A parte, naturalmente, che è morto!» aggiunse con veemenza.

    Gregorio sapeva molto di più su Jacob Fairbanks di quanto ovviamente sua figlia pensasse. «Ripeto, questo non è il momento per una simile conversazione. Ne riparleremo quando sarai più calma» replicò lui, passando a sua volta al tu.

    «Per quel che ti riguarda, questo non accadrà mai» gli assicurò lei, con voce dura per il disprezzo.

    Gregorio si rimangiò la risposta, consapevole che l'aggressione di Amelia Fairbanks fosse dovuta al dolore per la recente e inaspettata perdita del padre. Jacob era un uomo per cui Gregorio aveva nutrito un profondo rispetto e con cui aveva subito simpatizzato, sebbene dubitasse che ora sua figlia gli avrebbe creduto. Sui giornali erano apparse diverse fotografie di Amelia dopo la morte improvvisa di suo padre due settimane prima, ma avendola già incontrata e desiderata di persona, Gregorio sapeva che nessuna di quelle immagini le aveva reso giustizia. I suoi capelli, lunghi fino alle spalle, non erano semplicemente rossi, ma accesi da mille sfumature dorate e color cannella. I suoi occhi erano di un intenso, profondo grigio, con un anello scuro attorno all'iride. Lei era comprensibilmente pallida, ma quel pallore non sminuiva la stupefacente bellezza dei suoi zigomi alti, o la levigatezza della sua pelle simile a quella di una magnolia. Lunghe ciglia scure incorniciavano quegli stupefacenti occhi grigi, insieme a un naso piccolo ed elegante e labbra piene, simili a un bocciolo, su un mento determinato. Era piccola di statura e snella, ma l'abito nero che indossava sembrava penderle un po' troppo largo, come se avesse perso peso di recente, cosa che era ovviamente accaduta. Amelia Fairbanks era davvero una bella donna e la fitta acuta di desiderio che lui avvertiva soltanto nel guardarla e nel respirare la nota speziata del suo profumo, era del tutto inappropriata, vista la triste occasione. «Ne riparleremo, signorina Fairbanks.» Questa volta il suo tono non ammetteva replica.

    «Non credo proprio» rispose lei, disdegnando la sua certezza.

    Oh, se si sarebbero incontrati di nuovo! Gregorio si sarebbe assicurato che accadesse. Il suo sguardo era cauto, mentre le rivolgeva un inchino e si voltava ad attraversare il prato, per poi salire su una limousine nera che lo attendeva appena fuori dal cimitero.

    «Señor de la Cruz?»

    Gregorio alzò lo sguardo e vide che Silvio, una delle sue due guardie del corpo, gli porgeva un fazzoletto. «Ha del sangue sulla guancia. Non il suo, ma quello della donna» gli spiegò, quando Gregorio gli rivolse un'occhiata interrogativa. Lui afferrò il fazzoletto e se lo passò sulla guancia, poi abbassò lo sguardo sul sangue che ora macchiava il cotone bianco. Il sangue di Amelia Fairbanks. Distrattamente, lo infilò nel taschino della giacca, mentre con lo sguardo la individuava di fianco al feretro, ferma accanto a una donna bionda alta. Amelia sembrava piccola e vulnerabile, ma la sua espressione non era per nulla composta, mentre faceva un passo avanti per posare una sola rosa rossa sulla bara di suo padre. Che lei lo desiderasse o meno, Gregorio e Amelia Fairbanks si sarebbero incontrati di nuovo. L'aveva sempre desiderata in quei due mesi, poteva attendere ancora un po', prima di pretenderla.

    1

    Due mesi dopo

    «Non mi sono mai resa conto di avere accumulato così tanta roba» gemette Lia, mentre trasportava un'altra enorme scatola di cartone nel suo nuovo appartamento e la sistemava insieme a un'altra dozzina ammucchiata nel piccolo salotto. «Sono certa che la maggior parte di questa roba non mi serve, non ho proprio idea di dove sistemerò tutto.» Si guardò attorno nel minuscolo appartamento londinese, composto da salotto con cucina a vista, una camera da letto e un bagno. Era di gran lunga rimpicciolito, rispetto alla casa a tre piani in stile Regency dove aveva vissuto con suo padre. I poveri non potevano scegliere. Non che Lia si definisse esattamente tale, aveva un po' di denaro da parte, lasciatole da sua madre, ma ora lo stile di vita agiato che aveva condotto per tutti i suoi venticinque anni di vita non esisteva più. I beni di suo padre erano stati congelati nell'attesa che venisse valutata la portata dei suoi debiti e venissero estinti dai suoi esecutori testamentari, il che avrebbe richiesto mesi, se non anni. Considerando la pessima situazione finanziaria in cui si era trovato suo padre prima di morire, Lia dubitava che sarebbe rimasto qualcosa. La loro casa di famiglia era stata uno di quei beni e, sebbene lei avesse potuto continuare a viverci, finché tutto non fosse stato sistemato, aveva preferito non farlo. Anche gli strozzini erano già in azione come squali, pronti ad assicurarsi i beni delle Industrie Fairbanks, appena gli esecutori avessero deciso quando e come sarebbero stati liquidati per pagare i debiti. Lia aveva usato il proprio denaro per pagare le spese del funerale e il deposito su quell'appartamento, oltre ai pochi mobili che aveva ritenuto necessari per riempire i piccoli spazi. Non le era stato permesso di prendere nulla dalla casa, a parte i suoi oggetti personali. Aveva rassegnato le dimissioni da tutte le attività di beneficenza che avevano sempre impegnato molto del suo tempo. Con suo padre morto e le sue proprietà confiscate, quegli enti non consideravano più il nome Fairbanks utile alla loro causa! Lia aveva anche cercato e trovato un lavoro che la retribuiva con un vero stipendio. Aveva bisogno di riuscire a guadagnare abbastanza per mantenersi e pagare l'affitto di quell'appartamento. Essere stata capace di riappropriarsi della propria vita la faceva sentire stranamente bene.

    «Devi avere pensato che ne avevi bisogno, quando hai fatto i bagagli» osservò Cathy, senza aggiungere ciò che entrambe sapevano: un sacco dei contenuti di quelle scatole non erano affatto di Lia, ma si trattava di oggetti personali di suo padre che le era stato permesso di prendere dalla loro casa. Oggetti che non avevano valore, ma che avevano significato qualcosa per lui e che Lia non poteva sopportare di lasciare. Lia aveva messo tutte quelle scatole da parte negli ultimi due mesi, mentre era rimasta dalla sua cara amica Cathy e da suo marito Rick. Era stato un vero e proprio balsamo per i suoi sentimenti distrutti, ma era una situazione che di certo non poteva continuare indefinitamente. Da qui il suo trasferimento in quell'appartamento. A stento aveva superato lo shock devastante di trovare suo padre accasciato sulla scrivania del suo studio, morto in seguito a un attacco di cuore che, le avevano assicurato i medici, lo aveva ucciso all'istante. Un modesto conforto, visto che si parlava dell'uomo che Lia aveva amato con tutta se stessa. A volte desiderava ancora trovarsi in preda a quella sorta di torpore. Il vuoto lasciato dalla perdita così repentina del padre era irreparabile. Spesso le capitava, quando meno se lo aspettava, di sentirsi soffocare da una sofferenza profonda e invalidante, magari quando era in coda al supermercato, o mentre passeggiava nel parco, perfino quando era distesa in una vasca di bagnoschiuma profumato. Lo smarrimento la colpiva con la forza di un rimorchio, debilitandola del tutto finché il peggio del dolore passava.

    «Penso sia il momento di un bicchiere di vino» annunciò Cathy. «Hai idea di quale di queste scatole contenga i bicchieri?» chiese sorridendo.

    «Sono in difficoltà con lo spazio, ma ragiono!» esclamò Lia, mentre si dirigeva verso la scatola con la dicitura Cristalli e la apriva, estraendone due bicchieri avvolti in carta di giornale. «Ta-daaa!» glieli porse trionfante. Non aveva idea di cosa avrebbe fatto senza lei e Rick dopo che suo padre era morto. Lia e Cathy erano amiche dall'età di tredici anni, quando avevano frequentato lo stesso collegio. Cathy era come la sorella che non aveva mai avuto e, fortunatamente, lavorava come agente immobiliare. Era stata lei che aveva trovato a Lia quell'appartamento così a buon mercato. La loro amicizia le aveva sempre arrecato beneficio.

    «Ora dovresti tornare a casa da tuo marito» la incoraggiò, sorseggiando il vino. «È tutto il giorno che Rick non ti vede.»

    Rick Morton era uno degli uomini più gentili che Lia avesse mai incontrato e si era dimostrato amico quanto Cathy, specialmente in quegli ultimi due mesi. Ma il pover'uomo doveva avere desiderio di riappropriarsi di moglie e appartamento.

    «Sei sicura che starai bene?» si preoccupò Cathy.

    «Benissimo» confermò convinta Lia.

    Quel pomeriggio avevano persuaso Rick ad andare e godersi una partita di calcio con i suoi amici. Una piacevole pausa per lui che aveva permesso a Cathy di aiutare Lia a trasferirsi nella sua nuova casa. Ma c'era un limite per quanto poteva intromettersi nel matrimonio della coppia.

    «Inizierò a sistemare l'occorrente per farmi il letto e mi cucinerò qualcosa di leggero prima di andare a dormire.» Lia sbadigliò, era stata una lunga giornata. «Non ho solo un nuovo appartamento da organizzare, ma devo anche prepararmi per il mio nuovo lavoro lunedì mattina!»

    «Ce la farai» rispose Cathy infilandosi la giacca.

    Lia ne era certa. Dopo quegli ultimi due mesi sapeva di essere in grado di badare a se stessa. Tuttavia, doveva ancora combattere le farfalle che le attaccavano lo stomaco, ogni volta che pensava a tutti i cambiamenti da quando suo padre era... morto. Si sentì soffocare di nuovo a quella parola, probabilmente perché non riusciva ancora a credere che

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