Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Draghi, Falchi e Colombe
Draghi, Falchi e Colombe
Draghi, Falchi e Colombe
E-book275 pagine4 ore

Draghi, Falchi e Colombe

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il libro ricostruisce gli otto anni di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea (Bce).
Otto anni sempre sotto i riflettori, decisivi per l'economia dell'Europa e dell'Italia.
Mario Draghi ha innovato la politica monetaria, ha portato l'Europa nel mondo dei tassi negativi e ha gestito con grande abilità il board della Bce, sempre diviso tra falchi e colombe sulla condotta ottimale da tenere.
È stato un mago delle parole e, come gli altri banchieri centrali, si trova ora a un bivio epocale: quali devono essere i nuovi obiettivi della politica monetaria? Quali i nuovi strumenti attivabili dopo le stagioni dei bazooka e dell'inondazione di liquidità?
Occorre rendere ordinaria la politica monetaria straordinaria di questi, oppure provare a rinormalizzare gli interventi su tassi e liquidità?
Ed ancora: quale è il consuntivo e quali sono le prospettive per l'Italia di avere l'Euro come valuta?
Più in generale, in gioco c'è lo stesso destino della fiducia nella moneta e della reputazione dei banchieri centrali.
È anche questa l'eredità che Draghi lascia a Christine Lagarde alla guida della Banca centrale europea.
LinguaItaliano
Data di uscita16 ott 2019
ISBN9788832494556
Draghi, Falchi e Colombe

Correlato a Draghi, Falchi e Colombe

Ebook correlati

Economia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Draghi, Falchi e Colombe

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Draghi, Falchi e Colombe - Donato Masciandaro

    Prefazione

    In una Italia messa sottosopra dai giri di valzer della politica c’è un nome che, a proposito o sproposito, viene spesso evocato in ambienti molto diversi: Mario Draghi, protagonista dell’epopea degli anni trascorsi alla guida della Banca centrale europea, è tra i pochi italiani che ha un patrimonio importante di credibilità e stima da spendere a livello internazionale. La scelta dell’interessato, almeno finora, è stata di respingere al mittente con grande cortesia dei modi ma altrettanta determinazione ogni tentativo di tirarlo per la giacchetta. In futuro si vedrà.

    Opinione diffusa è che, prima o poi, dovrà cedere agli appelli di chi lo considera l’uomo giusto a cui affidare l’impresa più difficile: ridare slancio e spinta allo sviluppo di un Paese da troppo tempo ripiegato su se stesso. Le inchieste della magistratura, negli anni Novanta, hanno spazzato via la prima e la seconda linea dei partiti della Prima Repubblica. Poi, con il tramonto delle ideologie, hanno fatto la stessa fine anche gli stessi partiti. Destino non migliore ha avuto la Seconda Repubblica, contraddistinta da una mancanza di leadership che caratterizza l’intera società e non soltanto la politica.

    Nell’attesa di verificare se Draghi resisterà alle sirene che gli chiedono e gli chiederanno un impegno personale per un rilancio effettivo del Paese Italia, gli va dato atto che verrà ricordato come un presidente della Bce che ha lasciato il segno. E questo nonostante due handicap di partenza. Il più importante è di carattere strutturale. Logica avrebbe voluto che prima venissero gettate le fondamenta politiche dell’Europa unita e dopo si ponesse il problema della moneta e delle sue regole.

    Esattamente il contrario di quanto è avvenuto con la partenza dell’Unione europea. Prima sono nati l’euro e la Bce, mentre l’Unione europea è rimasta sulla carta mantenendo la piena autonomia degli Stati. Draghi, di conseguenza, ha regnato mentre l’Europa era ancora da costruire. Per di più dovendo fare i conti con una congiuntura del tutto sfavorevole. L’esordio è stato nel 2011, quando ferite e lacerazioni della Grande crisi deflagrata nel 2007 erano ancora da rimarginare.

    Il secondo handicap sono state le performance deludenti del suo predecessore, il francese Jean Claude Trichet. La critica nei suoi confronti è unanime, o quasi: avere sbagliato le ricette da applicare per il rilancio dell’economia europea. E, in particolare, la politica dei tassi. Di sicuro, con una scelta di cui gli va dato merito, Draghi non ha perso tempo avviando una inversione di tendenza netta rispetto alla gestione precedente sulla politica dei tassi d’interesse, come risulta ampiamente dagli scritti di Donato Masciandaro, pubblicati da Il Sole 24 Ore e raccolti in questo volume.

    La scelta era indispensabile ed è risultata determinante per ridare fiato all’intera economia europea. L’Italia è stata tra i Paesi che ne hanno tratto giovamento ed è un altro motivo di riconoscenza nei suoi confronti. Ha saputo farlo superando le diffidenze, e anche l’opposizione aperta, di buona parte dei banchieri tedeschi e dei Paesi rigoristi del Nord Europa. Ciò è avvenuto dimostrando una dote aggiuntiva: il saper parlare il linguaggio della politica, come non sempre i banchieri sanno fare.

    Per questo ha dovuto spendere il patrimonio di relazioni e credibilità accumulato negli anni. A partire dai rapporti preferenziali con i migliori rappresentanti dell’establishment americano, che ha ben conosciuto negli anni trascorsi con incarichi importanti in Goldman Sachs. Ma anche con il canadese Mark Carney, primo non britannico alla presidenza della Banca d’Inghilterra. Certamente è servito per dare forza alle posizioni coraggiose prese da Draghi nelle scelte d’intervento della Bce assicurando liquidità ai mercati in momenti straordinariamente difficili dell’economia europea, e non soltanto europea.

    Ma è altrettanto vero che proprio queste scelte coraggiose gli sono costate un rapporto dialettico, e in più di una occasione perfino conflittuale, con la Germania e buona parte dei Paese più rigoristi del Nord Europa. Draghi, gli va dato atto, non si è scomposto più di tanto e ha saputo tenere botta nel modo migliore. Verrà ricordato per l’uso sapiente e bene argomentato di quello che è stato definito il bazooka della Bce, cioè l’immissione di liquidità sui mercati.

    Una politica monetaria che, tra l’altro, è servita anche all’Italia per limitare i danni di una congiuntura difficile e di un debito pubblico troppo elevato. Lo ha fatto arrivando a utilizzare il linguaggio della politica e un linguaggio nuovo. Il bilancio, per lui e per la Bce, è ampiamente positivo. Culminato nel gestire il delicato capitolo della successione. Alla fine è prevalsa Christine Lagarde, politica e avvocato francese, in passato al vertice del Fondo monetario internazionale. Il che significa la linea della continuità con le decisioni prese da Draghi durante il suo mandato.

    E soprattutto ha perso il partito dei rigoristi, che ha cercato di cogliere al volo l’occasione per una svolta in Bce, con l’obiettivo di far prevalere i falchi sulle colombe. Il problema vero, tuttavia, è un altro. Come hanno ben presente sia Draghi sia Lagarde, gli interventi di politica monetaria sono arrivati al capolinea. L’aumento della liquidità nel sistema non basta più. Ora serve altro. La grande sfida è far fare all’Europa un salto di qualità: la politica monetaria, in assenza del rilancio di un nuovo progetto europeo non riuscirà più nel ruolo sostitutivo e di supplenza.

    Per ridare slancio all’Unione europea occorre puntare alto, ritrovare gli slanci e le emozioni che hanno permesso di sognare una Europa protagonista insieme ai colossi americani e cinesi. In caso contrario i Paesi europei, il mercato più importante dei consumi mondiali, dovranno rassegnarsi a essere terreno di conquista di Washington e Pechino. Non c’è scampo, al di là delle illusioni e della retorica dei sovranisti, uniti nelle critiche alla gestione Draghi della Bce ma per il resto divisi perfino tra loro. L’alternativa è la fine ingloriosa del sogno europeo e un ruolo marginale dell’Europa sullo scacchiere internazionale. A una condizione: il sogno europeo dovrà essere rilanciato nell’interesse dei cittadini d’Europa e non solo dei Paesi dominanti.

    FABIO TAMBURINI

    Introduzione

    Il libro ricostruisce gli otto anni di Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea (Bce). Il racconto delle scelte di politiche monetarie vuol essere il filo rosso per offrire al lettore informazioni e conoscenze utili per formarsi un giudizio su otto anni cruciali per l’Area euro in generale e per il nostro Paese in particolare, se si vogliono inquadrare le vicende specifiche della politica economica nazionale nel quadro più ampio dell’evoluzione della moneta comune. Sono stati otto anni in cui la politica monetaria e la Banca centrale sono state sistematicamente sotto i riflettori, con un continuo dibattito su quale avrebbe dovuto essere – e quale dovrà essere d’ora in avanti – la condotta ottimale, in cui si sono confrontate – anche in modo acceso – posizioni sovente opposte; sono i falchi e le colombe del nostro titolo. Gli stessi falchi e colombe che vivacizzeranno – ne siamo certi – i giorni del prossimo presidente Bce, Christine Lagarde.

    L’azione della Bce è inquadrata all’interno di quello che è stato uno scenario macroeconomico davvero straordinario, in termini di difficoltà da affrontare: la doppia recessione – prima il 2008, poi la ricaduta del 2011 – si è intrecciata con il rischio dei debiti gemelli (sovrani e bancari) in un contesto di trappola della liquidità – vale a dire quando il tradizionale canale porta dai tassi di interesse a breve termine alla crescita economica e dei prezzi.

    L’unicità dell’euro quale moneta sovranazionale che regola gli scambi di 19 diversi Paesi avanzati fa diventare speciale anche l’analisi della Banca centrale che lo governa: una istituzione monetaria che è, da un lato, un organismo pubblico e internazionale e, dall’altro, è formalmente indipendente sia dai governi nazionali ed europei, che dai mercati finanziari e dalle banche su cui esercita la sua influenza. Il racconto della politica monetaria significa allora mettere in luce certamente la corrispondente analisi macroeconomica, ma anche l’influenza che politici e mercati possono cercare di avere sul governo nella moneta. Il banchiere centrale interagisce – formalmente e non – con una pluralità di attori politici; basti pensare che negli otto anni coincidenti con la presidenza Draghi ci sono state due elezioni del Parlamento europeo – 2014 e 2019 – e in Italia si sono succeduti cinque governi – Berlusconi, Monti, Renzi, Gentiloni e Conte.

    Inoltre, nelle scelte monetarie le persone contano. Perciò bisogna provare ad applicare ai banchieri centrali quello che la più recente analisi economica continua a suggerire: le decisioni individuali non sono sempre necessariamente razionali – nel senso tradizionale del termine – ma anche la psicologia può contare. Oggi si dice che la politica monetaria è fatta sempre di più di un mix di fatti e parole. Perciò nella narrazione di quello che è avvenuto, come nel riflettere su quello che potrà accadere, occorre attingere a una cassetta degli attrezzi in cui vi siano non solo gli strumenti delle scienze economiche e politiche, ma anche i suggerimenti offerti dalla scienza delle decisioni e della loro comunicazione.

    Al lettore sono offerte due chiavi di lettura. Vi è la prospettiva verticale – i primi quattro capitoli – che è rappresentata dal racconto cronologico degli eventi, costruita scegliendo e utilizzando commenti scritti per Il Sole 24 Ore nel momento in cui i fatti avvenivano. Al fine di aumentare l’efficacia del racconto e dell’analisi, all’inizio di ciascun capitolo vi è una sintetica descrizione dei fatti salienti; inoltre in ogni commento il primo paragrafo ne sintetizza i contenuti.

    Segue una prospettiva orizzontale – gli ultimi due capitoli – che presenta un’analisi complessiva della politica monetaria della Bce di Mario Draghi nel periodo in esame, concentrando l’attenzione sui due pilastri – appunto le parole e le azioni – che oggigiorno caratterizzano l’operare di una moderna banca centrale. I lettori più curiosi e sofisticati troveranno nell’ultimo capitolo anche letture consigliate per saperne di più sulla politica monetaria durante e dopo la Grande crisi, in Europa ma non solo. Le due prospettive possono essere seguite in sequenza, ma anche indipendentemente l’una dall’altra. Inoltre, sempre con l’obiettivo di rendere la narrazione snella, si sono evitati grafici e tabelle. Con un’eccezione: nell’ultimo capitolo due tabelle presentano numeri che possono aiutare il lettore che lo vorrà a formulare le sue personali pagelle sul rapporto politica monetaria, Area euro ed economia italiana.

    Capitolo 1

    2011-2013

    La nuova rotta. Whatever it takes

    Nel giugno 2011 diviene ufficiale la notizia che Mario Draghi inizierà il suo mandato come presidente della Banca centrale europea (Bce) a partire dal successivo novembre. L’obiettivo prioritario della politica monetaria è istituzionalmente definito: tutelare la stabilità monetaria. La credibilità della azione della Bce è legato al suo status di indipendenza dalla politica e dalle banche – assicurata dagli articoli 4, 7, 123, 125, 126, 127 e 130 del Trattato dell’Unione europea – che definisce le quattro principali proprietà del suo assetto istituzionale: l’autonomia dai governi nazionali e comunitari; avere come obiettivo macroeconomico principale la stabilità monetaria; non poter finanziare i deficit pubblici, nazionali e/o comunitari; non avere responsabilità di vigilanza bancaria.

    In termini operativi, dal novembre 2003 la Bce aveva definito come stabilità monetaria una variazione dei prezzi al consumo nell’Unione «inferiore, ma vicina», al 2%, in un orizzonte di medio periodo. Tale definizione sostituì quella inizialmente introdotta nel 1998, in cui mancava il «vicina». Dal momento dell’inizio della Grande crisi – che datiamo nell’ottobre 2008, dopo che in settembre era fallita negli Stati Uniti la primaria banca di investimento Lehman Brothers – la politica monetaria della Bce era stata espansiva, con una interruzione: nell’aprile e nel luglio 2011 la Bce aveva innalzato i tassi di interesse, interpretando erroneamente una temporanea ripresa dell’economia. È stato definito l’errore di Trichet, anche se ogni decisione andrebbe sempre valutata con le informazioni disponibili in quel momento. Il primo Consiglio Bce presieduto da Draghi del novembre 2011 coincide con un taglio dei tassi di interesse.

    Intanto nell’ottobre 2010 a Deauville era stata resa pubblica la dichiarazione congiunta Merkel-Sarkozy circa la necessità di far pagare anche ai privati gli eventuali costi di dissesto nei debiti pubblici. Tale dichiarazione viene considerata l’inizio della crisi di fiducia nella solvibilità di alcuni debiti pubblici sovrani, che avrà il suo momento più drammatico qualche anno dopo, con la crisi greca del 2015. In Italia, nel novembre 2011 il governo Monti prende il posto del governo Berlusconi, rimanendo operativo fino all’aprile 2013.

    In quegli stessi anni in Europa emerge il rischio di circolo vizioso tra instabilità dei debiti sovrani e instabilità bancaria, ovvero del rischio delle crisi gemelle; nel giugno 2012 in Italia l’attenzione è sul caso Monte dei Paschi di Siena. Nello stesso periodo – prima il 29 giugno, poi il 9 luglio – l’Euro Summit dichiara la volontà politica di affrontare la questione delle crisi gemelle, presupposto per i successivi passi verso la vigilanza europea e le nuove regole di disciplina fiscale. Emerge anche la necessità di evitare che le decisioni di vigilanza entrino in conflitto con quelle di politica monetaria.

    Dal dicembre 2011 l’orientamento espansivo della politica monetaria si accentua ulteriormente, con la disponibilità della Bce a soddisfare tutta la domanda di finanziamento delle banche con prestiti triennali. Nel 2012 la dichiarazione di Draghi del 26 luglio – whatever it takes – unita all’annuncio nel settembre 2012 della intenzione di mettere in atto – se necessario – Operazioni monetarie incondizionate (Omt) – anche con acquisti diretti dall’emittente – a favore di Paesi però disposti ad accettare programmi di stabilizzazione macroeconomica, scongiura il rischio di una crisi dell’euro.

    TIMONIERE PER MARI AGITATI

    23 giugno 2011

    La Banca centrale europea (Bce) avrà un nuovo presidente. Mario Draghi sarà un ottimo timoniere per il vascello europeo se seguirà la bussola della stabilità monetaria – che è e deve rimanere la stella polare – sapendo che il mare del governo della moneta e dei tassi nasconde sempre un’insidia: i politici, pronti a sacrificare la moneta per i loro interessi miopi o nazionalistici di breve periodo. La stessa elezione di Mario Draghi ha subito dimostrato, visti i comportamenti aggressivi del governo francese e dilettantistici di quello italiano, quanto le ondate della politica possano scuotere lo scafo monetario. E per i prossimi mesi il bollettino annuncia mari mossi.

    Non ci stanchiamo di ricordarlo: a due anni dalla crisi finanziaria, sembra definitivamente tramontata la luna di miele tra politici e banchieri centrali raggiunta in quei mesi turbolenti, che aveva fatto riconsiderare un equilibrio di ruoli oramai ventennale.

    A partire dagli inizi degli anni Ottanta i politici avevano infatti dovuto cedere potere a favore della burocrazia tecnocratica rappresentata dai banchieri centrali. Lo avevano fatto nel momento in cui avevano realizzato che il consenso elettorale si sarebbe giocato sulla capacità di combattere il nemico macroeconomico numero uno: l’inflazione. I cittadini, volendo avere fiducia nella moneta che utilizzavano, avevano scoperto l’importanza della stabilità monetaria. Ma era difficile avere la fiducia nella moneta, almeno fintanto che essa fosse stata sotto il controllo dei politici, che la avevano utilizzata sistematicamente e male. Occorreva separare la gestione della liquidità monetaria dal controllo dell’Esecutivo. Nacquero le banche centrali indipendenti, con la Bce a rappresentare il miglior prototipo.

    La crisi finanziaria aveva fatto riscoprire ai cittadini la centralità di un altro valore: la stabilità finanziaria, cioè l’importanza di avere fiducia nelle banche. Di riflesso i politici si sono subito affrettati a combattere l’instabilità finanziaria. Proprio come vent’anni prima, i politici si sono resi contro che uno strumento essenziale è il controllo della liquidità, in mano alle banche centrali. Da qui l’alleanza: i politici hanno dichiarato che occorreva aumentare il ruolo delle banche centrali a tutela della stabilità finanziaria, cioè coinvolgerle maggiormente nelle funzioni di supervisione e di vigilanza bancaria. Per fare questo, occorreva però fare una inversione a U nella politica istituzionale fino ad allora perseguita. Infatti, proprio per rendere l’azione delle banche centrali sempre più focalizzata sulla stabilità monetaria, e anche per evitare di creare burocrazie troppo potenti, i governi avevano progressivamente allontanato le banche centrali dai ruoli e dalle responsabilità proprie della vigilanza.

    La piroetta nel disegno dei poteri delle banche centrali ha fatto perno su una invenzione istituzionale, ancora tutta da dimostrare sul piano teorico e da realizzare sul piano istituzionale: la distinzione tra micro e macrosupervisione. La macrosupervisione ha come obiettivo la tutela della cosiddetta stabilità sistemica, ed i politici l’hanno sistematicamente assegnata alle banche centrali nelle loro riforme: la legge Dodd Frank negli Stati Uniti, la riforma europea della vigilanza, i progetti dei governi inglese e tedesco.

    Ma, intanto, i mesi sono passati. La crisi finanziaria è sempre più un ricordo, mentre è l’andamento dell’economia reale che ha ripreso il proscenio. I politici hanno sempre meno bisogno di una banca centrale custode della stabilità, mentre vorrebbero un strumento per nascondere la loro incapacità di gestire al meglio i problemi strutturali dei loro Paesi. Ora l’imperativo è la ripresa economica, costi quel che costi, inflazione inclusa. Ed ecco che la Bce può diventare un fastidioso ostacolo, soprattutto se annuncia e attua un percorso di ritorno alla normalità nella dinamica dei tassi e della liquidità. Mentre negli Stati Uniti la Fed continua a essere un utile tappeto rosso a servizio degli i interessi dei politici e delle banche, la Bce guidata da Draghi appare decisa a non derogare alla sua missione di guardiano della stabilità.

    Nei prossimi mesi la rotta non sarà facile: occorrerà indirizzare la dinamica dei tassi e della liquidità in modo da riportare progressivamente i tassi di interesse a un profilo di normalità, creando così le condizioni migliori per la crescita economica. Allo stesso tempo, il monitoraggio delle condizioni dei mercati e delle banche dovrà contribuire a prevenire l’insorgere di nuove situazioni di turbolenza finanziaria. Draghi potrà trarre giovamento dall’esperienza che il suo equipaggio ha maturato con il precedente comandante Trichet.

    L’azione della Bce è stata coronata finora da successo perché sia l’obiettivo – principale, di lungo periodo e normale – della stabilità monetaria sia quello – secondario, straordinario e di breve periodo – della stabilità finanziaria sono stati tutelati manovrando al meglio i due strumenti dei tassi e della liquidità. Nei prossimi mesi non si possono escludere altre situazioni agitate. Draghi dovrà continuare a essere tutelato dai presidi dell’indipendenza e della accountability, nonché dai riflettori della pubblica opinione, in modo da poter gestire al meglio il mix tra stabilità delle regole e flessibilità degli strumenti, al riparo dalle ondate dei particolarismi politici. Buon vento.

    STABILITÀ FINANZIARIA: COME BATTERE I FALCHI

    26 novembre 2011

    La Banca centrale europea (Bce) può preoccuparsi della stabilità finanziaria senza dover modificare il Trattato europeo né scimmiottare la Banca centrale americana (Fed). L’ostacolo dei falchi nel Consiglio può essere contrastata con una riforma da parte di Draghi delle regole interne di accountability, aumentando la trasparenza delle decisioni.

    La perdurante tempesta sul mercato dei titoli pubblici dei Paesi dell’Unione europa, in attesa delle uniche decisioni che contano – quelle sulla riforma del Patto di stabilità – può essere fronteggiata nell’immediato solo da una svolta nella politica monetaria della Bce. Su questo punto l’accordo nel dibattito appare essere tendenzialmente plebiscitario. Peccato che tale consapevolezza venga quasi sempre accompagnata da considerazioni sbagliate.

    Il primo errore è affermare che la Bce possa preoccuparsi della stabilità finanziaria solo cambiando il Trattato. La Banca centrale europea ha come suo obiettivo primario la tutela della stabilità monetaria, che si concretizza in un andamento moderato dell’inflazione. Finché l’inflazione e le relative aspettative sono sotto controllo, la Bce può preoccuparsi del corretto funzionamento dei mercati finanziari, condizione necessaria per aumentare l’efficacia della stessa politica monetaria. Quindi senza cambiare il Trattato la Bce può definire la politica di stabilità finanziaria più opportuna. Cambiare il Trattato – magari per cambiare il mandato della Bce e quindi la sua indipendenza – non solo è un processo lungo, ma soprattutto non serve a niente, anzi. Chi auspica per la Bce un mandato tipo Fed vada a vedere i danni che ha fatto e sta ancora facendo una banca centrale che, in virtù della sua discrezionalità, è oggetto di cattura sia dei politici che delle banche.

    Ma quale è la politica finanziaria ottimale? Qui occorre la svolta: occorre che la Bce annunci che, finché l’inflazione è sotto controllo, gli interventi sul mercato aperto dei titoli pubblici nonché quelli di rifinanziamento delle banche avranno l’obiettivo di stabilizzare i rendimenti dei titoli pubblici dei Paesi Ue a rischio illiquidità. Questo è il mestiere che sempre hanno fatto le banche centrali nello svolgere le funzioni di prestatore di ultima istanza: assumersi la responsabilità di stabilizzare i mercati quando emerge un rischio illiquidità. A oggi, a meno che l’Unione europea non lo dica esplicitamente, nessun Paese membro – Grecia inclusa – può essere considerato insolvente. È fuori dal perimetro delle responsabilità della Bce stabilire se un Paese membro soddisfi le condizioni economiche e politiche per essere solvibile. Per la Bce tutti i Paesi membri sono per definizione solvibili; se c’è un rischio illiquidità, la Bce – garantita la stabilità monetaria – può intervenire.

    La politica di stabilizzazione dei rendimenti deve poi avvenire senza che la Bce debba partecipare direttamente alle aste dei titoli pubblici. Qui emerge il secondo errore: pretendere che

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1