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Il cieco e la donna di Mariupol
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E-book233 pagine2 ore

Il cieco e la donna di Mariupol

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Info su questo ebook

La meningite ha reso cieco Giosi pochi giorni
dopo la nascita, e gli ha paralizzato in gran
parte la gamba sinistra. Valentina, la sua
badante ucraina di Mariupol, è una donna
attraversata impietosamente dalla tragedia della
sua terra e dalla scomparsa dell’Unione
Sovietica.
Giosi lotta con l’handicap, ma reagisce da una
vita; lo sorreggono gli affetti degli abitanti di
Collebeato e, soprattutto, di mamma Sofia e di
Nando, il padre scampato avventurosamente
alla guerra di Russia e alla prigionia in
Germania. I genitori di Giosi, però, si
avvicinano alla morte e lui sente sempre più
stretta la morsa della depressione, la paura di
rimanere solo… E’ qui che, dopo anni
d’incomprensione reciproca, Valentina, gli si
rivela donna speciale: più il malessere lo
aggredisce con il terrore della solitudine, più
lei vive il proprio cambiamento nei suoi
confronti. L’iniziale rapporto conflittuale tra i due si trasforma, così, in una inedita complicità
di intendimenti, e sfocia in una struggente
amicizia che travalicherà i confini della morte.
Intrigante romanzo dai toccanti risvolti
psicologici, Il cieco e la donna di Mariupol
non limita il racconto ai due protagonisti
principali; si spinge oltre e scruta a fondo
l’anima dei personaggi attraverso un colorato
caleidoscopio dal quale il lettore si staccherà
con rimpianto.
LinguaItaliano
Data di uscita5 mag 2018
ISBN9788898288717
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    Anteprima del libro

    Il cieco e la donna di Mariupol - Francesco Verzura

    Alla gente di Collebeato

    Francesco Verzura

    Il cieco e la donna

    di Mariupol

    GAM editrice

    GAM editrice

    Prima edizione digitale 2018

    Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore.

    È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

    Per il libro cartaceo vedi www.gamonline.it

    ISBN 9788898288717

    Un particolare ringraziamento all’amico Francesco Braghini

    per la supervisione ai testi dialettali.

    Le spettanze dell’autore andranno all'Associazione Missione Oggi.

    Presentazione

    La meningite ha reso cieco Giosi pochi giorni dopo la nascita, e gli ha paralizzato in gran parte la gamba sinistra. Valentina, la sua badante ucraina di Mariupol, è una donna attraversata impietosamente dalla tragedia della sua terra e dalla scomparsa dell’Unione Sovietica.

    Giosi lotta con l’handicap, ma reagisce da una vita; lo sorreggono gli affetti degli abitanti di Collebeato e, soprattutto, di mamma Sofia e di Nando, il padre scampato avventurosamente alla guerra di Russia e alla prigionia in Germania. I genitori di Giosi, però, si avvicinano alla morte e lui sente sempre più stretta la morsa della depressione, la paura di rimanere solo… È qui che, dopo anni d’incomprensione reciproca, Valentina, gli si rivela donna speciale: più il malessere lo aggredisce con il terrore della solitudine, più lei vive il proprio cambiamento nei suoi confronti. L’iniziale rapporto conflittuale tra i due si trasforma, così, in una inedita complicità di intendimenti, e sfocia in una struggente amicizia che travalicherà i confini della morte.

    Intrigante romanzo dai toccanti risvolti psicologici, Il cieco e la donna di Mariupol non limita il racconto ai due protagonisti principali; si spinge oltre e scruta a fondo l’anima dei personaggi attraverso un colorato caleidoscopio dal quale il lettore si staccherà con rimpianto.

    Capitolo 1

    Fernando tornava dal fronte per quell’unico figlio che rischiava di morire appena nato; per questo gli veniva concesso il breve rientro dalla Russia: l’avrebbe almeno visto, quel suo maschio che scottava da giorni per la febbre, e che il medico disperava di salvare.

    Lui, Nando, ancora non lo sapeva, ma l’avevano battezzato subito col nome di Giuseppe, e pregavano per un miracolo.

    La temperatura del piccolo si manteneva costantemente sui quaranta gradi; ed era un vero peccato, perché Giosi - così iniziò a chiamarlo sua madre - aveva subito illuso tutti. Sembrava essere il ritratto della salute; senza poi contare che, capelli scuri e folti come i suoi, a Collebeato non si erano mai visti in testa a nessuno; e pure occhi così, che sprigionavano luce persino al buio.

    Quella mattina, nel loro appostamento sulle rive del Don, gli alpini del battaglione Vestone avevano atteso l’aeroplano con particolare agitazione. Il grosso Caproni Ca. 405, con il carico della posta di Brescia e provincia, era atterrato infatti quasi sei ore dopo il previsto.

    Che sia un altro aereo? si erano chiesti tutti, temendo che il solito corriere fosse stato abbattuto dai russi.

    I sovietici però non c’entravano per niente in quella faccenda: la partenza aveva subito il ritardo di mezza giornata perché a bordo potesse salire anche l’annunciato nuovo comandante; la colpa era quindi tutta sua. In ogni caso la truppa non doveva brontolare, precisò il pilota appena messo il piede a terra.

    Voi di Brescia state zitti aveva esclamato, sentendo il generale brusio. Il colonnello che adesso vedrete non è abituato al casino che fate dalle vostre parti, anche se vi conosce bene, come vi chiarirà lui stesso. Oggi, poi, sarete contenti: di lettere ce n’è il doppio.

    Il nuovo comandante si chiamava Astolfi, e risultò subito simpatico a tutti.

    Ho una valida attenuante per le ore che vi ho fatto attendere, esordì sorridendo. Vengo da Rovigo, e mi comporto quindi come uno spaesato alpino di pianura, non come voi. Pertanto scusatemi; cercherò di rimediare presto al mio grave handicap.

    L’Astolfi svolse velocemente le pratiche di rito, si appartò nella casupola assegnatagli, e attese che la distribuzione della missive fosse terminata. Poi, ricevuti via telegrafo gli ultimi messaggi dall’Italia, chiese che gli recassero l’uomo di cui gli avevano parlato.

    Sei tu il Marezzati di Collebeato? gli domandò, come lo vide.

    Nando trasalì impacciato, e si fece rosso come un pomo. Sissignore!

    Mettiti tranquillo. Ero curioso di vedere chi fossi, perché conosco bene il tuo paese e le sue pesche: i pèrsec, come le chiamate voi. La mia croce, intendo mia moglie, viene da là; è una Trassine. L’ho incontrata a Brescia durante il C.A.R. e non me ne sono più liberato. Da allora, con la scusa della vostra festa dei pèrsec, lei ogni anno prende le proprie masserizie e ritorna a casa per una settimana. Da un lato, devo ammettere che in quei giorni le mie orecchie respirano per un po’; dall’altro, però, non ti dico che testa mi fa quando la rivedo! E, in più, riparte immancabilmente alla carica perché io chieda il trasferimento in quel di Brescia. Perciò, caro Marezzati, prima o poi forse mi incontrerai a Collebeato.

    Ridacchiò di gusto e scosse la testa, perplesso.

    Adesso tieniti forte, riprese, fattosi serio. Mi hanno comunicato che tuo figlio sta male, e mi lasciano decidere cosa fare per te. È il suo primo maschio, mi son detto; sicché non ho avuto dubbi. Perciò sali sull’aereo per l’Italia, e resta a casa in attesa di nuovi ordini… Coraggio!

    Di farsi coraggio Nando ne aveva realmente bisogno; arrivato al paese, infatti, lo comprese ancor di più dagli sguardi delle persone assiepate davanti al suo cascinale. Erano l’intera piccola comunità dei Campiani, la località che guarda dal colle verso la Franciacorta; e stavano là come se attendessero da lui un segno, forse il permesso di poter continuare a pregare e sperare.

    ***

    Giosi, pur essendo cieco, ricordava benissimo la scena; gliel’aveva descritta mille volte sua mamma Sofia per quasi cinquant’anni. Gli aveva proiettato negli occhi bui il film di ogni minuto dell’incredibile epopea del marito; e con una dovizia incredibile di particolari. Mi raccontò dunque tutto di quel fatidico 1942.

    Mio papà era corso a prendermi in braccio, e mi aveva alzato al cielo, fuori dalla culla, provocandomi i brividi per il freddo; ma lui, da incosciente, rideva come un ossesso perché mi dibattevo con forza; riferiva alla mamma di aver visto tanti bambini russi nelle mie stesse condizioni, e giurava che tutti ce l’avevano fatta. Io e la mamma, insomma, eravamo stati oggetto della sua attenzione solo perché proprio non ne poteva fare a meno! Aveva poi continuato a parlare dell’Unione Sovietica e dei contadini incontrati in quel paese, affermando che si trattava di gente come noi e che si facevano anche loro di nascosto il segno della croce, nonostante Stalin glielo vietasse. Diceva che i nostri erano andati in Russia insieme ai tedeschi proprio per questo: cioè per combattere i comunisti atei, e perché là non si vedeva nessun prete. E giurava che, lui e gli altri, a Stalin gliel’avrebbero fatta pagare; ecco perché Mussolini gli aveva mandato contro gli alpini, e non soldati qualsiasi!

    Giosi si mostrava visibilmente fiero di suo padre; sembrava vederselo di fronte, fiero nella sua uniforme, con la penna nera più in vista sopra quella di tutti.

    Diresse quindi bene gli occhi verso di me e riprese a parlare scuotendo la testa.

    Mio padre sarebbe andato avanti per ore a raccontare di sé e della sua guerra: fino a notte, se non avesse sentito bussare con insistenza alla porta. Così, quando vide che si trattava del dottore, si ricordò di noi…Ti rendi conto di che tipo era il papà? Ci voleva bene, ma si comportava da incosciente; però lo faceva per mascherare l’ansia che si portava dentro. Infatti, come il medico gli spiegò quanto ero grave e che sarei rimasto cieco, si mise a piangere come un bambino, e abbracciò la mamma e la baciò a non finire; me no, invece, visto che gli era stato proibito di toccarmi fino a quando non si fosse calmato.

    Giosi mi aveva tratteggiato la figura del papà; ma la sua descrizione in realtà mi era risultata utilissima soprattutto per comprendere l’intenso rapporto che legava lui a sua madre: la donna che, oltre alla completa dedizione, gli aveva regalato i suoi, di occhi. Quelli di Giosi, infatti, si erano spenti quasi completamente nei giorni della malattia che gli avrebbe anche parzialmente paralizzato la gamba sinistra e il piede.

    Io percepisco solo luci e ombre; così riesco però ad intuire se un essere è fermo o in movimento, mi confidò durante la nostra prima passeggiata.

    Al che io commentai istintivamente e ad alta voce: Beh…fra l’essere cieco completamente e il poter distinguere tra il chiaro e lo scuro, non mi sembra ci sia molta diversità.

    Scusami Nico, ma non sai quel che dici! sbottò deciso, anche se non con aria risentita. Se fossi completamente al buio, sarei ignorato da un sacco di gente, cioè dalla maggior parte di coloro che invece si fermano e mi parlano proprio perché mi vedono volgere la testa verso di loro!

    Si fece quindi subito serio.

    Pensa cosa devono provare, invece, i poveri cristi che camminano col bastone bianco! esclamò. Quelli, sì, vengono ignorati da tutti.

    Il discorso di Giosi ebbe su di me l’effetto di uno schiaffo salutare; mi fu chiaro di colpo quanta ignoranza avessero denunciato le mie parole. Sin da quel giorno dunque compresi che, per relazionarmi con lui, dovevo far mio per quanto possibile il suo dramma; solo così sarei entrato nel suo mondo, e lui avrebbe sentito vera la mia amicizia.

    Capitolo 2

    Nando doveva essere stato un vero fusto ai suoi tempi, a detta di Giosi.

    Mica perché è mio padre, ma era il più bello del paese; e il più signore. La mamma se n’è innamorata per questo, e ha patito molto per riuscire a sposarlo. Tutte glielo invidiavano e ci tentavano; e lui ci stava: un po’, s’intende… Ma lei non mollava l’osso, mi capisci? E alla fine l’ha portato all’altare lasciandole tutte a bocca asciutta. In chiesa però c’erano anche loro: con le lacrime agli occhi, che sembravano di commozione per la festa; invece piangevano per la rabbia! L’unica veramente felice era la mamma; me l’ha detto lei.

    E tuo papà come si sentiva in quel giorno? Te l’ha riferito? mi venne spontaneo chiedergli.

    No, no. Lui ride sempre quando glielo domando, e non risponde; ma la mamma sì, se lo ricorda: era nervoso, agitato. E a letto, la prima notte, dopo essersi addormentato, sospirava continuamente; abbracciava il cuscino, lo accarezzava, parlava. E i nomi che faceva erano quelli delle sue amiche!

    Insomma, tuo papà è rimasto un rubacuori anche dopo il matrimonio?

    No, no! Non l’ho mai pensato, neanche a proposito di come si comportava prima. Ho voluto solo dirti che è sempre stato un dongiovanni, ma a posto: soltanto un po’ troppo brillante con le ragazze, come afferma la mamma.

    La storia del brillante con le ragazze mi risulta che Sofia continuò a ripeterla fino a quando Nando salì nell’alto dei cieli, e non solo; tanto è vero che Giosi la sentì spesso brontolare a tal proposito.

    In paradiso, chissà che bordello sta facendo! ripeteva, infatti; e alzava impotente gli occhi al cielo.

    Gelosia a parte, comunque, lei andò sempre fiera del marito e delle sue imprese: di una, in particolare, che spesso agitava come la più inoppugnabile prova d’amore ricevuta. Me la raccontò Giosi, proprio il giorno in cui sua madre compiva novant’anni; ricordo ancora quanto brillavano gli occhi della donna al risentirla dalla bocca di suo figlio.

    Il fatto è che Nando, quella volta, non solo era stato grande, ma aveva anche dimostrato un coraggio da leone.

    ***

    Nando, per una serie di motivi che Giosi non rammentava, non era più ritornato sul fronte russo. Al distretto avevano probabilmente tenuto conto della perdurante grave situazione di suo figlio; sicché da allora prestava servizio a Brescia, presso la caserma Randaccio.

    Dopo l’8 settembre del ’43, nelle trincee dei Campiani si erano sistemati i repubblichini dell’antiaerea, con alcuni nazisti.

    Dalla fine di agosto Nando era a casa in permesso: doveva curare la campagna. Sarebbe rientrato in caserma di lì a due settimane.

    Quel giorno, però, si trovava a un tiro di schioppo dalla nostra cascina mi precisò Giosi. Era ancora impegnato a vendemmiare, con la mamma e con i vicini della collina. Fu l’unico a scattare come una molla quando sentì le grida; si diresse là di corsa, ben sapendo che era proibito attraversare la zona militare, ma lo fece ugualmente. Nessuno riuscì a fermarlo: tantomeno i nazisti, ubriachi e intenzionati a violentare la ragazza. Piombò a sorpresa su di loro, e li staccò a calci dalla giovanetta; dopodiché si allontanò con lei in braccio, senza che quei criminali potessero reagire. Tiratesi su le braghe, infatti, i due si erano accorti che adesso i camerati italiani stavano tutti con i fucili puntati contro di loro.

    Gli occhi di Giosi brillavano come non mai.

    È proprio andata così! insistette ammirato. Lui in mezzo a tutti quelli là, e nessuno che osava parlare; te ne rendi conto, Nico? Devi anche sapere che la ragazza era bellissima: con i capelli biondi come il sole e due tette che, a sentire la mamma, beh!… hai capito. Ed era nüda nüdenta (stranuda), ma il papà non l’ha mai guardata nemmeno una volta, finché è arrivato alla vigna. E, poi, sai cos’ha fatto? L’ha messa in braccio alla mamma!

    Giosi rideva come un matto; rievocando la scena si immedesimava nei panni di suo padre e si fregava le mani in segno di autocompiacimento.

    Aggiunse poi che, uno di quei fascistelli dei Campiani, il papà se l’era ritrovato qualche giorno dopo sul marciapiedi della stazione ferroviaria, appena prima di salire sul vagone per la Germania; il giovane voleva che udisse le sue parole.

    Mi dispiace per la settimana scorsa, gli aveva confidato. "Mi sono sentito un vigliacco; avrei potuto oppormi ai due delinquenti, ma avevo paura del giudizio degli

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