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Il Sopravvissuto
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E-book232 pagine3 ore

Il Sopravvissuto

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Info su questo ebook

Un evento inspiegabile e quantomai bizzarro catapulta il giovane Pietro in una realtà post apocalittica che lo vede come unico sopravvissuto. Grazie alle nozioni acquisite nel corso della sua breve vita, l’assennato e riflessivo tredicenne riesce a barcamenarsi tra necessità, imprevisti e incontri inaspettati. Francesco Cristadoro mette in scena il tema universale della sopravvivenza, mostrando come anche i giovanissimi possano cavarsela se messi di fronte alla più grande delle sfide, lottare per la vita.

Francesco Cristadoro è un Generale in congedo dell’Esercito. Nell’ambito dell’attività di volontariato intrapresa dopo il congedo, ha condotto una sperimentazione di “dialogo fra vecchie e nuove generazioni” lungo un biennio, che lo ha portato a contatto con adolescenti di tutte le età. Nell’ambito di tale sperimentazione, si è iniziata la stesura a più mani di un romanzo che coinvolgesse i ragazzi dal punto di vista emotivo, educandoli a dare forma scritta alla loro interiorità attraverso un lavoro di razionalizzazione del pensiero. Questo romanzo, che è anche opera di esordio, altro non è che la soluzione dell’autore al tema trattato con gli adolescenti durante gli incontri: la sopravvivenza.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2018
ISBN9788856794632
Il Sopravvissuto

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    Anteprima del libro

    Il Sopravvissuto - Francesco Cristadoro

    Sopravvissuto

    L’EVENTO

    Era una di quelle rare giornate d’autunno con un sole particolarmente luminoso, il cielo terso di un azzurro intenso e un’atmosfera limpida, cristallina. Un leggero vento muoveva le chiome dei platani che regalavano una cascata di foglie multicolori alla vista di tante persone che camminavano verso il mercato del sabato. I bambini nelle carrozzine cercavano invano di prenderne qualcuna al volo, protendendo le loro piccole braccia. Qualche genitore più sensibile fermava la carrozzina, si chinava e ne raccoglieva alcune fra le più pulite e colorate per regalare un sorriso al proprio piccino.

    Era un sabato come tanti altri per l’animazione che c’era nelle strade, ma diverso a giudicare dalla luce intensa che a tutto portava più colore: all’erba, per esempio, di un verde intenso e lucido; all’asfalto che, per via dell’umidità autunnale, sembrava un tapis-roulant di una magica sostanza lucida e levigata che si poteva vedere solo in certi videogiochi.

    Pietro, come tutti i sabati del periodo scolastico, era uscito di casa un po’ di fretta, poco prima delle dieci, per raggiungere la piscina vicina al palazzo del Comune dove, fra l’altro, sua mamma lavorava perché era il sindaco in carica da pochi mesi.

    I minuti di tempo che aveva ancora disponibili per non arrivare in ritardo erano veramente pochi e la paura di prendersi una sgridata dall’istruttore gli avevano messo le ali ai piedi, nel senso che stava dando un ritmo forsennato alle pedivelle della bicicletta e, con l’aumentare della velocità della bici, aumentavano anche le imprudenze che commetteva su e giù dai marciapiedi slalomando fra passanti, automobili, bambini che giocavano, anziani che, camminando lentamente, si raccontavano le loro cose di sempre.

    Arrivò trafelato e un po’ sudato all’ingresso della piscina, e con fare febbrile assicurò la bicicletta con una robusta catena e relativo lucchetto ad un tubolare d’acciaio che serviva da corrimano. Entrò correndo nell’androne, portando la sacca con tutto l’occorrente sulle spalle a mo’ di zainetto; lanciò un rapidissimo saluto alla simpatica signora Laura, l’impiegata della reception di turno quella mattina, aprì la porta dello spogliatoio maschile e vi si infilò. La signora Laura, vedendoselo passare davanti come se fosse stato sparato da un cannone, gli urlò di rimando che il suo minuto di ritardo non sarebbe stato poi la fine del mondo!

    Pietro, però, pur essendo un ragazzino di soli tredici anni, era stato educato al rispetto delle regole e anche un solo minuto di ritardo rispetto all’orario stabilito per l’inizio della lezione di nuoto gli pesava non poco. Quindi si spogliò con movimenti rapidissimi, quasi frenetici, indossò il costume, afferrò la cuffia e gli occhialini dalla sacca laterale del borsone, si bagnò un poco sotto una delle docce e fece il suo ingresso all’interno dell’enorme locale piscina. I suoi compagni di nuoto, una ventina di maschi e femmine più o meno suoi coetanei, erano già dentro l’acqua e prendevano i primi ordini da un robusto quanto giovanissimo istruttore in tuta da ginnastica.

    Pietro decise in un istante che non era né il caso di salutare, né di entrare in acqua lentamente dalla scaletta, come normalmente tutti facevano,lui compreso. Si turò il naso con il pollice e l’indice della mano destra e, rigido come un palo, si tuffò a candela dove l’acqua era più alta, senza esitazione.

    L’acqua tiepida lo accolse in un abbraccio così piacevole che lui non fece nulla per riemergere immediatamente, anzi fece in modo, stando più che poteva perfettamente immobile, di far durare la risalita in superficie il maggior tempo possibile. Si diede anche il piacere di guardare in su per godersi l’avvicinamento lento della superficie un po’ mossa, dove già a quell’ora del mattino si rifletteva la luce dei primi raggi di sole che filtravano dalle enormi vetrate.

    Nei pochi attimi della risalita verso la superficie pensò che l’istruttore non avrebbe certamente notato in suo ingresso in vasca in ritardo e questo pensiero intimamente lo confortava.

    Come mise fuori la testa, cominciando a sgambettare per galleggiare in posizione verticale e accompagnandosi anche con movimenti delle braccia, ebbe la sensazione che qualcosa non andasse: il grande baccano che i suoi compagni facevano in acqua prima del tuffo si era tramutato in un silenzio irreale e, guardando bene, non si vedevano né teste fuori dall’acqua, né braccia che si sbattevano in infinite combinazioni come fino a qualche istante prima. Tuttavia, non era il silenzio che lo stupiva di più, quanto il veder galleggiare sull’acqua una moltitudine di costumi e cuffie di tutti i colori e modelli, mentre una quantità di occhialini, oscillando come foglie cadute da un albero, raggiungevano lentamente il fondo della vasca. Che scherzo era mai questo? E perché farlo proprio a lui? Certo, da quando sua mamma Rosa era diventata sindaco molti gli dicevano che ora era un ragazzino speciale, non foss’altro perché era il figlio della più importante carica pubblica del paese. Scherzo speciale a ragazzino speciale? L’equazione poteva essere accettabile, ma come ci erano riusciti, in pochi secondi, a togliersi costumi, cuffie ed occhialini e ad andare a nascondersi tutti negli spogliatoi? E perché anche l’istruttore e i bagnini presenti si erano denudati, stando alla presenza delle loro tute ai bordi della vasca? Non era scandaloso che anche loro, adulti, si spogliassero e si mischiassero con i bambini? E poi perché scappare negli spogliatoi senza nemmeno calzare le ciabatte che erano tutte lì in ordine sparso a bordo piscina? Mentre questi pensieri affollavano la sua mente, nuotava lentissimamente fra i costumi e le cuffie che galleggiavano beatamente intorno a lui quasi fosse una cosa normale. Malgrado la situazione paradossale, non sentiva fretta di uscire dall’acqua, particolarmente calda quella mattina e quindi tanto, ma tanto piacevole. Indugiò un poco aggrappandosi al galleggiante multicolore che separava la sua corsia dalla successiva e pensando cosa era meglio fare. Pietro era un ragazzino difficilmente impressionabile e questa qualità gliela aveva costruita, se così si può dire, suo padre che era un pilota dell’aviazione civile. Si disse che, se era uno scherzo, con i tempi che corrono oggi, già qualcuno lo stava segretamente riprendendo con un telefonino per immortalare le sue reazioni che, più fossero state scomposte e ridicole, più avrebbero fatto morire dalle risate mezzo mondo. In fondo, con tutto quello che si vedeva in televisione in programmi tipo Paperissima o nei filmati, quasi sempre costruiti, che circolavano su YouTube, l’ipotesi dello scherzo da far girare in rete era veramente la più plausibile.

    Da ragazzino con il senso dell’ironia quale era, pensò ad un contro scherzo. In pochi istanti radunò tutti i costumi e le cuffie sul bordo della piscina, in prossimità della scaletta d’uscita, e riempì, come fossero proiettili, le cuffie con i vari costumi. Aveva realizzato così una ventina di rudimentali bombe di tessuto ben bagnato che avrebbe usato come si usano i gavettoni d’acqua l’ultimo giorno di scuola. Quindi attese paziente che i primi si affacciassero sulle porte d’uscita dei locali docce per prendersi la loro bella razione di stracci bagnati in faccia. Rideva dentro di sé al solo pensiero della scena! Certo che se ci fosse stato vicino a lui anche il suo amico Jacopo ad aiutarlo, il bombardamento sarebbe stato molto più intenso ed efficace. Jacopo però, per scelta dei genitori, frequentava la piscina di una frazione a pochi chilometri dal paese. Attese stando quasi totalmente immerso per non prendere freddo, ma già aggrappato alla scaletta d’uscita per scattare fuori di sorpresa! Durante l’attesa i suoi occhi fecero un giro d’orizzonte dell’immenso locale: notò, fra le altre cose, che tutti i borsoni che alcuni avevano l’abitudine di portare dentro erano ancora sulle panche e un buon numero di accappatoi era appeso ai ganci sulle pareti. Se vogliamo, pensò, quella era una vera ingenuità, perché, senza indumenti, negli spogliatoi avrebbero preso un gran freddo.

    Mentre questi ed altri pensieri fluttuavano nella sua mente, fra i quali anche quello cattivissimo di vendicarsi buttando in vasca borsoni, accappatoi, ciabatte e quant’altro, passarono quasi cinque minuti senza che nulla di significativo fosse avvenuto. O meglio. Quando aveva tirato fuori la testa dall’acqua, nell’improvviso silenzio della piscina gli era sembrato di sentire degli schianti a ripetizione all’esterno, come se le macchine in transito davanti all’ingresso si fossero messe a giocare all’autoscontro. Ma forse si trattava solo dei rumori del cantiere della palazzina in costruzione di fianco all’asilo, sull’altro lato della strada rispetto all’ingresso.

    Decise di uscire dall’acqua perché credeva che quei deficienti nudi che si erano nascosti, chissà dove e perché, avevano superato il limite della deficienza!!! Lo scherzo, se di scherzo si trattava, era a dir poco demenziale. Loro sì che avrebbero fatto ridere mezzo mondo su YouTube, tutti nudi e infreddoliti accalcati negli spogliatoi, e non lui che, almeno apparentemente, era solo un osservatore di quanto stava accadendo. Nel locale docce non c’era nessuno, come neanche all’interno dei due gabinetti che avevano le porte spalancate. Nessuno nei cinque camerini e nessuno nello spogliatoio comune, anche se, cosa strana, per verificare dappertutto era stato costretto a slalomare fra mucchietti di vestiti, scarpe, berretti, sacche che sembravano appartenere ad adulti che si erano apparentemente spogliati. Singolarmente, tutte le loro cose personali erano impilate sul pavimento, quasi che si fossero riusciti a sfilare tutto in un colpo solo. Veramente curiose e pazzesche come immagini, e il tutto dava un senso di ordinato disordine. Si mise il suo accappatoio, tirò su il cappuccio per stare più caldo, strinse bene la cintura di tessuto e, per capire meglio ciò che aveva davanti agli occhi, con i piedi calzati nelle ciabatte e con molta circospezione allargò il mucchietto di vestiti che aveva più vicino. Un giubbotto di pelle scamosciata portava al suo interno un maglione che lasciava intravedere una camicia. Spostando ancora un po’ con il piede, vide che all’interno della camicia c’era una maglietta intima a mezze maniche. Il tutto era corredato da un paio di jeans dentro ai quali, ridicolo del ridicolo, c’erano le mutande. Sotto i jeans c’erano poi un paio di scarponcini, anch’essi di pelle, con dentro le rispettive calze.

    Fu a quel punto che cominciò a percepire uno strano stato d’ansia, mentre l’idea dello scherzo ormai si stava allontanando.

    Per maggior scrupolo mise fuori la testa dallo spogliatoio e fece scorrere lo sguardo lungo tutto l’androne d’ingresso fino al bancone della signora Laura, che non era seduta al suo posto. Non un suono, non una presenza: solamente altri mucchietti di indumenti e accanto a ciascuno di essi una sacca da piscina.

    Uno strano stato d’animo si stava impadronendo di lui, anche se non riusciva ancora ad inquadrare la situazione. Ingenuamente si diede un pizzico sulla guancia per vedere se fosse sveglio, con il desiderio inconscio di stare dormendo e sognando. Purtroppo, però, constatò semplicemente che era più che sveglio. Allora un solo pensiero gli baluginò nella mente, tenuto conto che il palazzo del Comune era a pochi metri dalla piscina e che la mamma, quella mattina, vi stava lavorando: correre da lei e dirle che cosa stava succedendo, chiedendo, se non addirittura pretendendo, una spiegazione.

    Si asciugò completamente, pur senza indugiare sotto l’asciugacapelli come faceva di solito, si vestì con tutta la rapidità di cui era capace, si rimise la sacca sulle spalle a mo’ di zainetto, attraversò di corsa l’androne e si precipitò fuori, in strada. I suoi occhi corsero veloci su immagini inedite, imprevedibili, che però il cervello non riusciva ad elaborare alla stessa velocità, e questo ritardo di interpretazione della realtà che era davanti ai suoi occhi gli provocava uno stato interiore così complicato da dargli quasi un senso di malessere fisico, di nausea.

    Macchine mezze sul marciapiede e mezze sulla strada, alcune col motore ancora acceso, biciclette e motorini riversi sull’asfalto con vicino gli stessi dannati mucchietti di abiti, simili a quelli che aveva già visto all’interno della piscina, con l’aggiunta, in alcuni casi, di borse della spesa o borse personali ed altra oggettistica che di solito si porta addosso. Di tali mucchietti erano cosparsi sia il marciapiede davanti all’ingresso della piscina, che il marciapiede opposto. Alcuni passeggini, senza neonati dentro, sembravano dimenticati da mamme o nonne che avessero avuto altro da fare che non spingerli.

    Cominciò a prendere corpo in lui il pensiero che fino a pochi attimi prima ogni mucchietto fosse stato in realtà una persona che, non si sa perché, se ne era uscita dai propri indumenti.

    Mentre l’ansia cominciava a trasformarsi in panico, incominciò a correre verso il Comune senza nemmeno stare a prendere la bicicletta, perché liberarla dalla catena gli avrebbe comportato una perdita di tempo. Fu uno slalom fra mucchietti di effetti personali, carrozzine, musi di automobili, moto, motorini e biciclette lasciate a terra. In meno di trenta secondi fu davanti alla grande porta che si aprì automaticamente al suo approssimarsi alle due ante vetrate. Nell’androne nessuno. Il silenzio regnava sovrano. Solo altri maledettissimi mucchietti di abiti sparsi qua e là, anche sulla larga scalinata che portava ai piani superiori, scalinata che inforcò facendo i gradini a due a due e cercando di non incespicare in quella mini cascata di effetti personali che ormai cominciava letteralmente a dargli sui nervi.

    La porta dell’elegante ufficio della mamma, al primo piano, era socchiusa e potè quindi catapultarsi al suo interno, gridando istintivamente l’unica parola che potesse uscirgli dalla gola in quel momento: mammaaaa!!! Ma questo grido gli si strozzò in gola quando riconobbe gli abiti della mamma, in parte sulla scrivania, in parte sulla poltroncina, le scarpe sotto la scrivania. Il messaggio che la scena gli trasmetteva era definitivo, crudele, inappellabile e misterioso: la mamma non c’era più! Sopraffatto dalle emozioni, non riuscì a pensare ad altro e, quasi disteso sulla scrivania, stringendosi addosso gli indumenti della mamma, si abbandonò ad un pianto tanto intenso quanto incontrollato. In quel momento i pensieri si erano azzerati, c’era solo il dolore fisico del vuoto in cui in pochi attimi il suo piccolo essere di ragazzino sopravvissuto era caduto. Non ebbe la percezione di quanto fosse stato in quella posizione, ma le sue lacrime avevano ormai bagnato tutto ciò che stringeva nelle mani e quella sensazione sgradevole di umido di lacrime miste a saliva lo riportò lentamente alla realtà. Si mise in piedi e, pur non avendo ancora il completo controllo sulle proprie emozioni, afferrò dalla scrivania il cellulare della mamma e chiamò il numero del papà, con l’intima speranza che l’evento pazzesco al quale stava assistendo fosse circoscritto alla parte del paese intorno alla piscina. Il cellulare del papà squillava, ma nessuna risposta. Provò, in rapida sequenza, a chiamare i numeri così come erano elencati in ordine alfabetico. Niente! Chiamò allora il 112, come gli era stato insegnato di fare in casi di emergenze veramente gravi. Niente! 113: niente! 118: niente! Chi più doveva chiamare? Si arrese. Era forse giunto il momento di prendere atto che una catastrofe di cui non conosceva ancora le dimensioni era comunque avvenuta. C’era però un’ultima speranza, si disse: alla televisione probabilmente stavano già dicendo, in qualche edizione speciale dei telegiornali, che in un paese dell’interland milanese erano improvvisamente spariti tutti gli abitanti, senza sapere né perché né come. L’idea era ingenua, perché in pochi minuti la notizia non poteva essersi diffusa a livello nazionale, ma Pietro si avvicinò ugualmente al televisore che era sul mobile a lato della scrivania. Mentre cercava il telecomando per accenderlo, ripensò a quella volta in cui la mamma gli aveva detto che non necessariamente il televisore deve servire sempre e solo per ubriacarsi pigramente di immagini: lei, per esempio, in ufficio, spesso lo accendeva sintonizzandosi su una stazione radio che diffondeva solo buona musica classica, il cui ascolto le serviva per rilassarsi e concentrarsi meglio sui documenti che doveva esaminare e approvare. Gli aveva così consigliato di provare anche lui quando doveva fare i compiti a casa il pomeriggio. Ricordava pure che, dopo qualche tempo, l’aveva ringraziata per quel consiglio: era vero, la musica classica rilassava e favoriva la concentrazione.

    Schiacciò power e il pulsante 1: nessun segnale. Pulsante 2: nessun segnale; pulsante 3: un telefilm; pulsante quattro: un altro telefilm. Pulsante 5: nessun segnale, e così via in un’alternanza di assenze di segnali e di immagini registrate e mandate in onda in automatico. Nessun notiziario, nulla ma proprio nulla in diretta, segno che negli innumerevoli studi televisivi non vi era anima viva e forse questa volta non vi era anima viva non era la solita frase fatta, il solito modo di dire! Cento e più canali davano sempre la stessa risposta. Non era il caso di insistere e perdere tempo ulteriormente.

    Decise, con una fitta al cuore, di allontanarsi dall’ufficio della mamma, dai suoi effetti personali che lì giacevano inerti, quando fino a pochi attimi prima erano stati animati dalla sua figura di donna dinamica e in carriera.

    Scese le scale senza più fretta, quasi con una lentezza che voleva dire: e adesso dove mi dirigo? Dove vado se non c’è nessuno, da nessuna parte, che mi aspetta? Ripercorse a ritroso le poche decine di metri verso la piscina, raggiunse la bicicletta, e dopo averla liberata della catena la inforcò quasi controvoglia, prendendo la direzione di casa. Ormai lo slalomare fra mucchietti di abiti, moto e biciclette riverse sull’asfalto, passeggini vuoti, carrozzelle per disabili piene solo di un misero mucchietto di indumenti, non gli faceva più un grande effetto. Lui pedalava pianissimo e i suoi occhi passavano attentamente in rassegna tutto ciò che si poteva vedere, quasi fossero una telecamera a circuito chiuso che doveva infallibilmente registrare tutto ciò che avveniva.

    In una rotonda, un autobus aveva sfondato letteralmente il chiosco dei giornali e dalla parte opposta un camion era finito all’interno di un negozio di abbigliamento. All’incrocio semaforico, nei pressi del mercato all’aperto, riconobbe a terra le divise dei carabinieri in congedo che ogni sabato offrivano volontariamente un servizio di controllo degli attraversamenti.

    Davanti alla chiesa nuova una marea di abiti sparsi al suolo facevano da contorno ad una macchina delle pompe funebri e a una bara capovolta, segno di un funerale che fino a pochi minuti prima era in pieno svolgimento.

    Scene analoghe lo accompagnarono fino alla soglia di casa, martellandogli letteralmente il cervello, cervello che comunque si rifiutava di elaborare quanto stava avvenendo o meglio, che era già avvenuto, perché il panorama complessivo era di assoluto immobilismo e silenzio, eccezion fatta per

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