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Segui il tuo istinto: Un appassionante e incredibile viaggio alla disperata ricerca della felicità
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E-book283 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Il primo romanzo scritto dall'autore, una riflessione profonda sul suo inconscio e un'analisi romanzata descritta nelle vesti del giovane Patrick Vaily Fluck, su come sia riuscito a ritrovare la felicità perduta. Dopo aver trascorso un'intera estate nell'agonia e nella disperazione in seguito al decesso del padre Conrad, Patrick si rifugia a capofitto nello studio. Finiti gli esami, non sopportando l'idea dell'imminente ritorno di quell'angoscia tremenda, cerca una via di fuga e intraprende un incredibile viaggio a caccia della felicità. Grazie all'aiuto della madre, di molti personaggi incontrati nel suo cammino e di misteriosi post-it colorati, Patrick verrà accompagnato nella sua impresa, ripercorrendo anche molti ricordi del suo passato, ritrovando alla fine il sorriso e la forza di andare avanti ad affrontare la sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita8 set 2021
ISBN9791220356060
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    Anteprima del libro

    Segui il tuo istinto - Patrizio Vailati Facchini

    1

    Era una fredda giornata invernale, pioveva, e la città era completamente avvolta in una desolante desaturazione cromatica. Il cielo era un mare capovolto, pieno di sinuose onde scure, grigie e in continuo movimento, e così dense da non permettere nemmeno ad un filo di luce di districarsi attraverso e illuminare il paesaggio. L’atmosfera era molto cupa, il vento soffiava all’impazzata mettendo a dura prova la flessibilità dei rami degli alberi, e le strade erano colme d’acqua scrosciante.

    Sembrava quasi di essere a Venezia, la città era completamente stravolta. Nessuno era spinto dalla volontà di uscire di casa. Infatti non c’era modo di mettere piede fuori dalla porta, o semplicemente di affacciarsi ad una finestra, senza che l’acqua e le folate di aria gelida iniziassero a colpirti a schiaffi in faccia. Gli unici intrepidi che sfidavano il maltempo erano coloro che non avevano altra scelta, chi per lavoro, chi per studio, chi per necessità di andare al supermercato. Erano obbligati ad avventurarsi in quella tempesta d’acqua ghiacciata che dipingeva ogni loro singola giornata, da lì a qualche mese addietro. Era ormai da fine ottobre che non smetteva di piovere. 

    Erano davvero pochi, e si potevano contare sulle dita di una mano, i momenti in cui quella doccia costante cessava di annaffiare la città. La primavera non era troppo distante e chiunque fremeva dal desiderio di vedere la luce in fondo a quel tunnel di tenebre apparentemente infinito.

    C’era, però, a differenza di chiunque altro, a chi di questa situazione poco importava perché oppresso da problemi ben più grandi, e non guardava in faccia a quella banale pioggia invernale che era stata definita la più imponente cascata torrenziale degli ultimi cinquant’anni.

    §

    Erano le 7.06 e come ogni mattina la sveglia di Patrick iniziava ad echeggiare nella sua grande camera da letto. Per evitare di abituare la sua mente alla stessa musica, e rischiare quindi di non svegliarsi in tempo per prepararsi, era solito sceglierne accuratamente sempre una diversa prima di addormentarsi, la sera precedente. Quella mattina era il turno di Hallelujah di Leonard Cohen, la versione cantata dai Pentatonix. Era veramente piacevole essere allietato ad ogni suo risveglio da canti di quel tipo, molto pacati e rilassanti, al contrario di chi invece imposta quelle assordanti suonerie standard delle impostazioni di sistema offerte dai cellulari, se non addirittura sirene da allarme nucleare o chiassose trombe da caserma militare. Non avrebbero fatto altro che irritarlo già dal primo momento in cui avrebbe aperto gli occhi. È un momento importante il risveglio mattutino, tanto che potrebbe influenzare l’intero svolgimento della giornata, ed essere coccolato da una melodia armoniosa era l’unico modo per tentare di rendere leggermente migliore il suo umore.

    Alle 7.08 suonava una seconda sveglia, quella che stabiliva il momento in cui Patrick doveva mettersi effettivamente in piedi e cominciare la sua quotidiana vita da studente universitario. Era il momento di The sound of silence di Simon&Garfunkel, ovviamente diversa dalla sveglia precedente nell’eventualità che si fosse addormentato in quei due minuti di tempo meditativi. Ci teneva moltissimo a rispettare gli orari e non voleva mai tardare, in qualsiasi occasione. 

    Con grinta Patrick scivolava fuori dalle coperte, così da autoconvincersi di essere pieno di energie. Dopo aver spalancato la portafinestra della sua camera per rigenerare l’aria, senza alzare la tapparella per evitare di fare entrare tutta l’acqua, raggiungeva la cucina barcollando e inciampando nel buio. Come colazione ingollava in fretta il solito bicchiere di latte caldo riscaldato al microonde con immersa una manciata di crusca di frumento, cinque mandorle e una fetta di pane integrale inzuppata nelle ultime lacrime sul fondo. Una perfetta combinazione di carboidrati, grassi buoni, fibre e proteine. 

    All’esterno era ancora troppo presto per esserci un minimo di luce naturale diffusa ma dopotutto non avrebbe comunque potuto illuminare la casa a causa della pioggia. L’unica luce che teneva accesa era allora quella della cappa di aerazione del fornello perché non voleva essere stordito da luci troppo accecanti al mattino, e preferiva godersi quegli ultimi momenti soffusi di pace e tranquillità prima di dover uscire di casa e affrontare la giornata. 

    Alle 7.15 era già in bagno a prepararsi. Una sciacquata ai denti, una coppa d’acqua fredda per risvegliare i muscoli del viso, lenti a contatto, e una sistemata accurata ai capelli con lacca e phon. Per le 7.23 era pronto, già vestito per uscire, ma attendeva esattamente cinque minuti seduto sul freddo divano in ecopelle per poter varcare la soglia di casa alle 7.28 e raggiungere così, ancora nel buio della notte invernale, la fermata dell’autobus poco lontana, sul viale principale della città, nell’esatto momento in cui il mezzo arrivava.

    Quel giorno non riusciva a trovare le chiavi di casa, un classico. Ma sapeva benissimo dove andare a cercarle. Avevano un gomitolo di stoffa rosso come portachiavi e non era la prima volta che uno dei suoi gatti ci giocasse durante la notte nascondendo il mazzetto sotto il divano, una volta finito di divertirsi.

    Non si sbagliava, era esattamente lì. Lo raccolse e uscì di fretta di casa per raggiungere in tempo la fermata priva di pensilina.

    L’autobus stava tardando ad arrivare. Patrick era fermo, inzuppato sotto quella pioggia incessante e fastidiosa da troppi minuti. Nella realtà ne erano trascorsi soltanto tre, ma sotto quella bufera davano l’impressione di essere molti di più. Cercava in ogni modo di restare il più possibile a ridosso della palazzina più vicina, ma il vento era talmente imprevedibile che era del tutto inutile cercare di ripararsi dall’acqua. 

    Solitamente c’erano ad aspettare con lui altre due o tre persone a quell’ora, ma quella mattina l’anziana signora con il pinscher incappottato e l’ombrello viola, il baldo giovane con la ventiquattrore e l’ombrello nero, e il ragazzo con la sigaretta dietro all’orecchio e l’impermeabile blu non c’erano, e il che, a Patrick, sembrava molto strano. Un’opzione era quella di essere arrivato in ritardo per colpa dello svago notturno del suo gatto, ma non era possibile. Era perfettamente in orario, come tutti gli altri giorni.

    C’era sicuramente qualcosa che non andava, ma non riusciva a capire cosa.

    Spazientito, fermò il primo ombrello che gli passava davanti. Più che un ombrello sembrava un ombrellone da mare per quanto era enorme. Come uno di quelli arancioni che si trovano spesso sulle spiagge dell’Emilia Romagna, nel circondario di Rimini, sulla costa adriatica. La sproporzione di quella tela colorata e giocosa veniva accentuata anche dalla stazza di chi se la stava portando appresso, un uomo tozzo, sulla sessantina, di bassa statura. Era addirittura più basso di Patrick, e questo vuole dire molto. Una folta barba e due lunghi baffi bianchi gli nascondevano il volto. Aveva anche un grande ciuffo di capelli, sempre di un bianco candido, che gli copriva la fronte immobilizzato da un paffuto cappello di lana rosso, palesemente troppo stretto per la sua testa. E gli occhi erano celati dietro le lenti dei suoi occhiali da vista appannate. Insomma, si poteva scorgere solo il grosso naso a patata arrossato dal freddo.

    Patrick chiese all’uomo se per caso ci fosse in programma qualche sciopero dei mezzi. L’uomo iniziò a ridere sotto i baffi (letteralmente, dato che non gli permettevano di mettere in mostra la bocca) e dandogli dello sciocco, parlando in dialetto molto stretto, gli fece notare che il primo autobus della giornata sarebbe arrivato non prima di un’ora. Patrick, grazie all’insegnamento dei suoi nonni materni, aveva una certa cultura di quella strana lingua che con gli anni va sempre più dimenticata, e non riscontrò alcuna difficoltà nel comprendere le parole dell’uomo.

    Ma il motivo del ritardo?

    Molto banalmente… era domenica.

    Patrick non riusciva a crederci. Era sempre stato così meticoloso e preciso. Non si lasciava mai scappare nulla in fatto di organizzazione. Ma quella volta si era lasciato sfuggire dalle mani la cognizione del tempo. Era domenica ed era uscito inutilmente sotto la pioggia per andare al campus della sua università, ovviamente chiuso, come se fosse stato uno dei tanti altri giorni, per studiare e prepararsi per l’imminente esame che avrebbe dovuto sostenere nei primi di febbraio. Il 3 per la precisione, il venerdì della settimana che sarebbe iniziata l’indomani.

    Non era mai successo che Patrick si lasciasse sopraffare così dal tempo. Le sue giornate erano diventate così assurdamente monotone da non riuscire a distinguerle quasi l’una dall’altra. Non esistevano più i lunedì, i martedì, i mercoledì, i giovedì, i venerdì, i sabati e le domeniche. Ormai si era abituato a vedere i giorni della sessione d’esame come il 23, il 24, il 25, il 26, il 27, il 28 e il 29 gennaio. La scansione della settimana la lasciava al calendario, ma per Patrick ogni giorno di quel triste mese di gennaio aveva la stessa identica routine. Si svegliava, faceva colazione, si preparava per uscire, faceva lo slalom tra le pozzanghere sui marciapiedi con lo zaino in spalla e l’ombrello in mano come un equilibrista, prendeva il pullman al volo per raggiungere l’università, si sedeva nell’angolo più appartato della biblioteca (o in una qualsiasi aula libera) insieme a tantissimi altri ragazzi da cui stava ben lontano per evitare distrazioni, e fino a sera studiava imperterrito, con la testa china sui libri. L’unico momento di pausa che si concedeva era la mezz’ora dalle 12 alle 12.30 quando veniva fatta circolare l’aria nelle aule, durante la quale andava a pranzare nel bistrot del campus sfruttando i suoi buoni pasto, insieme a suoi due amici con i quali discuteva principalmente delle domande che secondo loro avevano la maggior probabilità di essere proposte all’esame, sulla base di voci giunte da ragazzi più grandi.

    Non era in grado di rilassarsi nemmeno durante la sera una volta tornato a casa. Infatti dopo cena si rintanava nella sua camera da letto e rimaneva incollato alla sedia della sua scrivania, illuminato da una calda lampada da tavolo, a studiare e a fare esercizi fino a tarda notte. Dormiva all’incirca solamente cinque o sei ore, mai di più. L’unica giornata in cui tutto questo non accadeva era la domenica, ma questa volta non si era accorto di quel piccolo e importante dettaglio.

    Ma a pensarci bene quella non era l’unica disattenzione che caratterizzava quel suo noioso periodo di studio.

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    2

    Patrick era un ragazzo tra i tanti, capace però di differenziarsi per delle peculiarità di cui pochi erano avvalorati. La sua capacità di organizzazione del lavoro e del tempo era impressionante e i suoi colleghi universitari lo invidiavano enormemente per questo. Era l’unico di tutto il corso ad essere in grado di superare qualsiasi esame al primo tentativo, e con dei voti a dir poco soddisfacenti. Non prendeva sempre il massimo ma il rapporto qualità/tempo di studio era da non sottovalutare. Ma non cercava la lode, non era di certo il suo obiettivo principale. Amava tantissimo studiare, ma a lui interessava più di ogni altra cosa imparare. Era un assetato di conoscenza. Le persone non sono numeri, e non è di sicuro un voto a definire chi sei. È un concetto che viene ribadito ovunque, sui libri, alla radio, in televisione, e Patrick non poteva essere più d’accordo.

    Quello di cui Patrick era alla ricerca era ben altro. Il poco tempo libero che gli restava, quelle domeniche di libertà e nei periodi di vacanza che si guadagnava tra un semestre e l’altro, lo sfruttava cercando di imparare attività nuove e differenti che potessero rendere la sua vita sempre più completa. Erano tantissimi infatti gli hobbies e i passatempi nei quali si era cimentato negli anni.

    La musica lo aveva sempre attratto ma la riteneva una passione troppo grande per la persona che era. Aveva il timore di non riuscire ad imparare a suonare uno strumento a dovere, qualsiasi esso fosse. Apprezzava molto il delicato sfregamento delle corde di violino, il pizzicare delle corde dell’arpa, il vibrare delle corde del pianoforte a coda, ma adorava anche il tremolio delle corde vocali nel canto. Da piccolo era chiaramente una voce bianca, e le maestre di musica delle elementari rimanevano sconvolte dall’incredibile dote del piccolo Patrick. Crescendo purtroppo il suo timbro subì un’importante trasformazione, passando da una voce sottile e melodica ad una profonda quanto un pozzo, ma comunque molto elegante e a tratti sensuale. Questo sbalzo però lo rese completamente una voce fuori dal coro, e non era più in grado di gestire la sua dote canora.

    Erano molte, insomma, le strade verso cui mirava la sua attenzione, ma mai trovava il coraggio di intraprenderne una. Ci pensò sua madre a motivarlo, iscrivendolo a sorpresa ad un corso privato di pianoforte. Studiò per parecchi anni e anche se aveva raggiunto dei livelli impressionanti non si riteneva mai soddisfatto di ciò che aveva appreso. Non si considerava all’altezza di uno strumento così maestoso quale era quel gigante buono in smoking. Cercò allora di introdursi al mondo della musica tibetana acquistando uno strumento di scala più piccola, un tamburo da meditazione, ma considerò quei soldi buttati fin dai primi istanti in cui prese le bacchette in mano. Non era ciò che faceva per lui. Gli strumenti a percussione non soddisfacevano il suo gusto musicale quanto quelli a corda.

    Oltre alla musica era appassionato di arte. Sin da bambino ogni momento era buono per prendere una matita in mano e iniziare a disegnare, o un pastello e un pennarello per colorare. In periodo adolescenziale aveva iniziato a sperimentare diverse tecniche di pittura, anche inventate di punto in bianco nel momento dell’arrivo dell’ispirazione, dipingendo con la prima cosa che gli capitava tra le dita. Dentifricio, frutta secca, marmellata, monetine di rame. Qualsiasi cosa era perfetta per spintonare il suo estro artistico ai massimi livelli.

    Anche le lingue straniere lo avevano sempre coinvolto. Durante il suo percorso di studio dell’obbligo era venuto a conoscenza dell’inglese e dello spagnolo, entrambe lingue meravigliose dal punto di vista formativo (e utili per prospettive future) e finiti gli studi da liceale decise di perseguire lo studio delle due culture sempre più nel dettaglio, iniziando a leggere libri in lingua originale e guardando film e serie tv straniere, ampliando così il suo vocabolario personale.

    Aveva anche un nuovo progetto per la testa, di cui però non aveva l’intenzione e il coraggio di svelare a nessuno, almeno per il momento. Da tempo stava elaborando la trama per un racconto, una sorta di romanzo, che si sviluppava attorno al tema della felicità, ma di cui non riusciva ancora a formularne lo sviluppo.

    L’origine di quel blocco era dovuta al fatto che di felicità sapeva ben poco. L’aveva incontrata, certo. Aveva anche macinato molti libri a riguardo. Ma un avvenimento importante l’aveva totalmente stroncata, facendo cadere Patrick in un profondo oblio di tristezza e insoddisfazione personale. Riteneva quindi di non avere abbastanza materiale sul quale elaborare un tema così sconosciuto ai suoi occhi.

    Come ogni cuore di bambino, oltre alla sua disperata ricerca nella giusta espressione di sé attraverso la continua sperimentazione di nuovi passatempi, Patrick adorava godersi alcuni dei suoi pochi momenti di spensieratezza insieme ai suoi genitori, specialmente insieme a suo padre.

    Conrad Vaily Fluck era un ragazzotto che trottava verso i 57 anni, superava di qualche centimetro il metro e sessanta di altezza di suo figlio, e aveva i capelli a spazzola, rasati al minimo. Tre millimetri per la precisione. Quando era più giovane aveva una chioma foltissima, lunga quasi fino alle spalle, ma invecchiando preferì tenere un perfetto prato all’inglese sulla testa, molto meno impegnativo da curare, e andava sempre dal parrucchiere di lunedì per farsi dare una spuntatina. O meglio, quello era ciò che diceva sempre per fare il simpatico. Di lunedì i parrucchieri sono tutti chiusi, e infatti i capelli se li tagliava in autonomia con la macchinetta nella vasca da bagno di casa sua. Non aveva mai un capello fuori posto.

    Aveva una pancia soda e rotonda, e a Patrick piaceva moltissimo poterla toccare per sentire gli addominali di cui lui e il padre si prendevano sempre in giro a vicenda, non avendoli entrambi. Patrick infatti era molto magro nonostante le grandi quantità di cibo che riusciva ad ingurgitare, e non facendo esercizio fisico non aveva molti muscoli in corpo. Suo padre da giovane aveva fatto il militare ma poi iniziando a lavorare aveva iniziato a rilassarsi e ad appesantirsi, ma non in modo esagerato. Era soffice, non era grasso. Non gli era mai importato troppo di avere un fisico scolpito. Lui era felice così com’era. 

    Conrad aveva un bel carattere, era un personaggio molto risoluto, tutto d’un pezzo, senza peli sulla lingua, che non si lasciava intimorire da nulla e nessuno. Camminava sempre a testa alta ed era indescrivibile la grandezza dell’orgoglio che provava per il suo unico figlio. Aveva la certezza che una volta cresciuto gli avrebbe regalato grandi soddisfazioni e gli prevedeva un futuro completo, con un’importante carriera professionale, un grosso stipendio e una famiglia felice. E Patrick non aveva mai deluso le aspettative del padre.

    Conrad e Patrick erano inseparabili, un padre e un figlio perfetti, l’uno nei confronti dell’altro. Erano come due migliori amici, in totale sintonia. Erano due simpaticoni e insieme formavano una coppia infallibile. Erano portati per la comicità con le loro gelanti freddure che anche se poco divertenti riuscivano sempre a strappare un sorriso sulla bocca di tutti, in qualsiasi occasione gli si ponesse davanti. Nessuno era mai infastidito dalla loro presenza, e anzi, spesso venivano contattati da vecchie conoscenze per trascorrere delle giornate in loro compagnia. Erano una coppia amata da tutti, ma anche da soli sapevano sempre come divertirsi e stare bene insieme, trovando il modo di non annoiarsi.

    Non erano infatti rare le occasioni in cui i due amiconi dedicavano il loro tempo trascorrendo insieme momenti tra padre e figlio, ovviamente solo quando Patrick non era impegnato con lo studio.

    Andavano spesso a passeggiare, ed era il loro passatempo preferito. Una tra le ultime camminate percorse insieme è stata lungo un sentiero da trekking sul versante lecchese, con lo scopo di raggiungere una piccola e graziosa cascatella che si lanciava da una roccia verticale, alta circa una trentina di metri. Nulla di speciale ma a loro piaceva trascorrere intere giornate immergendosi nella tranquillità più assoluta della natura. Potevano fermarsi, sedersi su un ceppo, puntare gli occhi al cielo e ascoltare rispettosi il canto degli uccelli, lo scroscio dei torrenti vicini, e il fruscio delle foglie degli alberi che li avvolgevano in quella magnifica scenografia naturale. Di tanto in tanto avevano l’occasione di scorgere pure qualche animale selvatico, tra cui impauriti camosci e pericolose mamme cinghiale che difendevano i loro cuccioli ancora privi di zanne.

    Spesso andavano anche a pescare in coppia. Conrad era un’eccellenza, conosceva ogni cosa di quella disciplina, e ne andava particolarmente fiero. Cercava in tutti i modi di insegnare a suo figlio tutte le tecniche e le curiosità a riguardo, ma Patrick non la trovava per nulla stimolante. Gli faceva molto piacere spendere

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