Leo e la voce dal mare
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Info su questo ebook
Leo Pagaro è un ragazzo svogliato che tende a saltare la scuola per dedicarsi a lunghe camminate lungo il mare. Durante una di queste passeggiate sulla spiaggia di Palomar, il paese in cui vive, gli capita di soccorrere Mehdi, un naufrago che prima di morire gli racconta la leggenda dell’anello di re Salomone.
Mehdi affida a Leo una parte dell’anello da lui ritrovata e una missione da compiere: cercare il mercante di tappeti Alì Ben Marrash che possiede l’altra parte, vendergli il pezzo d’anello e con metà del ricavato aiutare la famiglia del naufrago a fuggire dalla guerra siriana.
Per Leo inizia così un’avvincente avventura; un pericoloso viaggio verso il nord Europa alla ricerca di un uomo, di un anello d’oro, di un tesoro, ma soprattutto del bene più prezioso: la scoperta di se stesso.
Un romanzo d’avventura scorrevole, da leggere tutto d’un fiato, dove la solo apparente leggerezza della storia offre molteplici e profondi spunti di riflessioni su importanti temi di attualità quali: l’immigrazione, l’accettazione del diverso, l’integrazione sociale, le disuguaglianze economiche.
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Anteprima del libro
Leo e la voce dal mare - Ermanno Giraudo
dell'autore
Ermanno Giraudo
Leo e la voce dal mare
ROMANZO
Nerosubianco
ISBN EDIZIONE DIGITALE 978 88 32035 26 1
© Nerosubianco edizioni 2020
Via Torino, 29 bis - 12100 Cuneo
Tel. (+39) 0171 411921
www.nerosubianco-cn.com
Tutti i diritti riservati
Il presente romanzo va considerato un prodotto
della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone,
luoghi, avvenimenti, fatti storici presenti o passati,
sono da attribuire al caso.
"E lui stesso fu spezzato,
ma più umano, abbandonato
nella nostra mente lui non naufragò.
E tu vuoi viaggiargli insieme
vuoi viaggiargli insieme ciecamente
forse avrai fiducia in lui
perché ti ha toccato il corpo con la mente."
(da Suzanne
Fabrizio De André – Leonard Cohen)
In ricordo di Teresa e Andrea
migranti di ieri e dedicato
a tutti i migranti di oggi
e di domani.
Capitolo 1
Ancora una tragedia del mare quella di stamattina al largo delle nostre coste. Un altro naufragio di migranti che ha provocato tanti morti, senza contare i numerosi dispersi.
Si tratta della più grave catastrofe marittima del Mediterraneo dall’inizio del secolo. I superstiti, quasi un centinaio tra cui molti bambini, sono stati soccorsi da pescherecci di passaggio e dalle navi della capitaneria di porto.
Leo era stufo di sentire quel genere di notizie. Disgustato. Eppure non poteva proprio farne a meno. In casa sua si cenava quotidianamente intorno alle venti e non c’era verso di schiodare suo padre dalla tivù. Dopo una giornata passata perlopiù a oziare, il telegiornale era per lui il modo più rapido per riprendere contatto con la realtà. Senza l’assillo di doversi collegare a internet con telefonini o aggeggi vari che per pigrizia mentale non aveva proprio voglia di capire.
L’imbarcazione, un peschereccio di circa venti metri salpato dalle coste africane, giunta a circa un miglio dalla costa, ha preso fuoco a causa di un incidente. Girando poi diverse volte su se stessa è colata a picco.
Il probabile motivo dell’incendio è stata una tragica distrazione: un membro dell’equipaggio ha appoggiato a terra una lanterna accesa senza accorgersi della presenza di una chiazza di benzina sul pavimento.
A casa di Leo c’era una regola ferrea: non ci si poteva alzare da tavola se non si era finito di mangiare. E Leo quella sera finì in fretta.
– Dove vai? – gli domandò il padre.
– In camera mia a giocare.
Uno sguardo severo della moglie impedì al padre di obiettare.
– Sai che le patisce quelle notizie. – rimproverò al marito non appena Leo se n’era andato – Non potevi cambiare canale o spegnere?
– Insomma… – bofonchiò l’uomo – … sai bene come la penso…
– Sarebbe?
– … Te l’ho detto tante volte… non è tenendolo con la testa nel sacco che potrà superare certe paure.
– Questo se permetti lascialo dire agli psicologi…
Leo in camera sua aveva chiuso la porta. Non lo faceva mai, ma quella sera ne sentì una particolare esigenza. Il caldo pavimento in legno gli dava conforto. In un angolo della stanza sua mamma aveva riposto la grande scatola con le sue costruzioni dei dinosauri. Più di mille pezzi da comporre. Ha smontato tutto – pensò. In effetti era da un po’ che non ci giocava e i vari oggetti occupavano solo inutile spazio, prendendo polvere. L’aprì per giocarci di nuovo. Notò che sulla scatola c’era scritto dai 7 ai 12 anni
. Lui ne aveva già compiuti tredici, ma poco importava: gli andava così. Fare le costruzioni era sempre stata una sua passione. Era un modo per impegnare il tempo pur continuando a riflettere. Inoltre proprio quella mattina, a scuola avevano ripassato le ere geologiche e l’evoluzione degli esseri viventi.
La scuola però gli piaceva sempre meno. La terza media poi, che aveva appena iniziato a frequentare, proprio non la digeriva. L’aveva trovata subito difficile, con troppe materie da studiare. I compagni di certo non lo aiutavano ad andarci volentieri. Leo era considerato un po’ da tutti lo zimbello della classe, sempre preso in giro senza mai una ragione particolare. Solo per combattere la noia tipica di quell’età che segna l’inizio del tormento adolescenziale.
Leo la sua idea se l’era fatta. È per via dei capelli lunghi – pensava. In effetti la folta capigliatura nera associata ai lineamenti delicati, ai suoi modi gentili e a quella voce che non ne voleva sapere di diventare adulta, davano un facile adito a chi lo scherniva considerandolo effeminato.
Ma Leo non voleva più pensare alle immagini viste in tivù, alla scuola e a tutte le altre cose che gli assillavano la mente. Prima di andare a letto doveva costruirsi l’intero Tyrannosaurus Rex per riporlo sul comodino e osservarlo per tutto il tempo che gli avrebbero concesso i suoi occhi stanchi.
Capitolo 2
Leo pur svegliandosi di ottimo umore non aveva proprio voglia di andare a scuola. Il pensiero che i compagni potessero rovinargli la giornata con i loro antipatici scherni lo preoccupava non poco. In più, il tempo era bellissimo, con un sole splendente e il calore ideale per una passeggiata lungo la riva. In giornate così il mare d’autunno è sempre particolare. Con le spiagge deserte, senza alcun vociare e nessun ombrellone né sdraio. Al massimo si incontra qualche gabbiano e in sottofondo si può ascoltare, appena percepita, la voce del mare.
Sì, aveva avuto un’ottima idea. L’unico problema era il far finta di niente con i genitori. Bisognava uscire alla solita ora, zaino in spalle, come per andare a scuola. Non era comunque il caso di preoccuparsi troppo. Loro erano sempre così distratti nei suoi confronti tanto che una tipica frase di suo padre quando lo vedeva rientrare per pranzo era: Ma sei già qui?
.
La spiaggia era bellissima, come immaginava. Quando la raggiunse, per prima cosa, si levò le scarpe da ginnastica, che legò allo zaino, per trascinare i piedi nudi nella sabbia ancora calda dal solleone dei giorni appena passati. Chissà quanta gente l’aveva calpestata in quella torrida estate.
Mentre camminava lentamente lungo il mare mille domande gli affioravano alla mente. Da dove arrivava tutta quella sabbia e come aveva fatto il mare a portarla pazientemente fin lì? E la forma di quei sassi? Degli scogli? Il vento li aveva sagomati per secoli e tra mille anni come sarebbero cambiati ancora? In che forma? E perché il mare con voce prorompente, infrangendosi sugli scogli, sembra gemere continue richieste di attenzioni, di aiuto?
È proprio vero: anche l’immagine più solare può nascondere un suo risvolto di malinconia. Come il senso di vuoto che Leo percepì nel vedere quella sabbia deserta, libera e senza nuove impronte impresse.
Un gemito improvviso lo distolse di colpo da tutte le sue riflessioni. Non erano i gabbiani, nemmeno il mare sugli scogli. Il sordo suono veniva da dietro gli arbusti.
Senza troppo pensarci Leo si avvicinò. Fuori dalla vista, tra i rami, vide un uomo coricato sulla sabbia. Stava male, molto male. Lo osservò con attenzione. Aveva una lunga barba nera e impolverata e i capelli scuri, bagnati e arruffati. Portava una maglietta rossa tutta sbrindellata e fradici pantaloni di tela blu tenuti su da un cordone. Leo si avvicinò ancora di più, in modo da affiancarlo. Non sapeva che cosa fare. Quando l’uomo avvertì la sua presenza, abbozzò un leggero sorriso e con un filo di voce cominciò a parlare.
– Amico… amico… ascolta… ho poco tempo… – disse con accento straniero sfiorando la mano che Leo teneva sulla sabbia vicino al suo braccio – devi fare quello che io non riesco più…
Leo non capiva il senso di quelle parole e faticava a percepire quei flebili suoni, malgrado lo sconosciuto conoscesse bene la sua lingua.
– Dimmi… – gli disse avvicinando l’orecchio alla sua bocca.
– Guarda… prendi… prendi! – sospirò l’uomo premendo col braccio sui pantaloni. Leo capì. Gli spostò leggermente la gamba e gli mise la mano nella tasca con grande fatica, siccome il tessuto dei pantaloni era bagnato. Malgrado qualche brusco movimento l’uomo sembrava non soffrire. Finalmente le dita toccarono in fondo alla tasca. A quel punto Leo sentì un freddo oggetto metallico quasi circolare, con un bordo leggermente tagliente. Lo impugnò e lentamente lo estrasse. Quando aprì la mano la luce del sole illuminò un anello, anzi un anello dimezzato. Sì, proprio così! Era stato tagliato esattamente a metà. La fascia era rimasta una mezzaluna e la placca superiore che fungeva un tempo da sigillo, dimezzata, aveva incisa una stella a metà, originariamente a sei punte.
L’uomo era riuscito a voltare leggermente il capo verso Leo e vedendolo incuriosito da quello strano oggetto che teneva in mano, ansimando, ricominciò faticosamente a parlare.
– Hai qualcosa di molto prezioso… – sussurrò.
– Cos’è?
– Si tratta del famoso anello di re Salomone.
Leo non conosceva l’esistenza di un simile oggetto.
– Ma è tagliato a metà – fu la spontanea osservazione.
– Lo so. È una lunga storia…
Non riusciva più a parlare e faticava a rimanere cosciente.
– La sacca. Guarda dentro la sacca – disse disperato indicando il borsello che teneva a tracolla.
Leo ubbidì. Aprì il borsello senza sfilarlo per non affaticare ulteriormente lo sventurato e estrasse l’unico oggetto presente all’interno: una piccola capsa
, un tubo porta pergamene in metallo.
– Apri e leggi – disse l’uomo tenendo ormai gli occhi chiusi.
– Quando il mare cominciava a farsi mosso – continuò – ho temuto di perderlo. Allora ho scritto la storia dell’anello su quel foglio.
Appena srotolata la pergamena Leo s’accorse che era scritta nella sua lingua. Cominciò a leggerla: erano appunti buttati giù in fretta, riflessioni disordinate, annotate al solo scopo di non essere dimenticate.
Quando l’anello venne trafugato dal sepolcro del grande re, un luogo misterioso e segreto che solo i ladri conoscevano, qualcuno per scaramanzia lo volle spezzare in due parti.
L’anello, fino a quel momento in grado di dominare i demoni, nella sua interezza rappresentava l’unione dei due grandi elementi dell’animo umano: il bene e il male sotto forma di luccicante oro e di opaco rame. Due forze contrarie e lontane tra loro che in natura tendono a respingersi, a opporsi, ma unite in quell’anello, costrette a convivere, venivano a rafforzarsi l’una a scapito dell’altra. Con il rischio che un giorno il male prevalesse. Ecco perché qualcuno pensò bene di dividerle.
Leo era perplesso. Alzò lo sguardo per cercare conforto nell’uomo che intanto aveva riaperto gli occhi e lo guardava.
– Tu hai in mano la parte buona – disse lentamente e sottovoce – quella che rappresenta il bene, il "Buonauspicio".
Una forte, irrefrenabile crisi di tosse lo costrinse a interrompersi. Dalla sua bocca, dopo forti conati, fuoriusciva di tanto in tanto acqua schiumosa.
– Quel maledetto barcone… è andato a picco…
– Eri sulla nave affondata?
– Sì, ma invece di morire subito sono arrivato fin qui. Era destino che dovessi incontrarti, darti l’anello per…
Perse improvvisamente i sensi. Il suo aspetto divenne cadaverico. Leo cominciava ad agitarsi. Non sapeva bene cosa fare. Gli venne in mente il telefonino che teneva nello zaino. Sì, l’idea giusta era di chiamare subito un’ambulanza. 118. Ecco il numero che doveva fare. Lo compose in fretta e quando l’operatore rispose diede con precisione tutte le indicazioni necessarie.
– Un naufrago sta male, sta morendo. Qui sulla riva. Venite subito. Alla prima spiaggia di Palomar.
Capitolo 3
Leo doveva andarsene in fretta. Non poteva certo aspettare l’arrivo dell’ambulanza. Gli avrebbero fatto un sacco di domande, chiesto il perché fosse lì e avrebbe dovuto ammettere al mondo intero di non essere andato a scuola. E venendolo a sapere suo padre… brrr… meglio non pensarci. E l’anello? Un altro problema! Si chinò nuovamente al fianco del naufrago e cercando di non toccarlo aprì il borsello per metterlo dentro insieme con la pergamena.
– Cosa fai? – L’uomo aveva ripreso i sensi e la sua voce sempre più roca spaventò non poco Leo.
– Non darmi quest’ultimo dispiacere. Tienilo!
Al termine della frase, la mano chiusa a pugno del ragazzo era già fuori dal borsello.
– Non temere – continuò l’uomo – io quell’anello non l’ho rubato. Vai avanti a leggere, così saprai…
Leo non si era accorto che la pergamena era scritta su entrambi i lati. La srotolò nuovamente e riprese la lettura.
L’anello mi è stato regalato da un anziano indovino di Aleppo che l’aveva avuto in dono da un ricco signore in cambio di una profezia. L’indovino sapeva che volevo partire per sfuggire alla guerra ed è per questo che mi sono imbarcato. Mi disse che era troppo vecchio per andare via, che l’anello era più utile a me. Vendendolo a peso d’oro avrei potuto trovare una nuova sistemazione per me e per la mia famiglia.
– Ma prima della partenza, sulla banchina, ho sentito i due scafisti parlare di un certo Alì, un iracheno venditore di tappeti al mercato delle pulci di Goldenburg che sarebbe in possesso dell’altra metà dell’anello. Si tratta della parte che rappresenta il male, la malasorte
– precisò l’uomo.
– Ma loro sapevano che tu avevi questa metà?
– No. Non ne ho parlato con nessuno. Loro volevano infatti raggiungere Alì proprio per chiedergli notizie dell’altra parte dell’anello, perché solo se unito l’anello sprigiona tutto il suo potere.
Il suono improvviso di una sirena distolse l’attenzione di Leo. L’ambulanza stava arrivando.
– Signore, basta parlare. Ti stanchi troppo.
– Mehdi. Mi chiamo Mehdi.
– Riposati Mehdi. Ora i medici ti portano in ospedale per guarirti. Io devo proprio andare. Mi aspettano a scuola.
Leo aveva già lo zaino sulle spalle. Non sapeva proprio cosa fare di quell’anello. Fu Mehdi a dargli una categorica indicazione.
– Prima di andare fammi una promessa – disse chiedendo a Leo con un cenno della mano, di avvicinarsi.
– Quell’oggetto ricongiunto ha dei poteri magici e un valore immenso. Vai a Goldenburg a cercare Alì. Lui saprà come meglio sfruttarlo. Del tuo guadagno tieni la metà. Il resto mandalo a mia moglie Aisha e ai miei figli Jamila e Ibrahim…
Nel parlare Mehdi si commosse, aveva le lacrime agli occhi e singhiozzava.
– Sono ancora ad Aleppo. Che possano anche loro scappare dalla guerra senza rischiare di morire in mare. Me lo prometti? Lo prometti a un morente?
Leo non sapeva cosa rispondere. Sua mamma gli aveva insegnato che una promessa fintanto non fosse stata mantenuta era un impegno per la vita.
– Dai, non dire così. Tu non morirai, i medici ti guariranno – provò a replicare