Il banchiere assassinato (Le undici meno una...)
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Augusto De Angelis
Augusto De Angelis (1888-1944) was an Italian novelist and journalist, most famous for his series of detective novels featuring Commissario Carlo De Vincenzi. His cultured protagonist was enormously popular in Italy, but the Fascist government of the time considered him an enemy, and during the Second World War he was imprisoned by the authorities. Shortly after his release he was beaten up by a Fascist activist and died from his injuries.
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Il banchiere assassinato (Le undici meno una...) - Augusto De Angelis
2018
L’enigma dell’ora
di Loris Rambelli
Il banchiere assassinato (1935), il primo romanzo poliziesco di Augusto De Angelis (Roma 1888 - Camerlata, Como, 1944)¹, è uno dei più teatrali, anzi, per il rigore con cui sono rispettate le unità di azione, di luogo e di tempo, uno dei più aristotelici.
L’inchiesta si svolge, infatti, quasi per intero, in un appartamento signorile di via Monforte, oggi corso Monforte (nome con cui lo ritroviamo nei Giovedì della signora Giulia di Piero Chiara), a Milano, all’altezza dell’incrocio con via Conservatorio. Iniziata verso le tre del mattino, si conclude fra le sedici e le diciassette dello stesso giorno con l’individuazione del colpevole, se non ancora con la sua cattura, che comunque avverrà di lì a poco. Ed è tutta incentrata sul capo della Squadra Mobile milanese², il giovane commissario Carlo De Vincenzi, che ama indagare in solitaria. «E lui, in quell’affare soprattutto, voleva contare soltanto su se stesso. L’aiuto degli altri non avrebbe potuto servire che a fuorviarlo. Doveva seguire il proprio istinto, la propria intuizione misteriosa, se voleva arrivare allo scopo» (cap. VI).
Non se ne sta sdraiato in poltrone di cuoio, con kimono di seta indiana, pantofole di camoscio o sandali; non fuma sigarette in un lungo bocchino di giada; non risponde al telefono allungando la mano verso il ricevitore di madreperla sul tavolino in stile veneziano; non fa colazione nel giardino pensile della sua casa-museo nella Trentottesima Strada Est di New York; e il suo cameriere-cuoco-maggiordomo non gli porge i guanti e il bastone di malacca, mentre si appresta ad uscire in completo da passeggio. De Vincenzi, a differenza del collega americano Philo Vance, di cui abbiamo appena elencato alcuni tratti caratteristici, abita invece in un appartamento di poche stanze a Milano dalle parti del Sempione, con una governante che era stata la sua balia in Val d’Ossola e la mattina gli porta il caffè e gli prepara un bagno caldo, unico lusso che si concede nella sua vita privata, oltre all’acquisto di libri³. Del resto trascorre quasi tutto il suo tempo in questura, notte compresa. Ha però la stessa età del collega americano creato da Van Dine, sui trentacinque anni (anche i rispettivi autori sono coetanei); condivide con Philo Vance l’amore per il teatro (uno va al Metropolitan, l’altro alla Scala), le letture eclettiche, fra le quali emergono la Bibbia e il De profundis di Oscar Wilde, accanto al manuale di criminologia di Hans Gross⁴; ma soprattutto appartengono entrambi alla categoria degli investigatori letterari (i più noti sono Padre Brown, Maigret e Poirot) che danno scarsa importanza agli indizi materiali e preferiscono seguire le tracce degli indizi psicologici. L’autore di un delitto non può essere che colui che abbia la capacità morale, intellettuale e psicologica per commetterlo. De Angelis nel Do tragico (1937) cita un brano del romanzo di Van Dine La strana morte del signor Benson a sostegno di questa teoria⁵, che, in altri termini, era già stata formulata da Chesterton: «Io considero l’impossibilità morale la più importante delle impossibilità» affermava Padre Brown. «Boulnois poteva commettere un delitto, ma non questo delitto»⁶.
Le edizioni Aurora
Finito di stampare il 16 maggio 1935, con il titolo Il banchiere assassinato (che fa pensare alla Canarina assassinata di Van Dine) e con il sottotitolo Le undici meno una..., il romanzo esce presso la casa editrice Aurora di Milano, fondata dal tipografo modenese Andrea Lucchi e dallo scrittore Gian Dàuli, in una collana di varia narrativa⁷ per la quale De Angelis ha già scritto, l’anno prima, la biografia romanzata, genere allora in voga, di Maria Antonietta.
Il titolo designa con chiarezza la vittima. Il sottotitolo, più misterioso, si riferisce al fatto che, sulla scena del delitto, la pendola sulla mensola di un caminetto è avanti di un’ora, perciò l’ora effettiva si ricava con la sottrazione meno una
all’ora segnata dalle lancette. Lo scarto, che in un primo tempo sorprende il commissario, finirà per diventare la «chiave del mistero» (cap. X).
Secondo un gusto innovativo nel campo dell’estetica grafica, la copertina è realizzata con la tecnica del fotocollage: il nome dell’autore e il titolo spiccano in giallo su fondo nero, da cui emergono, come da abrasioni prodotte dal morso di un acido, due trafiletti di giornale. Nel primo si legge che «le inchieste poliziesche del commissario De Vincenzi continuano», quindi il caso del banchiere sarà il primo di una serie; all’interno, infatti, nella pagina a sinistra del frontespizio si annunciano i prossimi due «in preparazione», Sei donne e un libro e Il cutter
della morte (che poi diveventerà Il canotto insanguinato, ma usciranno entrambi presso altro editore). Nel secondo trafiletto De Angelis è presentato, già nella sua opera d’esordio, come un «maestro» del genere poliziesco che sembrava «esclusivo patrimonio degli scrittori stranieri».
Il costo, dieci lire, stampato in quarta di copertina, è sorprendente: eccessivo per un romanzo (giallo, per giunta) di un modesto editore, che, per di più, fondava la sua fortuna sul basso costo dei suoi prodotti. «I Libri Gialli» di Mondadori, che non erano a buon mercato, costavano cinque lire. Nel 1935 costava dieci lire un libro di nicchia come Kn di Carlo Belli nelle edizioni della Galleria Il Milione di Milano, con copertina monocroma ideata da Attilio Rossi, e costava nove lire America primo amore di Mario Soldati, Firenze, Bemporad, con il disegno della diavolessa di Carlo Levi in sopraccoperta. Diciamo che il Banchiere è presentato esteriormente in modo pretenzioso, mentre la stampa del testo denota una certa sciatteria, come dimostrano i refusi e gli errori tipografici (le prime cinque righe di pagina 150, per esempio, si susseguono nell’ordine inverso).
È nota ai bibliofili e ai collezionisti di narrativa poliziesca anche una seconda versione tipografica del Banchiere che reca la stessa data, 1935, sia nel verso del frontespizio sia nel colophon, ma presenta una copertina illustrata, a colori, di gusto popolare: un uomo in abito da sera proietta la sua ombra sulla parete di una stanza, e alla sua destra, attraverso il riquadro di una porta aperta, si intravedono le scarpe nella posizione leggermente divaricata e inequivocabile del morto ammazzato disteso supino sul pavimento. Con una copertina del genere, a differenza della prima, fotografica, si può supporre che il libro volesse attirare una fascia di pubblico meno sofisticata e in cerca di facili emozioni. Possiamo anche supporre che il prezzo, non indicato questa volta, fosse più contenuto. Stesso formato, stesso numero di pagine, ma il frontespizio è leggermente diverso: il sottotitolo non termina con i tre punti di sospensione, e al marchio della casa editrice, al centro della pagina, è sottoscritto l’indirizzo: Milano / Fiori Chiari, 8. Nel testo, una decina di refusi sono stati corretti, altre sbavature sono subentrate. Più che una semplice ristampa, che però non è dichiarata come tale, si direbbe piuttosto una specie di edizione riciclata. E costituisce già di per sé un piccolo giallo.
Che cosa avrà spinto gli infaticabili Lucchi e Gian Dàuli, protagonisti delle tante battaglie del libro sotto gli auspici del Ministero della Cultura Popolare, a riproporre il romanzo di De Angelis in parte emendato nel contenuto e in veste più dimessa? La risposta sarà probabilmente da cercare negli obiettivi e nel metodo di lavoro che la casa editrice si era dati, nella «legge ferrea» che si era imposta, sintetizzata da Patrizia Caccia in tre capisaldi: evitare l’accumulo di fondi di magazzino, pubblicare solo ciò che va, ristampare solo ciò che si vende⁸.
I due esemplari del romanzo, che ci siamo soffermati a descrivere, costituiscono la base di tutte le edizioni successive.
Gialli da una lira
«Intendiamoci subito: se per gialli
si vogliono gabbare quei romanzi polizieschi a venticinque e cinquanta centesimi e a una e due lire, che qualche improvvisato editore imprime e smercia su larga scala in edizionacce scorrette e sgrammaticate che fanno legare i denti e accapponare la pelle, ebbene, sì, certo, quelli son libri gialli
da dare alle fiamme. Essi – pessime traduzioni di testi male scelti e poi sgarbatamente mutilati o paranoiche elucubrazioni di cervelli incolti e privi di materia grigia come di scrupoli – hanno da bandirsi e da inseguirsi senza requie sino allo stanamento. Offendono l’adorata lingua nostra, feriscono a colpi di stile il buon senso, sono perniciosi e nocivi come sempre lo sono la volgarità e il mal gusto. E per di più noiosi.»
È un brano della nota apologia della letteratura poliziesca che Augusto De Angelis inserì come Prefazione al suo romanzo Le sette picche doppiate (1940)⁹. Ebbene, proprio in preda a un editore che pubblicava gialli a una lira e venti centesimi doveva capitare il Banchiere assassinato. Ci si riferisce alle edizioni milanesi Ausonia e alla collana quindicinale «I Romanzi del Cigno», dove il testo di De Angelis, adattato al letto di Procuste di ventiquattro pagine, su due colonne fitte fitte, compare col titolo La notte fatale il 29 febbraio 1940¹⁰.
Tutto sommato, è trascurabile la sostituzione del voi al lei, come pronome allocutivo nelle parti dialogate (sono gli anni in cui si diffonde, o viene imposto, l’uso fascista del voi, che, nell’ambito della narrativa poliziesca, persisterà a lungo, ben oltre la caduta del Regime)¹¹. La cosa notevole è che, allo scopo di ridurre l’ingombro tipografico, i quattordici capitoli dell’edizione originale sono portati a dieci, con tagli drastici al loro interno. Sono eliminati anche due personaggi: il «fatuo» detective privato Harrington, la cui funzione era quella di mettere in risalto la ben diversa figura morale del commissario De Vincenzi, e il giovane abitatore della soffitta di via Monforte, cui era legata una romantica storia d’amore con la protagonista, la quale, ora, anziché opporsi a un matrimonio che le viene imposto, rientra (per mancanza di occasione prossima del peccato) nel ruolo femminile subalterno di fronte all’autorità del padre e del futuro sposo, secondo un modello di famiglia patriarcale caro al fascismo. Due i vantaggi conseguiti: romanzo più corto e finale consolatorio.
Si tratta, in definitiva, non solo di una riduzione, ma di un rimaneggiamento che, se anche avvenuto con il consenso dell’autore (non lo sappiamo), deve essergli costato non poca amarezza.
«Privo di scrupoli» finché si vuole, per dirla con De Angelis, ma intanto l’ignoto manipolatore dell’edizione Ausonia si rende conto che un paio di indicazioni di tempo sono sbagliate e le corregge. E questo intervento ci aiuta a capire come veniva considerato allora il romanzo poliziesco: la cosa più importante non era la qualità della scrittura o la consistenza psicologica dei personaggi, ma la precisione del puzzle (del rompicapo, secondo il galateo linguistico autarchico).
Le inesattezze nelle connessioni temporali del racconto non sono smagliature di poco conto, soprattutto per quel tipo di lettori specialisti del genere poliziesco che, come osservava Leonardo Sciascia, rivelano una certa loro «inclinazione filologica»¹². E che magari lasciano qualche traccia della loro spirito critico sotto forma di annotazioni a margine sulle pagine del libro che stanno leggendo: in un esemplare della Canarina assassinata di Van Dine, nell’edizione 1931, a pagina 53, ho trovato alcune righe del testo sottolineate a matita e a fianco la scritta: «Come? dopo cinque minuti?!». Evidentemente il lettore aveva scrupolosamente calcolato che in un lasso di tempo così breve non potevano essersi verificati gli avvenimenti che l’autore pretendeva fossero accaduti.
Ecco dunque gli aggiustamenti dell’edizione Ausonia.
- È venuto il giudice?
- Sì, alle sette. Voleva parlarle. Gli ho detto che lei aveva vegliato fino alle cinque... perché lei, dottore, è uscito da questa casa alle cinque e non alle quattro... (Aurora, pag. 91)
- È venuto il giudice?
- Sì, alle sette. Voleva parlarvi. Gli ho detto che avevate vegliato fino alle quattro... perché voi dottore siete uscito da questa casa alle quattro e non alle cinque... (Ausonia, pag. 7)
La versione corretta è la seconda: il commissario, fondava la sua percezione del tempo sui colpi della pendola (non sapendo ancora che era stata manomessa) e credeva perciò di avere lasciato la casa un’ora dopo, non un’ora prima. Notare che la pagina 91 dell’edizione Aurora corrisponde alla pagina 7 dell’Ausonia e che, nelle citazioni seguenti, la 238 corrisponde alla 23.
Indicò col dito la pendola sul caminetto, che segnava adesso le sedici.
- Vede, signor giudice? Le sedici, mentre sono le quindici. E ieri segnava le undici, quando erano le dieci... le undici meno una... (Aurora)
Indicò col dito la pendola sul caminetto, che segnava adesso le diciassette.
- Vedete, signor giudice? Le diciassette, mentre sono le sedici. E ieri segnava le undici, quando erano le dieci... le undici meno una... (Ausonia)
La pendola doveva segnare le diciassette per la semplice ragione che l’appuntamento con il giudice istruttore, al quale De Vincenzi si rivolge, era stato fissato, appunto, per le sedici.
Entra in scena Bonaventura
De Angelis deriva da Van Dine anche il gusto di scandire le fasi dell’inchiesta, precisandone il giorno e l’ora. Nel nostro caso, il giorno e il mese li conosciamo: 28 dicembre; e dal testo si evince che era un mercoledì. L’ora si può ricavare, non senza qualche acrobazia, dal testo. Ma qualsiasi tentativo da parte del lettore di risalire all’anno in cui si svolge la vicenda sembra destinato a fallire. In base alla cronologia interna della saga comprendente quindici romanzi, il Banchiere dovrebbe collocarsi nel 1925 o poco prima, perché nel romanzo Sei donne e un libro (1936), ambientato nel marzo 1926, c’è un richiamo al caso di via Monforte già brillantemente risolto da De Vincenzi¹³.
Nell’edizione Sonzogno del Banchiere, dicembre 1940, dal titolo Le undici meno una... «Romantica Economica. Serie Gialla», 89, il problema della datazione dell’inchiesta si risolve in modo alquanto inatteso. L’azione viene di necessità a collocarsi nel 1938 o 1939 in virtù di una citazione bibliografica introdotta... dall’autore?... dall’editore?... che nel cassetto della scrivania di De Vincenzi sostituisce le Epistole di San Paolo con La psicoanalisi di Enzo Bonaventura. Ecco i due passi a confronto:
Aprì il cassetto e toccò altri due libri: l’Eros di Platone e Le epistole di San Paolo (Aurora);
Aprì il cassetto e toccò altri due libri: l’Eros di Platone e la Psicoanalisi del Bonaventura (Sonzogno).
Il saggio che prende il posto delle Epistole era uscito da Mondadori nel febbraio 1938. (L’anno delle leggi razziali... l’anno in cui il professor Bonaventura, ebreo, lasciava l’Università di Firenze, dove insegnava, per trasferirsi a Gerusalemme... e Freud, ottantenne, fuggiva da Vienna per riparare a Londra...)¹⁴.
Anche l’edizione Sonzogno adotta il voi, nei dialoghi, invece del lei; le parole straniere sono italianizzate