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L'inconsistente. Un amore zoppo
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L'inconsistente. Un amore zoppo
E-book96 pagine1 ora

L'inconsistente. Un amore zoppo

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Info su questo ebook

Filippo è un uomo di trentadue anni, ma vive in un paese che negandogli autonomia e sicurezza economica lo intrappola in un'eterna adolescenza.

La quotidianità di Filippo è una continua riflessione sull'inconsistenza del proprio esistere. È un italiano che spiega la propria percezione della situazione politica italiana e il proprio rapporto con una cultura in apparenza evoluta che promuove narcisismo ed egoismo e che venera e premia ogni forma di "bullismo".
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2019
ISBN9788831600255
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    L'inconsistente. Un amore zoppo - f.montinari

    bullismo.

    1. S/D-EMENZA

    1. Mi chiamo Filippo, sono nato nell’ottantacinque da padre operaio e madre casalinga. I miei genitori erano ottimisti; con uno stipendio sono riusciti a realizzare i propri sogni: hanno formato una famiglia, hanno costruito una casa al paese e una al mare e hanno accumulato un buon conto in banca, sia chiaro, non concedendosi neanche un gelato o una pizza il sabato sera, perché i loro sogni comprendevano l’università dei figli (semenza). Essendo io stato un bambino promettente negli studi la cosa procedeva liscia come l’olio.

    Ecco l’università. Mio padre mi consigliò: «Prendi Medicina. Guarda gli specialisti, per neanche due minuti di visita centocinquantamila lire pulite, senza fattura e poi se entrano in ospedale entrata doppia e tripla.» Vidi elenchi di diagnosi errate e interventi falliti e immaginai di unirmi a tutta quella massa di medici che compilano ricette per pazienti che non si degnano neanche di guardare in faccia. «Non ne ho la vocazione» gli dissi come se stessi facendo coming out e scelsi Lettere classiche. Ho sempre ripensato a quella scelta come alla prima delusione che diedi a mio padre quindi tutti gli esami superati con successo e la conseguente laurea avevano già perso di valore al momento dell’iscrizione. «Quando insegnerò Lettere e mi sentirò realizzato e felice del mio lavoro, si sentirà realizzato e felice anche lui» mi ripetevo.

    Finalmente presi la mia sudata laurea col mio impegno e i risparmi dei miei genitori ma… la laurea non era più abilitante. Una laurea che non abilita? Un dottore in lettere non in grado di insegnare Lettere che dottore in Lettere sarebbe? Senza uno straccio di titolo, senza competenza, senza concorsi, senza colloqui e con gli amici giusti, puoi governare l’Italia, ma con un titolo in Lettere non puoi insegnare Lettere. Ci pensai, per trovare un senso. Qualcuno mi ha detto che i nostri corsi di laurea non ci abilitano perché manca il tirocinio. E che ci vuole ad aggiungere al corso di laurea un anno o due di tirocinio obbligatorio direttamente nelle scuole, con una valutazione finale? Invece sono stati attivati dei corsi post-laurea di abilitazione molto cari e che durano anni. Provai la sensazione di aver percorso chilometri e chilometri di strada solo per ritrovarmi in un vicolo cieco. Qualcuno mi stava negando il valore di ciò che avevo fatto. I miei primi ventisei anni di vita, proprio quelli che servono a costruire il futuro, non erano serviti a niente. La peggiore gioventù bruciata è quella passata sui libri.

    Il tempo di prendere un titolo di laurea privato d’ogni valore e i fasulli corsi abilitanti vengono aboliti. Passano anni senza l’ombra di un corso abilitante. Anni valutati come noccioline americane perse giocando a carte con gli amici. Anni su anni di una gioventù perduta… irrecuperabile.

    2. Durante questi anni mi hanno chiamato bamboccione e choosy (non hanno neanche più la dignità di parlare Italiano: la Politica italiana parla agli italiani in inglese per meglio prenderli per il culo, infatti i termini inglesi meglio si prestano al niente che la Politica preferisce discutere, non sia mai che parli dei problemi civici reali!), in altri termini un parassita viziato, mentre ho buttato soldi in carta per curriculum e raccomandate e per partecipare a concorsi palesemente artefatti. Un paio di volte feci anche un colloquio di lavoro in due scuole di recupero anni scolastici ma pare che non avessi esperienze lavorative (?). «Certo» ho pensato «perché mi sono appena laureato, come avrei potuto insegnare prima della laurea? E comunque dopo gli studi se avessi potuto insegnare starei facendo un colloquio a una scuola per recupero anni scolastici?» Pare che servire ai tavoli in una pizzeria e lavorare in un autolavaggio a nero non siano esperienze lavorative e non fanno curriculum, tanto meno fare volantinaggio, dunque quali lavori dovrebbe fare un ventenne diplomato impegnato negli studi universitari? Probabilmente esperienze lavorative valide le ha fatte la figlia dell’assessore che è stata assunta a quella scuola di recupero anni scolastici (demenza).

    Avrei lavorato anche in fabbrica se solo quelle due, tre fabbrichette non avessero chiuso i battenti. Trovai un posto alla reception di una piccola azienda a Empoli con l’aiuto di un cugino, perché se non conosci nessuno nemmeno in un cesso pubblico ti fanno entrare, ma i soldi non mi bastavano per pagare l’affitto e le tasse, tanto vale ritornare dai miei e arrangiarmi con qualche lavoretto. Lavoravo per morire di fame letteralmente.

    3. Ora ho trentadue anni. Avrei già dovuto portare al diploma una classe. Quante volte ho immaginato di parlare ai miei alunni (semenza), quante volte ho cercato modi diversi per avvicinare le riflessioni sulle problematiche dell’adolescenza alla bellezza dell’espressione poetica... Non mi ricordo quando ma ho smesso di farlo. Ora penso solo al consiglio di mio padre di scegliere Medicina: compilerei ricette per pazienti che non guarderei in faccia e compiacerei i marchi farmaceutici con buona pace di Ippocrate, però avrei un conto in banca, indipendenza e la possibilità di formare una famiglia, in più la consapevolezza di non aver deluso i miei genitori. O forse mi sbaglio e anche quella scelta per molti miei coetanei figli di non medici si è risolta in un vicolo cieco e giusto per tenersi in allenamento si sono dati al volontariato inflazionato o sono emigrati mettendosi al soldo di un’altra nazione (demenza).

    Sono a casa dei miei e offro doposcuola a massimo tre bambini per volta per cento, centoventi euro al mese a testa.

    Centoventi euro quando me li danno. Poveracci! C’è ancora qualcuno che per retaggio culturale (semenza) pensa che valga la pena studiare. Ma i più lo hanno capito e mandano i figli a scuola giusto per levarseli di torno per gran parte della giornata (demenza) e non dimostrano il minimo interessamento per il loro rendimento scolastico né la minima considerazione per gli insegnanti finiti per diventare un ingranaggio assolutamente inutile della società. Non mi fermerò qui a spiegare la gravità della situazione e quali conseguenze apocalittiche avrà sulla civiltà… generazioni di gestanti senza ostetrici che non sapranno mai cosa avrebbero potuto generare.

    Mentre aiuto quei bambini ad assimilare meglio le nozioni scolastiche vengo assalito dal senso di colpa come se li stessi scippando di tempo e denaro e vorrei dire loro: «La peggio gioventù bruciata è quella passata sui libri.» Ma c’è qualcosa nella mia morale che me lo impedisce e la voce mi muore in gola perché al di fuori del Sapere la Libertà non ha alcuna possibilità. Mi trattengo perché ripetere a voce alta che la peggio gioventù bruciata è quella passata sui libri significa infliggermi una violenza inaudita.

    «Considerate la vostra semenza:

    fatti non foste a viver come bruti,

    ma per seguir virtute e canoscenza.»

    Consideriamo la nostra semenza.

    «Sapere è potere» spesso abbiamo sintetizzato con il povero Bacone la più grande balla della storia umana. Per fortuna noi

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