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Le due metà
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E-book338 pagine4 ore

Le due metà

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Info su questo ebook

Due sorelle omozigote si somigliano come due gocce d’acqua, ma hanno un carattere diametralmente opposto. È l’eterno conflitto tra il bene e il male, un dualismo di ragione e sentimento. Entrambe desiderano lo stesso uomo e cercano di averlo senza esclusioni di colpi. Nel tema, la realtà s’intreccia con il paranormale.
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2019
ISBN9788831613637
Le due metà

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    Anteprima del libro

    Le due metà - Teodora Oliva

    E.

    Capitolo I

        Remo Belvedere stava seduto sul suo bel divano, in una graziosa villetta, nel cuore della città attorniato dai suoi più cari amici: Clemente, Corrado e Danilo. Assieme, avevano frequentato gli studi universitari di architettura e dato l’avvio ad un’impresa innovativa nel settore. Avendo in comune la professione, frequentavano lo stesso giro di conoscenze e gli stessi posti. Avevano però caratteri diversi.

        Remo era quello più riflessivo e meticoloso, prima di decidere un passo ci pensava un milione di volte. Raccomandava prudenza e accortezza, a scapito dell’immediatezza. Danilo era quello più screanzato e socievole, nonché colui che sovente attaccava bottone con le ragazze. Clemente era sagace e lungimirante. Era soprannominato l’uomo delle intuizioni azzeccate. Infine, c’era Corrado l’eterno incosciente. Una ne pensava, ma mille ne combinava e altrettanto ne disfaceva.

        Dal punto di vista fisico, i quattro amici non potevano essere più diversi. Remo era il più piacevole. Era alto e asciutto, con tutti i muscoli al posto giusto. Con i capelli neri e gli occhi verdi faceva voltare più di una donna al suo passaggio. Avrebbe rappresentato una delizia per il genere femminile se non possedesse un carattere ombroso e difficile. 

        Danilo, nonostante avesse il pallino fisso delle donne, non era un granché e rimediava con la simpatia e la prontezza di spirito alla scarsa idoneità fisica. Era basso e con un principio di calvizie diffuse sulle tempie.

        Gli altri due ragazzi rientravano nella norma. Non erano appariscenti, ma nemmeno dei tipi anonimi, nel senso che ad alcune donne potevano piacere molto, mentre ad altre, per niente.

    Quel giorno, seduti sul divano, non stavano però parlando di lavoro, come facevano quando si riunivano. L’argomento verteva su un campo del tutto diverso, quello del matrimonio.

        Aveva aperto la diatriba Corrado, dicendo. «Avete sentito che Rosario si è sposato.»

        «Rosario, chi?» chiese Remo con scarso interesse. Il matrimonio era per lui un affare alieno e assai lontano.

        «Quello spilungone di cui ti ho parlato spesso e che ti ho presentato una volta al bar delle Coccinelle. In quell’occasione, se ben ti ricordi ha pagato il caffè per tutti.»

        Remo alzò un sopracciglio. «Avrei una memoria a prova di bomba se ricordassi tutti gli amici che mi abbiano offerto il caffè in un bar. Io, generalmente, lo offro a tutti.»

        «Rosario te lo devi ricordare perché ha parlato un’ora intera della sua squadra preferita di calcio e tu ti sei lamentato che a tale causa ti era venuto un gran mal di capo.»

        «Ah, ora ricordo. Stai parlando di quel cosentino sfegatato? Non faceva che gridare: forza lupi.»

        «Già, proprio lui. Si è fatto accalappiare al laccio.»

        «Cosa c’è di strano nel fatto che si sia sposato?» s’intromise Clemente. «Il matrimonio non è una camicia di forza, ma l’elemento base per costruire una famiglia.»

        «C’è di strano che Rosario ha la nostra stessa età. È stato il mio più grande amico di infanzia. Abbiamo fatto assieme la scuola materna, le elementari e le medie, poi lui ha lasciato, un po’ perché non aveva tanta voglia di applicarsi sugli studi e un po’ perché, essendo purtroppo orfano di padre, aveva necessità di lavorare.»

        «Chi ha impalmato?»

        «Una certa Amelia.»

        «È bella?» gli chiesero in coro, quasi come a voler motivare che un poveruomo si lasciava mettere il laccio al collo, soltanto se la ragazza in questione era una grande bellezza.»

        «Non è miss Italia, ma nemmeno una scorfana.» rispose l’interpellato. «Il mio amico l’ha conosciuta al mare due anni fa e la loro storia è stata seria da subito.»

        «Beato lui!» esclamò Danilo con un pizzico d’invidia e amante dei proverbi com’era, ne sciorinò uno appresso all’altro. «La fortuna è una dea bendata. Bacia in fronte a casaccio. A volte è bizzarra, nel senso che dà il pane a chi non ha i denti o dà le perle ai porci. Ogni riferimento a cosa o a persona è puramente casuale. Non me ne volere, Corrado, perché non ce l’ho col tuo amico che tra l’altro non conosco.»

        «Qui non è questione di fortuna, ma di sapersi prendere di carattere.» confutò Remo.

        «Compito assai arduo. Una donna sposa un uomo, sperando che cambi, ma non cambierà. Un uomo sposa una donna sperando che non cambi, ma accidenti se cambierà.» esclamò Danilo. «Purtroppo non è facile ai giorni nostri saper riconoscere l’anima gemella. Sa che vi dico, io mi sposerò soltanto con una donna piena di soldi, almeno avrò gli attenuanti.»

        «Come darti torto amico.» disse Clemente, assestandogli un’amichevole pacca sulla spalla. «Le donne di oggi, apparentemente, sembrano tutte dello stesso stampo, interessate soltanto al denaro, al potere e all’estetica. Non hanno più voglia di sacrificarsi in nome della famiglia e tendono a bruciare le tappe. A soli quattordici anni conoscono tutto ciò che c’è da sapere sulla sessualità e ne fanno uso corrente, sbandierandolo ai quattro venti. Amano apparire e spendono un patrimonio per creme, depilazioni e saloni di bellezza. Ultimamente si sono date alla chirurgia plastica. Il loro desiderio più forte non è di rendere felice un uomo, ma quello di diventare una velina, una modella e di bazzicare nei vari salotti televisivi. Ecco perché tanti matrimoni naufragano dopo poco tempo. Noi uomini ci sentiamo inadeguati all’intraprendenza e al loro nuovo ruolo.» 

        «A questo punto ci conviene sposarci una ragazza meno carina, ma con del criterio in testa.» arguì Corrado.

        «Per carità! Una ragazza non bella mi ammoscerebbe l’apparato riproduttore, sa, anche l’occhio vuole la sua parte.»lo contestò Clemente.

        «Per fare l’amore con una ragazza non occorre che lei sia miss cinema, basti che sia passabile.» replicò Danilo.

        «E ti pareva! A te basta che respirino, non sei selettivo.» gli fece presente Clemente.

        Gli altri due amici presero a ridacchiare sotto i baffi.

        «So essere obiettivo. Non si può dire che io sia un adone.» replicò Danilo mettendo il broncio contro madre natura. «Dunque, mi accontento di quel che passa il convento. Bella o brutta che sia una donna è poco importante, dal momento che cucco più io, di voi altri assemblati. Prendi Remo, per esempio. È il più affascinante di tutti, ma rimorchia poco o niente.»

        «Per forza. Lui mira alla qualità e non alla quantità.» disse Clemente prendendo le parti di Remo.

        «Ciò è male, perché per quanto mi riguarda, tolta la sottana, una donna è uguale all’altra.»

        «Che screanzato che sei, Danilo. Tu hai la fisima del sesso e la totale mancanza di un’ideologia.»

        L’uomo parve colpito nell’amor proprio, ma ci pensò Corrado a risollevarlo. «Tu sei a posto, parecchi uomini vanno al sodo senza valutare etti, centimetri e canoni di bellezza. L’importante è che una donna pur che sia brutta, abbia senno e soprattutto la voglia di corrisponderti. Il resto lascia il tempo che trova.»

        «Tendo a ripetervi che una bella donna non è sempre sinonimo di oca giuliva, come purtroppo una scorfana non lo è di ragazza intelligente.» riprese Clemente con tono canzonatorio. «È arrivato il momento di sfatare questo detto popolare.»

        «È una grande disdetta incontrare una donna che oltre ad essere brutta, è anche stupida.» dedusse Corrado, alzando le mani al Cielo. «Che Dio ce ne scampi.» 

        «La bellezza è effimera e invecchiando ci imbruttiamo tutti. Le relazioni sbagliate vanno in rovina, ma quelle improntate sulla serietà resistono nel tempo e dinanzi alle difficoltà e al degrado fisico. Il tuo amico si è sposato in chiesa o ha preferito il rito civile?»

        «In chiesa, ma cosa cambia?»

        «Per me tanto.» rispose l’interpellato. «È chiaro che non sono un cattolico osservante, ma credo in Dio e non mi va di mentirgli. 

        «Temi nel giudizio divino?» chiese Danilo, ridacchiando.

        «Sull’altare, gli sposi giurano di amarsi per sempre, ma quando si ritrovano davanti ad un avvocato per la separazione, che fine fa questa promessa solenne? Agli occhi di Dio si diventa spergiuri. Ecco perché consiglio il rito civile per chi non è convinto della propria scelta. Il matrimonio dovrebbe essere un legame sacro e inscindibile.» 

        «Come può essere inscindibile se esiste il divorzio. Conosco più di qualcuno che prima di sposarsi preferisce la separazione dei beni.» disse Remo, con un mugugno.

        «Il divorzio esiste perché finisce l’amore. Nonostante contrasti con la morale cattolica, ha il vantaggio di riparare ad un matrimonio sbagliato e permette di ricominciare. Soprattutto azzera i compromessi umilianti che una delle due parti era costretta a subire quando la separazione non era possibile.» disse Danilo.

        «Di ogni medaglia c’è il rovescio. L’avvento del divorzio ha ucciso o ridotto la volontà dei coniugi di compiere ogni possibile sforzo per salvare un’unione pericolante. Per quanto poi riguarda la divisione dei beni, anch’io la preferisco.»

        «E invece no.» ripeté Clemente alzando il tono della voce.  «Si parte con le premesse sbagliate. Il matrimonio è unione, è comunione dei beni e delle anime, non la contrattazione di un affare che si può rescindere in un qualsiasi momento. Tutto dovrebbe diventare di entrambi e non quello è soltanto mio e quello è tuo. Si finisce che ci si litiga, che si prendono le distanze l’una dall’altro. Si mette in conto che il legame matrimoniale non sia per sempre, allora la formula (finché morte non ci separa si traduce col più triste ma veritiero, finché il divorzio non ci divide). Spero che il matrimonio dell’amico di Corrado duri una vita intera.» concluse scuotendo la testa.

        «Durerà senz’altro.» asserì con convinzione Corrado. «Il mio amico ha la testa sulle spalle e per quel che ne so, anche sua moglie è una persona a modo.»

        A questo punto l’argomento era concluso, ma Clemente disse. «Di solito, nessuno è immune al matrimonio, nel senso che presto o tardi vi incapperà. Chissà chi tra noi quattro sarà il primo a contrarlo. Forse sarai tu, Remo.»

        «Perché fra tutti hai citato il mio nome?» gli chiese il giovane saltando dalla poltrona, come se fosse stato punto da una tarantola.

        Clemente sorrise nel guardarlo.  «Così, mi è venuto per caso. È innegabile che sei il più bello, il più ricco e il più interessante tra noi e una donna, volendo scegliere il meglio, butterebbe l’occhio su di te. Perché continui a guardarmi con quella faccia spaventata?»

        «Non si sa mai! Tu di solito sai vedere lontano. Non voglio dire che sei un chiaroveggente, eppure alcune cose che hai previsto e che al momento parevano paradossali, poi si sono verificate davvero.»

        «Vorrà dire che ci prendo anche stavolta.» gli rispose. Non voleva impressionarlo, però ci si stava divertendo un mondo a vederlo scolorire.

        «Dio me ne guardi!» esclamò d’impeto Remo. «Come abbiamo appena appurato, il matrimonio è diventato un campo spinoso in cui è imprudente addentrarvi.»

        «Per me vale la stessa cosa.» s’affrettò a dire Danilo. «Non voglio sposarmi per divorziare un paio di anni dopo.»

        «Amici, facciamo un patto.» escogitò Clemente. «Stabiliamo un premio speciale a chi tra di noi sarà il primo a sposarsi e a restare sposato per almeno un decennio.»

        «Cos’è? Una specie di scommessa?»

        «Mettiamola pure così.»

        «Interessante. In cosa consisterebbe il premio?» chiese Corrado sospinto dalla curiosità.

        «In bei quaranta bigliettoni. Faremo cassa comune. Ciascuno di noi verserà in un fondo fiduciario ben dieci bigliettoni che si papperà chi per primo avrà l’intraprendenza di varcare gli scalini di una chiesa e la costanza decennale di onorare il sacro uffizio matrimoniale.»

        «Io per tale cifra mi sposerei domani.» disse Danilo.

        Remo lo guardò con scetticismo. «Sei certo, amico mio, che ne varrebbe la pena?»

        «A pensarci bene, no. Mi viene la pelle d’oca soltanto ad averlo supposto.»

        «Allora ci state o no?» chiese il promotore della bella trovata.

        «Io sì.» aderì Corrado. «Per male che vada mi consolerò con la vostra parte della posta.»

        «Ci sto anch’io.» s’affrettò a dire Danilo. «Da questo negoziato non avrei che da ricavarci.»

        «E tu Remo che ne pensi? A questo punto manchi solo tu a suggellare tale patto.» chiese Clemente.

        «Io mi levo fuori.»

        «Non vale. Devi aderire anche tu.» insistette Clemente.

        Remo s’impuntò. «Perché dovrei se non voglio?»

        «Perché ci sono alcune cose su cui non si può dire di no. Remo, correggimi se sbaglio, noi siamo quattro amici da sempre e abbiamo preso spesso delle decisioni comuni.»

        «Che c’entra ora questo discorso?»

        «Eccome, se c’entra! Quante volte è capitato che abbiamo messo ai voti una questione su cui c’erano delle discordanze? Se uno di noi proponeva, ma soprattutto rinunciava a un affare probabile, doveva spiegarne la causa e convincere il resto del gruppo sulla validità della cosa. Qualora fosse abbastanza persuasivo, non se ne faceva nulla, altrimenti il parere della maggioranza era risolutivo.»

        «In quei casi si doveva decidere su questioni economiche, non per delle sciocchezze.» obiettò Remo con convinzione.

        «Il fine era di ottenere un profitto. Ora vale lo stesso ragionamento, perché la posta in gioco è comunque il denaro. Non vi è dunque alcun motivo valido a sfiduciare la mia proposta. Come promotore, chiedo a ciascuno di voi di alzare la mano se vi trovate d’accordo con me.»

        Clemente alzò la mano per prima ed è inutile dire che sia Corrado, sia Danilo aderirono all’iniziativa con entusiasmo. Remo, vistosi in minoranza, si vide costretto ad alzare anche la propria.

      «Ora viene la parte più importante.» disse ancora Clemente che si apprestò a compilare un contratto controfirmato dai partecipanti.

        «E sarebbe?»

        «Adempiere in pratica a quanto detto. Ognuno verserà un assegno che domani qualcuno di noi andrà a depositare in banca a favore del vincitore del premio.»

        «Come si nota che per oggi non abbiamo un cacchio da fare.» ironizzò Remo mentre poneva la sua firma su quella sorta di contratto improvvisato. «Ci siamo dati persino alle scommesse bislacche.»

        «Allora parliamo di cose serie.» propose Clemente intascandosi i quattro assegni e prendendosi l’onere di andare lui a depositarli. Era difatti, la persona che tra tutti, spiccava per senso di lealtà e fiducia.

        «Secondo voi di chi è la colpa dello sfacelo dei matrimoni?»

        «Ancora con questa storia.» sbuffò Remo. «La colpa è dei tempi che si evolvono, è ovvio. Oggi c’è troppo benessere e ancora non ci si accontenta. Si vuole sempre di più.»

        Clemente strabuzzò gli occhi. «Ciò è nell’ordine naturale delle cose.» gli rispose, citandogli il noto economista Smith. «Un principio economico è valido solo se si riesce ad ottenere il massimo possibile con il minimo sforzo.» Come se non bastasse, scomodò anche lo scrittore francese Victor Hugo che una volta disse: Se Dio avesse voluto che l’uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa.

        «Sarà come dici.» gli ribatté dubbioso il proprietario dello studio.

        «Remo, non mi dire che appartieni a quella categoria di persone, che affermano che si stava meglio quando si stava peggio?» chiese Clemente sbigottito. «I vecchi tempi sono andati.»

        «Non voglio negare i benefici del progresso, che rappresenta il motore di continue evoluzioni positive.»

        «Ci mancherebbe!» esclamò Clemente, mentre tutti lo ascoltavano attentamente. «Oggi non riusciremmo a vivere senza i cellulari, i computer, le automobili, gli elettrodomestici e lo sviluppo della medicina moderna.»

        «Bisogna ammettere che talvolta il benessere trascina con sé vizi, consumismo e la perdita di alcuni valori importanti, uno dei quali, appunto è la famiglia.» gli ribatté Remo.

        «Per me, con la rottura dei matrimoni il progresso c’entra poco.» rifletté Danilo. «La colpa è piuttosto del femminismo e del nuovo ruolo che la donna riveste in società.»

        «Dai! Non è giusto darle sempre addosso. La donna è la nostra esatta metà.» asserì Clemente.

        «Già, per questa ragione ci rende mezzi uomini.» ironizzò Corrado.

        «Non parleresti così se tu fossi nata femmina. La donna ha voluto e ottenuto la parità a caro prezzo. Si è affermata nel lavoro e contribuisce al bilancio familiare, ma non è così in tutto il mondo. Ci sono dei posti dove ancora è considerata una schiava. La sua parola non vale niente e viene uccisa per i più ingiustificati motivi. Per fortuna, in Italia e nel mondo occidentale è rispettata come merita, ma anche noi, se volgiamo uno sguardo al passato, siamo stati terribili, mi riferisco all’Inquisizione, alla caccia delle streghe, ai roghi. Abbiamo fatto di tutto per inibirla e relegarla al ruolo di sottomessa. Mi chiederei il perché! Forse, abbiamo timore che sia molto più intelligente e creatrice di noi.»

        «Non c’è bisogno che ne prendi le difese. Sa benissimo farlo da sola.» gli rispose Corrado, scuotendo il capo con diniego. 

        Clemente replicò con maggior enfasi. «Non dimentichiamoci che la donna non è la nostra nemica agguerrita, ma rappresenta, di volta in volta, nostra madre, sorella, moglie, figlia e amante, della quale non potremmo farne a meno, pena l’estinzione dell’umanità stessa. In lei e nel suo corpo sta racchiuso il grande meccanismo della vita. Dio le ha dato l’arma più potente che un essere vivente potesse immaginare, quello della procreazione. Noi uomini siamo nulla di fronte a ciò e lei ne è consapevole.»   

        «Ma dai!» ironizzò Remo.

        «Già.» proseguì con convinzione Clemente. «È ovvio che con la parificazione dei ruoli, il principio che voleva l’uomo a capo della famiglia è stato ampliamente superato.»

        «La parità non giustifica che la donna sfasci il matrimonio, per un nonnulla?» disse Corrado duro di comprendonio.

        «E chi ti dice che sia la donna la responsabile di una rottura. Spesso siamo noi uomini a volerlo, a tenere il piede in due scarpe, ad avere moglie e amante al seguito. Non di rado abbiamo figli dall’una e dall’altra. Una vera confusione.»

        «Un uomo tradisce quando la donna non riesce a tenerselo stretto.» ribatté Danilo.

        «Questo è il concetto più maschilista che abbia mai sentito.» lo redarguì Clemente. «Hai detto una grande castroneria. L’uomo tradisce perché soffre della sindrome di Peter Pan, tanto è vero che in genere lo fa quando si accorge di andare in andropausa, intorno ai quarantacinque anni. In sostanza ha paura d’invecchiare e vuole sperimentare gli ultimi strepiti prima che il suo ‘gallo’ smetta di cantare. Io, un uomo del genere, lo giudico vile perché nuoce doppiamente alla sua compagna di vita.»

        «Perché dici questo?»

        «A ragion veduta. Di solito ci si sposa tra coetanei, ma i quarant’anni dell’uomo sono ben diversi di quelli di una donna. Lei va soggetta all’orologio biologico, va in menopausa. Quando un uomo la lascia a quell’età, lei si sente finita, soprattutto se è soppiantata da una molto più giovane.»

        «Non è sempre vero quello che hai detto sull’età. Ho visto fior di donne, prossime alla cinquantina, far girare la testa a più di un trentenne. Anch’io una volta sono rimasto intrigato da una di loro.» ribatté Danilo.

        «Ci sei andata a letto, ma non te la sei mica sposata. Stammi a sentire che le cose stanno come dico io. Un uomo per sentirsi pienamente realizzato ha bisogno che la sua donna sia giovane e in grado di dargli ipoteticamente dei figli.»

        «Che male c’è a vivere con intensità, dato che la giovinezza passa in fretta e la morte sta in agguato?» ribadì Danilo.

        «C’è che una donna non ci sta più ai nostri comodi o a farsi bistrattare e risponde alla nostra mancanza di riguardi con altrettanta sregolatezza. Si accorge subito quando qualcosa non va per il giusto verso e reagisce con veemenza, anzi, ci precede.»

        «Per nostra fortuna, lei trova un intoppo sul suo cammino.» gli rispose Corrado con malignità.

        «E sarebbe?»

        «Madre natura. Come hai affermato poco prima va in menopausa prima di noi, che si traduce in uno svilimento del suo potere. Noi invece a quarant’anni siamo arzilli come a venti e in grado di mettere ancora su famiglia.»

        «Noi uomini, più che arzilli, siamo stupidi. Andiamo con una giovane donna non preventivando che proprio a causa sell’età, presto ci ritroveremo con un bel paio di corna e, in più, dovremo pagare gli alimenti e il mantenimento non a una, ma a più famiglie. Noi rimarremo spiantati e loro vivranno felici e beate con i nostri soldi.»

        «Perché la donna si è evoluta mentre noi siamo rimasti quelli arretrati di sempre, anzi siamo andati a peggiorare?» chiese Danilo.

        «La donna se non è condizionata dall’istinto di maternità può fare a meno di noi, e poiché lavora e che in genere procrea due sole volte nella vita, ha ridimensionato di molto il nostro valore. La tradizione popolare ci aveva inculcato che eravamo i re ma crescendo ci siamo accorti che nessuna è disposta a farsi governare e gestire. Allora ci troviamo lì, tapini, a piangerci addosso.» confermò Danilo.

        «Com’è vero.» gli fece eco Corrado. «Oggi, una donna preferisce rimanere sola piuttosto che farsi comandare. Una volta era educata ad abbassare il capo dinanzi allo spauracchio di rimanere zitella, ora invece se ne frega e sapete il perché?»

        «Il motivo è ovvio a tutti. Non desidera sposarsi perché vive più che bene nella casa paterna. Il sesso lo fa ogni qualvolta che le aggrada e soldi in tasca ne ha abbastanza, dunque perché dovrebbe scegliere di sacrificarsi per un marito e eventuali figli?»

        «Io penso che se il matrimonio nuoce alla donna, ancora di più, nuoce alla nostra categoria.» rifletté Remo a voce alta.

        «Spiegaci la causa di questa tua catastrofica deduzione.» ridacchiò Danilo.

        «Perché in Italia c’è una legge sulle separazioni che fa schifo. Mi spiego meglio con un esempio. Amici, pensate a un uomo che si sposa e che si lascia subito dopo. Deve pagare per il breve passaggio a suo fianco di una compagna per un bel pezzo di vita. Figurarsi poi se da quella sciagurata unione è nato un figlio.»

        «E con questo?»

        «Ahimè, gli tocca lasciare la casa e ciò che ha duramente conquistato con il sudore della fronte e pagare per un periodo lunghissimo. Ho visto uomini che sono stati depredati di tutto, al punto di dover dormire in macchina.» 

        «Il figlio che mette al mondo è suo, dunque è giusto che paghi.» arguì Corrado.

        «Invece no.» incalzò Remo con pessimismo. «Il figlio non è suo. Non è mai suo.»

        «Che cavolo dici?»

        Il giovane architetto vide gli amici sgranare gli occhi e preso dall’enfasi specificò. «Mi spiego meglio, biologicamente lo è, ma il figlio lo puoi vedere soltanto in determinati momenti e quei pochi attimi sono avvelenati dalla martellante campagna diffamatoria, in tuo sfavore, dalla tua ex. Hai voglia di riempirlo di regali. Hai voglia di dirgli che gli vuoi bene. Il bambino ti guarderà sempre con sospetto, come dire, che se tu davvero fossi un bravo papà, vivevi ancora con lui e la sua favolosa mamma e non bandito da casa. E la cosa più umiliante sapete qual è?»

        Gli altri tre lo stavano guardando con sommo interesse, chiedendosi del perché si fosse tanto accalorato. Non era mai stato sposato e i suoi genitori erano andati d’amore e d’accordo sino a che non erano rimasti vittime di un terribile incidente stradale. Sì, c’era il matrimonio di suo fratello che stava traballando, ma non giustificava una simile mancanza di fiducia per tale istituzione.

        «Di che umiliazione parli?» chiese Clemente.

        «Quando scopri che tuo figlio chiama papà un altro uomo, lo stesso che si scopa alla grande la donna che ti aveva giurato eterna fedeltà.»

        «A me è successo l’inverso, nel senso che da piccolo più volte ho chiamato il mio patrigno col nome di papà, ma mai davanti al mio vero padre, almeno credo.» confessò Corrado. «Qualora involontariamente lo avessi fatto mi dispiace per avergli dato questo dispiacere. Chissà come facevano i nostri trisavoli a rimanere assieme una vita intera?» concluse scuotendo il capo con amarezza.

        «La donna resisteva tutta la vita, non per spirito di tolleranza, ma perché non esisteva ancora il divorzio. Innanzi tutto, non si sposava per vero amore, ma per convenienza o perché il suo matrimonio era stato combinato. La donna faceva di tutto per maritarsi e tenersi caro il marito perché era considerata come una cambiale in scadenza.»

        «Questo concetto era valido quando la donna era dedita alla famiglia. Ora come abbiamo appurato, ha altri pensieri nella testa, altri dardi nella sua faretra.»

        «Continui a non capirci nulla.» lo rimproverò Clemente. «Non è la donna a essere sbagliata, ma noi uomini che non sappiamo più che pesci prendere. Non riusciamo a convivere col pensiero che abbiamo perso le redini del comando. Non sappiamo nemmeno più che ruolo ricoprire. Alcuni uomini addirittura uccidono quando le loro donne li lasciano. Le preferiscono sotto terra, che non libere e felici e questo è terribilmente gretto ed egoista.»

        «Lasciamo perdere quegli uomini deviati, che io una donna non la toccherei nemmeno con un fiore.» affermò con convinzione Danilo.

        «Se ho capito bene, alla base della ribellione della donna sta l’indipendenza economica ed è sempre essa che condiziona il rapporto coniugale.» disse Corrado.

        «Non sai quanto! La donna lavoratrice esige di essere considerata, di uscire quanto le fa comodo e di dire la sua. Non è come la casalinga di una volta che nutriva un profondo rispetto nel confronto del proprio uomo e a lui bastava, perché gli importava più di essere temuto che amato. Perciò, ho deciso che mi sposerò soltanto se incontrerò una donna che crede nei valori di una volta.» 

        «In tal caso sei destinato a rimanere

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