Agli ordini del visconte
Di Anne Ashley
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Anne Ashley
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Anteprima del libro
Agli ordini del visconte - Anne Ashley
Immagine di copertina:
Gian Luigi Coppola
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Miss In A Man’s World
Harlequin Mills & Boon Historical Romance
© 2011 Anne Ashley
Traduzione di Silvia Zucca
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5897-565-7
Prologo
La luce delle candele rendeva il volto della Contessa Vedova più intimidatorio del solito. Neppure i suoi più strenui sostenitori avevano mai potuto definirla una bellezza. Neanche cinque decenni prima, quando aveva sorpreso molti fidanzandosi con il sesto Conte di Grenville. Non di meno, nemmeno i suoi più severi critici, e ne aveva avuti molti, l’avrebbero stigmatizzata come men che illuminata, o come una donna che aveva fallito nei suoi obblighi.
Al contrario, era stata famosa per tutta la sua vita di adulta come una donna che metteva sempre il dovere al primo posto, anche se significava andare contro le sue inclinazioni. Era sempre stata ferma nelle sue convinzioni, un pilastro per gli altri durante gli anni, in quanto a sostegno e buon senso.
Eppure quel giorno, dopo aver assistito alla tumulazione dell’ultimo dei sei figli, i suoi occhi mancavano di quella scintilla vitale, di quella determinazione che l’avevano caratterizzata. O meglio, questa non era così evidente, tuttavia c’era, come scoprì l’altra occupante del comodo salottino quando la vedova smise di contemplare silenziosamente il fuoco e sollevò il capo.
«Non ti faccio questa richiesta a cuor leggero» disse. «E so che, se acconsentirai ad aiutarmi, metterai la tua vita in pericolo, nel caso in cui il responsabile della morte di mio figlio dovesse scoprire che lo stai cercando. Ma la verità è che non mi fido di nessuno così ciecamente come mi fido di te.» Sospirò. «È triste che una donna della mia età debba ammettere una cosa del genere, però è così.»
«E voi siete sicura che le sue ultime parole siano state: Non è uno sconosciuto... può essere stato solo... uno dei cinque. Uno di loro deve essere coinvolto
?»
«Sicura. Non potrei mai dimenticarlo, visto che sono state le ultime parole che mi ha detto. Purtroppo non so che cosa significhino. Mio figlio conosceva moltissime persone. Pari del Regno, membri del governo, ufficiali dell’esercito e della marina. Oppure poteva riferirsi a una società segreta? Chi lo sa! Ma devo scoprirlo. Fino a quel momento, però, sarà meglio che tutti continuino a credere che è morto per mano di un aggressore sconosciuto. Il che non si discosta poi molto dalla verità... In ogni caso io sono determinata a portare davanti alla giustizia la persona che ha organizzato l’attacco.»
Seguì un lungo silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’orologio sulla mensola e dal crepitio dei ceppi che ardevano nel camino.
Poi la fanciulla disse: «È sempre nelle vostre intenzioni tornare a Bath tra poche settimane, giusto? Questo mi darà il tempo di scoprire ciò a cui entrambe teniamo. Aspettate a scrivere alla vostra amica Lady Pickering, a Londra. Coinvolgerla non sarebbe l’ideale. Mi verrà in mente qualcosa di meglio, milady».
1
Primavera, 1802
«Perché non cambi idea, Finch, e passi una settimana o due con me e Louise? Ti è molto affezionata.»
Il Visconte Fincham sollevò appena le palpebre per guardare il suo interlocutore. Chiunque altro avrebbe pensato che stesse dormendo, visto che non aveva pronunciato una sola parola per una decina di minuti e neppure aveva assaggiato la birra che l’oste gli aveva posto davanti. Tuttavia, nessuno lo conosceva meglio dell’uomo che gli stava di fronte, che sapeva quanto quella posa studiatamente languida e apparentemente noncurante nascondesse un intelletto acuto e un’astuzia a volte feroce.
Alla fine il visconte tese la mano e afferrò la birra, portandosela alle labbra. «Sei in errore, mio caro Charles. Visto come sono annoiato negli ultimi tempi, temo proprio che sarei di pessima compagnia per Louise. O per chiunque altro. D’altra parte, la tua adorabile moglie ha già abbastanza da fare senza doversi occupare anche dei miei malumori.»
Charles Gingham sospirò. «Quello che ti serve, vecchio mio, è di trovare una brava donna amorevole, proprio come è successo a me.»
Fincham gli rivolse un sorriso ferino. «Dimentichi che ne ho già una. Caroline, senza dubbio, è la più esperta che abbia mai avuto.»
L’amico arricciò il naso. «Non parlo di una cortigiana, Ben. Buon Dio! Ne hai avuta una sfilza in questi ultimi anni. No, ciò di cui hai bisogno è una moglie, qualcuno da amare e di cui occuparti, qualcuno che porti la tua vita in un’altra direzione.»
Il sorriso del visconte si fece cinico. «Temo proprio che questo non succederà mai, amico mio. No, forse tra un anno o due mi sposerò: devo procreare un erede, dopotutto. E un uomo nella mia posizione non è mai a corto di candidate. Me le fanno sfilare davanti ogni Stagione. Prima o poi mi impegnerò a dare un’occhiata seria e ne sceglierò una: bellissima, di maniere impeccabili e buon carattere.»
Charles lo fissò con una punta di tristezza. «Ti domandi ancora cosa poteva accadere? Io lo faccio. Se non ti avessi trascinato in Francia con me, forse oggi saresti potuto essere felicemente sposato.»
«Non ti crucciare per me, Charles» disse subito il visconte, una punta di noia nella voce. «Le tue simpatie sono mal riposte. Charlotte Vane, visto che è di lei che parli, non occupa più i miei pensieri. Ha fatto la sua scelta e sposato Wenbury. Se avesse deciso di attendere il mio ritorno dalla Francia, sicuramente sarebbe diventata mia moglie. E sarebbe stata viscontessa, vista la prematura dipartita di mio fratello.» Sospirò. «Non ho mai desiderato il suo posto. Se avesse avuto un figlio invece di una figlia, sarei stato felice di gestire le proprietà finché mio nipote non avesse avuto l’età giusta per occuparsene. Tuttavia, sarei un bugiardo se dicessi che ogni vantaggio che il titolo porta con sé mi dispiace. E credo di occuparmi nel modo più opportuno di tutti quelli che dipendono da me. Penso anche che sarà mio dovere sposarmi, un giorno. Ma, credimi, l’amore non entrerà in quest’equazione.»
«Trovo incredibile che tu possa sposarti e provare indifferenza per tua moglie. Potrai anche convincere gli altri che sei freddo, però non riuscirai a persuadere me. So quanto Charlotte significasse per te. So che sei capace di amare.»
«Lo ero, forse. Diversamente da te, Charles, non sono più un sognatore. Lascio ai poeti il sospirar d’amore. Non cerco quello nel matrimonio. La cara Lady Wenbury mi ha impartito un insegnamento prezioso otto anni fa. Ho imparato a guardarmi dalle... ehm... tenere emozioni. No, mi accontenterò di una donna che si comporti con proprietà e che assolva i suoi obblighi di viscontessa.»
Detto ciò, posò la birra sul tavolo e annunciò che era ora di andare o rischiavano di perdere l’apertura dello stabilimento, ponendo così risolutamente fine a quella conversazione.
La cittadina era animata come un alveare. Non solo uno scontro era in programma nei prati dei sobborghi, ma anche una fiera di cavalli. I visitatori che intendevano beneficiare di entrambe le attrazioni affollavano la strada principale, che risuonava, oltre che delle loro voci, dei richiami dei venditori. Perciò non fu sorprendente che Sua Signoria, nell’uscire dalla locanda, mancasse di riconoscere quel singolo grido che avrebbe dovuto avvisarlo del possibile pericolo. Poi qualcuno lo spinse contro il muro, allora comprese che era stato sul punto di finire travolto dalle ruote di un carretto.
«Santo Dio, Ben! Stai bene?» gli chiese Charles, che aveva assistito all’incidente.
«A quanto pare sto meglio del mio gentile salvatore» gli rispose l’altro guardando il ragazzetto che l’aveva soccorso e che era caduto a terra. La calza sul ginocchio sinistro si era strappata e il sangue gli imbrattava la gamba. «Ecco, prendi, ragazzo!» Dopo aver consegnato il proprio fazzoletto a una mano affusolata, Sua Signoria si inginocchiò. «Ti sei fatto male anche da qualche altra parte?»
«N... no, credo di no, milord» gli rispose una voce arrochita, prima che il giovane recuperasse il cappello a tricorno dalla polvere e sollevasse il volto verso di lui.
Il visconte deglutì e batté le palpebre un paio di volte mentre fissava quegli occhi incredibili, color indaco, e vispi come non aveva mai visto.
Riprendendosi, chiese all’amico di chiamargli l’oste, poi tornò a rivolgersi al giovane. «Vivete qui? Se è così, la mia carrozza è a vostra disposizione e il mio servo vi accompagnerà a casa appena l’oste e sua moglie vi avranno medicato.»
«Non dovete disturbarvi, milord. Non è che un graffio.»
Ma Fincham non volle sentire ragioni. Diede all’oste una ghinea e gli disse di dare al ragazzo qualsiasi cosa avesse chiesto.
«Qualcosa non va, Ben?» s’informò poi Charles. «Sei per caso ferito anche tu?»
«Che cosa...? Oh, no, affatto. È soltanto che quel ragazzo... Hai notato i suoi occhi...?»
«No, perché? Cosa c’è che non va nei suoi occhi? È strabico?»
Il visconte corrugò la fronte. «No, non c’è assolutamente nulla che non vada in loro... Sono perfetti, a dire il vero. Forse i più belli che abbia mai visto.»
«Senza dubbio farà girare la testa a molte fanciulle, quando sarà più grande» disse l’amico, perdendo subito interesse nell’argomento. «Guarda, stanno per iniziare. Andiamo, o non riusciremo a vedere bene.»
Quando il Visconte Fincham riprese la strada per Londra, quello stesso pomeriggio, dopo aver salutato l’amico, che viveva a poche miglia da lì, la sua mente era già lontana dall’incidente e dal giovane salvatore.
Guardava dal finestrino perso nei propri pensieri, quando i suoi occhi colsero una figura solitaria che trasportava un vecchio baule, trascinandolo per la strada. Non seppe dire cosa attirò la sua curiosità, se le spalle strette e magre o il tricorno scolorito. Tuttavia, istintivamente si mise a bussare sul tettuccio del veicolo col pomello d’argento del bastone, senza pensarci un attimo.
Il cocchiere rispose subito tirando le redini, e il visconte sporse la testa dal finestrino.
Mentre si avvicinava, la sorpresa si dipinse sul volto del giovane. «Santo cielo! Siete proprio voi, milord!»
L’aspetto del ragazzo era decisamente trasandato ora. I vestiti erano coperti di polvere e anche il viso era sporco. Aveva tutta l’aria di aver camminato per un bel tratto di strada.
Un impeto di impazienza – frutto senz’altro del senso di colpa – fece sbottare Lord Fincham: «Ebbene, non restatevene lì impalato, mentre i miei cavalli sprecano fiato!».
Dopo un momento di esitazione, il giovane si arrampicò nel veicolo, prendendo posto davanti al visconte e mettendo il baule sul sedile al proprio fianco con molta cura, come se contenesse tutto ciò che possedeva al mondo.
Il che era possibile, rimuginò il visconte, prima che il suo nuovo compagno di viaggio gli chiedesse dov’era diretto.
«Più importante è che mi diciate dove siete diretto voi. Stamattina... quando ci siamo incontrati... erroneamente ho dato per scontato che viveste in quella cittadina.»
«Oh, no, milord! Stavo solo dando un’occhiata in attesa del postale per Londra.» Un’espressione abbattuta rabbuiò i delicati lineamenti del volto. «Sfortunatamente, la moglie dell’oste è stata così premurosa da insistere che mangiassi qualcosa, visto che non avevo pranzato... e quando sono arrivato alla stazione ho scoperto che il mio postale era già partito. L’oste mi ha segnalato un altro mezzo, proprio fuori città, ma anche lì sono arrivato troppo tardi. Così ho deciso di proseguire a piedi finché non avessi trovato una locanda dove passare la notte.»
«In questo caso, siete fortunato, ragazzo, perché sono diretto anch’io alla capitale, e vi porterò ovunque vorrete.»
«Oh, grazie, milord! Vi ringrazio infinitamente!»
Il sorriso che accompagnò quell’esclamazione era talmente incantevole che Sua Signoria trasalì. Poi la sconcertante idea che gli aveva attraversato la mente al momento del loro incontro si fece avanti di nuovo.
Appoggiandosi allo schienale, studiò il bel volto. I capelli erano neri tanto quanto i suoi e accarezzavano un lungo collo bianco. Sotto il tricorno, c’erano degli zigomi alti e perfetti, un naso stretto, una bocca delicatamente scolpita e un grazioso mento. Nonostante una pesante giacca di buona qualità nascondesse la parte superiore del corpo, non ci si poteva sbagliare immaginando che fosse snello.
«Dovete dirmi esattamente dove siete diretto.»
Ancora una volta, quegli occhi incredibili si volsero verso di lui. «Oh, potete lasciarmi in qualsiasi locanda rispettabile, vi ringrazio.»
«Certo...» disse Sua Signoria scoccandogli un’altra occhiata. «Sì, credo proprio che troveremo un accordo che... soddisfi entrambi.»
«Quanto considerereste adeguato, milord?»
Per alcuni secondi Fincham non seppe decidere se sentirsi divertito o contrariato. Quella ragazzina non poteva essere seria! Di certo non poteva essere tanto ingenua da suggerirgli un pagamento in denaro... Oppure lo era?
Lui aveva le sue buone ragioni per non fidarsi del gentil sesso. Eppure, per qualche oscuro motivo, era pronto a dare una possibilità a quella giovane che gli stava di fronte. Perché che fosse una femmina e non un maschio era per lui indiscutibile. Tuttavia, se lei voleva continuare con quella messinscena, lui era pronto a giocare.
«Mettete via il borsello, ragazzo» ordinò. «Non voglio alcun pagamento» disse poi, più gentile. «È il minimo che possa fare in cambio del servigio che mi avete reso quest’oggi.»
Mentre lo diceva, il dubbio si insinuò dentro di lui. Il dubbio che l’accaduto non fosse stato casuale come era sembrato. Che l’incidente fosse stato orchestrato da uno dei suoi scellerati amici per farsi beffe di lui... Per ragioni che ancora sfuggivano del tutto alla sua comprensione, era pronto a dare alla ragazza il beneficio del dubbio.
«Visto che dovremo tollerare la reciproca compagnia per le prossime ore, lasciate che mi presenti. Sono il Visconte Fincham.»
Lei non tradì alcuna sorpresa nel trovarsi nella stessa carrozza con un Pari del Regno. E ancora il dubbio gli si riaffacciò nella mente: già conosceva la sua identità?
«E voi siete...?»
La fanciulla esitò. «George... milord... George Green.»
Il visconte riuscì a reprimere un sorriso. «Ebbene, Green, siete sicuro di non preferire di essere accompagnato da un conoscente?»
«Sissignore, milord, poiché non conosco nessuno là. Ma, se vorrete lasciarmi presso una locanda rispettabile e poco costosa, ve ne sarò eternamente grato.»
L’espressione speranzosa era genuina. O era sincera, oppure era un’attrice consumata. Rimase indeciso. «Forse» concesse poi. «Posso domandarvi il motivo per cui desiderate visitare la capitale?»
La risposta fu abbastanza veloce. «Per trovare un impiego, milord.»
Lui sollevò un sopracciglio. «Davvero? E che tipo di impiego sperate di ottenere?»
In risposta, lei scrollò le spalle sottili. «Non ci ho ancora pensato. Forse potrei entrare a servizio da qualcuno. Potrei fare il lacchè.»
Di nuovo, lui sollevò un sopracciglio, scettico. «Quanti anni avete?»
«Quindici, milord.»
Chiaramente una bugia. Tuttavia, con quel travestimento, non avrebbe potuto dichiararne di più. Interessante... molto interessante.
«Siete un po’ troppo giovane per fare il lacchè» disse lui, «forse il paggio?»
«Un paggio» gli fece eco. «Sì, forse è meglio.»
Santo cielo, non poteva dire sul serio! Il suo sesso sarebbe stato scoperto in un batter d’occhi! Se quella ragazza non era in combutta con nessuno dei suoi amici per fargli uno scherzo, allora forse lui aveva fatto un danno a darle quel suggerimento.
Si sistemò contro lo schienale, sentendosi vagamente in colpa – sentimento che sperimentava di rado. Non riusciva a risolvere quel rompicapo. E dire che era conosciuto per essere un bravo giudice del carattere delle persone. Spesso la prima impressione che aveva della gente si rivelava molto accurata.
Eppure, il giovane George Green lo spiazzava. Dal suo modo di parlare, era chiaro che non proveniva da una classe troppo bassa, sembrava aver ricevuto una buona educazione. Perciò, cosa diavolo si era messa in mente con quella mascherata? Forse era scappata di casa, magari per un matrimonio che non voleva contrarre.
Se Ben avesse avuto un briciolo di