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A mosca cieca (eLit): eLit
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E-book491 pagine6 ore

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Info su questo ebook

Una telefonata nel cuore della notte convoca Peter Deker, detective della Omicidi di Los Angeles, sulla scena di un efferato delitto: qualcuno ha fatto irruzione nella proprietà di Guy Kaffey, ricchissimo imprenditore edile, e ha assassinato lui, sua moglie e quattro dipendenti.
Deker e i suoi non ci mettono molto a capire che Kaffey, filantropo noto per aver finanziato associazioni benefiche che operano nel recupero degli ex delinquenti – e per averne assunti alcuni come guardie del corpo – è stato ucciso in quello che ha tutte le caratteristiche di un inside job... ma si tratta di un semplice tentativo di rapina finito male o è qualcosa di più? Perché è evidente che un uomo del genere non diventa ricco senza farsi dei nemici. Per Deker l’unica consolazione, durante le complicate indagini per risalire al mandante dell’omicidio, è sapere che sua moglie, Rina Lazarus, è stata scelta come membro della giuria in un processo e quindi è al sicuro. Poi l’incontro casuale con un interprete che lavora in tribunale trascina Rina nel cuore delle indagini del marito e sulla strada di una gang di killer spietati. E a quel punto Deker non ha alternative: se vuole salvarla deve scoprire il colpevole.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2018
ISBN9788858988664
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    Anteprima del libro

    A mosca cieca (eLit) - Faye Kellerman

    d'ispirazione

    1

    Ah, la fantasia, essenza della vita.

    Mentre si vestiva per andare al lavoro, si mise davanti allo specchio e si trovò di fronte l'immagine di un bell'uomo alto circa un metro e novantatré...

    No. Troppo alto.

    Aveva davanti un uomo sul metro e ottantacinque, di una bellezza diabolica, snello, con una massa di capelli da surfista schiariti dal sole e occhi di un azzurro soprannaturale, così intenso che ogni volta che una donna si trovava a incrociarli era costretta a distogliere lo sguardo per l'imbarazzo.

    Be', la parte sugli occhi probabilmente era vera.

    Così, invece?

    Lo specchio gli rimandava l'immagine di un volto spigoloso incorniciato da una folta cascata di capelli scuri e ricci, con un sorriso timido che faceva venir meno le donne, fanciullesco e affascinante eppure al tempo stesso così virile.

    Sentì le labbra incurvarsi in un sorriso e si passò le dita tra le ciocche ricciolute, che erano piuttosto sottili: non che si stessero diradando, solo non avevano una fibra molto spessa. Stringendo il nodo della cravatta se la sistemò intorno al colletto e ne tastò il tessuto: era seta di prima qualità, pesante, dipinta a mano con una gamma di colori che potevano accordarsi con quasi qualsiasi capo d'abbigliamento avesse scelto a caso dal suo armadio. Mentre si sistemava la camicia nei pantaloni, si passò le mani sugli addominali scolpiti, ottenuti grazie ad allenamento, sollevamento pesi e un regime alimentare rigidissimo. Come accadeva a quasi tutti i body builder, i suoi muscoli avevano un gran bisogno di proteine, il che non era un problema finché riusciva a evitare il grasso. Perciò ogni volta che si guardava allo specchio apprezzava quello che vedeva.

    E ancor di più apprezzava quello che immaginava di vedere.

    Decker era sinceramente perplesso. «Non capisco come tu abbia superato il voir dire

    «Forse il giudice mi ha creduto quando ho detto di poter essere oggettiva» rispose Rina.

    Lui emise un grugnito mentre aggiungeva del dolcificante al caffè. L'aveva sempre bevuto amaro, ma negli ultimi tempi aveva sviluppato una certa preferenza per il gusto dolce, soprattutto dopo un pasto a base di carne. Non che la cena fosse stata pesante: bistecche di diaframma e insalata. Preferiva una cucina semplice, quando erano solo loro due a mangiare. «Anche se il giudice ti ha ammessa, l'avvocato d'ufficio avrebbe dovuto farti schiodare l'attraente fondoschiena dalla giuria.»

    «Forse il difensore pubblico ha creduto che potessi essere obiettiva.»

    «Sono diciotto anni che mi senti lamentare e lanciare anatemi per il triste stato in cui versa il sistema giudiziario. Come puoi essere oggettiva?»

    Rina sorrise dietro la tazza di caffè. «Dai per scontato che creda a ogni parola che dici.»

    «Grazie mille.»

    «Essere la moglie di un tenente detective non mi ha privato di ogni traccia di razionalità. So pensare con la mia testa e ragionare come tutti gli altri.»

    «A me sembra che tu abbia una gran voglia di partecipare.» Decker prese un sorso di caffè, forte e dolce. «Meglio per te, mia cara. È di questo che le nostre giurie hanno bisogno: persone intelligenti che fanno il loro dovere di cittadini.» Le rivolse un sorriso malizioso. «O magari il fatto è che all'avvocato d'ufficio piace averti davanti agli occhi.»

    «L'avvocato è una donna, ma perché no?»

    Decker rise. Guardare Rina piaceva a chiunque. Con il passare degli anni le era spuntato qualche segno d'espressione sul viso, ma aveva ancora un aspetto magnifico: un incarnato d'alabastro con un tocco di rosa sugli zigomi, capelli di seta neri e occhi color fiordaliso.

    «Non è che non volessi tirarmene fuori» spiegò Rina. «È solo che, superato un certo punto, se vuoi essere esclusa devi cominciare a mentire. Dire cose del tipo: No, non potrei mai essere oggettiva, passando per una perfetta idiota.»

    «Di che caso si tratta?»

    «Sai che non posso parlarne.»

    «Eddai!» Decker diede un morso a un biscotto zuccherato preparato dalla figlia di sedici anni. Qualche briciola gli si fermò sui baffi. «A chi dovrei andare a raccontarlo?»

    «Magari a tutto il tuo reparto?» ribatté Rina. «Per caso devi comparire in giudizio a Los Angeles, a breve?»

    «Non che io sappia. Perché?»

    «Pensavo che potremmo pranzare insieme.»

    «Ma sì, facciamo una follia e sperperiamo i quindici dollari al giorno che ti dà il tribunale.»

    «Più la benzina, ma solo all'andata. In effetti fare il giurato non porta alla ricchezza, questo è certo. Perfino vendere il sangue paga di più. Ma faccio il mio dovere civico e dato che il tuo mestiere è servire la legge, dovresti essermi grato.»

    Decker le diede un bacio in fronte. «Sono molto fiero di te, stai facendo la cosa giusta. E non ti chiederò più nulla sul caso. Dimmi solo che non si tratta di omicidio, per favore.»

    «Non posso risponderti sì o no, ma dato che hai visto il peggio dell'umanità e hai una fantasia molto vivida, posso dirti di non preoccuparti.»

    «Grazie.» Decker guardò l'orologio. Erano le nove di sera passate. «Hannah non aveva detto che sarebbe stata a casa a quest'ora?»

    «Sì, ma conosci tua figlia. Per lei il tempo è un concetto astratto. Vuoi che la chiami?»

    «Pensi che risponderà al cellulare?»

    «Forse no, soprattutto se sta guidando... aspetta. Questa è lei.»

    Un attimo dopo la ragazza entrò come un fulmine dalla porta d'ingresso con in spalla uno zaino che doveva pesare una tonnellata e in mano due sacchetti di carta pieni di viveri. Decker le prese lo zaino e Rina si occupò del cibo.

    «Come mai tutta questa roba?» chiese Rina.

    «Ho invitato qualche amica per lo Shabbat. A parte i dolci che preparo al forno, in casa non abbiamo mai niente di buono. Vuoi che metta via la spesa?»

    «Ci penso io» disse Rina. «Tu stai un po' con tuo padre. Era preoccupato per te.»

    Hannah guardò l'orologio. «Sono solo le nove e dieci.»

    «So di essere iperprotettivo, ma non mi interessa. Non cambierò mai. E se non abbiamo schifezze in casa è per evitare di mangiarle.»

    «Lo so, Abba. E dato che sei tu a pagare le bollette, rispetto i tuoi desideri. Però ho solo sedici anni e questa è forse una delle poche occasioni della mia vita in cui potrò mangiare cibo spazzatura senza ingrassare troppo. Guardando te e Cindy so che non resterò magra per sempre.»

    «Che ha Cindy che non va?»

    «È una ragazzona come me e tiene sotto stretto controllo il peso. Non sono ancora arrivata a quel punto, ma non manca molto al momento in cui il metabolismo mi si ritorcerà contro.»

    Decker si diede un colpetto sulla pancia. «E io cos'ho che non va?»

    «Non c'è niente che non vada in te, Abba. Sei in formissima per...» Hannah si interruppe. Le parole per la tua età restarono inespresse. Gli diede un bacio su una guancia. «Spero di trovare un marito bello come te.»

    Decker non poté fare a meno di sorridere. «Grazie, ma sono sicuro che tuo marito sarà molto più affascinante.»

    «Impossibile. Non esiste nessuno bello come te, e a parte qualche atleta, quasi nessuno ha la tua statura. A volte per una ragazza alta la vita è dura. Siamo costrette a non portare i tacchi per non svettare su tutta la classe.»

    «Non sei poi così alta.»

    «Lo dici solo perché tu vedi tutti bassi. Ho già superato Cindy, e lei è un metro e settantacinque.»

    «Se la superi non è di molto. E poi ci sono tanti ragazzi sopra il metro e settantacinque.»

    «Non tra i ragazzi ebrei.»

    «Io sono un ragazzo ebreo.»

    «Non tra i ragazzi ebrei che frequentano ancora il liceo.»

    A Decker quell'idea non dispiaceva. Significava che sua figlia doveva aspettare l'università per trovare un fidanzato. Hannah notò il suo sorrisetto. «Non sei molto partecipe del mio dramma.»

    «Mi spiace di averti dato in eredità il gene del gigantismo.»

    «Non c'è problema» disse Hannah. «Comporta dei vantaggi, nonostante gli svantaggi siano molti di più. Se sei alta e magra e ti vesti in modo carino, la gente pensa che vuoi fare la modella e che non hai un briciolo di sale in zucca.»

    «Sono sicuro che le tue amiche sapranno consolarti.»

    «Ma ne sto parlando con te, non con le mie amiche.» Guardò il tavolo della sala da pranzo. «Ti sono piaciuti i biscotti?»

    «Anche troppo. È proprio per questo che non voglio cibo spazzatura in casa.»

    «Abba, goditi i biscotti» rispose lei. «La vita è corta, anche se tu non lo sei.»

    Cominciò come un leggero tintinnio di sottofondo nei suoi sogni, finché Rina non si rese conto che era il telefono. Era Marge Dunn.

    «Devo parlare con il capo» disse con voce piatta.

    Rina guardò suo marito. Non si era mosso da quando si era addormentato, quattro ore prima. La sveglia sul comodino segnava quasi le tre del mattino. Dato che era un tenente, Peter non riceveva molte chiamate nel cuore della notte. La West Valley non brulicava di criminalità e la sua squadra scelta di investigatori della Omicidi di solito gestiva tutte le emergenze nelle prime ore del mattino. Gli assassinii erano rari, ma quando capitavano spesso erano terrificanti. Eppure, come in quel caso, non comportavano la necessità di svegliare il tenente alle tre del mattino.

    Una storia sensazionale era tutto un altro paio di maniche.

    Rina si passò la mano sulla pelle d'oca che le era venuta sulle braccia, poi con delicatezza scosse suo marito per svegliarlo. «È Marge.»

    Decker balzò a sedere sul letto e prese il ricevitore. Aveva la voce impastata dal sonno. «Che succede?»

    «Omicidio plurimo.»

    «Santo Dio...»

    «All'ultimo conteggio c'erano quattro persone assassinate e un tentato omicidio. Stanno portando il sopravvissuto, un figlio della coppia uccisa, al St Joe; gli hanno sparato, ma forse se la caverà.»

    Decker si alzò e afferrò la camicia, cominciando ad abbottonarla mentre parlava. «Chi sono le vittime?»

    «Tanto per cominciare, Guy e Gilliam Kaffey... sai, quelli delle Kaffey Industries.»

    Restò senza fiato. Guy e suo fratello minore, Mace, erano proprietari di quasi tutti i centri commerciali della California meridionale. «Dove?»

    «Al Coyote Ranch.»

    «Qualcuno ha fatto irruzione nel ranch?» Si incastrò il telefono tra il mento e la spalla mentre si infilava i pantaloni. «Credevo che quel posto fosse una fortezza.»

    «Non saprei, ma è enorme... Ventotto ettari confinanti con le colline pedemontane. Per non parlare della villa principale. È una città a sé stante.»

    A Decker tornò in mente un articolo che aveva letto tempo addietro su una rivista a proposito del ranch. Era formato da una serie di edifici, anche se il corpo principale era abbastanza grande da ospitare una convention. Inoltre c'erano l'immancabile piscina, una vasca idromassaggio e un campo da tennis. C'erano anche un canile, una pista per cavalli abbastanza grande per svolgerci le gare olimpiche equestri, una stalla con dieci box per i cavalli da esposizione della signora Kaffey, una pista d'atterraggio per aerei a elica e un'uscita della superstrada dedicata. Circa un anno prima Guy Kaffey aveva fatto un'offerta per acquistare i Los Angeles Galaxy dopo che la squadra aveva preso David Bekcham, ma l'affare non era andato in porto.

    Decker ricordava che avevano due figli, e si chiese a quale dei due avessero sparato. «E le guardie del corpo?»

    «Erano due nel gabbiotto all'ingresso ed entrambe sono state uccise» rispose Marge. «Stiamo ancora cercando. La proprietà comprende qualcosa come dieci diverse strutture. Quindi forse troveremo altri corpi. Tra quanto puoi arrivare?»

    «Una decina di minuti, credo. Chi c'è laggiù adesso?»

    «Cinque o sei autopattuglie. Oliver ha fatto venire Strapp. Presto la stampa lo verrà a sapere.»

    «Chiudi la proprietà. Non voglio che i giornalisti inquinino la scena del crimine.»

    «Certo. Ci vediamo tra poco.»

    Decker attaccò e fece un elenco mentale di ciò che gli serviva: blocco, penne, guanti, sacchetti per raccogliere le prove, mascherine, lente d'ingrandimento, metal detector, vaselina e dell'Advil, quest'ultimo non a scopo medico-legale, ma per l'emicrania martellante dovuta al brusco risveglio da un sonno profondo.

    «Che succede?» gli chiese Rina.

    «Omicidio plurimo al Coyote Ranch.»

    Lei si mise a sedere. «Quello dei Kaffey?»

    «Sissignora. E quando arriverò troverò il caos, ne sono sicuro.»

    «È terribile!»

    «Sarà un incubo, dal punto di vista dell'organizzazione. Parliamo di una proprietà di quasi trenta ettari, e non c'è modo di chiuderla completamente.»

    «Lo so, è pazzesco. Circa un anno fa hanno fatto una specie di visita guidata per beneficenza. Ho sentito dire che i giardini sono una meraviglia assoluta. Volevo andarci, ma poi ho avuto un imprevisto.»

    «A quanto pare non avrai una seconda occasione.» Decker aprì la cassaforte con le armi, prese la Beretta e se la infilò nella fondina da spalla. «È brutto doverlo dire, ma sarò inflessibile. Avere a che fare con la stampa in casi da prima pagina come questo tira fuori il bastardo che è in me.»

    «Hanno chiamato i giornalisti alle tre e un quarto del mattino?»

    «La morte e le tasse non si possono fermare... e nemmeno i giornalisti.» Le diede un bacio sulla testa. «Ti amo.»

    «Anch'io ti amo.» Rina sospirò. «È davvero triste. Chi ha tutti quei soldi è una calamita per sanguisughe, truffatori e malintenzionati in generale.» Scosse il capo. «Non so se valga anche per l'essere troppo poveri, ma di sicuro essere troppo ricchi è un problema.»

    L'unico aspetto positivo di una chiamata nel cuore della notte era poter girare per la città senza traffico. Decker passò rapido per le strade vuote, avvolte dalle ombre e da una leggera foschia, a tratti rischiarate dalla luce dei lampioni. La superstrada era un nastro nero, misterioso e infinito che si perdeva nella nebbia. Nel 1994 il Southland era stato devastato dal terremoto di Northridge, un'apocalisse di novanta secondi che aveva abbattuto palazzi e fatto crollare i ponti in cemento armato delle autostrade. Se la scossa fosse arrivata appena qualche ora dopo, quando le strade erano affollate di pendolari, si sarebbero registrate decine di migliaia di morti anziché un centinaio scarso.

    La rampa d'uscita di Coyote Road era chiusa da due auto della polizia, posizionate muso contro muso. Decker mostrò il badge che aveva al collo agli agenti, e dopo qualche istante le auto si allontanarono per lasciarlo passare. Uno dei due poliziotti gli diede indicazioni per il ranch. Doveva andare sempre dritto – non c'erano svolte da nessuna parte – e gli parve che la strada sterrata proseguisse per quasi due chilometri prima che l'edificio principale apparisse alla vista. E quando lo fece, cominciò a crescere come un mostro marino che emergeva dall'acqua per prendere aria. Le luci esterne erano state accese completamente, illuminando quasi ogni angolo e conferendo al luogo l'aspetto di un parco divertimenti.

    La villa era in stile coloniale spagnolo, e in qualche strano modo si accordava alla perfezione con i dintorni. Consisteva in tre piani di stucco color mattone con terrazze dai parapetti in legno, finestre a vetri colorati e un tetto dalle tegole in ceramica. La struttura poggiava su una collinetta artificiale e alle sue spalle c'erano un'immensa distesa di terreno libero e le propaggini delle colline.

    Circa duecento metri più avanti Decker vide un parcheggio in cui erano ferme sei autopattuglie, il furgone del medico legale, sei camioncini di emittenti televisive con antenne e satelliti, diversi furgoni della scientifica, altre otto macchine non identificate e ancora dei posti liberi. I media si erano sistemati per bene, con un'illuminazione artificiale sufficiente a eseguire un intervento di microchirurgia, perché ciascun canale e stazione della TV via cavo aveva la propria dotazione di faretti, telecamere e tecnici del suono, più produttori e giornalisti d'assalto in attesa di mettere insieme il pezzo. La folla cercava di avvicinarsi al centro dell'azione, ma era bloccata da una barriera di nastro giallo che delimitava la scena del crimine oltre che dalla presenza di agenti in uniforme.

    Dopo aver mostrato il distintivo, Decker passò sotto il nastro e raggiunse a piedi l'ingresso, superando labirinti di cespugli di bosso potati alla perfezione che tracciavano il confine dei giardini all'italiana. In mezzo agli arbusti c'erano diverse composizioni di fiori primaverili, tra cui rose, iris, narcisi, anemoni, dalie, zinnie, cosmee e decine di altri tipi che non riconobbe. Da qualche parte vicino a lui c'erano delle gardenie e dei gelsomini notturni che infondevano alla morte la loro fragranza dolciastra. Il vialetto lastricato passava attraverso diverse file di agrumi in fiore. Limoni, immaginò Decker.

    C'erano due agenti a guardia della porta principale. Riconobbero il tenente e gli fecero cenno di entrare. Anche l'illuminazione interna era al massimo. L'atrio ricordava una sala da ballo di un castello spagnolo. Il pavimento era realizzato con pesanti assi di legno antico e robusto, irregolari, con una venatura che nessun procedimento artificiale avrebbe potuto riprodurre. Il soffitto era alto e decorato da travi intagliate e ornate di petroglifi, figure rupestri che ricordavano quelle rinvenute nel Southwest. Le pareti erano ornate da rivestimenti a pannelli e da arazzi grandi come quelli che si trovano nei musei. Decker sarebbe rimasto lì a guardarsi intorno a bocca aperta, rapito dall'immensità di quel luogo, se non avesse notato un'uniforme che gli faceva segno di andare avanti.

    Scese qualche gradino e si ritrovò in un soggiorno dal soffitto a doppia altezza sempre a travi dipinte. A terra c'era lo stesso pavimento in legno, quasi interamente coperto da decine di tappeti Navajo che avevano tutta l'aria di essere autentici. Anche lì c'erano pannelli decorativi e arazzi, intervallati da dipinti che rappresentavano battaglie sanguinose. La stanza era arredata con divani giganteschi, poltrone e tavoli. Decker era un omone di quasi cento chili, eppure le dimensioni dell'ambiente lo facevano sentire davvero piccolo.

    Udì qualcuno parlargli. «Questo posto è più grande del college che ho frequentato.»

    Decker guardò Scott Oliver, uno dei suoi migliori detective alla Omicidi. Aveva quasi sessant'anni portati benissimo, grazie alla pelle curata e ai capelli scuri perfettamente tinti. Erano le quattro del mattino, eppure Oliver era vestito come un direttore generale pronto per una riunione del consiglio: abito gessato nero, cravatta rossa e camicia bianca immacolata.

    «Era un college statale, ma il campus era comunque molto grande.»

    «Sai quanti metri quadrati sono?»

    «Più o meno diecimila.»

    «Accidenti, è...» Ma si interruppe, perché non sapeva cosa dire. Nonostante la folta presenza di agenti, sul pavimento o sui mobili non era stato messo alcun cartellino per segnalare le prove. Nessun agente della scientifica spargeva o raccoglieva polverine.

    «Dov'è la scientifica?»

    «Nella biblioteca.»

    «E dov'è la biblioteca?»

    «Aspetta» fece Oliver. «Prendo la mappa.»

    2

    Quel dedalo di corridoi avrebbe reso difficoltosa la fuga di qualsiasi normale scassinatore. Perfino con le indicazioni stampate Oliver sbagliò a svoltare in un paio di occasioni.

    «Marge mi ha parlato di quattro corpi» disse Decker.

    «Adesso siamo a cinque. I Kaffey, una cameriera e due guardie.»

    «Dio mio... Segni di rapina? Hanno rubato qualcosa?»

    «Niente di evidente.» Continuavano a passare da un atrio all'altro, da un corridoio all'altro. «Non è opera di un singolo, questo è certo. Chiunque sia stato aveva un piano preciso e una banda che l'ha aiutato a metterlo in atto. Deve essere stato architettato dall'interno.»

    «Chi ha chiamato la polizia? Il figlio ferito?»

    «Non lo so. Quando siamo arrivati lo stavano caricando in ambulanza e l'hanno portato via.»

    «Qualche idea sull'orario in cui è cominciata la sparatoria?»

    «Non di preciso, ma il rigor è già cominciato.»

    «Quindi tra le quattro e le ventiquattro ore» disse Decker. «Forse il contenuto degli stomaci ci aiuterà a restringere il campo. Chi c'è dell'obitorio?»

    «Due investigatori e un assistente del medico legale. Svolta a destra. La biblioteca dovrebbe essere dietro quella porta doppia là avanti.»

    Non appena vi entrò, Decker provò un leggero capogiro, non solo per le dimensioni impressionanti della sala, ma altresì per l'assenza di angoli. La biblioteca era circolare, con un soffitto a cupola fatto d'acciaio e vetro.

    Le pareti curve erano ricoperte di pannelli di noce scuro e scaffalate e c'erano alcuni arazzi di grosse dimensioni raffiguranti scene di creature mitologiche nelle foreste. C'era un caminetto così grande da poter contenere la furia dell'inferno. Tappeti antichi coprivano il parquet del pavimento e soprattutto c'era una moltitudine di elementi di arredo: divani, piccoli sofà a due posti, tavoli, poltrone, due pianoforti a coda e troppe lampade per poterle contare.

    La scena del crimine aveva due punti focali. C'era movimento nei pressi del camino e davanti a un arazzo che rappresentava una gorgone intenta a divorare un giovane nobiluomo.

    Oliver indicò un punto. «Gilliam Kaffey sedeva davanti al fuoco, leggeva e beveva un bicchiere di vino; padre e figlio stavano parlando su quelle due poltrone laggiù.»

    Il suo dito puntava verso due poltrone in cuoio marrone guarnite di borchie, nei cui pressi Marge Dunn era all'opera davanti alla gorgone divoratrice. Parlava animatamente con uno degli investigatori del medico legale, che indossava il tipico abbigliamento da obitorio: giacca nera con la scritta gialla di identificazione sulla schiena. Dunn vide Decker e Oliver e fece loro cenno di avvicinarsi con una mano guantata. Marge aveva lasciato crescere un po' i capelli negli ultimi mesi, forse su richiesta del suo nuovo ragazzo, Will Barnes. Indossava pantaloni beige, una camicia bianca e un maglione lavorato a trecce marrone scuro. Ai piedi aveva delle scarpe da ginnastica. Decker e Oliver si avviarono verso la scena del crimine.

    Guy Kaffey era disteso supino in una pozza di sangue con un foro enorme nel petto. Ossa e tessuti gli erano esplosi sul viso e sugli arti, e ciò che non si era riversato sul pavimento era sparso sulla parte migliore dell'arazzo, dando allo sventurato giovane e alla sua condizione una patina di verità non richiesta.

    «Aspetta, ti aiuto a orientarti.» Marge si infilò una mano in tasca, prese una mappa e la distese. «Questa è la casa, e noi siamo proprio... qui.»

    Decker tirò fuori il blocco e si guardò intorno in quella stanza senza finestre. Quando lo fece notare, Marge gli rispose: «La cameriera sopravvissuta mi ha detto che le opere d'arte custodite qui sono molto antiche e sensibili alla luce diretta».

    «Quindi ci sono altri sopravvissuti all'assalto, oltre al figlio?» chiese Decker.

    «No, è arrivata in un secondo momento e ha trovato i corpi» disse Marge. «Si chiama Ana Mendez. L'ho sistemata in una stanza sorvegliata da uno dei nostri uomini.»

    «Dobbiamo interrogare anche il custode e lo stalliere. Anche loro sono sotto la custodia dei nostri migliori agenti» intervenne Oliver.

    «Ognuno è in una stanza diversa» aggiunse Marge.

    «Il custode è Paco Albanez, più o meno sui cinquantacinque anni, lavora qui da tre» spiegò Oliver controllando i suoi appunti. «Lo stalliere invece è Riley Karns. Sulla trentina. Non so da quanto sia qui.»

    «Chi ha avvisato la polizia?» chiese Decker.

    «Stiamo cercando di scoprirlo. La cameriera ha detto che qualcuno ha chiamato una guardia del corpo fuori servizio e che forse è stata questa persona a telefonare al 911» rispose Marge.

    «È stata la cameriera a trovare il figlio sopravvissuto a terra» aggiunse Oliver. «Credeva fosse morto.»

    «E chi è la guardia del corpo fuori servizio che lei avrebbe chiamato?» domandò Decker.

    «Piet Kotsky» disse Marge. «Ci ho parlato al telefono. Sta arrivando da Palm Springs. Funziona così... credo. Le guardie si trovano sul posto solo quando sono in servizio. Lavorano su turni di ventiquattro ore, costruiti a rotazione su otto persone. Nella villa principale ci sono sempre due guardie e due uomini al gabbiotto che si trova al cancello d'ingresso della proprietà. Questi ultimi sono morti entrambi. Hanno ferite da arma da fuoco alla testa e al petto. Tutte le attrezzature video e i monitor a circuito chiuso sono stati distrutti.»

    «Nomi?» chiese Decker.

    «Kotsky non sa chi fosse in servizio stanotte, ma se li vede può riconoscerli.»

    «E le due guardie che dovevano trovarsi nell'edificio principale?»

    «A quanto pare non si trovano» disse Marge.

    «Quindi abbiamo due guardie scomparse e due assassinate.»

    Marge e Oliver annuirono.

    «Oliver ha parlato di una cameriera uccisa, giusto?»

    «Nella camera da letto per la servitù al piano di sotto.»

    «Come ha fatto Ana Mendez a evitare i proiettili?»

    «Ieri aveva la serata libera» rispose Oliver. «Ha dichiarato di essere rientrata al ranch intorno all'una di notte.»

    «E com'è tornata? I mezzi pubblici passano a chilometri da qui.»

    «Ha un'automobile.»

    «Non ha notato che al gabbiotto non c'erano le guardie?»

    Fu Marge a rispondere. «È rientrata passando dal cancello posteriore, l'ingresso di servizio. Lì non c'è una postazione di sorveglianza fissa. Ana ha una tessera d'accesso per aprire il cancello. Entra, parcheggia e sta per andare in camera sua. Vede il corpo e comincia a gridare, chiedendo aiuto. A questo punto la storia si fa un po' confusa. A quanto pare è andata di sopra e ha trovato gli altri corpi.»

    «È salita senza sapere se i malviventi fossero ancora in casa?» chiese Decker.

    «Come ti ho detto la sua versione è alquanto confusa. Quando ha visto i cadaveri ha chiamato Kotsky, e lui ha chiamato la polizia... credo.»

    «Ci parlerò anch'io. È madrelingua spagnola?»

    «Sì, anche se parla molto bene l'inglese.»

    «Torniamo alle guardie» disse Decker. «Sapete chi organizza i turni?»

    «Kotsky assegna gli incarichi ma non li distribuisce. Se ne occupa un certo Neptune Brady, che è il capo delle guardie del corpo dei Kaffey» disse Oliver. «Brady ha un suo alloggio all'interno della proprietà, ma negli ultimi giorni si era allontanato per far visita al padre malato a Oakland.»

    «Qualcuno l'ha contattato?»

    «Kotsky lo ha chiamato e ci ha detto che Brady ha già prenotato un posto su un charter e dovrebbe arrivare a breve.» Marge fece una pausa. «Abbiamo dato una rapida occhiata nella sua villetta per assicurarci che non ci fossero altri cadaveri. Non ho frugato nella sua stanza. Per farlo avremo bisogno di un mandato.»

    «Facciamo conto che Brady non voglia collaborare.» Decker si guardò intorno. «Idee sulla dinamica?»

    Oliver rispose: «Gilliam era seduta davanti al caminetto a sorseggiare vino e a leggere. Marge e io pensiamo che sia stata la prima a cadere. È ancora accasciata sul divano, con il libro a poca distanza da lei, coperto di sangue. Guarda tu stesso».

    Decker si avvicinò alla scena. Distesi sul divano c'erano i resti di una donna bellissima. Aveva gli occhi azzurri spalancati e fissi, i capelli biondi sporchi di sangue rappreso. Il torace era stato quasi spaccato in due da diversi colpi di fucile. Era una visione raccapricciante, e senza volere Decker distolse lo sguardo. C'erano cose a cui non sarebbe mai riuscito ad abituarsi.

    «È un massacro» disse. «Dovremo fare un bel po' di foto, perché i nostri ricordi non saranno in grado di processare tante informazioni.»

    Marge riprese: «Il rumore prodotto da chi è entrato nella stanza deve aver attirato l'attenzione di padre e figlio. Abbiamo immaginato che a quel punto siano accorsi».

    «I Kaffey avevano due figli. Quello cui hanno sparato era il maggiore, Gil» disse Oliver.

    «Ha parenti stretti che devono essere avvisati?» domandò Decker.

    «Ci stiamo lavorando» rispose Oliver. «Nessuno ha chiamato la polizia per chiederne notizie.»

    «E il minore?»

    «Piet Kotsky mi ha detto che si chiama Grant e vive a New York, proprio come il fratello minore di Guy, Mace Kaffey» disse Marge.

    «Ed è anche lui nell'impresa» puntualizzò Oliver.

    «Entrambi sono stati avvisati.»

    «Da chi? Kotsky? Brady?»

    Marge e Oliver non ne avevano idea e si strinsero nelle spalle.

    «Torniamo alla scena del crimine» riprese Decker. «Idee su cosa stessero facendo Guy e Gil?»

    Oliver disse: «Forse parlavano di affari, ma non abbiamo trovato alcun documento».

    «Forse Guy Kaffey si è alzato e ha visto ciò che stava succedendo a sua moglie. Poi è stato scagliato all'indietro da un colpo. Il figlio è stato un po' più veloce e ha cercato di scappare, ma i proiettili hanno raggiunto anche lui. È riuscito ad allontanarsi di qualche metro da una delle porte d'uscita» aggiunse Marge.

    «E gli assalitori non si sono premurati di controllare che fosse morto?»

    Marge scrollò le spalle. «Forse qualcosa li ha distratti e sono fuggiti.»

    «In questa stanza ci sono una, due, tre... sei porte» contò Decker. «Quindi potremmo avere una banda di uomini armati, ognuno entrato da una porta diversa per sopraffare la coppia. Idee su cosa potrebbe aver fatto scappare una squadra di assassini senza finire il figlio?»

    Oliver aveva solo vaghe ipotesi. «Forse un allarme, anche se non abbiamo ancora decodificato il sistema. Forse la cameriera che rientrava in casa. Eppure lei non ha visto nessuno scappare.»

    Decker rifletté per qualche istante. «Se erano tutti impegnati a bere e a rilassarsi, forse non era molto tardi: poteva essere dopo cena, ma abbastanza presto per farsi un ultimo bicchierino... diciamo all'incirca le dieci o le undici.»

    «All'incirca» ripeté Marge.

    «E il custode e lo stalliere» riprese Decker, «erano in casa quando siete arrivati?»

    «Sì.»

    «Vivono qui?»

    «Nei villini della proprietà» rispose Oliver.

    «E allora come hanno fatto a scoprire gli omicidi? Qualcuno li ha chiamati, sono stati svegliati dal rumore oppure...»

    I due detective si strinsero nelle spalle.

    «Dovremo piantare le tende qui fuori per un po'.»

    Decker si massaggiò di nuovo la testa indolenzita. «Lasciamo che la scientifica, i fotografi e gli investigatori del coroner facciano il loro lavoro qui in biblioteca. Abbiamo ancora un paio di altre scene del crimine e diversi testimoni da interrogare. Dove si trovano gli altri corpi?»

    Marge gli mostrò la zona sulla mappa. «Una di queste mi farebbe comodo» commentò lui.

    Oliver gli consegnò la propria. «Me ne faccio dare un'altra.»

    «Grazie» disse Decker. «Voi due occupatevi delle altre scene del crimine, e io parlerò con i testimoni, soprattutto quelli che parlano spagnolo. Vediamo se riusciamo a mettere insieme una sequenza e una catena di eventi.»

    «Mi sembra un buon piano» disse Marge. «Ana si trova in questa stanza» aggiunse indicandola sulla mappa. «Albanez è qui e Karns è qui.»

    Decker le cerchiò, quindi scrisse i nomi in cima a un foglio del suo blocco. C'erano diversi giocatori: meglio preparare il segnapunti.

    Raggomitolata su una poltrona, Ana Mendez era quasi difficile da individuare. Doveva avere circa quarant'anni ed era di corporatura minuta, alta meno di un metro e cinquanta, con la pelle color caramello, fronte ampia e zigomi pronunciati. Aveva la bocca larga, gli occhi rotondi e scuri, e portava i capelli alla paggetto, un'acconciatura che le dava l'aria di una persona che guarda fuori da una finestra con due tende nere ai lati del viso mentre la frangetta corta faceva da mantovana.

    La cameriera si era addormentata, ma si svegliò quando Decker entrò nella stanza. Si stropicciò gli occhi gonfi di pianto e li tenne socchiusi per via della forte luce artificiale. Lui si accorse che l'uniforme bianca aveva delle macchie scure e si disse che doveva ricordarsi di consegnarla alla scientifica.

    Le chiese di cominciare dall'inizio. Doveva essere la sua storia.

    Il giorno libero di Ana iniziava la sera del lunedì per concludersi la sera del martedì. Di solito rientrava al ranch nel pomeriggio, ma la sera prima c'era stata una celebrazione speciale nella sua chiesa, che comprendeva un breve rito di preghiera a mezzanotte. Una volta concluso, intorno a mezzanotte e mezza, era andata via ed era tornata in macchina al ranch, dov'era arrivata circa un'ora dopo. La proprietà era circondata interamente da una cancellata in ferro battuto con le sbarre sormontate da punte, ragion per cui gran parte dei cancelli non era custodita. La donna aveva una tessera magnetica per aprire il cancello più vicino alla cucina. Dopo essere entrata nella proprietà aveva portato la macchina nel parcheggio di servizio e l'aveva lasciata dietro la cucina. Aveva sceso una rampa di scale, raggiungendo l'ala della servitù e con la chiave della sua stanza era entrata nell'edificio. Quando Decker le chiese se ci fosse un antifurto, lei gli rispose che gli alloggi della servitù ne erano dotati, ma l'impianto non era collegato all'abitazione principale. L'edificio aveva un sistema di sicurezza a sé stante in modo tale che gli inservienti potevano entrare e uscire senza dover toccare quello dei Kaffey.

    Quando descrisse ciò che aveva visto in camera da letto, le si riempirono gli occhi di lacrime. Aveva acceso la luce e aveva trovato sangue dappertutto: sulle pareti, sulla moquette, su uno dei due letti. Ma lo spettacolo peggiore era Alicia: distesa sulla schiena, immobile. Le avevano sparato in pieno viso. Era terrificante. Ana aveva cominciato a urlare.

    Terminò il suo racconto in preda a singhiozzi disperati. Era corsa al piano di sopra, prendendo la scala interna che portava alla cucina della villa. Di solito la porta della cucina veniva chiusa a chiave a mezzanotte per impedire a chi avesse usato l'ingresso della servitù di entrare nella casa principale. Ma non quella sera. Ana ricordava con precisione di essere corsa in cucina e avere chiamato la signora a gran voce.

    Ma non le aveva risposto nessuno.

    Quando Decker le chiese se l'allarme della villa fosse scattato quando era entrata in cucina, Ana non riuscì a ricordarlo. Era sconvolta e si scusò per la scarsa memoria.

    A lui in realtà sembrava che se la stesse cavando piuttosto bene.

    Ana aveva trovato i Kaffey nella biblioteca: prima il padrone, poi la padrona. Nessuno si muoveva, quindi aveva pensato che fossero morti. Aveva visto abbastanza televisione da sapere che non doveva toccare nulla.

    Sempre urlando era corsa fuori dove aveva trovato Gil riverso a terra e aveva pensato che fosse morto. Era da sola, e la proprietà era buia e spaventosa. Sapeva dove si trovava il villino di Paco Albanez perché lei e il custode erano amici. Per

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