Apnea notturna
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Anteprima del libro
Apnea notturna - Mike Lorefice
Mike Lorefice
Apnea
notturna
l
Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura
.
Edvard Munch
Se sotto ogni cosa si nascondesse un vuoto senza fondo, mai colmo, che altro sarebbe la vita se non disperazione?
.
Søren Kierkegaard
Sembra che tutto perda senso in questo giorno orrendo, nebbia nera nella mente che ti annienta dentro, il tuo encefalo necrotizzato spurga dalle cavità del teschio e dentro una voce che ti sta mentendo, dice che va tutto bene e la salvezza è vicina, ombre nere sopra il bus delle sei di mattina! E finalmente quando pensi sia finita, ti riportano a sta morte apparente che voi, chiamate vita
.
Dsa Commando
PARTE PRIMA
Il baratro del non ritorno
Capitolo I
Dilazione delirio notturno
Secondi come ore,
ore come anni,
giorni come istanti.
Il tempo:
un lungo tragitto
che scorre sotto
i nostri piedi.
Settimane come giorni,
settimane come anni,
settimane?
Il tempo.
Ho forse mai corso?
Il tempo.
Il tempo
e la sua dilazione,
il tempo,
un lungo tragitto
la sua dilazione.
Corriamo inseguendo
un qualcosa,
chissà cosa.
Istanti, millenni, secondi, giorni, mesi, anni,
settimane?
Io sono stanco
di correre,
forse non sono mai stato
capace,
di correre,
ho forse mai corso?
Ma sono stanco,
di correre.
Dilazione,
tempo.
Attimi gettati
nel dimenticatoio,
altri rimasti impressi
nella memoria,
gli amici,
le delusioni,
i banchi di scuola,
la nostra storia.
Chissà cosa.
Binario numero sei, un altro treno in transito.
Ricordo benissimo, quando ero un bambino, mia madre mi portava sempre alla stazione ferroviaria, voleva insegnarmi fin dall’infanzia che le persone vanno e vengono, che il tempo molte volte può apparire mortale, voleva educarmi a combattere l’attesa, a sconfiggere la noia.
Non era enorme la stazione del quartiere in cui vivevamo, ma non era nemmeno troppo piccola, era adatta allo scopo. Molto spesso mi portava proprio in quel binario, il binario numero sei.
Era diverso rispetto agli altri, per qualche arcano motivo. Ci sedevamo su una panchina, potevamo stare lì anche due, tre ore, o un pomeriggio intero.
scrutavo quelle vetture che passavano, a volte si fermavano, altre volte no, e poi c’erano i treni merci infiniti, lunghi chilometri, molto spesso provavo a contarne i vagoni, ma non ero ancora abbastanza esperto con i numeri. osservavo in silenzio il via vai di persone che salivano e scendevano, rammento ancora perfettamente la sensazione di turbamento che mi evocavano tutti quei treni, tutte quelle persone, quel luogo che mi appariva così triste e metafisico.
Eppure in stazione non c’è solo la gente che parte: dai treni scendono persone che tornano, che arrivano da chissà dove, e molto spesso c’è qualcuno ad attenderli. Ma nonostante tutto, a me rimanevano impressi soltanto gli addii.
Questa abitudine mi è rimasta tutt’ora: a distanza di anni, ogni tanto passo per quella vecchia stazione. Tutto è rimasto come un tempo, l’unica differenza è la voce che esce dall’altoparlante; non più uno speaker sta dall’altra parte, ma un computer, che annuncia i treni in arrivo, si scusa per quelli in ritardo e, di tanto in tanto, ripete le solite frasi: Per ragioni di sicurezza la stazione è sorvegliata da telecamere, non lasciate incustoditi i vostri bagagli
oppure È severamente vietato aprire le porte esterne dei treni quando non sono completamente fermi
e tu ti chiedi chi potrebbe essere l’imbecille che fa una cosa tanto stupida, rischiando di rimanere spappolato in mezzo alle rotaie. Eppure una volta vidi un ragazzo salire su un treno già in corsa, una scena che di solito si vede in quei film ambientati in India, dove ci sono quei pullman stracolmi di gente e le persone che improvvisano acrobazie improbabili per riuscire a trovare un appiglio.
In quel grigio pomeriggio autunnale invece, non ero lì solo per osservare, dovevo andare dal dentista, che si trovava un paio di quartieri più in là, esattamente a due fermate di treno. avrei potuto anche prendere l’autobus, ma quando potevo sceglievo sempre le antiche rotaie. Trovo i viaggi in treno più rilassanti di quelli in bus, i paesaggi che traspaiono dai finestrini sono molto più vasti ed enigmatici.
A volte mi capita di osservare quelle case, quei luoghi misteriosi che si notano durante il tragitto, vedo le barche ormeggiate nei piccoli moli, e mi domando quando sia stata l’ultima volta che hanno salpato verso il mare aperto, oppure noto la gente camminare per le strade, occupare le spiagge, chissà chi diavolo è tutta quella gente.
E vedo abitazioni sperdute nel nulla, quando le noto provo ad immaginare le persone che vi vivono dentro, il tipo di vita che conducono, magari sono solo case di campagna, anzi, molto probabilmente lo sono, oppure ci vive qualche contadino, uno degli ultimi sopravvissuti.
Molto spesso dai finestrini si vedono scorrere velocemente i nomi di alcune località… vi sono stazioni in cui treni non fermano mai...
Di notte i viaggi in treno diventano ancora più mistici: le luci delle case sembrano non accontentarsi di un semplice sguardo, pretendono un’attenzione quasi cerimoniale. È proprio in questi momenti, quando osserviamo quei tenui bagliori, anche se in realtà sono essi a scrutare noi, a guardarci dentro, che ci rendiamo conto di essere solo dei minuscoli punti insignificanti all’interno dell’universo infinito. Questa volta invece, il viaggio durò così poco che nemmeno per gioco ebbi il tempo di osservare i paesaggi che scorrevano oltre i finestrini.
Scesi.
Che