Il Cielo in rovina
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Tante quanti sono i concetti che Lorefice riversa quasi rabbiosamente all’interno di questa sua opera prima, fino a saturarne ogni angolo, concetti qualche volta solo abbozzati che attendono di essere metabolizzati dal lettore, perché essi sono i reali protagonisti di questo romanzo. Un invito a riflettere per cercare di migliorare se stessi, un invito ad aprirsi in se stessi.
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Anteprima del libro
Il Cielo in rovina - Mike Lorefice
Mike Lorefice
Il Cielo
in rovina
Il Cielo in Rovina
Cielo di vetro
Uomini stanchi
camminano
in silenzio,
passo corto
testa china,
per non guardare
il cielo in rovina.
Uno scenario
troppo tetro
da accettare,
crepe minacciose
incombono
sulle nostre teste:
lo avresti mai detto?
Il cielo è di vetro
PARTE I
Ombre riflesse
Capitolo 1
Brancoliamo nel buio, ogni attimo della nostra esistenza è come un salto verso l’ignoto: la realtà non è mai quello che sembra.
La realtà, che cos’è la realtà? Nessuno la conosce realmente. Siamo circondati da spettri che nascondono misteri in armadi chiusi con mille lucchetti, dormiamo ignari in candide lenzuola di tristi ipocrisie e di false speranze; non conosciamo neanche il nostro migliore amico, né i nostri figli o i nostri genitori, non conosciamo neppure noi stessi. Ognuno di noi ha qualcosa da nascondere, agli altri o a se stesso, consapevolmente o inconsapevolmente.
Verità affiorano in modo inaspettato, altre non affioreranno mai; le stesse verità che noi pensiamo essere tali, in realtà, non lo sono.
L’irrealtà è l’unica cosa reale nella nostra esistenza: tutto quello che vediamo, tutto quello che sentiamo, tutto ciò che respiriamo è irreale.
Da sempre i filosofi, i teologi, gli studiosi, ma anche gli uomini più comuni ed inconsapevoli cercano di cogliere la realtà delle cose, imbattendosi in inutili dogmi, in panlogismi, in stupide metafisiche senza il minimo significato, dettate da salti ontologici privi di alcun dato empirico: nessuno di essi, però, ha mai raggiunto la verità, anche se ogni volta, ognuno di questi personaggi che sono stati risucchiati dalla storia e dal corso degli eventi, credeva di aver svelato il mistero dell’umana esistenza.
La nostra società tende ad uniformarci e ad identificarci in enti che ci appaiono concreti, ma che sono astratti; enti che annullano totalmente la nostra essenza di individui spersonalizzandoci. Noi stessi ci identifichiamo in questi enti, che poi corrispondono al ruolo che abbiamo giustappunto nella società, sia in ambito lavorativo che nella vita privata.
Vi sono persone che affermano di rappresentare l’opposto di quello che sono, personaggi che usano pretesti insulsi per mascherare i veri intenti delle loro azioni e noi, poveri stolti, li seguiamo, ignari di quello a cui andiamo incontro; ci affidiamo ad essi pensando che siano nel giusto, che operino per il giusto, o semplicemente perché stimolano in noi simpatia. A volte invece preferiamo affidarci a degli enti di pura fantasia da noi stessi creati che vanno al di là di una visione immanentistica dell’esistenza, cerchiamo la nostra identità al di fuori di noi stessi, senza capire che proprio ogni singolo individuo è la chiave della sua stessa essenza.
***
Non era proprio così Alberto Durante, un ragazzo che non si uniformava alla comune massa di stolti, anche se era in possesso di certe convinzioni errate che considerava realtà, sicuro di se stesso, sempre.
Aveva ventun anni ormai, possono sembrare pochi, ma possono sembrare tanti, dipende dai punti di vista.
Era un ragazzo alto e snello, di bell’aspetto, capelli neri, come i suoi occhi.
Quella sera, come del resto accadeva la maggior parte dei week-end da un po’ di anni ormai, camminava per le strade di quella malinconica cittadina, con la barba ispida, fatta da due o tre giorni, vestito in maniera normale senza mille fronzoli, anche se tutto risultava in ordine. Non aveva una meta ben precisa, l’unico obiettivo era quello di abbordare qualche ragazza, che teneva per poco, finché non si stancava, fin quando non riusciva a sfruttare tutto quello che poteva dargli: tempo, mente, corpo. Viveva da esteta, da libertino, l’edonismo era il suo pane quotidiano, ma non solo: non era un inutile Don Giovanni, come se ne aggirano spesso e volentieri per le strade di questo fiacco mondo, lui era un vero seduttore in senso kierkegaardiano, con una punta di amarezza e di cinismo in più. Coglieva tutto dalla vita, ogni attimo, ogni situazione, si nutriva di stimoli che scovava in ogni angolo buio, la caccia era continua. Rischiava di impazzire, di implodere, se non avesse potuto esercitare le energie del suo intelletto su qualcosa o su qualcuno.
Camminava solo quel sabato sera, ancora doveva decidere dove recarsi, in qualche locale, in qualche piazza... non importava. Le sue tecniche di seduzione erano micidiali, i due di picche non lo impressionavano, anzi, era lui il primo che li dava. Non sarai tu? Benissimo, sarà quell’altra!
, questo pensava se una ragazza lo rifiutava, non si faceva molti scrupoli, che cosa gli importava? La vita era una, nessuno gli avrebbe mai restituito la sua giovinezza: certe esperienze, non solo sessuali ma anche intellettuali, era certo che non le avrebbe rivissute. Senza certi stimoli la sua vita gli pareva vuota, priva di significato: il mondo offriva poco, niente gli pioveva addosso, doveva essere lui a rendere la sua vita interessante. Non bisogna commettere l’errore di pensare che si accontentasse della prima che vedeva, la sua caccia era una contemplazione verso il bello e l’eccezionale, chi non era degno di lui, veniva ignorato.
Erano le undici ormai, minuto più minuto meno, camminava da circa mezz’ora in cerca di un luogo che lo ispirasse. Era giunto nella piazza principale, tre strade da poter scegliere, scelse quella a sinistra, senza un motivo ben preciso. Camminava imperterrito, la luce delle insegne di pub e locali si riflettevano nelle sue pupille, insegne che aveva già visto centinaia di volte. Questa sera nessuna di quelle attirava la sua attenzione; continuò a camminare fino a quando, con la coda dell’occhio, non intravide un qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo, delle strane luci verdi, quasi allucinogene, provenire da un vicolo, una piccola traversa della strada che stava percorrendo. Una lunga coda lo separava dall’ingresso del locale, lui odiava aspettare, ma era troppo curioso.
«Che cosa succede in questo luogo, perché tutta questa gente?» chiese con quella sua voce calda e insolita ad una ragazza in piedi alla fine della fila.
«C’è l’inaugurazione di un nuovo locale, il Green Eye». La ragazza, ora che la osserva attentamente, è molto carina: un bel viso, dolce, a lui piacevano un sacco le ragazze con i visi dolci, e anche il fisico non era male, snella, non molto alta. Sì, valeva proprio la pena intraprendere un discorso con lei, magari oltre ad essere attraente, poteva anche avere una personalità interessante.
Era davvero bravo a tessere le tele dei discorsi per intrappolare le sue prede, specialmente se queste prede erano splendide ragazze. Tra una parola e l’altra arrivarono all’ingresso del locale, immersi in queste strane luci verdi; della musica elettronica trasportava il luogo in un’atmosfera ancora più allucinante . Di fronte a loro un enorme buttafuori, dopo averli esaminati, li fece entrare.
«Ti va di bere qualcosa?».
«Perché no?».
Una domanda retorica necessitava una risposta retorica, era sveglia la ragazza.
***
Si sedettero ad un tavolo e ordinarono due cocktail che poco dopo vennero portati da un giovane cameriere. Alberto osservava tristemente quel bicchiere, dentro di esso tutta l’umanità si era bagnata nel corso dei secoli. Era consapevole che l’essere umano non aveva alcun bisogno dell’alcol, delle sigarette, della droga, di tutti quegli espedienti che l’uomo utilizza senza un vero motivo, forse per cercare la realtà altrove, in altri mondi, convinto che siano una necessità, pensando di non poterne fare a meno, lasciandosi catturare in trappole dalle quali liberarsi può diventare un’ardua impresa. Anche se trovava tutto ciò molto squallido, a volte si lasciava andare, abbandonandosi in alcune di queste trappole, quelle meno nocive, comunque senza farsi catturare da quel tremendo vortice chiamato dipendenza.
«A cosa stai pensando?», chiese la ragazza, leggermente stupita dalla serietà con cui Alberto osservava quel bicchiere.
«Niente, scusami, mi ero perso in pensieri inutili».
«Sembravi tanto interessato a quel bicchiere», disse la ragazza con una punta di ironia.
«A volte succede che m’incanti, senza un motivo ben preciso, strani pensieri incombono nella mia mente, non mi danno tregua. Ogni minima cosa mi trasporta in strane riflessioni. Ma non importa, scusami, a volte penso troppo, parliamo un po’ di te, sarei curioso di conoscerti».
Quelle ultime parole lo intimorirono: conoscere una nuova persona era sempre un rischio d’infinita grandezza, era come giocare d’azzardo con l’ignoto. Il mondo è pieno di persone futili, le cui esistenze sono inutili, ne aveva incontrate molte nel corso degli anni, chissà quante ancora avrebbero intralciato il suo cammino, lui non le sopportava.
La ragazza in questione invece sembrava interessante, diceva anche cose intelligenti, diavolo, che fortuna, aveva trovato la persona giusta al primo colpo!! Di solito doveva cercare tutta la notte, a volte non trovava nessuna ragazza che lo ispirasse: era così difficile incontrare la persona adatta a sfamare la sua fame di piaceri in quella società composta da insetti insignificanti. Il discorso non valeva solo per le donne, intendiamoci, non era un misogino, non disprezzava le donne, lui disprezzava la maggior parte delle persone che lo circondavano: insulsi individui indegni della sua presenza, dei poveri decerebrati senza un briciolo di cervello.
Intanto i loro discorsi divennero sempre più interessanti, lei sembrava in uno stato contemplativo: le parole di Alberto, il suo linguaggio, tutto quello che proferiva era come oro colato, non riusciva più a smettere di ascoltarlo e, quando era lei a parlare, egli prestava attenzione ad ogni singola parola, si nutriva di tutto ciò che ella diceva.
***
Erano trascorse due ore circa da quando avevano iniziato a parlare, ormai erano le due passate, forse le due e mezza.
«Io dovrei andare...».
«Dove abiti? Se vuoi ti accompagno, non è bello che una ragazza carina come te vada in giro da sola di notte».
«Volentieri, abito non molto distante da qui, a piedi ci vogliono dieci minuti».
Alberto pagò le consumazioni, sia sue che della ragazza,