Try Again - L'arte della sopravvivenza
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Anteprima del libro
Try Again - L'arte della sopravvivenza - Giano Vander
Vittoria Iorio
Giano Vander
Try Again
L’arte della sopravvivenza
romanzo
Vittoria Iorio e Giano Vander
Try Again – L’arte della sopravvivenza
© 2019- Editrice GDS
Via Pozzo 34
20069 Vaprio d’Adda –Mi
Tel 02.90970439
www.gdsbookstore.it
www.gdsedizioni.it
Ogni riferimento descritto nel seguente romanzo a cose, luoghi o persone e altro sono da considerarsi del tutto casuali
Editing | Gianluca Calvino
Grafica di copertina | Giano Vander
DISPONIBILE ANCHE IN FORMATO CARTACEO
Talora noi obbediamo allo stesso impulso
che induce l’uomo a tentare il pericolo,
a toccare un filo elettrico,
a sporgersi da una ringhiera aerea,
a saggiare un veleno con la punta della lingua.
Il demone della perdizione, cosiddetto,
forse.
(Dino Buzzati)
1.
Pazzi. Erano pazzi.
Solo quattro pazzi potevano mettersi a schiaffeggiare una palla, in un’asfissiante mattinata di agosto a Fort Lauderdale, per giocarsi la bevuta serale a beach volley.
Una violenta schiacciata fece arrivare nello stomaco di Gorgo il pallone di cuoio. I suoi amici non ci andavano con la mano leggera, Matt per primo. Lei cadde all’indietro e, per un attimo, si raccolse tirando le ginocchia verso lo sterno, per poi rialzarsi repentinamente come se non fosse successo niente, come fanno i gatti.
«Matt, questa me la paghi!»
«Certo Gorgo, ma in un’altra vita. In questa mi ami troppo», ribatté lui ridendo.
Dei quattro, tre uomini e una donna, quella che ci andava giù più duro, con l’alcol e non solo, era proprio lei. Cresciuta con due fratelli maschi, aveva imparato presto come sottrarre a loro il testosterone utilizzando la migliore delle sue espressioni angeliche.
E poi era orgogliosa come poche donne sanno essere.
Il pallone le arrivò sotto le mani e lei schiacciò con determinazione, puntando dritta verso la sabbia. Matt era sicuro che Gorgo avrebbe cercato di colpirlo e, nel tentativo di proteggersi, le fece segnare il punto vincente.
«Matt, non mi dire che hai paura di me. Abbi paura di quanto berrò stasera a tue spese, perché è così che me la pagherai».
Il clacson di una jeep richiamò l’attenzione dei quattro e di chi guardava la partita. Veloce si abbassò il finestrino, rivelando la sagoma di Ivan, il fratello minore di Gorgo.
«Porca troia, ma vi volete muovere? Quel cazzo d’aereo ci è costato un occhio della testa e voi state qui a perdere tempo».
Gorgo si girò e iniziò a correre verso la sua macchina. Quei ragazzi erano sempre in competizione. Che fossero partite di pallavolo o corse con le auto, gare di rutti o sfide a chi avrebbe aperto il paracadute per ultimo, era così che passavano le loro giornate da quando la DEA li aveva congedati. Di certo non si sarebbero mai potuti riciclare come cassieri di supermercato o giardinieri; gli stipendi che avrebbero portato a casa non sarebbero bastati manco per farsi il bidet con le salviettine umidificate. Giocare con la vita rimaneva il miglior espediente per far soldi.
Gorgo arrivò all’auto, la sua Frontera con motore modificato e potenziato. A quella macchina di originale rimaneva solo la carrozzeria, ma lei ne era innamorata. Ci aveva speso più soldi di quanti ne avrebbe spesi per una Porsche. Girò le chiavi nel quadro e partì cercando di alzare quanta più sabbia possibile. Ivan le stava davanti, gli altri tre ormai ingozzavano la polvere sollevata dai due. Lei sterzò con decisione, e quasi si ribaltò, per prendere una via secondaria che le avrebbe fatto risparmiare tempo, a meno che non si fosse imbattuta in quel fottuto semaforo rosso, quello del senso unico alternato che, per più di un chilometro, rallentava il traffico e velocizzava il rigonfiamento delle gonadi a causa dei lavori stradali iniziati da circa una settimana.
Il semaforo scelse il rosso appena la sagoma della sua macchina fu in prossimità del blocco. Istintivamente, e senza ragionare, schiacciò il piede sull’acceleratore. Avrebbe potuto schiantarsi contro un camion, ma avrebbe preferito quello piuttosto che perdere o indietreggiare. Con gli occhi sgranati bruciò quella distanza a velocità pazzesca, e poco prima che la strettoia finisse vide una macchina che, col verde a suo favore, procedeva sicura iniziando a percorrerla in senso contrario.
Gorgo si attaccò al clacson e l’uomo nella macchina di fronte prese a frenare con tutte le forze che aveva. Calcolò a occhio che sarebbe riuscita a passare senza creare danni. Non pensò neanche per un istante di decelerare, e sfiorò appena il paraurti dell’altra auto. Giusto il tempo di vedere l’uomo al suo interno con le braccia sul viso come a proteggerselo. Lui di certo si era visto morto, una scena che la divertì parecchio.
Poi il campo di aviazione apparve sotto i suoi occhi. Ancora una volta era arrivata prima di Ivan e degli altri. Inchiodò con una frenata che fece fumare le ruote.
Il pilota del piccolo aereo guardò verso quel rumore di freni e vide l’amazzone scendere. Alta quasi sei piedi, muscoli ben definiti. Capelli lunghi fino alle scapole e raccolti in una coda. Un pantaloncino corto che fece venire voglia al giovane di toglierle quei piccoli granelli di sabbia rimasti sulle cosce. La maglietta lasciava i tatuaggi in bella vista. Un’arciera sulla schiena e a destra una manica con due strisce nere sull’avambraccio a indicare il ricordo dei genitori. Un’araba fenice sul braccio sinistro e il kanji della grazia sotto il polso. Quasi nessuno riusciva a notare le quattro ali tatuate a coppie, due sui mastoidi e due sulla parte esterna delle caviglie a ricordare la sua controparte maschile: Mercurio per i romani, Hermes per i greci. Aveva ereditato dal padre l’amore per la storia e per la mitologia.
La sua mano scivolò nello zaino e ne uscì stringendo una camicia a maniche lunghe che indossò senza abbottonare, mentre il suo passo l’avvicinava sempre di più all’uomo che li avrebbe portati in alto.
Dietro di lei lo stridere di altri pneumatici. Finalmente i ragazzi erano nello spiazzale dopo un ingresso altrettanto rumoroso.
«Maledetta, per te il semaforo è sempre verde, vero?», esordì John.
«No, è che io corro il rischio. E sono fortunata», rispose lei con tono sprezzante.
«Ragazzi che dite, schiodiamo?», chiese il pilota interrompendo il loro reciproco stuzzicarsi.
Pochi istanti dopo il motore del Cessna 180K cominciò a rullare. Il George English Park lentamente si allontanò. Gorgo era silenziosa mentre osservava dall’alto il mondo, al contrario dei quattro giovani che facevano un casino quasi insopportabile. L’altezza era quella giusta e quel giorno si sarebbero esercitati nell’atterraggio di precisione.
Gorgo decise di lanciarsi subito.
«Ragazzi, vi aspetto giù!», disse prima di lasciarsi cadere di schiena verso il vuoto. Le piaceva la sensazione di vertigini che oramai era diventata lieve, e la spingeva a ricercare stimoli sempre diversi per rivivere quella sensazione di stordimento.
«Porca miseria, mi frega sempre!», disse Ivan mentre la guardava scendere.
«Tranquillo, non arriverà al bersaglio, si è lanciata troppo presto», replicò Jeff.
«Tu non la conosci. Ci arriverà in planata, magari anche strisciando, ma ci arriverà. E prima di noi», sottolineò Matt lanciandosi a sua volta, seguito da tutti gli altri.
Le urla accompagnavano il rumore del vento che provava a contrastare e rallentare la discesa dei loro corpi.
Gorgo sembrava un proiettile. Si spostava velocemente in orizzontale mentre la distanza dal terreno diminuiva. Comprese di essersi lanciata troppo presto rispetto alla posizione del bersaglio. A qualche centinaio di metri dal pavimento aprì il paracadute. La fronte corrugata, la discesa troppo veloce e l’impatto che sarebbe stato comunque di tutto rispetto.
Intravide il bersaglio disegnato nell’erba al di là di un’allegra famigliola di alberi. Estrasse il coltello per recidere i cavi nel caso in cui il paracadute si fosse impigliato tra i rami. Uno di quei rami però strappò un lembo di pelle dal suo braccio. Atterrò a malapena nella parte più distale del bersaglio, ma comunque al suo interno e, quasi contemporaneamente, sentì le urla di Matt che stava per investirla. Si accovacciò prontamente a terra, vedendoselo sfilare oltre la testa. Tutti arrivarono nei rispettivi punti in modo preciso. Erano ormai pronti: la gara clandestina si sarebbe tenuta di lì a un mese.
«Cazzo Gorgo, ti sei ferita», osservò Jeff. Rivoli di sangue le scendevano fino alla mano e la camicia si stava tingendo di rosso, ma lei non sembrava sentire dolore.
«Questa stronza è il diavolo. Perde sangue ma è immortale», ribatté Ivan, ridendo della sorella. Gorgo si tolse la camicia sporca e un po’ strappata. Infilò due dita in uno degli squarci, e tirò con forza fino a che una striscia di stoffa cedette. L’avvolse intorno al braccio per cercare di arrestare il flusso.
«Non mi sono fatta niente, ragazzi, piuttosto pensate a chi deve pagare stasera».
«Io non so se debba pagare Gorgo che vuole sempre strafare o Matt che è arrivato ultimo ma ha centrato il bersaglio meglio di lei», osservò Ivan.
«Paga chi arriva ultimo. Queste sono le regole», replicò Gorgo con decisione. «Matt, preparati a una rapina al minimarket vicino al distributore di benzina, altrimenti stasera non avrai abbastanza verdoni», aggiunse Jack ridendo.
La sera era ancora lontana. Per Gorgo c’era tutto il tempo di farsi medicare la spalla da Nidal, l’unico della squadra ad avere lo stomaco adatto a ricucire qualcuno. Tutti lo consideravano il sarto pazzo
.
Lui e Gorgo avevano ormai da tempo una storia complicata, anche se non stavano realmente insieme. Lei aveva il vizio di andare da lui a farsi consolare ogni volta che una delle sue relazioni assurde terminava in modo disastroso, trovando sempre la porta aperta. Spesso dormiva a casa sua per poi sgattaiolare via la mattina seguente come se nulla fosse. Da parte sua, a Nidal non dispiaceva quel suo modo intermittente di esserci. Era l’asociale del gruppo, non era per lui un problema stare con una donna assente.
I loro rapporti però si erano allentati parecchio, dopo i fatti di Lazy Lake.
A causa dell’imperizia di due componenti della squadra, Gorgo aveva disobbedito agli ordini del superiore, suo fratello maggiore Alexander, cercando di trarre in salvo Ivan, il fratello minore, che rischiava di essere fatto prigioniero. Dal comando era partito l’ordine di eliminarlo, perché non diventasse fonte d’informazione o merce di scambio per i nemici. Ma lei, con l’appoggio di Nidal che era alle trasmissioni, e con il supporto degli altri sedici elementi della squadra, bypassò gli ordini di Alexander e agì di testa sua. Il risultato fu un bagno di sangue, in cui persero la vita due dei suoi colleghi e amici, con conseguente congedo con disonore di tutta la squadra.
Per alcuni di loro, Gorgo compresa, l’accusa fu di insubordinazione grave; per Ivan e altri tre commilitoni, di imperizia. Infine, per altri cinque soldati si puntò alle procedure operative ai limiti del protocollo.
Alexander fu congedato per inattitudine alla gestione del comando. Si era fatto mettere in scacco dalla sorella, secondo ufficiale in carica, che aveva convinto tutti ad eseguire i suoi ordini al posto di quelli di ordine superiore.
Da quel momento i rapporti tra i due fratelli si erano interrotti. Lei cercava di tutelare in tutti i modi Ivan e di tenerlo lontano dal fratello maggiore, che non aveva esitato a dare l’ordine di eliminarlo. Alexander aveva preso definitivamente le distanze dalla sorella, che gli aveva fatto perdere carriera e credibilità. Si era trasferito in Messico e navigava in acque ben più torbide di quelle in cui nuotava lei. Lui non aveva mai fatto uso di sostanze come invece di frequente capitava a Gorgo, ma si era ricavato una sua nicchia di potere grazie al narcotraffico, al soldo di uno dei più potenti boss locali. Gorgo, oltre a godersi la vita in modo a dir poco eccessivo, era dedita a scommesse clandestine, contrabbando di alcolici e auto rubate, nonché falsificazione di documenti. Della squadra originaria, a parte i due decessi, sette elementi erano rimasti con lei, mentre altri cinque