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Bufera di emozioni: Harmony Destiny
Bufera di emozioni: Harmony Destiny
Bufera di emozioni: Harmony Destiny
E-book141 pagine2 ore

Bufera di emozioni: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Può una passione incontrollata scoppiata tra due estranei diventare amore eterno?
Salvare una madre col suo piccolo bloccati da una terribile bufera non era nei piani di Lance Aquila Bianca Steele. Lui avrebbe voluto raggiungere il Montana prima di Natale, ma come abbandonare la bella Marcy Griffin al proprio destino? Di sicuro i suoi piani non includevano nemmeno gli infuocati baci che si sono scambiati sotto la neve.
Marcy non sa cosa pensare di Lance, eccetto il fatto che sia sensibile, generoso e assolutamente sexy. Ma è anche off-limits per lei, non vuole per nessuna ragione un altro uomo che controlli la sua vita. Purtroppo il suo corpo e il suo cuore non sembrano del suo stesso parere e lei non sa a chi dare ascolto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517318
Bufera di emozioni: Harmony Destiny
Autore

Linda Conrad

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    Bufera di emozioni - Linda Conrad

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Between Strangers

    Silhouette Desire

    © 2004 Linda Lucas Sankpill

    Traduzione di Laura Quinque

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-731-8

    1

    Incredibile. Per arrivare alla stazione di servizio successiva ci sarebbero volute più di tre ore. Non sarebbe stata così lunga, se non fosse incappato in quella tempesta di neve e la polizia non avesse chiuso l’interstatale.

    Lance Aquila Bianca Steele alzò il riscaldamento della jeep appena comprata. Avrebbe dato chissà cosa per un thermos di caffè caldo. Non avrebbe mai immaginato che prendendo quella strada a due corsie ci sarebbe voluto un tempo sei volte maggiore che sull’interstatale. Quella nevicata era così fitta da togliere ogni visibilità.

    Be’, se non altro era sulla strada di casa. Pensando al ranch e al calore della gente che stava aspettando il suo ritorno, si rese conto che qualche altra ora o un’intera giornata non avrebbero fatto molta differenza. L’importante era raggiungere il Montana in tempo per la festa della vigilia di Natale.

    Per alcuni frustranti momenti, a O’Hare, aveva temuto che sarebbe stato costretto a perderla.

    Quando era arrivato da New Orleans, dove avrebbe dovuto trovare una coincidenza aerea per Great Falls, e aveva scoperto che tutti i voli erano stati cancellati, non si era scoraggiato. Se gli altri viaggiatori si erano accampati in aeroporto, rassegnati a bivaccare lì chissà fino a quando, lui era determinato ad arrivare in tempo per la vigilia. Sarebbe andato tutto bene, si era detto dopo aver toccato la tasca in cui teneva la scatoletta di velluto con l’anello. Presto la sua vita avrebbe preso la strada giusta.

    Era stato facile convincere il tizio dell’autonoleggio a vendergli quella jeep quasi nuova. Con le buone referenze della sua banca e la carta di credito, non aveva avuto problemi ad acquistarla ed era partito. Guardò oltre il parabrezza la neve che cadeva sempre più fitta, bloccando la visuale. Diede una pulita con la mano al vetro un po’ appannato e si preparò a fare del suo meglio. Quella era una delle tempeste più violente in cui fosse mai incappato. In effetti, nei dieci anni in cui si era spostato da un rodeo all’altro nel West americano, ne aveva incontrate poche.

    Passò di nuovo il palmo della mano sul vetro. Il riscaldamento e lo sbrinatore stavano funzionando a pieno regime. Lance ringraziò il cielo di essere al riparo e al caldo, invece di trovarsi fuori nel freddo vento di dicembre.

    La vide all’ultimo momento. Una forma scura a lato della strada... che non investì per puro caso.

    Imprecò fra sé mentre sterzava per evitarla. La jeep slittò e, mentre la superava, la forma diventò un essere umano che avanzava ripiegato contro il vento e la neve, stringendo in braccio un fagotto avvolto in una coperta. Nello specchietto retrovisore vide la sagoma di un’auto ferma accanto alla strada, qualche metro più indietro. In panne, immaginò.

    Quel poveretto sarebbe presto morto congelato, là fuori. Ormai lui stava viaggiando da sei ore senza incontrare anima viva, nessuno che si fosse avventurato fuori con quel tempo...

    Be’, quel disgraziato era fortunato. Nonostante lui avesse fretta di continuare, non poteva certo lasciarlo su quella strada deserta e con quelle condizioni meteorologiche. Nelle emergenze la gente doveva aiutarsi a sopravvivere. Se fosse capitato a lui, avrebbe pregato disperatamente che qualcuno si fermasse ad aiutarlo. E, forse, per rimettere in moto quella macchina non ci sarebbe voluto molto. Lui era bravo con i motori. Era probabile che si trattasse di una sciocchezza, quindi sia lui sia lo sventurato avrebbero potuto riprendere la strada di casa in breve tempo.

    Si fermò, lasciando però acceso il motore, aprì la portiera e scese. Le suole degli stivali affondarono scricchiolando nella neve, il gelido vento artico lo investì. Si tenne lo Stetson con una mano e, mentre tornava indietro, cercò di aguzzare la vista attraverso i cristalli ghiacciati che gli sferzavano il viso.

    Dopo qualche passo riuscì a distinguere meglio la persona che avanzava verso di lui e fu con grande sorpresa che si accorse che si trattava di una donna. Aveva in testa un foulard colorato e reggeva fra le braccia qualcosa avvolto in una vecchia coperta militare.

    Dopo qualche altro passo riuscì a vederle gli occhi. Castano chiaro, vividi nel turbinio della neve. Il viso piccolo, la donna teneva la bocca socchiusa nello sforzo di respirare.

    Aveva addosso parecchia neve e si bagnava sempre più di minuto in minuto. Le ciocche di capelli biondo chiaro sfuggite dal foulard le creavano intorno al volto privo di trucco un alone dorato. Sembrava un angelo in difficoltà.

    Doveva essere completamente pazza per avventurarsi in viaggio da sola con quel tempo. Forse era drogata. Doveva stare attento.

    «Cos’è successo alla sua macchina?» le gridò.

    La donna respirava con difficoltà per lo sforzo di camminare nel vento freddo, reggendo quell’involto dall’aria pesante, il fiato che si trasformava subito in una nuvoletta di vapore. «Temo che sia inutilizzabile» ansimò. «C’è ancora un sacco di benzina e la batteria è carica, ma il motore si rifiuta di ripartire. Quando giro la chiave non succede niente.»

    «Salga nella mia macchina, prima di congelarsi. Mi dia le chiavi.»

    Mentre gli si avvicinava, negli occhi della donna passò un lampo di diffidenza. «Io... io...» balbettò porgendogliele, mentre si stringeva più forte al petto quello che reggeva tra le braccia.

    Perché diavolo non lo posava a terra?, si chiese Lance. Tornò indietro con lei verso la jeep, che aveva lasciato in moto, e aprì la portiera posteriore. «Metta pure qui quella roba.»

    La donna scosse la testa. «La devo tenere contro di me per tenerla al caldo» ribatté, quindi sollevò un angolo della coperta, scoprendo un berrettino di lana che copriva dei capelli biondi.

    Sbalordito, Lance aiutò la donna a salire al posto di guida con il suo fardello, accanto alla bocchetta del riscaldamento. Cosa diavolo l’aveva spinta a mettersi in viaggio con una tempesta del genere insieme a un bambino?

    Benché spaventata e riluttante ad accettare un passaggio da uno sconosciuto, Marcy Griffin non aveva altra scelta che salire sul fuoristrada di quel cowboy. Un altro quarto d’ora in quel freddo e la bambina si sarebbe presa una polmonite.

    L’uomo richiuse la portiera per non lasciar uscire il caldo e tornò indietro per dare un’occhiata alla sua macchina.

    Con un sospiro di sollievo, Marcy guardò la bambina che dormiva profondamente tra le sue braccia. Era pazzesco che Angie riuscisse a dormire in una situazione così tremenda. Doveva essere affamata, stanca e infreddolita, rifletté, e si augurò che tutto andasse per il meglio.

    Se non altro erano ancora vive tutte e due. In un modo o nell’altro erano dirette verso una vita migliore, quella era la cosa più importante.

    Dieci minuti dopo, quando stava incominciando a sentire di nuovo freddo, il cowboy aprì la portiera posteriore e sistemò sul sedile il seggiolino di Angie.

    «Aveva ragione» le disse. «La sua macchina è spacciata. Credo che si sia rotto il blocco.»

    «Se possiamo veniamo con lei, le spiace prendere dalla mia macchina le cose di Angie?» gli chiese Marcy.

    «E cioè?»

    «I pannolini, il cibo... Sono in un borsone di tela blu.» Marcy non riusciva a vedere l’espressione dell’uomo sotto l’ala del cappello, ma immaginò che stesse imprecando dentro di sé per essersi fermato a raccogliere due vere scocciature.

    «D’accordo» borbottò Lance. «Lei si preoccupi di fissare bene il seggiolino sul sedile posteriore. Torno subito.»

    Sgusciando fra i due sedili verso la parte posteriore della macchina, Marcy si diede da fare finché il seggiolino non fu a posto, poi vi sistemò sopra la bambina, che continuava a dormire. Era tranquilla da così tanto tempo che lei si chiese spaventata se stesse bene. Le toccò la fronte e le guance per verificare che non avesse la febbre; poi, rassicurata, tornò di nuovo davanti e si sedette accanto al posto di guida.

    Una volta tornato, il cowboy sistemò il borsone blu e gli altri bagagli nel baule, salì al posto di guida e, quando partirono, Marcy recitò una silenziosa preghiera di ringraziamento perché lei e sua figlia erano state salvate.

    Diede un’occhiata allo sconosciuto e decise che lo avrebbe ringraziato solo quando fossero state al sicuro. Poteva sempre trattarsi di un serial killer. Poi, mentre lui era concentrato sulla strada ghiacciata al di là del parabrezza, studiò il suo profilo.

    Che tipo d’uomo era?

    Si era sollevato lo Stetson sulla fronte per vedere meglio e lei ricordò di aver notato quanto fosse alto e che spalle larghe avesse quando stava parlando con lei sulla strada. Adesso poteva vedere che era anche forte e muscoloso e che aveva quella che di solito veniva definita una presenza autorevole. Solo respirando, sembrava assorbire tutto l’ossigeno e lo spazio che lo circondava e lei riusciva benissimo a immaginarlo a capo di un manipolo di soldati. Era un uomo capace di suscitare rispetto negli altri.

    Grazie al cielo. Forse lei e Angie sarebbero uscite bene da quell’avventura.

    Notò i suoi capelli neri, lunghi e legati in una coda, sotto il cappello grigio da cowboy. I suoi lineamenti rudi e la mascella volitiva. La luce lì dentro non era granché, ma la sua pelle scura, gli zigomi alti e il naso aquilino sembravano quelli di un nativo americano.

    Proprio per quello, quando l’uomo si presentò, Marcy si stupì. «Mi chiamo Lance Steele» le disse senza voltarsi. «Lei come si chiama?»

    «Oh, mi scusi. È stato tutto così... Mi chiamo Marcy Griffin e mia figlia si chiama Angelina. Angie.» Nei nove mesi di vita della bambina, lei non era mai stata così vicina a ringraziare il cielo per essersela cavata come nei mesi passati. Mesi che voleva solo dimenticare, perché non aveva intenzione di ritrovarsi mai più in quelle condizioni disperate.

    Lance sorrise con un angolo della bocca. «La bambina sta bene? Non è ammalata, vero?»

    «No. È stata semplicemente una giornata molto dura per lei.»

    «Dove siete dirette? Come mai le è venuto in mente di mettersi in viaggio in una...» Lance si voltò un attimo verso la piccola alle sue spalle. «Mi

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