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Questioni di cuore
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E-book131 pagine1 ora

Questioni di cuore

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L’amore. Laura ci introduce nella riflessione con Adelio che ancora non è pronto. Nella continuità delle storie, incontriamo Bruno che si lascia sopraffare, mentre a Campodimiele sa di rivelarsi nella sua essenza. Omar e Zeno prendono le distanze da questo sentimento, per causa di troppa sofferenza e delusioni, mentre Ljubla ci gioca, ma sembra dispiacersi con Maurizio che stava per perdere la testa. Tamara ed Alfonso vivono felici, senza immaginare che sopra l’amore veglia una forza ancora più potente. Come per Mariella ed Amedeo che sono stati divisi dalla stessa forza negativa. Cipriana non lo sa riconoscere, e Cesare… Infine Ismaele e Zuleika che, nonostante tutto, ci invitano alla positività. Sono nove racconti che sembrano scaturire dalla realtà di tutti i giorni; in essi questo controverso sentimento si presenta con molteplici sfaccettature, strattonato per egoismo dai vari personaggi. Sono racconti che sanno coinvolgere il lettore in situazioni nelle quali emergono colori contrastanti che trovano giovamento in questa scrittura di grande emotività con pagine che sollecitano la nostra sensibilità.
LinguaItaliano
Data di uscita24 feb 2020
ISBN9788831660549
Questioni di cuore

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    Questioni di cuore - Alessio Tanfoglio

    dell’Edi­to­re

    Lau­ra

    Co­me bat­te­va il suo cuo­re al de­si­de­rio di es­se­re ama­ta!

    Il cie­lo az­zur­ro di quel­la pri­ma­ve­ra ave­va por­ta­to fio­ri­tu­re di ci­lie­gi e pe­schi e fio­ri nei pra­ti in ab­bon­dan­za. Il mon­do si sta­va co­lo­ran­do do­po il gri­gio­re in­ver­na­le. In quel tar­do po­me­rig­gio Lau­ra era as­sor­ta in pen­sie­ri che le sem­bra­va­no im­por­tan­tis­si­mi; sta­va da­van­ti al­la fi­ne­stra con la bi­ro tra i den­ti chie­den­do­si co­sa fos­se l’amo­re, e guar­da­va il fu­mo che usci­va dai ca­mi­ni. Pen­sa­va all’at­tac­ca­men­to che ave­va Ade­lio per lei, e che le sem­bra­va aves­se sfu­ma­tu­re com­ples­se e an­che con­tra­stan­ti; a vol­te quel suo pri­mo, gio­va­ne amo­re le sem­bra­va im­mer­so in un bea­to af­fla­to spi­ri­tua­le, con sguar­di ro­man­ti­ci, e qua­si as­sen­ti, dall’al­tro quel suo amo­re sem­bra­va vi­va­ciz­za­to da emo­zio­ne car­na­le, quel­la che av­ver­ti­va lei co­me un bi­so­gno fi­si­co di con­qui­sta­re ma an­che di ap­par­te­ne­re an­nul­lan­do­si in lui. Po­co riu­sci­va a de­ci­fra­re, e i suoi quin­di­ci an­ni non pa­re­va­no es­ser­le mol­to d’aiu­to. Cer­cò di de­fi­ni­re quei pen­sie­ri e sen­sa­zio­ni, poi si tro­vò a pen­sa­re a co­sa ser­vis­se ama­re, per co­sa po­tes­se es­se­re uti­le l’amo­re. La ri­spo­sta le sem­brò scon­ta­ta: l’amo­re è vi­ta, e por­ta al­tra vi­ta. Cer­to, ma le par­ve trop­po sem­pli­ce quel­la de­fi­ni­zio­ne; si sfor­zò e tro­vò che l’amo­re fos­se una for­ma, for­se la più al­ta, di so­cia­liz­za­zio­ne, quel­la che con­sen­ti­va di in­stau­ra­re rap­por­ti so­li­di e du­ra­tu­ri. Re­stò per qual­che mi­nu­to a pen­sa­re a quel­le pri­me in­tui­zio­ni e con­clu­se che si, l’amo­re è un pon­te che col­le­ga l’io al mon­do, ma ag­giun­se: l’amo­re è Bel­lez­za. Si sen­tì sod­di­sfat­ta di quel­la de­fi­ni­zio­ne e pen­sò che dal­la pro­fes­so­res­sa di fi­lo­so­fia in quel­le ul­ti­me le­zio­ni ave­va im­pa­ra­to qual­co­sa di uti­le. Ri­pen­sò an­co­ra al­le le­zio­ni ascol­ta­te in clas­se, cer­can­do di de­fi­ni­re con più pre­ci­sio­ne le qua­li­tà che fa­ce­va­no con si­cu­rez­za evi­den­zia­re il sen­ti­men­to dell’amo­re da al­tri che le sem­bra­va­no si­mi­li, co­me l’ami­ci­zia, o l’af­fet­to pro­fon­do ver­so i fa­mi­lia­ri. Pen­sò che for­se l’amo­re era cer­ta­men­te idea­liz­za­zio­ne ma an­che un bi­so­gno in­ten­so di li­be­re pul­sio­ni ses­sua­li di esi­gen­ze in­ti­me che co­lui che ama ten­de a ri­sol­ve­re con l’og­get­to d’amo­re, o for­se… Si tro­vò in un bel pro­ble­ma sen­za riu­sci­re a tro­va­re una so­lu­zio­ne ac­cet­ta­bi­le. Sen­tì che la mam­ma la chia­ma­va, era pron­ta la ce­na. Si sco­stò dal­la fi­ne­stra, ri­po­se la bi­ro nel qua­der­no che ri­chiu­se, e col sor­ri­so stam­pa­to sul vi­so si di­res­se in cu­ci­na. Mar­co, il fra­tel­li­no di sei an­ni, sta­va gio­che­rel­lan­do con uno dei suoi mi­ni ro­bot. Men­tre si se­de­va, Lau­ra pen­sò che l’amo­re per la mam­ma o per Mar­co non era lo stes­so che pro­va­va per Ade­lio, e in­fat­ti im­me­dia­ta­men­te ca­pì che ver­so di lui sen­ti­va na­sce­re dal pro­fon­do, dal ven­tre, una for­za che la met­te­va di buo­nu­mo­re, una for­za ca­ri­ca e de­ci­sa, di gio­ia ed esul­tan­za che le da­va pia­ce­re. Una sor­ta di glo­ri­fi­ca­zio­ne in­spie­ga­bi­le. Ec­co: per i fa­mi­lia­ri c’è af­fet­to, per il fi­dan­za­to amo­re, ec­co l’amo­re, pen­sò, ma sen­za trop­pa con­vin­zio­ne. Si tro­vò a pen­sa­re che in quel la­bi­rin­to di pen­sie­ri, di de­fi­ni­zio­ni e con­tro­de­fi­ni­zio­ni, era tra­scor­so tut­to il po­me­rig­gio, ed era ar­ri­va­ta ora di ce­na. La mam­ma, ve­den­do­la as­sor­ta, in­tuì che si trat­ta­va di que­stio­ni di cuo­re, e le chie­se: Co­me va con Ade­lio? Lei, co­me se fos­se sta­ta sor­pre­sa con le di­ta nel va­set­to di mar­mel­la­ta, ar­ros­sì e ri­spo­se: Mam­ma, la­scia sta­re, e il di­scor­so tra lo­ro fi­nì lì. Lau­ra è ma­la­ta? chie­se Mar­co guar­dan­do al­lar­ma­to la mam­ma, che ag­giun­se: Noo, è so­lo stan­ca, ha stu­dia­to trop­po og­gi.

    Men­tre il cuc­chia­io pe­sca­va nel bro­do del­la zup­pa di ver­du­re, Lau­ra si ac­cor­se che quell’in­si­sti­to pen­sie­ro di riu­sci­re a de­fi­ni­re il sen­ti­men­to dell’amo­re, le ri­chie­des­se una su­bi­ta­nea so­lu­zio­ne, quel­la che non le era riu­sci­ta di tro­va­re in tut­to il po­me­rig­gio. Al­zan­do­si dal ta­vo­lo do­po ce­na dis­se, co­me per scu­sar­si: Ciao a tut­ti, io ho fi­ni­to, mi ri­ti­ro.

    An­che la que­stio­ne dell’ela­sti­ci­tà del tem­po sem­bra­va aver­la in­te­res­sa­ta, in­fat­ti si chie­se co­me po­tes­se suc­ce­de­re, e per­ché a vol­te le ore spa­ri­va­no in un mi­nu­to e al­tre in­ve­ce du­ras­se­ro die­ci, cen­to vol­te di più ri­spet­to a quel­lo che le lan­cet­te dell’oro­lo­gio a pa­re­te di­chia­ra­va­no. Ave­va in­fat­ti no­ta­to da al­cu­ni gior­ni che le ore sem­bra­va­no ac­cor­ciar­si quan­do era as­sor­bi­ta dal­lo stu­dio o quan­do si ve­de­va con Ade­lio, men­tre quan­do re­sta­va con Mar­co in sog­gior­no a gio­ca­re, si al­lun­ga­va­no, e sem­bra­va­no non ter­mi­na­re mai, ma non riu­sci­va a ca­pi­re per­ché. An­che quel po­me­rig­gio si era se­du­ta al­lo scrit­to­io per fa­re i com­pi­ti al­le 15.30, ma do­po so­li quin­di­ci mi­nu­ti il pen­sie­ro si era spon­ta­nea­men­te in­di­riz­za­to ad Ade­lio, il fi­dan­za­ti­no che tan­to le oc­cu­pa­va i pen­sie­ri da ben due set­ti­ma­ne e mez­za, e tut­to il po­me­rig­gio era vo­la­to pen­san­do a lui e all’amo­re, co­me se fos­se sta­to per so­lo mezz’ora, non per quat­tro co­me l’oro­lo­gio sen­ten­zia­va. L’in­do­ma­ni pen­sò che avreb­be chie­sto all’in­se­gnan­te di Ma­te­ma­ti­ca, il ri­man­do del­la pre­vi­sta in­ter­ro­ga­zio­ne, an­co­ra in ef­fet­ti non ave­va uti­liz­za­to i due rin­vii che ave­va a di­spo­si­zio­ne. Si sen­tì più tran­quil­la. Ri­cor­dò che in quel­le ore, che avreb­be­ro do­vu­to es­se­re de­sti­na­te al­lo stu­dio, si era al­za­ta, ave­va ac­ce­so la ra­dio, poi l’ave­va spen­ta, poi si era ri­se­du­ta e poi an­co­ra al­za­ta, co­me se si fos­se sen­ti­ta in cor­po un’ur­gen­za in­do­ma­bi­le che non sa­pe­va se­da­re. Il pen­sie­ro sci­vo­la­va ogni vol­ta spon­ta­nea­men­te sul­la ne­ces­si­tà di de­fi­ni­re ciò che pro­va­va per lui: era ve­ra­men­te amo­re il suo o so­lo af­fet­to, o for­se era la vo­glia di di­mo­stra­re al­la mam­ma che sta­va di­ven­tan­do gran­de? An­che que­sto si chie­de­va in una ca­ter­va di do­man­de che sem­bra­va­no le­gar­si e di­stan­ziar­si le une al­le al­tre sen­za una ri­so­lu­zio­ne.

    An­dò in ba­gno, si la­vò i den­ti, si mi­se l’ap­pa­rec­chio per il qua­le il den­ti­sta le ave­va as­si­cu­ra­to Tra cin­que me­si ti tro­ve­rai con uno splen­di­do sor­ri­so, ve­drai. e ri­tor­nò in ca­me­ra sua. Ac­ce­se l’abat-jour, fe­ce scen­de­re le tap­pa­rel­le, si mi­se il pi­gia­ma e si ri­fu­giò sul let­to con il pre­zio­so qua­der­no che po­co a po­co da al­cu­ni gior­ni si sta­va riem­pien­do di cuo­ri­ci­ni e di­se­gni di ba­ci. Ah, l’amo­re! Era dif­fi­ci­le de­fi­ni­re quel sen­ti­men­to, dar­gli una for­ma, un li­mi­te, pro­teg­ger­lo, pen­sa­re di in­se­rir­lo al si­cu­ro co­me un re­ga­lo pre­zio­so in una sca­to­la al ri­pa­ro da ogni pe­ri­co­lo. Le sem­brò che la ca­rat­te­ri­sti­ca for­se più fa­ci­le da in­di­vi­dua­re per de­fi­nir­lo fos­se quel­la del sen­ti­men­to che s’in­di­riz­za ver­so un'al­tra per­so­na, ma le par­ve scon­ta­ta e ba­na­le. Poi ri­flet­té che l’amo­re era so­lo una for­ma di au­to ego­cen­tri­smo as­so­lu­to, quan­do si ren­de­va con­to di es­se­re in­ca­pa­ce di uti­liz­za­re an­che per gli al­tri, quel­la for­za e gio­ia stre­pi­to­sa che l’as­sa­li­va sen­za un’ap­pa­ren­te ra­gio­ne. Ec­co, for­se ci sta­va ar­ri­van­do, cer­cò di de­fi­ni­re quell’in­tui­zio­ne: L’amo­re è quel sen­ti­men­to che par­te­ci­pa del be­ne dell’al­tra per­so­na in mo­do as­so­lu­ta­men­te di­sin­te­res­sa­to, an­che a co­sto del pro­prio star ma­le. Si sen­tì sod­di­sfat­ta, e ri­pen­sò che da­van­ti all’im­ma­gi­ne di quel po­me­rig­gio lu­mi­no­so di pri­ma­ve­ra che ave­va vi­sto dal­la fi­ne­stra, le era sem­bra­to che fos­se pro­prio co­sì. Si al­zò e si di­res­se al­lo scrit­to­io; ave­va avu­to un’il­lu­mi­na­zio­ne: di­se­gna­re due vi­si che si uni­va­no in un vo­lut­tuo­so ab­brac­cio. Nel di­spor­si a scri­ve­re la sua mas­si­ma sul qua­der­no che uti­liz­za­va co­me dia­rio in­ti­mo, si sen­tì un dub­bio cre­scer­le dal pro­fon­do: se l’amo­re è con­no­ta­to di be­ne, non può es­se­re che uno dei due si an­nul­li, non può es­se­re che uno non pos­sa go­de­re del­lo stes­so be­ne che pro­cu­ra all’al­tro. Cer­to, era pro­prio co­sì, e si sen­tì nuo­va­men­te con­ten­ta di quel­la nuo­va pre­ci­sa­zio­ne; de­ci­se che il di­se­gno dell’ab­brac­cio an­da­va be­ne ugual­men­te, quin­di lo ese­guì con ma­ti­te az­zur­ro ol­tre­ma­re e ce­le­ste co­bal­to, blu e ros­so ver­mi­glio­ne, mar­ca Giot­to, gli uni­ci co­lo­ri che ave­va a di­spo­si­zio­ne. Du­ran­te l’ese­cu­zio­ne i pen­sie­ri si rin­cor­re­va­no; de­ci­se di ag­giun­ge­re ron­di­ni che nel cie­lo di­se­gna­va­no un cuo­re. L’amo­re do­ve­va es­se­re per for­za gio­ia in­fi­ni­ta, pia­ce­re as­so­lu­to dell’in­di­vi­duo, e so­lo di ri­fles­so ri­vol­to ad al­tri, do­ve­va es­se­re cer­ta­men­te un sen­ti­men­to al­trui­sti­co ma non po­te­va es­se­re a sca­pi­to del be­ne e del­la gio­ia pro­fon­da di co­lui che ne era ar­te­fi­ce. Il di­se­gno le ri­cor­dò cer­ti la­vo­ri di Cha­gall che le era­no pia­ciu­ti mol­to e che il pro­fes­so­re di Sto­ria dell’Ar­te ave­va de­can­ta­to nel­la le­zio­ne del mat­ti­no. Ri­tor­nò ad ac­co­vac­ciar­si sul let­to, sod­di­sfat­ta di quell’in­tui­zio­ne, e si ri­mi­se a pen­sa­re: e l’amo­re di una mam­ma per il fi­glio, cos’era? Pos­si­bi­le che l’amo­re po­tes­se tra­mu­tar­si e sof­fo­ca­re, per trop­po amo­re, il fi­glio? Si sen­tì dub­bio­sa, in­cer­ta sul­la ri­spo­sta. L’amo­re do­ve­va es­se­re ne­ces­sa­ria­men­te aper­tu­ra to­ta­le, de­di­zio­ne di­sin­te­res­sa­ta, e che non po­te­va, in nes­sun ca­so, tra­mu­tar­si in ne­ga­ti­vi­tà, do­ve­va per for­za es­se­re so­lo be­ne, per sé e l’al­tro. Si, que­sto nuo­vo chia­ri­men­to era più pre­ci­so e più com­ple­to. Scris­se di get­to la fra­se sul suo qua­der­no de­gli ap­pun­ti e men­tre scri­ve­va im­ma­gi­nò Ade­lio leg­ger­la con la lu­ce ne­gli oc­chi, pie­no di gio­ia per quel se­gre­to ri­ve­la­to. Nel ri­leg­ger­la pen­sò: non sa­rà che for­se l’amo­re ini­zia con l’at­tra­zio­ne in­con­sa­pe­vo­le, che si fa via via con­sa­pe­vo­lez­za, fi­no ad evol­ver­si di­ven­tan­do de­si­de­rio di con­di­vi­sio­ne di pen­sie­ri, esi­gen­ze car­na­li e pro­get­ti di vi­ta? For­se è co­me so­stie­ne Fromm che l’amo­re è in de­fi­ni­ti­va un im­pe­gno che pre­ve­de fat­ti be­ne­vo­li ver­so sé e gli al­tri. Ci ri­flet­té e con­clu­se che nell’amo­re c’è, ci de­ve es­se­re ol­tre al­la pas­sio­ne e all’at­tra­zio­ne, an­che af­fet­to, at­tac­ca­men­to, sti­ma, con­di­vi­sio­ne, at­tra­zio­ne ses­sua­le. Si sor­pre­se di aver scrit­to at­tra­zio­ne ses­sua­le. Che ne sa­pe­va lei? Nien­te; cer­to sen­ti­va di es­se­re at­trat­ta da Ade­lio per la sua bel­lez­za, per la sua agi­li­tà ne­gli sport, per il suo sor­ri­so e il ta­glio dei ca­pel­li al­la mo­da, e le pia­ce­va che lui le ba­cias­se il vi­so e il col­lo, pe­rò, pen­sò: Il ses­so no, non ce lo ve­do pro­prio tra noi, al­me­no ades­so. Sul qua­der­no ag­giun­se: La pau­ra di per­de­re que­sti ele­men­ti por­ta ad es­se­re ge­lo­si, con at­tac­ca­men­to che può di­ven­ta­re mor­bo­so, ma­la­to. No, l’amo­re non po­te­va es­se­re so­lo quel­lo, ra­gio­nò do­po aver­la ri­let­ta, an­che per­ché l’at­tra­zio­ne e l’im­pul­so ses­sua­le non c’en­tra­va­no nien­te con l’amo­re del­la ma­dre per il fi­glio, o vi­ce­ver­sa, op­pu­re dell’amo­re ver­so Ge­sù. Guar­dò il sof­fit­to; la fio­ca lu­ce che at­tra­ver­sa­va il cap­pel­lo

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