La laguna delle anime emerse
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Anteprima del libro
La laguna delle anime emerse - Andrea von Felten
CAPITOLO 1
L’odore del mare sottometteva ogni altra sensazione. Era nel metallo della ringhiera, era nel cotone del mio maglione ed era nel vento. Guardai una giovane coppia poco più avanti, verso il portellone di poppa. Lei fumava nervosamente tenendo il braccio libero sotto l’ascella, lui armeggiava col cellulare. La donna mi guardò per qualche secondo, mi domandai vanitosamente se mi stesse valutando, poi si rimise a fissare il mare gettando ogni tanto un’occhiata al compagno. Continuai a masticare la mia gomma rimuginando sui miei pensieri e guardando il mare grigiastro. Forse non avrei dovuto essere lì Forse mi ero lasciato trascinare da un eccessivo senso di gratitudine verso Francesca e mi ero assunto un compito troppo dispendioso in termini di tempo e di energie. Un gabbiano volteggiò brevemente sulla tolda del traghetto poi, dopo aver visto che non c’era cibo, rinunciò allontanandosi. Continuai a crogiolarmi nei miei pensieri, considerando che dopotutto le spese erano pagate ed erano sei mesi che non prendevo un giorno di ferie, non avevo le idee precise sull’ampiezza del lavoro che dovevo svolgere ma, ero fiducioso che me la sarei cavato. Con uno scatto stizzito la donna gettò la sigaretta in mare e rientrò dentro il bar di bordo. Il movimento improvviso fece alzare gli occhi dell’uomo dal cellulare che per un istante non capì cosa fosse successo, poi la seguì a passo spedito. Sospirai pensando a quante volte anch’io mi ero innervosito con la mia ex moglie per quel continuo armeggiare col cellulare e a quanto ora tutto mi sembrava indifferente e scontato. Il dolore per la perdita di mio fratello stava lasciando posto al torpore emotivo e, nonostante i generosi tentativi degli amici, faticavo a uscirne. O forse non ne avevo proprio voglia. Tuttavia gli impegni sono impegni, e io ero in debito con Francesca per tutto quello che aveva fatto per salvare Mario, per come era stata vicina a mia cognata e anche ai miei genitori, perciò, quando era saltata fuori la necessità di questo lavoro a Venezia, mi ero offerto di farlo gratuitamente.
L’altoparlante mi sollevò da questi foschi pensieri avvisandomi che presto avremmo attraccato al Lido di Venezia, dovevo raggiungere la mia automobile. Nonostante fosse solo metà settembre, il vento che soffiava dall’Istria mi aveva infreddolito, così rientrai volentieri nel calore dell’auto. Agganciai il telefono al cavo del caricabatteria e, mentre il portellone si abbassava, mi preparai a mettere in moto e uscire. Un movimento improvviso nello specchietto mi fece alzare gli occhi. La coppia di prima era nella macchina dietro. Anche se non potevo sentire nulla, si capiva dal movimento delle mani e della testa della donna che era arrabbiata, lui invece restava zitto, sprofondando sempre più dietro il volante. Alla fine lei appoggiò la fronte su una mano e guardò dall’altra parte. Qualcuno fischiò; guardai avanti e vidi un giovane marittimo con l’aria annoiata che farmi cenno di muovermi. Avanzai cautamente verso il portellone del traghetto e sbarcai.
Il Lido era ancora frequentato da turisti ma già si percepiva un’aria di smobilitazione, di fine stagione. Proseguii, sul viale Santa Maria Elisabetta per un po’, poi svoltai a destra. In cinque minuti il navigatore mi portò ad villino in stile Liberty, controllai il civico con l’indirizzo che avevo ricevuto. Sì, ero arrivato. I mattoni rossicci dell’abitazione erano un po’ cupi ma, i profili delle finestre e i balconi in pietra d’Istria ne ingentilivano l’aspetto. Mentre suonavo il campanello mi resi conto che la casa era di dimensioni maggiori rispetto a quanto Francesca mi aveva raccontato, metà delle finestre, tutte quelle sul lato sud, erano chiuse, evidentemente il custode non amava il sole. Fu proprio lui ad aprirmi: Magro, longilineo, baffi bianchi e occhiali dalla montatura leggera. Emanava un’energia giovanile, nonostante l’età, e mi accolse sorridendo.
Benvenuto Christian! La stavamo aspettando. Francesca ci ha parlato tanto di lei.
Lei deve essere Tonino Manin, vero?
Sì, custodisco la casa del Professor Bisagli da molti anni.
Si offrì di portarmi il trolley ma rifiutai. Chiesi invece un caffè mentre mi guardavo attorno. Il salone era abbastanza alto e l’arredamento doveva essere coevo alla casa. Lasciai il trolley vicino ad un tavolino dalle gambe sottili e arcuate e mi accomodai su un sontuoso divano con i braccioli in legno scolpiti. Sembrava di essere tornati indietro di cento anni, gli stucchi erano ancora dipinti e una statua di donna seminuda reggeva una pianta da interni rigogliosa. Tonino si accomodò su una poltrona di fronte e sorrise. Che gliene pare, le piace?
Notevole! Per chi ama gli ambienti retro è il massimo direi. Certo non è lo stile di Francesca…
Il mio commento lo rabbuiò. Sì, è vero. Per questo la Dottoressa ha deciso di vendere. D’altronde ormai la sua vita si svolge a Parma. Tempo fa passava in questa casa tutta l’estate e il Natale, ora la vediamo sempre più di rado.
L’ingresso di una strana creatura mi chiarì di chi parlasse. Questa è mia moglie Carlotta. Si rivolse a lei e gli fece due cenni con le mani. La donna era minuta e leggermente curva, reggeva un vassoio con due tazzine fumanti di caffè. L’età sembrava indefinita ma doveva essere molto più giovane del marito. Si avvicinò a me col vassoio e la ringraziai. Lei rimase in silenzio.
Scusi Christian ho dimenticato di avvertirla, Carlotta è sordomuta… Lui sorrise, io cercai lo sguardo della strana donna ma lei lo evitò accuratamente. Viceversa si eclissò in silenzio, lanciando prima un’occhiata al marito che la liquidò con un cenno del capo.
Bene, mi racconti di Francesca Gli riferii, della mia mondana amica, del suo lavoro di chirurga all’ospedale e della sua frequentazione al golf club di Parma che ci aveva fatto conoscere.
Sempre stata un vulcano Francesca… anche da bambina. Suo padre vedeva un matrimonio per lei qui in laguna e invece ha scelto l’università a Padova, poi ha conosciuto suo marito e si è trasferita in Emilia
. Ascoltai con un misto di pena e noia le lamentele del custode, notando che sembrava rivolgersi più ad un gruppo di foto in cornici d’argento sul caminetto che a me. Mi alzai per dare un’occhiata da vicino. Sì, era la storia della sua infanzia e poi gioventù, passando dalla laurea, fino al matrimonio. Praticamente la parte della vita di Francesca che non conoscevo. Per me era un’organizzatrice di eventi, una raccoglitrice di fondi per nobili cause, una brillante giocatrice di golf e, in ultimo, il tenace chirurgo che aveva tentato il tutto per tutto pur di salvare dal cancro mio fratello. Quella carrellata di foto mi mostrava quanto si fosse lasciata indietro, la figlia del Professor Bisagli, per inseguire il suo sogno di diventare un luminare dell’oncologia. Mi accorsi di un rumore, o meglio di un battere regolare di colpi, provenire dal disimpegno e mi voltai. Carlotta stava faticosamente trascinando il mio trolley su per le scale, mi affrettai a raggiungerla per liberarla da un peso eccessivo per