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Lo strano caso del sindaco elegante
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E-book107 pagine1 ora

Lo strano caso del sindaco elegante

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C’era una volta, in un paese vicino-vicino, ma in un tempo lontano-lontano, un uomo normale di nome Totò. Era così normale nella sua quotidiana straordinarietà che diventò esempio: esempio di gran lavoratore, esempio di vero amico, esempio di marito fedele, esempio di padre premuroso. Quando diventò esempio di grande generosità e, soprattutto, esempio di buon cristiano, timorato di Dio e rispettoso dei precetti inculcati nella sua co-scienza da padre Liborio, Totò diventò sindaco. E quando venne eletto sindaco nelle liste dello scudo crociato, malgrado lui preferisse il rosso, diventò leggenda, esempio da citare, ma non da emulare.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2016
ISBN9788892615854
Lo strano caso del sindaco elegante

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    Anteprima del libro

    Lo strano caso del sindaco elegante - Michele Sarrica

    ceti.

    COMMENTO DELL’AUTORE

      Questa storiella, famosa nel palermitano negli anni ’50/60 del secolo scorso, raccontatami da mia madre e tirata fuori quando voleva denigrare il mio modo trasandato di vestire, definito alla sanfasò, è il chiaro adattamento di un avvenimento partorito dalla fantasia di qualche pastore in transumanza sulle Madonie o di qualche schiffarato (nullafacente) che durante l’inverno guardava il mondo dal dietro i vetri della sua finestra e fantasticava. Era un modo per dare sfogo alla fantasia. Il tutto rimaneva puntualmente anonimo. Forse grazie a questo essere di tutti e di nessuno, ad ogni narrazione veniva trasformato, ampliato, abbellito, mitizzato. In fondo, molti sono gli aneddoti, i modi di dire, i proverbi e i racconti tramandati oralmente e di cui si sconoscono gli autori. Uno di questi potrebbe essere proprio questo. 

        Certamente saprai che una volta, soprattutto nei paesi più interni della Sicilia, i nostri padri vestivano, quotidianamente, gli abiti da lavoro e soltanto la domenica indossavano il vestito nuovo, fatto apposta dal sarto di fiducia. Tale abito, di solito di colore scuro, lo usavano per assistere alla santa messa, per fare delle passeggiate a bracceto della moglie o per andare a fare delle visite di cortesia al parentato. Lo indossavano anche per le feste comandate e per le grandi occasioni: matrimoni, processioni e funerali. Questa limitazione, causata solo da fattori economici, non impediva alla gente che viveva lontano dai grossi centri commerciali, di conoscere i canoni del buon gusto. I nostri nonnini, vanitosi e civettuoli, con il bastone di bambù e baffetti alla Clark Gable o alla Vittorio Emanuele, avevano ben chiara quale fosse la moda del momento. Conoscevano benissimo i dettati stilistici in voga e se ne intendevano abbastanza di taglio e di qualità della stoffa con cui farsi confezionare l’abito. Marzotto, Lanerossi, Ermenegildo Zegna, erano i nomi più gettonati. I loro campionari di stoffe erano bene in vista nelle migliori sartorie dei paesi. I nostri padri amavano essere sempre alla moda e dell’apparire ne facevano arma di seduzione, di vanto e di confronto. Per la gente vissuta lungo l’arco della prima metà del secolo scorso e fino a buona parte degli anni sessanta/settanta, l’abito non era soltanto un accessorio, ma era un bigliettino da visita. In ogni campo della vita relazionale bisognava fare subito colpo attraverso l’apparire. Era importantissimo suscitare negli altri un’immediata e buona impressione. E per ricevere un giudizio positivo dalla pettegola e amorfa società, compreso quella buona parte che spiava dietro le persiane, bisognava essere all’altezza di ogni situazione dimostrandolo, in primis, visivamente, attraverso l’abbigliamento. Per questa ragione, l’abito, allora, faceva anche il monaco.

    Non era un lusso ma una necessità. 

        Oggi, la mentalità, le abitudini e il senso pratico del vestire e dell’essere alla moda, sono molto cambiati. I giovani viaggiano, si confrontano, frequentano le università di tutto il mondo. Gente di tutte le età e di tutti i ceti sociali frequenta le palestre, i ristoranti, le pizzerie, i pub, va al cinema, assiste ai concerti con più frequenza, rispetto al passato. Il teatro non è più solo appannaggio dei ricchi. I nostri amministratori sono dei tecnici, dei professionisti della politica. I manager si vestono in maniera più casual. In ogni abitazione è entrata la televisione e con essa il telegiornale, gli sceneggiati, gli show, i telefilm, le soap opera. Gli scambi socio culturali, i mezzi di comunicazione, internet, le capacità imprenditoriali e professionali hanno portato anche la Sicilia e i suoi paesini medievaleggianti tra i luoghi più apprezzati dai turisti anche per i loro percorsi enogastronomici. Il nostro attuale sindaco è un giovane dinamico, progressista, consapevole dei problemi che affliggono la nostra piccola comunità. Sa benissimo che non basta andare a Palermo affinché si compiano i miracoli pregando qualche santo onorevole. Per risolvere i problemi di una società così esigente e variegata, occorre essere imprenditori, manager, tecnici, artisti, filosofi, lungimiranti e, soprattutto, bisogna essere degli onesti amministratori. 

    Se vieni a visitare le nostre dinamiche città, i nostri accoglienti borghi, vedrai quanto sia all’avanguardia la gente che li abita, gente che ama l’arte, che viaggia per turismo, che visita i musei di tutto il mondo. Vieni a gustare le nostre prelibatezze, a sentire l’odore del nostro mare azzurro. Ma non chiedere durante il tuo soggiorno dello strano caso del sindaco elegante che ti sto per raccontare. I siciliani non l’ammetterebbero mai di avere nel loro sangue i geni di quel genio e in qualche ramo del loro albero genealogico il padre di tutti i sindaci, il più famoso del mondo. Noi siamo troppo modesti! Ah, ah, ah! I miei conterranei non amano esibire questi primati e se sorridono è perché si sta parlando di un estraneo. Buona permanenza e acqua in bocca! 

    C’era una volta, in un paese vicino-vicino, ma in un tempo lontano-lontano, un uomo normale di nome Totò. Era così normale nella sua quotidiana straordinarietà che diventò esempio: esempio di gran lavoratore, esempio di vero amico, esempio di marito fedele, esempio di padre premuroso. Quando diventò esempio di grande generosità e, soprattutto, esempio di buon cristiano, timorato di Dio e rispettoso dei precetti inculcati nella sua coscienza da padre Liborio, Totò diventò sindaco. E quando venne eletto sindaco nelle liste dello scudo crociato, malgrado lui preferisse il rosso, diventò leggenda, esempio da citare, ma non da emulare. Tale fama non gli pervenne per essere stato eletto in forma plebiscitaria, né per aver compiuto qualche gesto eroico o per aver partecipato a delle imprese eclatanti. Conquistò gli onori della cronaca politica e satirica per una sua naturale e congenita lacuna: Totò non sapeva vestirsi. Possiamo affermare che sapeva fare tutto, ma non sapeva vestirsi. Il sindaco, protagonista di questo racconto, acquisì tale notorietà dopo essersi recato nel capoluogo, Palermo, per incontrarsi con i colleghi politici siciliani e prestare il solenne giuramento nelle mani dell’Eccellentissimo Signor Prefetto. Suo malgrado, Totò diventò il sindaco più famoso nella storia delle barzellette pulite di quei tempi. 

        La stampa, con una certa ironia, lo definì eccentrico, innovatore, bizzarro e formulò diversi titoli da prima pagina: Il sindaco più elegante della terra. Le stravaganze di un neo sindaco di provincia. Quando il buon gusto non incontra il buon senso. Uno spaventapasseri in città. A Palermo è atterrata un’astronave. 

    Si potrebbe pensare che l’imbarazzante situazione si fosse verificata per pigrizia congenita o per cattive abitudini. E allora diciamo subito che Totò era un grande lavoratore, al limite dello stacanovismo, per cui l’ipotesi pigrizia è da scartare. Per affermare tale opinione è giusto farvi sapere che Totò, oltre ad essere un provetto capo ma-stro muratore trovava anche il tempo per allevare conigli, galline, una capretta, un maialino e due cani. Prima delle elezioni si era comprato da un anziano contadino, menzu orvu e menzu ciuncu, una giovane asinella di appena sette anni. La volle chiamare ‘Nzula malgrado si chiamasse Ciccinedda, nome datole dall’ex proprietario in rispetto della memoria della madre morta. Ma se Totò, oltre a farle metterle dei ferri nuovi, fatti su misura da suo cugino, Peppi cuoppula, oltre ad averle comprato delle redini nuove e qualche particolare finimento non le avesse cambiato anche il nome, gli sarebbe sembrato che l’asina non fosse realmente sua, ma appartenesse ancora al vecchio proprietario. Ben presto, Totò e ‘Nzula raggiunsero un’intesa perfetta. Lui sembrava il domatore-amico e lei la belva domata, intelligente e paziente anche con gli uomini rompiballe. Totò, oltre a servirsi di ‘Nzula per raggiungere più agevolmente la campagna, la usava in paese come mezzo di locomozione privato per effettuare degli spostamenti celeri. Molto più spesso la sfruttava come mezzo di trasporto merci di vario genere, compreso i traslochi. Il sabato, Totò, se lo prendeva libero. Non lavorava per godersi il meritato riposo settimanale, ma per recarsi in campagna in compagnia di ‘Nzula. La caricava di frutta, di verdura fresca e di ortaggi raccolti in mattinata e portava il tutto nella bottega di generi alimentari

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