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Ci potrei scrivere un libro
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E-book274 pagine1 ora

Ci potrei scrivere un libro

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Info su questo ebook

Ci potrei scrivere un libro!
La frase che ho scelto come titolo del mio libro la ripeteva sempre mio padre, ogni volta che concludeva un aneddoto della sua vita vissuta.
Oltre al rispetto per il prossimo, a tutte le persone che lo hanno frequentato Lui ha sempre trasmesso la forza di reagire alle avversità. Con semplicità, senza frastuoni e con il sorriso sulle labbra.
Era molto fiero di appartenere ad una grande famiglia; una tipica famiglia "italiana".
ho volutamente intrecciato due alberi genealogici perché le due famiglie dalle quali provengo erano molto distanti tra loro. I genitori di mio padre vivevano a Roma; una grande città, la capitale d’Italia, sempre al centro di vicende nazionali e internazionali. I genitori di mia madre, al contrario, vivevano in un piccolo centro abitato della provincia di Lecce; Carpignano Salentino. Lì la vita era semplice, sempre la stessa: da secoli!
Ho cercato di evidenziare queste differenze per farVi apprezzare meglio i vari protagonisti di queste storie. I loro pregi e le loro virtù, descrivendo luoghi e abitudini di entrambe le famiglie, aiutandomi con delle scene che ho disegnato personalmente.
L’intreccio di questi due alberi secolari avvenne intorno agli anni ‘50, con due “rami”, Cesare e Giuseppina che "germogliarono" successivamente dando vita a me e mia sorella Patrizia.
Forse basterà sostituire i nomi dei miei personaggi e i luoghi di questa storia per renderla molto simile a quella che vissero negli anni del dopoguerra milioni di Italiani; non è vero?
Leggendo lo scoprirete…..
LinguaItaliano
Data di uscita26 mar 2021
ISBN9791220283649
Ci potrei scrivere un libro

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    Anteprima del libro

    Ci potrei scrivere un libro - Sandro Gentilini

    Gentilini

    Alberi Genealogici

    2 Donna con Brocca

    Piccolo centro

    Eravamo alla fine dell'ottocento, c'era euforia nelle grandi città italiane, si aspettava la nascita del nuovo secolo.

    Si preparavano grandi festeggiamenti ma c'era anche paura, perché molti pseudo religiosi e non, in prossimità di queste scadenze centenarie, davano delle interpretazioni mistiche-catastrofiche, che il Tempo  rese miseramente inutili.

    Nei piccoli centri la vita scorreva come sempre. Ci si svegliava  la mattina presto per recarsi nei campi altrui a lavorare, sino alla fine della giornata per un compenso in natura, che molto spesso non bastava per tutta la famiglia.

    In uno di questi centri, nel sud d'Italia vicino ad Otranto, a Carpignano Salentino, nasceva un certo Cosimino, mio nonno, discendente da una famiglia che un tempo non molto lontano era stata benestante ma divenuta povera da errori umani. Cosimino visse i primi anni della sua lunga vita facendo diversi lavori. Forse per la vicinanza del Mare¹, aveva una certa propensione per la pesca, non quella sportiva! Ebbe anche una piccola esperienza in un cantiere navale dove per un banale incidente perse l'occhio sinistro, ma non la  voglia di vivere.

    Dopo questa breve esperienza, di cui porterà il segno per tutta la sua lunga vita, tornò al mare, che sarà la sua principale fonte di guadagno.

    La vita, come dicevo, in questo paese rurale, scorreva da sempre allo stesso modo. La gente lavorava i campi arsi dal sole, con temperature che potevano raggiungere i 45° C all'ombra.

    L'olivo e la vite erano da sempre le uniche risorse, senza trascurare il tabacco, che anche oggi viene coltivato intensamente in quasi tutto il Salento.

    I Don

    Solo pochi possedevano degli appezzamenti di terreni, i cosiddetti Don², mentre tutti gli altri erano considerati manodopera a basso prezzo, così basso che avrebbe scoraggiato chiunque! Il bisogno no, non era scoraggiato da nulla. La mattina dopo gli stessi Uomini e le stesse Donne, con le loro zappe sulle spalle, erano ancora lì, ad attendere lavoro dai signori dai vestiti bianchi, eleganti, che vivevano vicino a  loro, ma erano talmente lontani da non capire o non voler capire le esigenze di questa gente, con la convinzione che forse era giusto così.

    E giorno dopo giorno questi signori, i Don, divenivano sempre più ricchi e potenti, mentre i loro compaesani sempre più sottomessi.

    Ma la semplicità e l'ingenuità di questi contadini era così grande da raccontare ai propri figli, con entusiasmo, le gesta di questi Don, loro datori di lavoro, inculcando nei confronti di quest'ultimi rispetto e fedeltà.  E' proprio vero, certe canzoni non muoiono mai.

    Di tanto in tanto questi possidenti, mossi da gesti magnanimi, facevano delle donazioni, ai più fedeli operai, regalando a costoro delle terre senza valore, non sfruttabili a causa della loro ubicazione (dirupi, paludi, boscaglie impenetrabili, parti di spiagge che, quasi sempre, venivano rifiutate, con la scusa della lontananza, non immaginando che se avessero accettato almeno quegli arenili, avrebbero fatto la loro fortuna, e quella dei loro nipoti).

    3 Don

    L'emigrazione

    Un'altra alternativa, causata dal bisogno, era l'emigrazione. 

    Dall'inizio del secolo fino agli anni '50 la méta preferita della gente del luogo, era l'Argentina, che dava maggiori possibilità di guadagno. Dopo il '55, però l'Europa diede più garanzie di impiego. Si era da poco usciti dalla seconda guerra mondiale, la ricostruzione era in atto. C'era un grande bisogno di manodopera, specialmente in quei Paesi dove era scarsa, come in Svizzera e in Germania.

    Per quanto riguarda queste due ultime Nazioni, spesso i datori di lavoro locali utilizzavano questi nostri concittadini nei lavori più umili, faticosi e meno remunerativi.

    Come se non bastasse, essi dovevano subire da questi ultimi e dalle popolazioni indigene anche numerose umiliazioni.

    Si veniva a creare, per i nostri fratelli, un impatto sociale diverso da quello dei luoghi in cui avevano vissuto fino a qualche tempo prima. Da qui la necessità di integrarsi. Quelle popolazioni erano più evolute sul piano industriale ed economico, un po' meno su quello della solidarietà tra popoli. Questo problema sta sorgendo anche qui da Noi in Italia alla fine degli anni Novanta, e si sta cercando una soluzione per collocare gli immigrati nei vari strati della società italiana.

    4 Ragazza che saluta R

    Però, se escludiamo qualche caso sporadico di insofferenza razziale, queste persone qui da noi vengono utilizzate con maggiore umanità.

    Sarà una questione di latinità?....O più semplicemente di solidarietà tra popoli, se non proprio uguali, simili, molto simili.

    5 Emigrante con bambino quarantena

    Torniamo ai nostri emigranti nel Sud America.

    Appena arrivavano in questo Paese essi si integravano con la popolazione locale con una certa naturalezza. Quasi sempre, però, per trovare la compagna della loro vita rivolgevano lo sguardo verso le loro compatriote. Da qui forse nacque quel detto popolare Mogli e buoi dei Paesi tuoi.

    Nel caso di nazioni lontane come l'Argentina o il Venezuela, questa funzione veniva espletata per procura, essendo molto costoso il viaggio di andata e ritorno e poi c'era il rischio di non tornare più in quei Paesi, perchè certe decisioni si prendono una sola volta nella vita.

    5

    Penso alla tristezza di quelle ragazze che avevano accettato e che...... partite con tanto entusiasmo dal loro paese non fecero più ritorno. Ma la delusione maggiore fu spesso quella di essersi sposate con degli sconosciuti, molto diversi da quei ragazzini coi calzoni corti, partiti quando loro erano appena delle bambine, che ricordavano vagamente. A volte esse erano confortate da foto vecchie, ingiallite dal tempo, incomprensibili e spesso accadeva che sbagliavano anche il soggetto, innamorandosi del cugino o dell'amico del marito, che era anche lui lì, immortalato in quel misero pezzo di carta.

    Ma quello stato di bisogno le faceva partire, per sgravare spesso i genitori del loro mantenimento, reso oneroso da schiere di fratelli e sorelle. Con alcune misere cose, accompagnate da stuoli di parenti e amici, o solo curiosi, costoro salivano su queste enormi montagne d'acciaio che stranamente galleggiavano. Con il magone dentro, gli occhi lucidi ma ben aperti, per immortalare i luoghi a loro tanto cari, che custodivano quei ricordi di gioventù, mentre la nave lentamente ma inarrestabile le portava via.

    I più fortunati tornavano, dopo un ventennio di stenti, con un bel gruzzoletto, riuscendo a costruirsi, nel loro paese di nascita, una casetta per la vecchiaia.

    Io ne conosco uno, Daniele, cugino di mia madre. Spesso, durante i miei soggiorni estivi, mi racconta le sue avventure e disavventure argentine.

    Quelli che avevano famiglia, come mio zio Mario, e lavoravano in Svizzera, due volte l'anno tornavano a casa; durante le festività natalizie o pasquali e per le ferie estive.

    Altri concittadini, senza un contratto regolare, lavoravano in nero, ed erano costretti a nascondersi, come dei ricercati. Spesso venivano scoperti ed espulsi, ritornando poi a casa disperati.

    Qualche anno fa, fecero un film con Nino Manfredi sull'emigrazione: Pane e cioccolata, che metteva in risalto, molto bene, tutti i problemi dei nostri connazionali all'estero.

    I grandi sconvolgimenti delle masse operaie, la nascita dei nuovi regimi, a Carpignano avevano un effetto ovattato, quasi distaccato.

    Le notizie dalle grandi città arrivavano quando ormai avevano già fatto il loro corso, quando le grandi decisioni erano già state prese e non avevano più l'efficacia dell'immediatezza, suscitando spesso solo curiosità.

    Anche la mostruosa guerra del quindici-diciotto, sarebbe passata inosservata, se non fosse stato per quelle lapidi, che ricordavano i morti locali, nelle ville³ di ogni paese.

    Queste pietre, sono lì come un monito su quel passato, fortunatamente sempre più lontano, che vissero i nostri nonni e i nostri padri; per non dimenticare le loro lotte, spesso fatali, innocenti, ma non vane, se noi non distruggeremo quella giustizia sociale, quella democrazia che   m ereditato senza fatica, guardando giustamente più verso il futuro che verso il passato, non dovrà essere, però, mai dimenticato, senza rancori, per non smarrirsi più.

    Rosaria e  Cosimo

    Vorrei, per farVi conoscere meglio i miei nonni, aggiungere a quello che avevo già accennato all'inizio del racconto, altre notizie.

    Cosimo, il mio nonno materno, come la maggior parte dei ragazzi, non aveva svaghi, se non quelli delle feste paesane, che, in prossimità dell'estate, si rincorrevano di paese in paese per tutto il Salento.

    La sua famiglia, medio borghese, era di Otranto; suo padre faceva parte anche lui di una numerosa famiglia e aveva molte proprietà terriere. Essi vivevano con i ricavati delle loro terre, che davano in gestione.

    Qualcuno sbagliò, e così in poco tempo finì quell'agiatezza e da padroni divennero garzoni ; (come si dice a Roma).

    Il papa' di Cosimo si stabilì a Carpignano Salentino, trovando un'occupazione presso il Comune.

    Si sposò in questo paese con una ragazza del luogo ed ebbe, neppure a dirlo, numerosi figli, tra cui Cosimo.

    Lì, in periferia, non c'erano molti svaghi per i giovanotti e per trovarli essi dovevano recarsi a Lecce, in quelle Case. Ma avendo la possibilità economica...... come avrebbero potuto giustificarsi con i propri genitori? E allora si dovevano arrangiare, purtroppo, come meglio potevano.

    Dopo vari tentativi, non potendo avere rapporti con l'altro sesso, non per problemi fisiologici, ma per le eventuali ripercussioni da parte dei genitori delle ragazze illibate, alle quali egli si interessava, Cosimo prese una drastica decisione.

    Cercò in affitto una casa tutta sua, e la trovò in un viottolo del Borgo, a Carpignano, vicino alla chiesa, e in breve tempo si sposò con una ragazza dello stesso paese, che aveva conosciuto qualche tempo prima, di nome Rosaria. Con lei ebbe sei figli in susseguirsi ritmica, ad anni alterni: Raffaella, Giuseppina, Bruna, Lia, Mario, Ada,che furono la sua

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