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Quattro amici e un enigma
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E-book228 pagine3 ore

Quattro amici e un enigma

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Info su questo ebook

In un benestante collegio inglese, Rupert, quasi al termine del corso liceale, scopre la verità sulla morte dei suoi genitori e di un tesoro da loro scoperto e sottratto durante una spedizione archeologica in una città sepolta da millenni. Solo l’amicizia e il coraggio lo portano a scoprire dove sia nascosto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 set 2020
ISBN9788831683807
Quattro amici e un enigma

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    Quattro amici e un enigma - Ignazio Rosano

    Ignazio Rosano

    Quattro amici e un enigma

    Ignazio Rosano

    Quattro amici e un enigma

    Romanzo

    .

    Youcanprint

    Titolo | Quattro amici e un enigma

    Autore | Ignazio Rosano

    ISBN | 978-88-31683-80-7

    © 2020. Tutti i diritti riservati all'Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6, 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    info@youcanprint.it

    Prefazione

    Questa è un’opera di fantasia. Gli avvenimenti nei luoghi narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autore. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazione o persone, viventi o defunte, vere o immaginarie è del tutto casuale.

    È una meravigliosa giornata di primavera a Washaway, piccolo borgo nei pressi della città di Bodmin in Cornovaglia. Ancora pochi giorni e la stagione giunta al termine cederà posto a un’attesa calda estate.

    Dall’alto folti vigneti circondano la collina sovrastante.

    Giù lungo i sentieri nella lussureggiante vegetazione fra le verdi siepi e alberi di Cornus, con i fiori gialli che in autunno diverranno bacche rosse simili a fragole, sulla pianura circostante si eleva uno tra i più antichi benestanti collegi inglesi.

    Meno di due settimane e per Rupert che da poco aveva festeggiato il suo diciottesimo anno di età, sarebbe arrivato il giorno per il conseguimento della maturità liceale. Come ogni pomeriggio, accuratamente ingabbiato nella sua divisa di ordinanza estiva color blu scuro e abbottonato il colletto bianco della camicia, si recò in biblioteca.

    Con passo lesto fischiettando allegramente attraversò i porticati tutto il giardino ornamentale pieno di ogni tipo di piante e fiori variopinti con fruscii d’acqua a zampillare dalle fontane facenti da scenario a un prato ben curato. Disinvolto entrò nella grande sala settecentesca dalla forma ovale, piena di affreschi e arricchita da migliaia di libri. La sala custodiva soprattutto manoscritti di grande valore storico chiusi a chiave, resi visibili attraverso una vetrinetta angolare in stile gotico.

    I ragazzi del collegio per poterli leggere dovevano chiedere l’autorizzazione al direttore Sir. Goodwin Pell. Un ex colonnello dell’esercito di sua Maestà la Regina Vittoria.

    Con i suoi centonovanta centimetri di altezza, un fisico molto asciutto e il viso scavato nascosto da una barba venata di grigio spesso incolta, il suo aspetto mostrava più anni di quanti non avesse. A volte i ragazzi del collegio scherzosamente provavano a indovinare la sua vera età. Si presumeva una sessantina di anni. 

    Pluridecorato, ferito in battaglia in India, lasciò l’esercito per potersi dedicare alla sua più grande passione, l’antropologia. Dopo tanti anni di studi e continue ricerche su diversi tipi di etnie, un giorno accettò la proposta di un cugino deputato alla camera dei Lord, di dirigere il pregevole collegio.

    Rupert dopo aver tolto la giacca e appesa sull’appendiabiti, allentò l’ultimo bottone della camicia che non lo lasciava quasi respirare. Appoggiata a una parete, vide la scala che serviva per raggiungere i libri sistemati sui ripiani più in alto, subito la prese e con dei ganci già predisposti per non farla scivolare la fissò su una barra di ferro che stava collocata alla libreria.

    Mentre con grande diligenza e accuratezza incominciò a scegliere i libri che gli servivano come materia di approfondimento, il suo sguardo cadde su un libretto di appunti che stava posto sopra un libro di letteratura greca. Aveva le dimensioni poco più di un quaderno, era foderato in pelle e racchiudeva solo poche pagine.

    Lo prese, scese giù dalla scala e quando posò i piedi sul pavimento, si guardò intorno sperando che nessuno dei ragazzi presenti in biblioteca gli puntasse gli occhi addosso. Soffiò con vigore sopra il libretto e poi con due passate di mano tolse subito la polvere che pesantemente lo copriva. Appena lo sfogliò cadde per terra una foto, la raccolse e vide il ritratto di una bellissima donna sui vent’anni, sul retro una dedica. "A Elvin con affetto." Rupert quel nome lo aveva già sentito dai suoi compagni poco più grandi qualche tempo prima. Elvin Sullivan era un insegnante che proprio in quell’istituto teneva dei corsi di storia antica, voci narrano che era un tipo molto solitario e quando aveva qualche ora libera, la trascorreva tra gli scaffali della biblioteca. Il professore morì di un male incurabile circa un mese prima che Rupert entrasse in collegio. In quel momento Rupert intuì che il proprietario di quel piccolo libro non poteva che essere il professor Sullivan. Per qualche istante rimase affascinato ma anche turbato nel guardare quella foto, la bellezza di quel volto ritratto portava alla mente di Rupert il sorriso della madre venuta a mancare insieme al padre quando era ancora adolescente.

    Sfogliando le pagine notò che alcune contenevano simboli di difficile interpretazione, altre invece erano piene di lunghi elenchi di vari prodotti e generi alimentari.

    Con curiosità, stupore e un po’ di timore Rupert mise la foto in mezzo al libretto di appunti e in modo celato lo pose dentro la borsa corvina che portava a tracolla con sé.

    Nell’istante in cui stava per uscire dalla biblioteca, sull’uscio della porta d’ingresso incontrò il professor Hill che oltre ad essere il suo insegnante di ginnastica era anche il suo allenatore di atletica leggera. Dalla carnagione chiara, gli occhi azzurri, i capelli biondi e un fisico da atleta, Rupert diventò una delle più giovani promesse sportive. Vinse tutte le gare di maratona cui aveva partecipato ai campionati studenteschi e batté ogni record di categoria.

    Si soffermò a parlare della gara che si sarebbe svolta la mattina seguente. Rupert gli disse che da un paio di giorni risentiva di un piccolo dolore ogni qual volta appoggiava la pianta del piede per terra, tuttavia era talmente impercettibile che se la sentiva di correre.

    «In che modo è successo.» Chiese il professore.

    «Sarà successo durante l’ultima corsa a cui ho partecipato. Anche se quel giorno ho vinto la gara, non ero abbastanza sereno con la mente e quindi non riuscivo ad avere la giusta impostazione del busto che leggermente dovevo portare in avanti, così molto spesso poggiavo la punta del piede.»

    «Sicuramente sarà stato in questo modo. Potevi anche dirlo subito! Avrei preso in tempo le giuste precauzioni. Quello che adesso sto per dirti non ti farà piacere, e ne soffrirai. Non sei nelle migliori condizioni per correre domani.» Terminò rammaricato il professore.

    Per Rupert quelle parole caddero come un macigno, anche perché era quasi sicuro di riuscire a terminare la gara che la mattina dopo si sarebbe disputata nella città di Bodmin. Senza un cenno di reazione accettò la decisione presa, e malinconico a testa bassa lo salutò tornando in camera sua. Entrando vide Joel Campbell, suo amico e compagno di classe, con cui condivideva la stanza.

    Veniva da una famiglia molto ricca, i genitori possedevano piantagioni di tabacco nella Louisiana in America Settentrionale, lasciate in  eredità dai propri avi.

    Joel che davanti allo specchio della consolle, posta in un lato della porta d’ingresso, affiancata da una poltroncina decorata e rivestita da un tessuto floreale, finiva di ondulare il suo gran ciuffo di capelli neri lasciandoli cadere bene ordinati sulla sua fronte larga, dando così risalto al suo viso tondo roseo stava per uscire gli chiese, dove era stato.

    «In biblioteca.» Rispose Rupert, non aggiungendo altro. Prima di allontanarsi, Joel gli disse che stava per recarsi dal direttore per discutere dei preparativi della festa che si sarebbe svolta in occasione della cerimonia per la consegna dei diplomi di maturità.

    Rupert gli rispose con un okay e dopo che Joel andò via, entrò nella sua stanza da letto, tirò fuori il libretto d'appunti dalla borsa e lo poggiò sul comò. 

    Sistemò le scarpe sotto il letto e pose la giacca su una sedia e si distese sul letto.

    Con le mani congiunte dietro la nuca adagiato sul cuscino, incominciò a fissare per qualche minuto uno dei tanti quadri che coprivano le pareti della stanza, poi apri il cassetto del comò, prese la foto di sua madre che gelosamente conservava e malinconicamente vi indirizzò lo sguardo. Si soffermò particolarmente a guardare la collana di perle che portava al suo collo longilineo. Suo padre gliela regalò per il suo trentacinquesimo compleanno e fece incidere nel fermaglio di chiusura una "R." Era l’iniziale di Rose. Il nome di sua madre. Quel giorno Rupert se lo ricordava molto bene perché era anche il suo compleanno, compiva dieci anni. Ricordò ancora che sua madre disse che l’avrebbe sempre portava con sé.

    Rupert sentiva molto la sua mancanza. Gli mancavano i suoi baci, le sue carezze, e anche i suoi richiami.

    Passarono pochi minuti e con cura rimise la foto al suo posto, poi lentamente chiuse gli occhi e si rilassò quasi al punto di addormentarsi, ma un gran vociare proveniente dal corridoio bruscamente lo scosse.

    «Chi fa tutto questo urlare?» Si domandò.

    Si alzò dal letto, infilò le pantofole e si diresse verso la porta d’ingresso che dava sul corridoio. Uscendo dalla stanza vide Joel e Ludwig che con aspri toni vivacemente si spingevano tra di loro. Rupert intervenne e cercò di calmare gli animi chiedendo loro cosa era successo. Adirato e con gli occhi arrossati gli rispose Joel. «Ludwig mi ha offeso. Mi accusa di avergli sottratto il suo diario che teneva in classe.»

    «Che assurdità è questa!» Esclamò Rupert, con una smorfia di disappunto. Poi cercò di tranquillizzare entrambi gli animi dicendo che si sarebbe chiarito tutto.

    Nel frattempo altri ragazzi uscirono dalle proprie stanze per il frastuono che si era creato.

    «Non c’è niente da vedere e da sentire, ritornate pure nelle vostre stanze.» Disse con calma Rupert.

    «Se arriva l’istitutore Bell, ci fa saltare la cena.» Replicò.

    Intanto l’orologio a pendolo appeso alla parete, rivestita da una stoffa di raso in stile arabesque dal colore verde smeraldo che copriva tutto il corridoio, incominciò a battere i rintocchi.

    Segnava le ore sei pomeridiane.

    Mancava circa un’ora per la cena, Rupert con un sorriso quasi forzato sulle labbra e con modi garbati cercò di sdrammatizzare l’accaduto, disse ancora una volta ai ragazzi di ritornare nelle proprie stanze che nonostante i mugugni lo ascoltarono.

    Poi si avvicinò a Ludwig. «Che prove hai per dire questo?» Gli domandò.

    «Non lo so… non lo so.» Rispose agitato Ludwig.

    Rupert lo vide molto scosso e quasi pentito di quello che aveva detto, decise di non insistere nel fare altre domande, disse solamente che se ne parlava più tardi e per adesso l’unica cosa da fare era prepararsi per andare a cenare. Ludwig divenuto rosso in faccia fece un mezzo giro su se stesso, gli voltò le spalle chinò il capo e si allontanò.

    Passò qualche ora e finita la cena, Rupert e Joel seduti nello stesso tavolo, dopo avere mandato giù bocconi di salmone in salsa piccante, si alzarono. Stavano per avviarsi verso Ludwig, ma videro che ancora non aveva finito di cenare, allora esitarono per non fare distogliere la sua attenzione dal cibo che stava ingoiando.

    In quel preciso istante uscì dalla cucina allegramente Archibald che con quella faccia lentigginosa e paffutella, un po’ unta di miele, i capelli rossi riccioluti pieni di olio di Macassar, (Una miscela di olio di cocco e di palma.) e con il pantalone largo che indossava, agli occhi di chi lo guardava appariva piuttosto  buffo. Appena vide Rupert, lo chiamò con voce alta, e con la mano alzata agitandola tra una folta folla di ragazzi che nel frattempo uscivano dal refettorio, cercò di farsi notare.

    «Che cosa gridi.» Disse Rupert.

    «Non sono per niente sordo!» Esclamò nuovamente quando se lo trovò a un palmo di naso.

    Per Archibald quelle parole dette furono come non averle sentite, e sorridente come sempre lo abbracciò.

    «Campione! Sei tu il campione, vincerai anche la gara di domani.» Disse.

    Per un attimo Rupert non rispose.

    Restò fermo, stretto tra le sue braccia e sentì l’odore poco gradevole dei suoi capelli. Non voleva dargli un dispiacere, ma poi la sua risposta fu secca e decisa.

    «Non correrò.»

    «Cosa! Che storia è questa?» Disse Archibald mentre la sua faccia diventò di cera come se avesse preso un pugno sulla pancia.

    «Sì, cos’è questa storia?» Chiese anche Joel.

    «Tu sei il migliore, hai battuto tutti i record nella tua categoria, domani ci sarà la finale nazionale dei giochi studenteschi. Non puoi non correre!» Esclamò.

    «Non è questo il punto, ho già parlato con il professor Hill, dicendogli che ho un piccolo dolore al piede. Volevo correre, ma lui fermamente me l’ha sconsigliato.» Rispose Rupert con un’aria malinconica.

    Passò qualche minuto e anche Ludwig che si era appena alzato dal tavolo si fece avanti. Un po’ impacciato e a testa bassa chiese scusa a Joel dandosi dello stupido per quello che aveva ipotizzato nei suoi confronti. 

    All’improvviso calò il silenzio. Archibald sembrò di cadere dalle nuvole e guardò Rupert come se cercasse da lui una risposta, ma quando vide che Joel stese la mano verso Ludwig dicendogli che accettava le scuse, tirò un profondo sospiro.

    Tutti e quattro erano legati da un’amicizia che durava da molti anni, e sarebbe stato molto spiacevole se Joel e Ludwig non si sarebbero riappaciati tra loro.

    «Bene, non so cosa sia successo, ma sono contento.» Disse Archibald.

    «E’ successo che è sparito il diario di Ludwig dal suo banco e non si sa chi l’abbia preso.» Rispose Rupert.

    «Quando è successo?»

    «Oggi. Durante l’ora di pausa dalle lezioni.»

    «Che cosa se ne fanno di un diario?» Domandò ancora una volta Archibald.

    «Facciamocelo dire da lui.» Rispose Rupert puntando il dito verso Ludwig.

    Nel frattempo l’ultimo dei ragazzi ancora rimasto, usciva dal refettorio.

    «Non possiamo restare qui, tra poco chiudono. Si potrebbe andare nella sala ricreativa e parlare.» Disse Ludwig.

    «Buona l’idea! Ho voglia di giocare al biliardo.» Ribatté compiaciuto Archibald.

    «Non è il momento di giocare!» Esclamò Rupert, mentre si avviarono verso la sala ricreativa.

    Appena arrivati, Archibald corse subito a prendere la stecca da biliardo estraendola fuori dalla stecchiera appesa alla parete.

    «Chi vuole giocare con me?» Domandò indirizzando lo sguardo verso Rupert che nel frattempo insieme a Joel e Ludwig stava già comodamente seduto sul divano. Archibald attese qualche secondo ma non ricevendo nessuna risposta, piuttosto broncio lasciò la stecca da bigliardo sul tavolo verde e si avvicinò.

    «Ho capito non avete intenzione di giocare.» Disse.

    «Siediti! Sentiamo cosa ha da raccontarci Ludwig di così interessante sul suo diario sparito.» Rispose Rupert.

    Archibald si guardò intorno, sperando di trovare una sedia per sedersi, ma quando vide che stavano tutte occupate da altri ragazzi del collegio, puntò lo sguardo in quel poco spazio rimasto in un angolo del divano e brontolando sottovoce si sedette.

    «Un pomeriggio di una settimana fa il direttore mi chiamò nel suo ufficio.» Con molta calma incominciò a raccontare Ludwig che indugiò per un attimo e smise di parlare.

    «E poi?» Domandò curioso invitandolo a continuare Rupert.

    «Quando entrai, mi disse di aspettare. Teneva un faldone tra le mani e si diresse nella stanza accanto adibita agli ospiti. La porta era socchiusa, e vidi che c’era un uomo dentro che stava comodamente seduto su una poltrona ad attenderlo. Indossava un paltò molto leggero dal colore grigio scuro. In una mano teneva un cappello a cilindro, mentre nell’altra un bastone da passeggio laccato nero e l’impugnatura con la testa di un elefante tutta d’oro che mi lasciò sbigottito nel vederlo rotolare abilmente tra le sue dita. Poi il direttore entrò nella stanza e chiuse la porta.»

    «Dopo cosa è successo.» Chiese curioso ancora una volta Rupert.

    «Mentre aspettavo cercando di capire il perché Sir. Pell mi aveva fatto chiamare, il mio sguardo cadde su una pergamena.

    Stava arrotolata e chiusa da un nastrino di colore rosso, posta sulla scrivania. Era spessa e ruvida, di un colore giallo chiaro.

    Forte fu la mia curiosità che non sono riuscito a trattenermi, così la presi e la slacciai.»

    «Di che cosa si trattava!» Disse con entusiasmo Archibald.

    «Quando l’ho aperta, vidi una mappa che riproduceva una città. Sopra ci stavano diversi simboli, non so cosa volessero significare ma credo che descrivessero le sue caratteristiche. Poi con un inchiostro dal colore blu di Prussia vi erano disegnate le indicazioni da seguire per il suo ritrovamento.

    Mi guardai intorno e feci gli scongiuri perché nessuno entrasse.

    Così dopo avere esitato per un attimo decisi di copiare tutto sul diario che tenevo con me.»

    «E dopo che cosa è accaduto?» Domandò Joel.

    «Avevo appena terminato di copiare quando entrò Gadi.

    ( Un egiziano di etnia nubiana sui trent’anni, nero di carnagione e molto alto di statura. Il direttore Sir. Pell, qualche anno prima nel 1882, quando ancora si trovava in Egitto lo prese al suo servizio.)

    In quel momento mi vide deporre la pergamena sulla scrivania. Si avvicinò verso di me e mi guardò in faccia. Anche se il suo sguardo fu molto penetrante e minaccioso, non disse nulla.

    Prese la pergamena che era rimasta aperta sulla scrivania e dopo averla arrotolata, gli rimise il nastrino rosso e la sistemò al suo posto.»

    «Perché Gadi non disse nulla?» Domandò sorpreso Rupert.

    «Non lo so! Questo proprio non lo so. E’ rimasto davanti alla porta d’ingresso immobile e taciturno, con le braccia congiunte fino a che non vide uscire dalla stanza il direttore Sir. Pell che dopo aver salutato quell’uomo, disse a Gadi, di accompagnarlo alla carrozza dove c’era

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