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Il quadro del drago
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E-book294 pagine4 ore

Il quadro del drago

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Info su questo ebook

Giappone, fine del XVIII ed inizio del XIX secolo, città di Edo (l’attuale Tokyo). Oey Katsushika è la figlia del pittore Hokusai Katsushika. Sin dall’infanzia la ragazzina mostra interesse per la pittura e sogna di diventare a sua volta, in futuro, una pittrice affermata; assiste il padre nel suo lavoro e produce anche una serie di proprie opere.

La vita di Oey, però, non si limita solamente alla pittura. Nel suo destino c’è anche l’incontro con molte persone e creature mitologiche.

Il suo amico d’infanzia, Shiotaro, muore in giovane età e rinasce come drago. In seguito appare a Oey e i due iniziano insieme a viaggiare attraverso mondi misteriosi.

Essi finiscono per incontrare di nuovo, Satsuki, la loro comune amica, che è stata venduta da bambina al quartiere a luci rosse. Tutti insieme dovranno vivere una serie di avventure fantastiche…

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita30 nov 2019
ISBN9781071515174
Il quadro del drago
Autore

Olga Kryuchkova

Olga Kryuchkova began her creative career in 2006. During this time, the author had more than 100 publications and reprints (historical novels, historical adventures, esotericism, art therapy, fantasy). A number of novels were co-written with Elena Kryuchkova.

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    Il quadro del drago - Olga Kryuchkova

    Elena Kryuchkova

    Olga Kryuchkova

    Il quadro del drago

    Breve riassunto:

    Giappone, fine del XVIII ed inizio del XIX secolo, città di Edo (l’attuale Tokyo). Oey Katsushika è la figlia del pittore Hokusai Katsushika. Sin dall’infanzia la ragazzina mostra interesse per la pittura e sogna di diventare a sua volta, in futuro, una pittrice affermata; assiste il padre nel suo lavoro e produce anche una serie di proprie opere.

    La vita di Oey, però, non si limita solamente alla pittura. Nel suo destino c’è anche l’incontro con molte persone e creature mitologiche.

    Il suo amico d’infanzia, Shiotaro, muore in giovane età e rinasce come drago. In seguito appare a Oey e i due iniziano insieme a viaggiare attraverso mondi misteriosi.

    Essi finiscono per incontrare di nuovo, Satsuki, la loro comune amica, che è stata venduta da bambina al quartiere a luci rosse. Tutti insieme dovranno vivere una serie di avventure fantastiche...

    ––––––––

    Indice

    Indice....................................................................................................................................1

    Personaggi...........................................................................................................................1

    Capitolo 6. Ancora una storia della signora Karen...............................................43

    Capitolo 7. La signora Ageha......................................................................................47

    Capitolo 8. Il fantasma di «Peonia»...........................................................................55

    Capitolo 9. Onao..............................................................................................................66

    Capitolo 10. Un pericolo dal passato........................................................................74

    Capitolo 11. Un altro drago e la lanterna fior di loto...........................................84

    Capitolo 12. Un incontro nel castello sommerso e un sonno profondo..........90

    Capitolo 13. Il diario della principessa Ujuki.........................................................97

    Capitolo 14. La lanterna fior di loto e l’olio di luna...........................................118

    Epilogo.............................................................................................................................127

    Suddivisione giapponese delle ore del giorno.....................................................128

    Personaggi

    Oey — eroina della storia

    Hokusai Katsushika— padre di Oey, pittore

    Okiko — madre di Oey

    Onao — sorella minore di Oey

    Tatsujo — sorella maggiore di Oey

    Satsuki — figlia di un commerciante, amica di Oey, poi cortigiana di livello oiran

    Koshiro — padre di Satsuki

    Shiotaro — amico di Oey, figlio di un artigiano

    Karen — prostituta di livello oiran nella casa «Peonia», maestra di Satsuki

    Kagero — proprietaria della casa «Peonia»

    Ageha — prostituta di livello oiran nella casa «Peonia», amica di Satsuki

    Suigetsu — prostituta di livello kosi-jioro di «Peonia», ama Tomey Minamijava

    Haku — spirito itinerante dei monti, si aggira travestito da monaco buddista

    Tomey Minamijawa — proprietario di un negozio di oli, futuro sposo di Oey

    Mizuno Minamijawa — madre di Tomey

    Maruo — cliente fisso di Satsuki, commerciante di cosmetici cinesi

    Otiyo — vicina di casa e amica di Okiko

    Kuranoske Sato— mago

    Ujuki — principessa del Regno della Luna Nuvolosa

    Azayaka — cortigiano del Regno della Luna Nuvolosa

    Gekko — dama di corte del Regno della Luna Nuvolosa

    Ryujin — divinità, signore e padrone dei mari

    Sirohebi — sposa del dio Ryujin

    Capitolo 1. Oey e il matrimonio dei topi

    Diciannovesimo anno di regno dell’imperatore Kokaku (anno 1798, regno del 119° imperatore).

    Sull’isola di Honshu, nella parte occidentale del Giappone, si trovava la città di Edo[1]. La storia di questa città è sempre stata assai ricca di avvenimenti. Un tempo, il luogo su cui in seguito fu edificata la città era paludoso, e il posto in cui il fiume Sumida-gawa sfociava nel golfo venne appunto chiamato «Edo», che significa sia «porta della baia», sia «foce del fiume».

    Nel lontano XII secolo, all’incirca seicento anni prima della nostra storia, il sovrano locale, dal nome di Titibu Shigetsugu, costruì in questa località una piccola fortificazione. La storia della città di Edo, però, iniziò ufficialmente solo molto più tardi, circa trecento anni dopo, per la precisione nel 1456, quando l’allora sovrano locale, un vassallo del clan Uesugi, di nome Oda Dokan, diede l’ordine di erigere un piccolo castello, allo scopo di proteggersi dai nemici. Proprio il giorno in cui fu costruito questo castello viene considerato anche come la data di fondazione di Edo.

    La città, che sorse poi nei pressi della fortezza, sulle fondamenta del villaggio Hirikawa, si ampliò progressivamente. Però nel 1468, dodici anni dopo la fondazione ufficiale di Edo, Oda Dokan fu ucciso e per questo motivo Edo cadde velocemente in declino e si svuotò. La città rimase in una tale condizione di abbandono per oltre cento anni.

    Però, come è risaputo, tutto, prima o poi, finisce. E fu così che dopo oltre un secolo[2], queste terre divennero parte dei possedimenti di Ieyasu Tokugawa[3]. In quel momento, il castello originariamente edificato da Oda Dokan era in condizioni a dir poco miserevoli. Gli abitanti si erano insediati in piccoli villaggi disposti attorno al castello e la città, oltretutto, non era neanche dotata di mura.

    Ma Tokugawa, che era una persona intelligente e lungimirante, comprese velocemente che la posizione in cui si trovava Edo era effettivamente vantaggiosa, tanto dal punto di vista economico quanto da quello strategico. Per questo motivo, si adoperò per far rifiorire la città e avviò il restauro del castello.

    Dopo altri nove anni, quando il futuro shogun[4] Tokugawa era già diventato la seconda più importante persona del Paese, Edo divenne finalmente una città viva. Per garantire il transito attorno ad Edo, e anche per rafforzare il controllo sul territorio, Ieyasu Tokugawa ordinò la costruzione di cinque strade principali, che si dipartivano da Edo. Ognuna di queste strade collegava la città con le principali regioni del Giappone.

    Divenuto shogun, nel 1603, Tokugawa decise di fare di Edo la propria residenza e, negli anni seguenti, si dedicò all’ampliamento e al completamento del castello. Il centro della città fu costruito secondo il modello della capitale Heian che, a sua volta, era stata in precedenza costruita sull’esempio di una delle antiche capitali del Katai, l’attuale Cina.

    (In quel periodo Heian era ritenuta essere la capitale della pace e della tranquillità, ed era nota anche con il nome di Miyako. La capitale era stata progettata secondo il sistema cinese di edificazione delle città «a scacchiera». Sulle strade che, nella zona nord-orientale di Heian, si trovavano più vicine al palazzo dell’imperatore-mikado, erano situate le case dell’aristocrazia di corte. Queste dimore erano state costruite tra la prima e la seconda linea di strade, dove le vie Tsutimikado, Konoe, Nakamikado ed Oimikado intersecavano le arterie principali Higasi-no Toin, Nisi-no Toin e Horikawa. Più l’abitazione si trovava lontano dalla linea prospiciente il palazzo imperiale, meno il suo proprietario era ricco, nobile e famoso. Nelle zone orientali e occidentali di Heian si trovavano due mercati, che offrivano la più ampia scelta di merci. A sud, invece, spiccava la presenza di due templi. Le altre costruzioni religiose erano poste, invece, fuori dai confini di Miyako. Lungo la parte centrale della città correva il grande viale della Fenice Rossa. Vista dall’alto, la capitale aveva l’aspetto di un rettangolo).

    Tutti i lavori che vennero condotti ad Edo, di conseguenza, contribuirono anche a cambiare la fisionomia della zona che circondava il castello: in particolare furono prosciugate le paludi e spianate le colline.

    I diversi materiali da costruzione venivano trasportati lungo un canale navigabile, chiamato «Dosan-bori», che conduceva dalla baia al centro della città. È in questo stesso periodo che Ieyasu Tokugawa fece costruire un acquedotto che portasse l’acqua fino al castello.

    Poco tempo dopo venne costruito il Nihonbasi, (il cui nome significava «ponte del Giappone»), ossia quello che era a buona ragione ritenuto essere il ponte più importante del Paese. Per ordine di Tokugawa, per alcuni secoli a seguire, tutte le distanze venivano misurate proprio da esso.

    Oltre a tutto ciò, lo shogun fece arrivare ad Edo studiosi, artigiani, artisti e scrittori. In tale modo, la città divenne gradualmente il centro culturale del Paese. Se la si paragonava con la lontana Europa, Edo superava, per superficie, grandi città quali Roma e Londra.

    In seguito, nel 1645, furono definiti e suddivisi ufficialmente i quartieri cittadini. Ad ogni quartiere si poteva accedere attraverso portoni, che venivano tenuti chiusi dalla metà dell’ora del Maiale fino all’alba[5]. Questo avveniva non a caso, ma al preciso scopo di evitare disordini notturni e di impedire le malefatte e gli scontri delle diverse bande criminali che, purtroppo, esistevano ad Edo.

    Oltre a ciò, come in ogni altra città molto estesa che avesse una grande quantità di costruzioni a stretto contatto, anche ad Edo a volte scoppiavano degli incendi. In media, purtroppo, si verificava un grande incendio ogni tre anni. Per questo motivo, allo scopo di affrontare eventi così distruttivi, durante il governo del terzo shogun Iemitsu Tokugawa[6] fu costituita la prima squadra antincendio. Come ultima risorsa, allo spegnimento degli incendi erano chiamati anche i semplici cittadini, e così, alla fine, vennero creati anche dei distaccamenti antincendio in ogni quartiere. Tuttavia, anche questa misura estrema non aiutò a risolvere il problema.

    Oltre agli incendi, un’altra calamità che affliggeva Edo, così come le altre città del Giappone, erano i terremoti. Purtroppo, in questo caso, le persone erano assolutamente inermi davanti alla furia distruttiva di tali calamità.

    Ovviamente, anche ad Edo si trovava un quartiere a luci rosse, lo Yoshiwara, il cui nome significava «canneto» o «campo felice». Il fatto era che, all’epoca del primo shogun Tokugawa, Ieyasu, in Giappone era proibita la prostituzione, sia maschile sia femminile. Questo condusse poi alla promulgazione di uno speciale decreto da parte del secondo shogun, Hidetada Tokugawa[7], durante il dodicesimo anno del suo governo, nel 1617. In base a questo decreto, la prostituzione era proibita fuori dei limiti dei quartieri appositamente recintati. Questi quartieri erano Shimabara a Heian, Shimmati ad Osaka e Yoshiwara ad Edo. In seguito, a causa dello spazio divenuto insufficiente all’interno di una città in continua crescita, il quartiere Yoshiwara fu spostato altrove.

    Si calcolava che a Yoshiwara ci fossero più della metà di tutte le yujo ufficiali del Giappone[8]. Molte donne finivano nel quartiere a luci rosse quando ancora erano nella loro infanzia, vendute dai loro genitori quando avevano un’età dagli otto ai dodici anni. Ad alcune andava relativamente bene e diventavano allieve di cortigiane di successo di alta classe. Quando le ragazze completavano la loro formazione, esse stesse diventavano cortigiane.

    Quale fosse il loro destino, però, nessuna delle donne di Yoshiwara era protetta dalle malattie veneree e così molte yujo soffrivano di sifilide e di altre malattie terribili.

    Si poteva lasciare Yoshiwara solo in due modi: o la yujo era acquistata da una persona importante, che la prendeva come moglie o come concubina, oppure la donna riscattava da sola la propria libertà. Ovviamente, questa seconda possibilità si verificava solo nel caso in cui la donna fosse una prostituta di notevole successo e disponesse di grandi quantitativi di denaro. Questa soluzione, però, avveniva assai di rado: molte lavoratrici delle case pubbliche, infatti, morivano ancora giovani a causa delle malattie veneree o per le conseguenze di un aborto o ancora per aver violato i termini fissati nei loro contratti. Di norma, i contratti con una casa pubblica avevano una durata di cinque o di dieci anni, ma molte donne erano trattenute anche per tutta la vita.

    Per riscattarsi, una ragazza non doveva pagare solo la somma per la quale l’istituto l’aveva comprata. Al debito iniziale si aggiungevano anche le spese che si erano accumulate durante la sua permanenza nella casa in qualità di allieva. Fino al momento in cui non aveva iniziato a produrre utili con il suo lavoro da prostituta, la ragazza si trovava sotto la piena custodia dell’istituto, che garantiva cibo ed abbigliamento. Tutte queste spese, alla fine, si sommavano al debito iniziale, facendo così crescere la somma da pagare per potersi riscattare.

    In ultima analisi, riscattarsi non era affatto semplice. Oltre a considerare le spese che, come visto, avevano fatto aumentare il debito iniziale, occorre notare che tutti i servizi di una prostituta erano pagati al proprietario o alla proprietaria della casa pubblica che, a loro volta, trattenevano una parte preponderante dell’incasso, sia come guadagno personale, sia per mantenere la stessa casa pubblica e le nuove allieve, oltre che per acquistare alcolici e cibo per i clienti. I soldi incassati, infatti, venivano anche usati per garantire il mantenimento di tutte le allieve e delle lavoratrici dell’istituto. Anche queste spese venivano sottratte da quella parte di incassi che toccava poi alle ragazze. Alla fine, esse ricevevano assai meno denaro di quanto potesse sembrare di primo acchito. Ad ogni modo, i clienti potevano fare dei regali alle prostitute e lasciare anche delle mance, che rimanevano alle ragazze.

    Allo stesso tempo, però, le cortigiane erano obbligate a comprarsi da sole i kimono e i cosmetici, e questi non si trovavano certo a basso prezzo. Per tutta questa serie di motivi, alla fine, erano assai poche le ragazze che erano in grado di riscattarsi.

    ...Per quanto riguarda le classi sociali, a Yoshiwara non esisteva una ferrea distinzione, anche perché le persone del popolo, che avessero una sufficiente quantità di denaro, potevano anche raggiungere un livello elevato, prestando servizio quanto meno come samurai. A tale proposito, la presenza dei samurai a Yoshiwara era disapprovata ma, ad ogni modo, spesso essi frequentavano ugualmente il quartiere a luci rosse. A loro si chiedeva, ovviamente, di lasciare le armi al portone d’ingresso.

    In quel periodo, Yoshiwara era anche un fiorente quartiere commerciale. In città la moda cambiava spesso, il che generava costantemente la richiesta di nuovi abiti e gioielli sempre diversi. Per tradizione, le cortigiane di un quartiere a luci rosse dovevano indossare solamente semplici abiti azzurri ma, in realtà, questa regola veniva osservata raramente. Per esempio, le cortigiane di rango superiore, ossia le oiran e le tayu, spesso indossavano kimono chiari e adornavano i capelli con gioielli costosi ed elaborati. Per questo motivo, i dettami della moda erano talmente importanti a Yoshiwara al punto che, spesso, era proprio in quel quartiere che nascevano le nuove tendenze, che poi si sarebbero propagate in tutto il resto del Giappone.

    Le cortigiane erano suddivise in classi e livelli. Il termine yujo indicava in generale una «donna di piacere» o, in parole semplici, una prostituta. Poi c’erano le giovanissime allieve kamuro, le allieve più grandi shinjo, le cortigiane di rango inferiore hashi-joro, le cortigiane koshi-joro, più elevate di grado, di poco inferiori alle tayu. Al vertice, c’erano le tayu e le oiran (che erano le cortigiane di più alto livello) e le più anziane insegnanti oiran, le yarite. Esisteva anche una prostituzione maschile.

    Accanto alle cortigiane, a Yoshiwara vivevano anche le geishe, il cui nome significa «persone d’arte», e le loro allieve maiko. A differenza dalle cortigiane, alle geishe era proibito esercitare la prostituzione. Per questo motivo, esse intrattenevano i visitatori solamente con danze tradizionali, canzoni, cerimonie del tè e conversazioni. Sempre differentemente dalle cortigiane, che tenevano la cintura obi annodata con un semplice fiocco sul davanti, le geishe avevano un fiocco più complesso annodato sulla schiena. Le geishe potevano annodare e sciogliere la propria cintura obi solo con l’aiuto di una servitrice.

    Ovviamente, a Yoshigawa, oltre ai semplici clienti, arrivavano spesso diversi artisti, allo scopo di realizzare le cosiddette bijin-ga, ossia i ritratti delle bellezze del momento.

    Uno di quegli artisti era Tokitaro, pseudonimo con cui era noto Hokusai Katsushika[9].

    Hokusai era nato trentotto anni prima, nel povero sobborgo cittadino di Katsushika, nella famiglia di un artigiano. Sua madre era una concubina di suo padre, e per questo motivo il ragazzo non poté essere riconosciuto come figlio legittimo e, di conseguenza, non poté ricevere alcuna eredità. Ancora in giovane età venne affidato, affinché ricevesse un’istruzione, a una persona di nome Ise Nakajima, che produceva specchi per lo shogun.

    Ben presto Hokusai imparò a disegnare, poiché il lavoro del suo maestro comprendeva anche la decorazione degli specchi.

    All’età di dieci anni, dopo aver ricevuto il nome di Tetsujo, il ragazzino divenne venditore ambulante di libri nel quartiere di Yokomotio. Aveva lasciato il laboratorio dell’artigiano perché desiderava trovare il proprio percorso artistico. Anche il lavoro nel negozio di libri contribuì in qualche modo alla sua formazione, perché fu proprio là, infatti, che il futuro Hokusai imparò a leggere e scrivere ed apprese anche la lingua cinese.

    Intanto, le sue ricerche in ambito creativo non erano finite ma, caso mai, appena iniziate. All’età di tredici anni colui che poi sarebbe diventato il famoso Hokusai cominciò a lavorare nella bottega di un incisore, in un periodo in cui l’incisione stava vivendo una fioritura mai conosciuta in precedenza.

    Il lavoro di intagliatore-incisore, per il futuro Hokusai, sembrava però quasi una limitazione per i suoi particolari concetti artistici. Per questo motivo, all’età di diciotto anni, Hokusai entrò come allievo nello studio del pittore Shunsho Katsukawa[10], maestro di ukiyo-e, la corrente della cosiddetta «immagine del mondo fluttuante».

    Hokusai dimostrò di essere un allievo molto abile e i suoi lavori furono notati dal suo insegnante. Shunsho, infatti, aveva per lui una particolare stima e lo prediligeva rispetto agli altri allievi, al punto che Hokusai poteva persino firmare le proprie opere con lo pseudonimo di «Shunro», ricavato dal nome dell’insegnante.

    Dall’età di vent’anni, a Hokusai fu anche permesso esporre lavori propri. La sua prima esperienza personale divenne uno dei generi dell’incisione teatrale, la yakusha-e. Il giovane artista dipingeva ritratti di artisti famosi di quel periodo; la sua popolarità diventò paragonabile a quella del suo insegnante Shunsho. Nelle opere di Hokusai cominciò intanto ad emergere lo stile artistico dell’autore.

    Oltre ai ritratti degli attori teatrali, il giovane si occupava anche di illustrazioni per libri. La diversità dei generi faceva sì che l’artista dovesse raffigurare scene differenti, sia momenti di vita comune, sia fatti storici. Questi ultimi, in particolare, avevano come tema sia la storia del Giappone, sia quella della Cina.

    Quando Hokusai ebbe compiuto trent’anni, Shunsho morì. La scuola venne in seguito diretta da Shunei Katsukawa, un altro allievo del defunto maestro. Fu allora che Hokusai lasciò la scuola, perché gli obblighi imposti dal suo ruolo di allievo avevano iniziato a pesargli e non gli lasciavano sufficiente libertà artistica.

    Quello successivo all’uscita dalla scuola fu, per Hokusai, un periodo difficile. Nei due anni seguenti (1793 e 1794) l’artista visse in povertà e per la mancanza di denaro si dovette dedicare anche al commercio al dettaglio. Però, allo stesso tempo, apprese gli stili artistici di diverse altre scuole ed elaborò così una nuova tecnica personale. Si può affermare che quei due anni si rivelarono cruciali per la sua produzione artistica.

    Alla fine, nella vita di Hokusai tutto, più o meno, arrivò a stabilizzarsi, e l’artista si poté dedicare sia alla creazione di molte incisioni uniche, sia alla realizzazione di illustrazioni per libri, finché, tre anni prima della nostra storia, iniziò a firmare le proprie opere con il suo pseudonimo Hokusai Katsushika.

    I molti impegni in campo artistico non impedirono al pittore di sposarsi due volte. La prima moglie di Hokusai morì presto e lasciò al marito due bambini. La seconda moglie, all’epoca dei fatti, era viva e vegeta e, complessivamente, Hokusai aveva cinque figli, tre maschi e due femmine.

    I figli maschi erano cresciuti e vivevano già per conto loro, mentre le bambine non avevano ancora raggiunto l’età adulta. La maggiore delle ragazze si chiamava Tatsujo e aveva appena compiuto dieci anni. La sorella minore si chiamava Oey ed aveva compiuto da poco compiuto i sette anni.

    Le due sorelle non andavano molto d’accordo e, anzi, discutevano e litigavano spesso. A volte le due bambine arrivavano anche alle mani. E così, nella vecchia ma comoda casa della famiglia Katsushika, anche quella mattina di primavera era cominciata con una baruffa. Le grida arrabbiate delle ragazze riempivano quella grande camera che, con un tatami adagiato sul pavimento, era arredata con mobilia semplice, al punto che si poteva affermare che, oltre alla propria ampiezza, la camera non poteva vantarsi di null’altro, né di un arredamento ricercato, né di qualsiasi elemento decorativo particolare. Era una camera comune, di quelle che si potevano trovare in abbondanza nelle case degli abitanti di Edo. L’unico elemento che poteva attirare l’attenzione era rappresentato da due paesaggi appesi alle pareti: uno con alberi di melo in fiore e un altro con il mare. Entrambi erano stati dipinti dallo stesso Hokusai.

    — Oey, non sei capace di annodare la fascia obi! Hai già sette anni e chiedi sempre aiuto alla mamma! — disse con presunzione Tatsujo, la sorella maggiore. La ragazzina sembrava abbastanza alta per la sua età. Aveva lunghi capelli scuri, raccolti in un’accurata pettinatura, ed indossava un kimono di un tenue colore rosa. La bambina guardava Oey dall’alto in basso. — Si sa bene che una donna, se non sa annodare l’obi, non è capace di fare nulla!

    — Io sono capace di annodare l’obi! — protestò la sorella minore, che sembrava ancora più piccola della sua età ed era molto più bassa di statura di Tatsujo. Indossava un kimono giallo e aveva i capelli raccolti in una coda. — Faccio un nodo semplice, ma lo so fare!

    — Non sei capace, non sei capace! — Tatsujo continuava a pungolare la sorella nel vivo.

    Oey cacciò un urlo selvaggio e cercò di prendere a pugni la sorella. Per fortuna, la loro mamma, la signora Okiko, si intromise in tempo nella zuffa. La donna iniziò a sgridare le figlie:

    — Siete delle ragazze e vi comportate come dei maschiacci! E dovete essere sempre così maleducate? Se vi comporterete così anche in futuro, non vi sposerete mai!

    L’ultima frase indusse Tatsujo a calmarsi. La prospettiva di non sposarsi non rallegrava per nulla la ragazza. Oey, invece, sbuffò per la rabbia. Lei non voleva affatto sposarsi. Al contrario, la bambina sognava di diventare un’artista, come suo padre.

    Oey era sempre affascinata dai colori e dalla carta immacolata. Le piaceva il modo in cui il pennello scorreva sul foglio bianco e creava le più diverse immagini: paesaggi, ritratti di donne bellissime, creature mitologiche, illustrazioni per libri.... Agli occhi della bambina tutto questo era irresistibilmente ammaliante.

    Oey amava disegnare. I genitori non avevano nulla contro la passione della figlia, mentre invece Tatsujo, anche in questo campo, a volte cercava di dare fastidio alla sorella. Insisteva sempre sulla sua linea critica preferita, ossia rinfacciando a Oey il fatto che non sapesse fare nulla, incluso disegnare, e che non si sarebbe mai sposata. Tatsujo non sospettava minimamente che la

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