Le iridi dell'Etna
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Anteprima del libro
Le iridi dell'Etna - Joe Oberhausen-Valdez
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Prefazione
di Nicola Furia (al secolo Salvino Paternò)
– Joe… non è che non te la voglio fare la prefazione, è che mi sento fuori luogo, inappropriato. Tu affronti argomenti che non mi appartengono, usi uno stile sublime ma per me alieno. Rischio di risultare banale. E poi le prefazioni non le so proprio scrivere.
– Ma parla di quello che vuoi: politica, ironia, caimani, incubi. Tanto, come dici tu, ognuno in quei racconti ci vede quello che vuole.
Ed è così che mi ritrovo in balìa di questi racconti surreali davanti al beffardo schermo del pc, al pari di un astronauta che approda, dopo un rocambolesco naufragio, in un pianeta sconosciuto, dove le leggi della fisica e della dinamica sono stravolte, dove spiccano alberi azzurri tra siculi graniti ed esseri eterei, a bordo di muli parlanti, che fanno capolino da incerti angoli ottusi.
E mentre muovo esitante i primi passi in un terreno informe, vaporoso e galleggiante, sento gracchiare la radio di bordo. Houston mi chiede di relazionare sull’esito della missione e di descrivere dettagliatamente quanto osservo.
È il pianeta Joe! Non si può descriverlo, non è possibile raccogliere reperti da analizzare, e la mia missione non potrà mai realizzarsi, mi sarà impossibile anche far ritorno al pianeta Terra. Mi perderò tra la nebbia, finirò in stretti cunicoli bui, o in grotte sotterranee tanto fredde quanto accoglienti, per poi riemergere in splendenti giardini di loto. Mi raggomitolerò tra le rocce vulcaniche, incurante delle infinite apocalissi che stravolgeranno il paesaggio e il tempo alla velocità della luce. Serpenti enormi mi avvinghieranno al pari di braccia voluttuose di innumerevoli donne, tutte diverse eppure simili. Sordide o ardenti peripatetiche mi sorrideranno, adescandomi in selvaggi e sensuali accoppiamenti, al di là dell’amore; quindi all’apice dell’orgasmo mirerò volti raggianti di fanciulle eteree incontrate tra i vagoni di un treno che viaggia verso il nulla, o sui crepacci di abissi improbabili. È il pianeta di Joe!
Come fai a descriverlo? Lui stesso rifiuta sdegnosamente di essere inglobato in parole che abbiano una compiutezza, ripudia la logica e anche l’analisi logica. Non può essere afferrato e neanche toccato, al massimo accetta qualche labile carezza, rimanendo però sempre cinico e imperscrutabile, come un fiero guerriero sopravvissuto a mille battaglie.
Chiunque rimarrebbe senza parole, o forse ne avrebbe troppe, e i sostantivi e i verbi e anche la punteggiatura si accalcherebbero confusamente nel palato, addossati e pigiati l’un su l’altro, sgomitando per uscire e materializzarsi, per farsi strada tra le labbra e poi eruttare come un torrente di lava in frasi incomprensibili ma musicali come non mai. Una inverosimile melodia celestiale di cui è impossibile trascriverne le note.
Al termine del viaggio non sai dove sei stato, ma ci sei stato. Non ricordi chi hai incontrato tra le infinite strade che hai chiaramente percorso, ora correndo affannosamente, ora passeggiando indolentemente, ma qualcuno hai conosciuto, e lo hai scoperto e compreso fin nel profondo del suo animo. Era il migliore amico della tua vita? Il primo amore? Tua madre o tua nonna? O l’amalgama di tutti questi personaggi che ti hanno fissato con lo stesso sguardo penetrante?
D’altronde non ti sovviene neanche da dove sei partito e per quale motivo ti sei messo in viaggio, figurati se sai dove sei approdato. Però il viaggio lo ricordi, perché era proprio quello lo scopo della novella : un cammino tra le emozioni, un’inerpicata tra le percezioni, bracciate vigorose tra acque sensoriali. E non è proprio questo lo scopo di ogni scrittore? Provocarti un turbamento, lasciarti sbigottito dinanzi ad un’intuizione, farti scorgere un’idea, far rivivere un ricordo.
E non sperare di avere una guida quando esplori il mondo di Joe... non c’è nessun Virgilio che ti illustri i gironi infernali che attraversi. Sei solo quando il vortice della lettura ti sradica dalle certezze, sprofondandoti in una lucida e soave follia. Non ti resta che tentare di seguire il protagonista che galoppa velocemente tra mondi irreali. E non commettere l’errore di guardarti indietro, dietro di te non c’è più nulla, forse non c’è mai stato qualcosa di vero, ogni certezza si è dissolta. Puoi solo andare avanti, affannandoti per non perdere di vista quell’uomo che fuma la pipa e affronta con apparente indifferenza il surreale, l’ignoto, l’assurdo, e persino l’amore cercando l’anima.
In ogni viaggio ti innamorerai di donne affascinanti, rivivrai la tua infanzia, incontrerai nuovamente i maestri della vita e li rinnegherai, perché non c’è nulla di quello che ti hanno insegnato che sia e sia stato utile per affrontare la solitudine ed il caos.
Non aggrapparti all’autore, ti strattonerebbe violentemente. Varca quella breccia che ti ha aperto ed esplora il mondo disorganico che ti offre.
Lasciati andare, guarda senza paura gli occhi della Montagna che ti accingi a scalare e non cercare nessun tipo di realtà, di sicurezza, un qualche appiglio, un senso... d’altronde anche la vita passata non te ne ha mai offerto alcuno. Scava nella roccia, creati una breccia, affonda le dita nei sassi e sali sino in cima, e semmai il vulcano innevato o assolato erutterà… fottitene! Continua in avanti sino alla meta, ammesso che ne esista una.
Il castello
Non era proprio una fortezza grandissima, più che altro un palazzo sperduto su una rupe che si ergeva mirando una delle tantissime vallate dell’entroterra siciliano, immerso tra infiniti vigneti e campi sconfinati. Costruito su una roccia, dominava a trecentosessanta gradi l’intero circondario, fino a dove l’occhio poteva spingersi, poiché non vi erano altre alture in quello spazio silenzioso e immenso.
La costruzione era ormai diroccata, resistevano solo le mura esterne, sulle quali si poteva salir tramite una scala in pietra ancora fruibile, anche se malmessa e pericolosa. Le pareti divisorie interne erano crollate, e pure il tetto, all’interno, distruggendo il piano terreno, riempiendo quel che era stato il sotterraneo, più o meno esteso, di detriti, pietre, e altro materiale similare.
Il desiderio di scendere nel sottosuolo di quel castello mi affascinava da sempre, e un giorno lo avrei esplorato, utilizzando un cunicolo non del tutto ostruito dalle macerie, un passaggio che amici e compaesani conoscevano, ma che