I DELITTI DEL SANTO DI MAGGIO - the show must go on
Di Enzo Meli
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Anteprima del libro
I DELITTI DEL SANTO DI MAGGIO - the show must go on - Enzo Meli
fratelli.
Prefazione
Ho conosciuto Enzo Meli nel 1977. Era da poco iniziata la mia avventura professionale ad Antenna 3 Lombardia, la prima emittente privata italiana, un vero e serio centro televisivo con studi che nemmeno la Rai aveva.
L’abbiamo inventata in quattro: Renzo Villa, Enzo Tortora, Beppe Recchia e anche chi scrive.
Abbiamo ideato trasmissioni che la RAI imbalsamata di quegli anni non si sognava, trasmissioni che portavano sugli schermi ventate di fantasia e di vera originalità che conquistavano il pubblico: dove arrivava Antenna 3 l’emittente di Stato era sempre staccata di molte lunghezze. Per quegli anni riuscii a realizzare, con grande fervore degli spettatori, spettacoli per adulti, un campo che mi era sempre stato inter- detto alla RAI. E ci riuscii anche grazie all’aiuto di Enzo Meli che era diventato il mio assistente, segretario, collaboratore, suggeritore e, soprattutto, amico.
Quando, dopo qualche anno, la felice esperienza di Antenna 3 si concluse, per motivi che non voglio qui ricordare, Enzo se ne tornò nella sua Sicilia dove era nato; lo rivedevo ogni volta che la mia vita di attore mi riportava nella bella isola per uno spettacolo. Con una vena di tristezza ricordavamo i tempi felici trascorsi a Legnano, le trasmissioni che avevamo realizzato insieme:La Bustarella
, Il Pomo-fiore
, La Macchina della verità
, Il Telebigino
... e tante altre, molte delle quali sono state scopiazzate da varie emittenti.
E ci si lasciava con un sospiro di nostalgia. Il mese scorso mi arrivò una sua telefonata:
«Caro Cino, ho scritto un libro, desidero che tu lo legga e mi dica che cosa ne pensi». Ne fui sorpreso e, quando mi arrivò I delitti del Santo di Maggio, ero anche piuttosto scettico. Poi incominciai a leggere.
Feci la conoscenza di Santina, «schiena curva come fosse gobba», di don Pietro, di Padre Parroco e di Turi, del commissario Marano con il suo vice Bigo e di Girolamo detto il Greco, e poi di tutti gli altri... All’inizio, come credo accadrà a tutti i lettori, non si può non pensare a un altro autore siciliano, il cui personaggio Montalbano ha conquistato milioni di telespettatori. Poi però ci si accorge che la scrittura di Enzo è assolutamente originale, e a poco a poco la sua ironia, il suo umorismo, l’abilità tutta personale di raccontare ti conquistano.
Ho letto un racconto piacevole e divertente che mi ha coinvolto e appassionato fino alla sorprendente conclusione.
Sono certo che se I delitti del Santo di Maggio cadrà sotto gli occhi del siculo Andrea Camilleri, ne sarà un po’ invidioso. Grazie Enzo.
Cino Tortorella
Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il proprio dovere.
Giovanni Falcone
Come è gentile per essere un parente: sembra un estraneo!
Totò
Il matrimonio è un’istituzione molto complicata. La cosa più importante è che a me mia moglie piace. La cosa difficile è mantenere nel tempo questi sentimenti perché le persone cambiano e allora devi adattarti, non puoi essere rigido. Naturalmente io non sono il marito perfetto e lei non è la moglie perfetta. Insieme navighiamo da 45 anni, grazie Iolanda. Quando le mie figlie erano piccole abbiamo cambiato casa una quindicina di volte. Monica e Alessandra sono sempre riuscite a trovarmi. Noi nonni cerchiamo di insegnare ai nostri nipoti tutto della loro vita, loro ci insegnano che cosa conta davvero nella vita. Alice, Chiara, Tommy vi vedo crescere, sapendo che vi lascerò prima degli altri, forse è per questo che vi amo più di tutti. Ho cercato la mia anima, ma non riuscivo a vederla. Ho cercato il mio Dio, ma il mio Dio mi sfuggiva. Ho cercato i miei fratelli e ho trovato tutti etre. Biagio, Giuseppe e Aldo.
Enzo Meli
Sicilia
Passo Alto Ibleo
Monte Lauro è la più alta montagna della provincia di Ragusa.
Con i suoi 972,333 metri, domina tutte la valli sottostanti e nei giorni di cielo pulito si può vedere tutta la valle dell’Ippari fino ai confini della città di Gela. Il suo nome sembra derivare dal latino laurus, alloro, poiché in passato pare che le pendici del monte fossero interamente ricoperte di piante di alloro, la pianta suprema dei Greci.
Dalla montagna hanno origine numerosi corsi d’acqua tra cui l’Ànapo e l’Irminio. Le pendici di Monte Lauro si estendono su tre province: Catania, Ragusa e Siracusa, e fa parte di un complesso vulcanico sottomarino del Miocene, non più attivo.
Sul versante sud occidentale del Monte Lauro, all’interno del suo parco naturale, all’altezza di 570 metri sul livello del mare, sorge un incantevole paesino di nemmeno 800 abitanti che si chiama Passo Alto Ibleo. Il territorio circostante è ricco di testimonianze archeologiche che provano la presenza dell’uomo sin da antichissima data (il mito vuole che il pastore Dafni pascolasse il suo gregge sul monte Lauro, al suono del flauto). Fondato dai Greci con il nome "Makariache vuol dire bellezza (come l’isola di Rodi), e poi
Laurus, con i Romani divenne
Gradus Laurum" (Passo Lauro) e, infine, con gli Aragonesi divenne Passo Alto Ibleo.
Questa piccola cittadina conta molte chiese e monasteri, dato che in età medievale fu luogo di eremitaggio e di raccoglimento religioso. Numerose sono le testimonianze storico-artistiche che il paesino custodisce. Conserva la natura tipica dei piccoli paesi di montagna con le sue strade lastricate a ciottoli e le sue piazzette. Qui i tramonti sono bellissimi, quando il sole si cala oltre l’orizzonte del mare a perdita d’occhio! Da Passo Alto Ibleo si può ammirare anche ‘u Vulcanu o Colonna del Cielo
come lo chiamava Pindaro, l’Etna.
Questa scomunicata storia inizia all’interno della chiesa più importante di Passo Alto Ibleo: la chiesa del Santo di Maggio.
Parte prima
La settimana dei festeggiamenti del Santo di Maggio
Post Concilio Vaticano II
Venerdì, 22 maggio 1981
La chiesa del 1670 che sorge sui ruderi di un antico fortilizio saraceno è interamente costruita in pietra di Comiso; mostra una facciata semplice, priva di ornamenti, monocuspidata. All’interno si trovano il fonte battesimale e l’acquasantiera, anch’essi scolpiti in pietra di Comiso. Sull’altare maggiore, l’opera più grande e importante è un quadro datato 1608-09 che domina l’intera parete dell’altare centrale e raffigura il Santo di Maggio che si copre il capo con un velo. Il dipinto è attribuito a Michelangelo Merisi detto il Caravaggio. Sul primo altare a destra si mostra in tutta la sua perfezione un crocifisso ligneo del 1660, alto due metri attribuibile a Fra Innocenzo da Petralia Soprana. Sul secondo altare, un dipinto che raffigura Sant’Antonio. La cupola dell’altare maggiore è dedicata a San Giovanni Martire e la sua realizzazione è attribuita ad Andrea Giovanni Lo Bianco, detto il Comiso. Sopra la cantoria, un dipinto di San Francesco del 1615-20 di autore sconosciuto. Restaurata insieme alla canonica, agli inizi degli anni ‘60, è così grande! Svetta verso il cielo quasi solitaria, sul fianco la Cappella della Confraternita del Santo di Maggio e insieme dominano la Valle dell’Ippari. Santina, 71 anni, schiena curva come fosse gobba, stringeva la ramazza e trascinava faticosamente il secchio pieno d’acqua. Arrivata davanti all’altare, si inginocchiò come meglio poteva, appoggiandosi al manico della scopa. Strofinò con uno straccio i banchi e rialzandosi con evidente fatica, si spostò verso l’altare centrale. Lo tirò a lucido e soddisfatta si incamminò lungo il corridoio che l’avrebbe portata in sacrestia. Bisognava dare una bella ripulita.
«Santina, come va? Hai finito?», domandò il grasso don Pietro, detto Padre Parroco, entrando in sacrestia.
«Buongiorno, Padre Parroco! Incominciai presto stamattina... alle sei! Ho pulito gli ultimi banchi, il pavimento l’avevo pulito ieri con Turi, dentro e fuori la chiesa. Finisco di spolverare in sacrestia, il vostro pranzo è pronto! Ho preparato anche per Turi, è solo da scaldare un minutino sul fornello ed è pronto... La tavola è tutta apparecchiata, così fate in fretta a mangiare e se vuole fare un riposino lo può fare», rispose tutto d’un fiato l’anziana perpetua.
Una donna minuta, i capelli pettinati con lo chignon, un cardigan di color grigio sulla camicetta bianca con bottoni neri, come la gonna, lunga fino alle caviglie (stile inizio ‘900) e tutto ben stirato di fresco; e mai senza grembiule, grigio quando pulisce e nero quando non lavora, per lei non indossare il grembiule è come essere svestita. Nelle tasche del grembiule c’è tutto il suo mondo di donna semplice; i bambini dell’oratorio ci scoprono pupazzetti di plastica che trova nelle confezioni dei detersivi, noccioline, caramelle, confetti. Santina è molto sveglia, attiva e di una bontà unica. Insomma la tipica nonna che tutti vorremmo, ma con l’orgoglio di essere signorina, ma non zitella.
Sì, sì, devo fare presto altrimenti!
, guarda l’orologio, sono le 8:20, cavolo! Ca subito perché è tardo! Ma!
.
«Turi non è ancora venuto?».
«No, non l’ho visto. Ma, Padre Parroco, la Messa è alle undici esonu ancora i otto e mezza! Turi forse è andato all’oratorio in città «Fallo cercare e mandalo da me e ricordati di pulire prima la stanza da letto, il bagno e la cucina! Io intanto vado in chiesa».
«Va bene, Padre Parroco, appena finisco di fare la sacrestia vado sopra e metto apposto!». Santina recuperò i suoi attrezzi e mentre stava per uscire dalla sacrestia sentì sbraitare Padre Parroco.
«Santina Santina!», urlò il prete.
«Che c’è! Che c’è, Padre Parroco! Non sono surda! Arrivo».
«Santina, aspetta, figghia mia! Però devi pulire bene, anche dietro i banchi dal lato del confessionale, devi pulire bene! Vacci e finiscibene le pulizie».
«Ma chi dice Padre Parroco! Io inizio sempre da lì e pulisco sempre bene».
Padre Parroco invitò con un cenno Santina a seguirlo. Arrivati vicino ai banchi Padre Parroco girò uno sguardo di rimprovero alla donna; «Lì! Le hai viste? Sono pedate!».
«Ma quanto sono grande sti pedate! Questo è un gigante! Come ho fatto a non vederli ieri quando sono passata?». Santina non poteva credere ai propri occhi. Don Pietro le si avvicinò.
«Fammi vedere queste pedate... veroo! Sono veramente grosse, hai ragione Santina. Sei sicura che non c’erano prima? Ca! Suno tutte pedate infangate, è tutto sporco, vaa!».
Da sinistra quasi come se non volesse far rumore, arrivò Turi. Turi era un uomo alto, con i capelli brizzolati e un fisico pr vato, zoppo per via di una gamba irrigidita, impossibile da piegare, un po’ di pancia, la barba incolta e disordinata. Indossava dei pantaloni di due misure più grandi della sua. Quasi sicuramente erano i pantaloni di un vecchio abito che qualcuno gli aveva regalato. Una camicia un po’fané e sinceramente, parlare della giacca diventa problematico. Di un giallo sbiadito, molto usata, di inconfutabile provenienza Caritas. Aipiedi portava dei calzettoni di lana dentro dei polacchini da contadino degli anni ‘50.
«Buongiorno, Padre Parroco, buon giorno, Santina», esordì sorridente.
«Finalmente! Turi... Comu vannu i cosi?», chiese il Parroco un po’ contrariato dal suo ritardo.
«Benissimo! Il palco è montato, le luminarie sono a posto e funzionano! Poi vediamo questa sera con il buio, anche l’amplicazione va bene!», rispose Turi consapevole che il Padre Parroco stava per perdere le staffe.
«Il gruppo musicale è arrivato?», chiese ancora Padre Parroco.
Turi immerso nei suoi pensieri e gesticolando con le dita:
«Il gruppo musicale è arrivato! Si dovranno tirare gli strumenti, ma è roba di poco».
«Come parli, Turi? L’amplicazione... si devono tirari gli strumenti...foorsee... Volevi dire l’amplificazione e tarare gli strumenti, mizzica! Turi! E sforzati figlio mio, sforzati a parlare bene un po’ d’italiano, non ti fa male se ‘mpari. A me non importa niente di queste cose! Io voglio sapere se il fioraio ha preparato i cestini e se il coro ha provato... i chierichetti ci sono? Non mi piace restare a dormire qua anche questa notte! Fa freddo siamo a 570 metri e non c’è il riscaldamento nell’appartamento e non ci sono mancu ligna per la stufa, che hai capito? A maggio fa ancora freddo!». Turi rispose beffardo:
«Lei, Padre Parroco, è freddolino! Freddolino, freddolino eh! Ca come dobbiamo fare con lei. A va’, Padre Parroco che bene si sta, non fa troppo friddu!».
«Come! See! Sì, sì sono freddolino!!! Eh comunque! Il fioraio è arrivato?».
«Siii! Porterà tra poco i cestini! Ieri ha già messo le siepi lungo la strada, speriamo che non piove, sennò fino a domani non dura niente, miiizzica!!! Il paese è pieno di manifesti Padre Parroco, abbiamo il permesso per i fuochi artificiali», Turi era euforico. «Santinaaa!! Da stamattina è che pulisci! Fai l’appartamento di Padre Parroco!»,gridò dandosi un tono.
«Ma che non mi vedi Turi! Sto finendo di pulire queste impronti di scarpuni (impronte di scarponi)! E comunque ci vado appena finisco con questo schifo!».
Padre Parroco fremeva e cercava di spronare Turi, l’organizzazione della festa era di vitale importanza. La festa del Santo di Maggio era tutto ciò che interessava a Padre Parroco in quel momento ed aveva la sensazione che tutto gli stesse sfuggendo di mano.
«Ho detto che non mi interessa questa roba! Noi dobbiamo pensare principalmente al rito!», gridò Padre Parroco e nell’agitarsi buttò lo sguardo sul pavimento. «Santina, pulisci anche verso il confessionale ahh! Capisti? Ci sono le impronte di scarponi anche verso il confessionale, lì dietro la colonna!».
Turi in un momento di generosità:
«Lascia stare Santina, finisco di pulire io!», e continuò rivolgendosi a Padre Parroco: «Avete ragione Padre Parroco! Ma il popolo vuole anche questo! C’è assai attesa nel paese, come l’anno scorso, sono arrivati anche dai paesi vicini. Ho sentito dire che c’è pure uno che scrive sopra u’ giornale! Però c’è un problema per i chierichetti. Filippo, ha la febbre!».
Padre Parroco strabuzzò gli occhi:
«Turiii! Ma tu l’anno scorso non c’eri!».
«Sì sì, lo so che non c’ero... ma me l’hanno raccontato».
«Che problema c’è, Turi? Che cosa? Mi dispiace per Filippo, caro Turi, spero che gli passi presto e bisogna trovare un sostituto! E il coro? Hanno cantato bene?», Padre Parroco era ormai esausto.
Da dietro la colonna si sentì un urlo straziante.
«Aaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhh!!... Mossi, mossi, ccà c’è un muortu! (è morto, è morto, qua c’è un morto!). Maria santissima! Ccà c’è uuu muortoooooooo!», Santina urlava e si faceva il segno della croce. «Nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo», e poi ancora un segno della croce e un altro ancora. «Maria! Maria Santissima!», Santina si allontanò velocemente. Le sue gambe miracolosamente la fecero correre come una ragazzetta! La povera donna era terrorizzata! Arrivata al banco si adagiò senza forze e cercò di riprendere fiato. «Padre coooo...», ansimava e farfugliava. «Padre cooo...».
«Comeee!! Che dici Santina, ma che sei uscita pazza? Un morto! Non scherzare, vaa!», così dicendo Padre Parroco era ormai vicino al confessionale. «Santinaaaa... Mizzicaaa!! Santina, vero è... ccà c’è un morto! Vero! In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo! Maria, Maria e ora come facciamo? Questo morto verooo è!».
Turi non disse una parola. Si avvicinò al cadavere guardandosi in giro come a voler cercare qualcosa.
Dalla sacrestia, ignare del fatto, entrarono Addolorata e Nunziatina e si inchinarono verso l’altare facendosi il segno della croce. Nunziatina era una donna giovanile, minuta, sui quarant’anni, molto semplice, provinciale e credulona. Vestiva con sobrietà, la tipica donna tutta d’un pezzo.
«Buongiorno, Padre Parroco... Turi, come va?», salutò ma né Padre Parroco né Turi e né Santina ricambiarono il saluto.
«Scusate, ma che è successo? Ho sentito urlare Santina mentre entravo!», allungando lo sguardo verso i banchi scorse la povera Santina annichilita. Nunziatina si avvicinò al confessionale dove Padre Parroco, Turi e Santina stavano in silenzio. Nunziatina buttò l’occhio su Padre Parroco.
«Mah!!! Anche voi siete smorto, ch’è successo!», e in quello stesso istante il suo sguardo incrociò la sagoma del morto.«Oooh! oooooooooooooooh! Ccà... ccà... ccà... ccà... ccà c’è un muortoooo!», fece un balzo all’indietro e cadendo si sedette accanto alla perpetua. Continuava a gridare come impazzita. «Ccà... ccà... ccà...ccà... ccàààà, c’è un muortoooo! Non è il Maestro, vero?».
«Nunziatina, basta di urlare!», disse Padre Parroco. «E poi che dici? Come il Maestro? Come hai fatto a capire se in faccia ha una maschera?».
«Niente so, non so nenti, non lo so, chi è non lo sooooo!!!».Nunziatina non smetteva di tremare. «Santina, ma... ma... che su...su... succede, Santina dimmi, parla? Quello è il Maestro! È il Maestro! Povero Maestro... Sì, sì, di sicuro è il Maestro! Aaaahh poveri noi! Comu è potuto succedere! Lo stesso paltò, l’ho visto ieri sera in Città», continuava a farfugliare Nunziatina.
Intanto arrivò Addolorata che si era trattenuta davanti all’altare principale per pregare e dire un’Ave Maria. Un po’ sorda, di famiglia benestante, indossava un cappotto con il collo di volpe. Si avvicinò al gruppo e subito si accorse del morto:
«Maaaria, Santissima Maria! E che cosa è successo? Chi ha? Si sentì male? Vero è! Il paltò del maestro Agatino, Dio ci ni scampi, ma che cosa è successo? Sì l’ho visto anche io ieri sera! Abbiamo discorso della festa del Santo di Maggio... era troppo contento. Mi diceva che aveva fatto le prove del coro, che s’era miso d’accordo con il Maestro della Banda Musicale. ‘Nsumma, beddu vivo era! Ora è muotto! Viri, viri, come vanno i cose? Roba da non crederci, maaa! Chi fu un impatto?», Addolorata non si dava pace.
Padre Parroco, cinquant’anni di vita e ventotto di onorato sacerdozio, aveva un debole: investigare. Aveva appena letto il libro Il nome della rosa e in un attimo si era calato nella parte che aveva sempre sognato. Atteggiandosi a padre Guglielmo da Baskerville o forse a investigatore di Polizia di una delle serie di telefilm che seguiva appassionatamente, diede ordine con voce vibrante e piena di pathos.
«Chee! Che dice Addolorata? Zitta, signora Addolorata! Ma quale infarto! Non toccate assolutamente niente, avete capito!», si rivolse a Turi: «Tuuu! Turi chiama il commissario intanto! E da te voglio sapere chi sono gli assenti! Chi avete chiamato? Chi c’era in chiesa? Tutto il coro? Ooooh!! Non lo dimenticate, voglio sapere i nomi dichi è venuto. Turi, chiama il commissario e digli che abbiamo trovato in chiesa un morto ammazzato!».
Turi era confuso. Troppe richieste in troppe parole.
«Piano, Padre Parroco, piano piano, Padre Parroco! Ma chi è il commissario?».
«Uno ne abbiamo, e grazie se l’abbiamo! Il dottor Marano, Turi, quello che tu lo chiami il Milanisi!», rispose Padre Parroco spazientito. «Ma chi? Il Milanisi! Eh... quello sta a Comiso».
«E io chi rissi? U Milanisii! Turi lestoo! Chiama subito il dottor Marano, capisti? Il Milanisi come lo chiami tu».
Turi si sentiva nuovamente operativo e questo lo inorgogliva:
«Ma... lo chiamo al telefono, Padre Parroco?».
«Telefona Turi, corri, telefonaaa! Lesto. Turi, avanti, muoviti! Fai quello che devi fare, basta che lo fai in fretta!».
Addolorata non distoglieva lo sguardo dal cadavere.
«Ma chi è questo?», si chiedeva e ragionava a voce alta. «Allora se non è il maestro Agatino, chi sarà? Be’ be’, lasciamo perdere, con un morto in casa io me ne vado!».
Padre Parroco non poteva credere alle sue orecchie:
«Che dice, Addolorata?!? Intanto non è in casa, ma in chiesa e tu non vai via fino a quando non arriva il commissario e poi cosa dici?!? Già, siete arrivate tardi e volete andare via?!? Chi aiuta per la Festa? Anche tu Nunziatina non andare via, hai capito?».
Tremolante e impaurita Nunziatina aggiunse:
«Sì, però io una cosa la devo dire. La colpa non è mia se sono arrivata tardi. Sono arrivata adesso perché non potevo lasciare mia sorella, suo marito e soprattutto mia nipote così, senza... maaah!».
«Che cosa?», insistette Padre Parroco con tono indagatore avvicinandosi a Nunziatina. «Non potevi lasciare tua sorella, suo marito e tua nipote senza? Senza che cosa? Nunziatina continua! Che volevi dire, la colpa non è?».
La donna che ormai aveva il volto terrorizzato rispose:
«Stavo dicendo! La colpa non è mia, ma di mia sorella. Voi sapete forse che mia sorella ha quella figlia malata! Sono ritornati in Italia dall’America per provare una nuova cura».
La voce di Turi interruppe la conversazione:
«Padre Parroco, Padre Parroco! Arriva u Milanisi, un quarto d’ora e arriva!».
«Turiiii, non disturbare!», Padre Parroco sembrava aver dimenticato il cadavere ed era tutto concentrato sul racconto di Nunziatina.
«Dall’America vengono in Italia per curarla? Il mondo alla rovescia! Erano andati in America per curarla ehhh..., com’è che adesso vengono qua? Continua, Nunziatina».
«Sì, sì. In questo caso non si tratta di operazioni o medicine. Quella povera ragazza ha bisogno di un ambiente diverso da casa sua».
Intanto Santina e Addolorata parlottavano disturbando:
«Maaa! La vogliamo finire di parlare o nooo? Mi fate sentire Nunziatina? Come se non fosse successo niente! Qua c’è un morto e voi non mi fate capire niente di quello che dice Nunziatina. E siete dentro la casa del Signore!», le rimproverò Padre Parroco.
Due uomini vennero fuori dalla sagrestia e attraversando l’altare principale si diressero verso il gruppetto di testimoni fermi davanti al confessionale. Uno era il commissario Rocco Marano e l’altro il suo vice, Bigo.
Bigo era un uomo sulla quarantina, alto circa un metro e settanta, robusto, gran mangiatore, vicentino. Vestiva con molto gusto: cravatta rossa su un completo di buona fattura in lana color fumo di Londra. Marano, invece, era alto circa un metro e ottanta o poco più, longilineo, fisico da marciatore, trentasette anni, indossava una giacca blu, dei jeans Levi’s con dolcevita chiaro. Nato in Sicilia nel ‘45 da una famiglia della borghesia comisana, famiglia stimata da tutti, era il più giovane di quattro fratelli ai quali era molto legato. Da giovanissimo si era trasferito a Torino presso uno zio, ovviamente contro il parere dei genitori ma, testardo e determinato com’era, arrivò a minacciarli di fuggire se non lo avessero lasciato andare. Convinti i genitori, partì e studiò fino a laurearsi in legge. Durante gli studi si era mantenuto facendo tutti i lavori che gli si erano presentati. Aveva iniziato distribuendo volantini per un sarto a una lira a volantino. Aveva poi fatto lo scaricatore ai mercati generali, l’elettricista, il vetrinista, il fattorino e arrivò a lavorare anche alla Fiat come operaio. Amava capire la vita dal lato di chi lavora per mangiare, amava tutto ciò. Curioso, intelligente, colto, legato alle nobili tradizioni della sua terra, riusciva a parlare con tutti i ceti sociali, mettendosi allo stesso livello culturale, per non offendere mai la dignità dell’interlocutore. Grazie a una sapiente organizzazione riusciva a svolgere più lavori contemporaneamente e a studiare con profitto. Amava stare in compagnia e divertirsi con gli amici, frequentava le sale da ballo e i migliori locali. Preferiva non uscire se non aveva denaro. Frequentava bei ristoranti, ottimi alberghi e night club alla moda. Andava all’estero sovente. Riuscì ad avere anche tre fidanzate contemporaneamente, fino a quando non fu picchiato da tutte e tre (contemporaneamente!!). All’età di ventidue anni conobbe l’amore della sua vita: Iolanda. Si sposarono subito dopo la laurea ed ebbero due adorate e magnifiche figlie: Monica e Alessandra. Ironico, simpatico, divertente, ma irascibile e intrattabile quando lo si provocava.
«Buongiorno, padre, buongiorno a tutti!», esordì Marano. «Io sono Rocco Marano, vi presento il mio vice il dottor Bigo».
Marano non presentava mai il suo vice con nome e cognome, perché appena lo faceva scattava una grande risata. Tu! Sì, proprio tu che hai il libro in mano e che mi stai leggendo, prova a non ridere con uno che si presenta: «Piacere, Bigo Lino». Il termine bigolino appartiene ai dialetti dell’Italia settentrionale e significa, piò o meno, cazzatello, cazzetto, cazzaro, omiciattolo, cosa piccola. Padre Parroco strinse la mano prima a Marano e poi al suo vice:
«Buongiorno e piacere di conoscerla, dottor Bigo». La sua espressione si fece seria e aggiunse: «Ah! Lei è il vice commissario,
see! Abbiamu un morto, ma non sappiamo chi è! Lo sapete? Lo conoscete?».
Marano osservò il cadavere:
«Padre Parroco, siamo appena arrivati! E poi, certo! Con questa maschera non si può riconoscere. Bigo, prendi i nomi di tutti i presenti e chiama subito la scientifica», e continuò: «Allora Padre, quando e come l’avete trovato?».
«No, no, signor Milanisi,» Santina s’intromise, «io u trovai e non Padre Parroco, mentre ripulivo il confessionale! Mi sono presa una paura che se non sono svenuta poco ci mancau! Ancora adesso sono spaventata».
«Zitta, zitta Santina», la ammonì Padre Parroco e poi rivolgendosi al commissario, come fosse Guglielmo da Baskerville: «Già fatto, commissario! I nomi li ho presi tutti! Ho capito subito che questo poveraccio è stato ammazzato».
Il commissario con un po’ d’ironia:
«Bravo! Allora noi possiamo andare via! Ha già fatto tutto Padre Parroco. Bigo, andiamo?»,
Padre Parroco si sentì offeso:
«Mi scusasse, dottor Marano, ma io sono il parroco e responsabile di quello che succede dentro la mia chiesa. Come lei al suo commissariato», rispose.
«Certo! Certo signor Parroco», annuì Marano.
Padre Parroco, facendo finta di non sentire il commissario, continuò:
«Certoo! Non sono responsabile del morto. Ma secondo lei ho sbagliato? Prendendo tutti i nomi feci una cosa buona?».
«No, no scherzo. Ha fatto bene a prendere tutti i nomi, così il dottor Bigo lavora di meno. Padre, come ha fatto a capire che è stato ammazzato? Ha trovato qualche pistola, coltello, insomma ha trovato un’arma? C’era del sangue che avete pulito? Signora Santuzza, doveva finire di parlare lei?».
Santina era contrariata, dal suo punto di vista,