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Legami di cristallo
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E-book501 pagine7 ore

Legami di cristallo

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Info su questo ebook

Matthew Talley è un uomo coraggioso, disposto a tutto per raggiungere i propri obiettivi. La sua intelligenza lo ha portato a essere uno dei pubblicisti più importanti di San Francisco, ma la vita gli ha insegnato, nel modo peggiore, che l'amore è un sentimento sopravvalutato. Nel bel mezzo di un'ambiziosa campagna pubblicitaria, Matt si vede costretto ad assumere una donna che può diventare pericolosa: non solo per la sua carriera, ma anche per il suo cuore diffidente.



Victoria Marsden ama la sua indipendenza tanto quanto la pubblicità. Quando uno spaventoso incidente distrugge completamente la sua vita, Victoria viene schiacciata dal senso di colpa e dalla frustrazione. Con il conto quasi in rosso, qualsiasi offerta di lavoro è la benvenuta. Non sarà facile incontrare di nuovo Matthew Talley, però, dopo la delusione e il dolore che le ha provocato in passato. Ma lei è disposta ad accettare la sfida.

LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2020
ISBN9781393511182
Legami di cristallo

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    Anteprima del libro

    Legami di cristallo - Kristel Ralston

    Kristel Ralston

    ©Kristel Ralston 2019.

    Tutti i diritti riservati.

    Immagine di copertina: Carolina García Rojo.

    Traduzione in italiano: Elisabetta Savino.

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, archiviata in un sistema o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, fotocopia, video o altri mezzi, senza previo ed espresso consenso della proprietaria del copyright.

    Questo è un romanzo di fantasia. Luoghi, nomi, circostanze, personaggi sono il prodotto della fantasia dell’autrice e l’uso che ne viene fatto è fittizio; qualsiasi somiglianza con la realtà, esercizi commerciali (attività), situazioni o fatti sono puramente casuali.

    "I libri vengono scritti, al di là del proprio impulso creativo, solo per unire gli esseri umani, e difenderci, così, dall’inesorabile opposto dell’intera esistenza: la caducità 

    e l’oblio"

    -Stefan Zweig.

    Indice

    Indice

    CAPITOLO 1

    CAPITOLO 2

    CAPITOLO 3

    CAPITOLO 4

    CAPITOLO 5

    CAPITOLO 6

    CAPITOLO 7

    CAPITOLO 8

    CAPITOLO 9

    CAPITOLO 10

    CAPITOLO 11

    CAPITOLO 12

    CAPITOLO 13

    CAPITOLO 14

    CAPITOLO 15

    CAPITOLO 16

    CAPITOLO 17

    CAPITOLO 18

    CAPITOLO 19

    CAPITOLO 20

    CAPITOLO 21

    CAPITOLO 22

    CAPITOLO 23

    EPILOGO

    SULL’AUTRICE

    CAPITOLO 1

    La donna che, in quel momento, guardava verso l’obiettivo, durante l’ultima ripresa per lo spot pubblicitario, era perfetta. Il casting e la produzione erano stati un successo totale. Ovvio, non poteva essere diversamente, dato che Matthew Talley aveva supervisionato tutto. A lui non piacevano le questioni in sospeso. Alcuni lo accusavano di credersi troppo autosufficiente, ma Matt ribatteva dicendo che era un perfezionista. Inoltre, se il cliente chiedeva dei risultati, lui doveva essere in prima linea durante le attività, per assicurarsene.

    Matt garantiva perfezione, e la otteneva. Non per niente, a trentadue anni di età, era già considerato uno dei pubblicitari meglio pagati e rispettati di San Francisco. Il suo lavoro era piuttosto eclettico e impegnativo, ma lui sfruttava e sapeva creare strategie su concetti innovativi, che attiravano grossi clienti. La necessità di avere sicurezze materiali, che gli era mancata quando era più giovane, ancora persisteva in lui, come un mostro implacabile che lo spingeva sempre a distaccarsi da sé stesso e tentare di vincere qualsiasi sfida professionale, a tutti i costi. Si era guadagnato il prestigio combattendo, e, per questo, curava ciò che era suo in una maniera particolarmente possessiva. Quando lottava per un cliente o un’idea, lo faceva con fierezza e senza coinvolgimenti emotivi. Non c’era tempo per i sentimentalismi, nel suo mondo. Si trattava di sopravvivere, e lui era un lottatore nato.

    «Grazie al cielo, è finita con questo cliente», pensò Matt, mentre gli alti dirigenti della produzione si avvicinavano per salutare, così come fece, poi, anche il rappresentante della Yellow Energy, la ditta di bevande gassate per la quale aveva creato la campagna pubblicitaria.

    Uscì dalla sala di registrazione per andare verso il parcheggio praticamente trascinando i piedi. Era stremato. La vita del pubblicitario poteva essere una vera seccatura, a volte, anche se lo stipendio compensava ampiamente l’investimento del suo tempo e della sua pazienza.

    Quando arrivò a casa, si mise davanti alla TV come gli piaceva fare: con una birra fredda in mano, in boxer, e con il canale sportivo ad alto volume. Allungò le gambe forti e massicce sulla poltrona, che aveva conosciuto tempi migliori, ma era la sua preferita e non pensava di disfarsene. Sospirò di sollievo. «Finalmente la tranquillità».

    La vita di Matt non era sempre stata tranquilla. Al contrario, non gli era risultato per niente facile farsi strada, specialmente perché proveniva dai quartieri poveri e le sue uniche armi erano la tenacia, un desiderio insaziabile di superarsi e una mente sveglia. Quando aveva dieci anni era costretto a rubare ogni volta che doveva riempire lo stomaco; in altre occasioni, doveva scappare per evitare un patrigno ubriaco e violento. Non si vergognava delle sue origini, perché quelle vicissitudini gli avevano forgiato il carattere e la determinazione, portandolo a distinguersi nel suo campo professionale. Un minuto del suo tempo valeva una piccola fortuna.

    I cinque anni di lavoro per l’agenzia Spring & Marsden, come responsabile dei clienti VIP, sarebbero finiti molto presto. Ora c’era in vista un posto più alto. Le sue attenzioni e gli sforzi erano diretti ad aggiudicarsi l’appalto Harrington: una prestigiosa catena specializzata in gioielli. Il proprietario voleva una campagna a livello nazionale, per portare la reputazione aziendale su un piano competitivo. La prima gara d’appalto per guadagnarsi l’appalto Harrington l’avevano superata con successo. La fase finale si sarebbe svolta entro un mese. Lui era ansioso di organizzare la sua squadra e mettersi a lavorare.

    Se avesse ottenuto la campagna per l’agenzia, Andrew Spring, in persona, gli aveva assicurato che sarebbe stato promosso a socio della ditta. Era un privilegio che di solito non veniva assegnato, se un pubblicitario non lavorava per la ditta da venti anni. Tuttavia, lui aveva conquistato la benevolenza e la considerazione dei suoi capi in base ai risultati, e questa era una dimostrazione della fiducia che avevano nelle sue capacità professionali.

    La vita quotidiana lo logorava, ma si era riproposto di gestire meglio il suo tempo per poter visitare sua sorella Lilly, che viveva con il suo bambino di due anni, Peter, e suo marito, Dermont, a Boston. Dermont Jackson era uno dei suoi migliori amici, e si conoscevano fin dal liceo e dall’università. Entrambi si erano frequentati abbastanza, per studiare o uscire, e la sorella di Matt era una compagna abituale nelle riunioni con gli amici. Per questo, non lo aveva sorpreso più di tanto quando Lilly aveva iniziato a uscire con il suo migliore amico, e, in poco tempo, i due avevano annunciato che si sarebbero sposati. Matt aveva accompagnato la sua unica sorella all’altare.

    Il padre di ambedue, Elliot Talley, non era stato presente alla cerimonia. Aveva abbandonato Matt quando aveva appena compiuto sette anni, per seguire la sua passione: il bere. Monique, sua madre, sembrava avere un debole per gli ubriaconi, dato che, un anno dopo che Elliot li aveva abbandonati, si era innamorata di un altro ubriacone, Heath Bourbon. Non solo si era sposata con Heath, ma aveva anche permesso che li maltrattasse. Matt si era preso l’onere di proteggere Lilly e si era beccato la parte peggiore: insulti e colpe. Quello era stato un periodo triste della sua vita. Uno dei tanti.

    Era parte del suo passato.

    Al momento, rilassato nel suo attico, si sintonizzò sul canale sportivo per la partita dei Lakers. Non prestava troppa attenzione al gioco, perché gli occhi gli si stavano cominciando a chiudere per la stanchezza. Era stata una giornata pesante.

    Lo squillo improvviso del telefono lo risvegliò di colpo. «Chi diavolo chiamava alle dieci e mezza di sera? Era troppo chiedere di lasciarlo riposare?»

    ―Chi è― rispose, irritato.

    ―Matt?

    ―Sono io. Chi parla?― la sua mente non riconosceva altra voce, se non quella dei suoi muscoli che imploravano di andare a dormire sul comodo materasso.

    ―Ragazzo! Scusa per l’ora. So che la campagna con i titolari della catena di bevande si è conclusa. Ho appena ricevuto una e-mail del proprietario della Yellow Energy, che diceva che è soddisfatto del tuo lavoro. Complimenti.

    ―Grazie, John― riconobbe la voce del suo capo. ―Che posso fare per te?

    John Marsden, il secondo socio principale della Spring & Marsden, era un newyorkese sessantenne, vedovo. Diceva sempre di essersi innamorato di San Francisco una notte in cui stava passeggiando, quando aveva visto la baia illuminata con il Golden Gate sullo sfondo. Capitava a molti, però non fino al punto di trasferirsi per il resto della vita dalla cosmopolita ed esuberante New York alla pacifica e, allo stesso tempo, estroversa San Francisco.

    Matt aveva conosciuto John quando era il suo professore di Convinzioni del consumatore, all’università. L’uomo era già allora una leggenda della pubblicità, e si era complimentato con lui per la sua abilità nel vedere i punti deboli e forti di una marca e strutturare, a partire da questo, concetti pubblicitari innovativi. Matt, in poco tempo, era diventato suo assistente.

    Il giorno in cui si era laureato in Marketing, John lo aveva avvicinato per dirgli che le porte della Spring & Marsden erano aperte, se avesse voluto far parte dell’agenzia più prestigiosa della costa est degli Stati Uniti. Ne era stato lusingato. Tuttavia, erano passati diversi anni prima che bussasse a quella porta, perché Matt aveva prima preferito acquisire esperienza sufficiente nel mondo del lavoro, per poi arrivare all’ufficio di Marsden e cogliere l’opportunità di ottenere un salario e una posizione migliore. Ed era accaduto proprio questo.

    Durante il periodo di transizione tra l’uscita dall’università e i suoi primi impieghi, John gli aveva aperto le porte di casa sua. Da allora, avevano stretto una bella amicizia. Matt vedeva in John, più che un amico, il padre che avrebbe sempre desiderato.

    ―Di solito non mi piace chiedere favori per la mia famiglia...― rimase in silenzio per un momento. ―Ricordi mia figlia Victoria, Matt?

    Nella sua mente, gli ritornò l’immagine di una ragazzina con l’apparecchio ai denti, che difendeva i suoi punti di vista in ogni conversazione. Dei capelli leggermente disordinati, con cui di solito girava per casa quando lui era lì in visita; occhi azzurri, chiarissimi e cauti; la pelle bianca; il nasino all’insù e labbra generose. Certo che se la ricordava. Lui l’aveva vista da lontano in brevi occasioni, durante un paio di eventi negli ultimi anni, ma non si sarebbe mai avvicinato a Victoria per salutarla. Non doveva giustificarsi per quello.

    ―La ricordo, sì. Che succede?

    Il capo di Matt sospirò.

    ―Da quasi tre anni, ha aperto una sua agenzia. Al momento, i suoi uffici sono in ristrutturazione e ha bisogno di uno spazio temporaneo per lavorare. Vorrei darle una mano, ma è molto orgogliosa e, per questo, non voglio che lo sappia. Che poi, lo sai come va per le lunghe la questione della riprogettazione, i contratti... Ad ogni modo, ascolta, non voglio che il suo lavoro subisca un arresto, perché in questa professione bisogna mantenere il ritmo...

    Matt sollevò gli occhi al cielo. Già aveva capito dove si andava a parare.

    ―A che tipo di spazio stai pensando, nello specifico?― domandò, prendendo un sorso dalla bottiglia di birra.

    ―Magari che tu le permetta di condividere l’ufficio con te.

    Il suo ufficio era molto grande, ma non gradiva l’idea di condividerlo con nessuno, pensò Matt.

    ―Mmm...non credo sia una buona idea, John―. Oltre ad un problema di privacy professionale, non aveva voglia di occuparsi della figlia del suo capo né di giocare a fare il professore di nessuno. ―Abbiamo informazioni confidenziali negli archivi, e, anche se è tua figlia, con la tua stessa etica, se dici che ha un’agenzia sua, allora è pur sempre concorrenza.

    John pesò bene cosa dirgli. Non voleva rivelare le faccende personali di sua figlia, né tanto meno voleva passare un decennio senza che lei gli rivolgesse la parola. Non poteva permetterselo, perché Victoria era la sua unica famiglia.

    ―Matt, voglio che tu la inserisca nella tua squadra di lavoro, senza che lei sappia niente di questa telefonata. E riguardo al problema dei file confidenziali, non c’è alcuna concorrenza. La sua agenzia rimane ferma durante la ristrutturazione. Vorrei aiutarla a restare in contatto con quello che implica gestire clienti su grande scala come nella Spring & Marsden. Assumila nella tua squadra. Sarai un buon capo per lei. Lo so, ragazzo.

    ―Perché?― domandò. Prese un altro sorso di birra. Si sedette con il telefono all’orecchio, su una delle sedie del tavolo da pranzo a quattro posti, accanto alla finestra che dava sulla baia. Quella vista era uno dei privilegi che lo avevano spinto ad acquistare il suo magnifico attico. ―Se mi chiedi una cosa del genere, mi pare giusto sapere i motivi.

    John rimase in silenzio un momento, prima di continuare. Anche se era uno dei proprietari dell’agenzia,e poteva ordinare a Matt di fare ciò che chiedeva, non poteva inserire arbitrariamente una persona nella squadra del ragazzo, non senza creare difficoltà. Non era questo che cercava.

    ―Quello che era il suo socio, si è― si schiarì la gola ―ritirato, per il momento. Lei vorrebbe prendere le cose con calma, prima di riaprire la sua agenzia. In ogni caso, puoi chiamarla e offrirle una posizione, no? Sei il terzo a bordo, con mire per diventare il terzo al comando―. «Sai quali corde toccare. Mi conosci bene», Matt sorrise. ―Paul Harrington è un pezzo grosso e sono sicuro che ce la farai a prendere questo cliente.

    Matt voleva a tutti i costi ottenere la sua promozione nella Spring & Marsden, e non avrebbe permesso che qualcosa si interponesse tra l’appalto Harrington e la sua promozione. Magari Brian Lewis, sua controparte nell’agenzia della concorrenza, Butler & Partners, si giocava solo un aumento di stipendio; ma per lui c’era molto di più in ballo, perché implicava il consolidamento a cui maggiormente aspirava a livello professionale. D’altra parte, gli procurava grande soddisfazione mettere un paio di pietre sull’ego di Lewis. Quel tipo era proprio insopportabile.

    ―Perché non chiedi a Jonas Petersen di assumerla nel suo gruppo?― domandò di colpo. ―Ho sentito che sta prendendo nuovi clienti, in questi giorni.

    ―Sono clienti piccoli...

    ―Vediamo se ho capito. Mi stai chiedendo di assumere Victoria perché, nella mia squadra, i clienti danno commissioni più alte?

    ―Victoria ha avuto seri problemi economici― rispose con riluttanza. ―Non accetta il mio aiuto, quindi...

    ―Vuoi che senta di guadagnare un salario alto in una squadra in grado di generare quegli introiti.

    ―Fondamentalmente.

    ―Ma John, questa ditta è anche sua... è tua erede. Non sarà credibile dirle che la assumerò, quando la cosa le spetta di diritto.

    ―Rendilo credibile― disse in tono duro.

    Matthew capì di aver spinto troppo.

    ―Dirò a Marla di contattarla― disse pacatamente. Odiava che gli imponessero qualcosa, ma odiava anche fare da babysitter. Avrebbe trattato Victoria con la stessa inflessibilità con cui trattava gli altri suoi collaboratori.

    ―Stupendo― replicò in tono allegro. ―E ricorda, nessuna parola con Victoria su questa chiacchierata, ragazzo.

    ―Non devi preoccuparti di nulla.

    ―Grazie.

    ―Prego― disse con voce cortese, prima di chiudere.

    ***

    Victoria si guardò allo specchio. Il trucco faceva meraviglie, visto come erano sparite le sue occhiaie. I mesi precedenti erano stati complicati. La ricerca di un impiego non dava frutti e lei iniziava a disperarsi. Si avvicinò un po’ di più al suo riflesso per controllare l’eye-liner, suo migliore alleato. I capelli li lasciò sciolti al naturale: leggermente ondulati, sotto le spalle, in uno splendido color mogano. Le sarebbe piaciuto avere sua madre accanto, magari avrebbe potuto darle supporto su come risollevarsi dalle situazioni difficili che aveva dovuto sperimentare.

    Quella mattina aveva ricevuto la telefonata di Marla Roberts, un’assistente della Spring & Marsden. La donna l’aveva informata che Matthew Talley, responsabile dei clienti VIP dell’agenzia, voleva parlare con lei alle undici di quello stesso giorno. La chiamata la sorprese.

    ―Io non ho inviato il mio curriculum all’agenzia. Non voglio sapere niente di...

    ―Secondo quanto mi ha riferito il signor Talley, il suo nome è venuto fuori durante una riunione come raccomandazione, in una di quelle conferenze di pubblicitari a cui di solito partecipa il mio capo. Per questo, lui desidera concordare un incontro con lei.

    «Sicuramente gli hanno parlato di quello che ho fatto con L’Oreal», fu il pensiero di Victoria. Quella campagna aveva avuto una grande ripercussione mediatica e le era valsa dei riconoscimenti professionali. Era stato un periodo in cui le offerte di lavoro c’erano eccome, ricordò con amarezza. Dopo aver chiuso la sua agenzia, si era ritrovata, praticamente, in bancarotta. Ma, comunque, si rifiutava di accettare il denaro che suo padre le depositava in banca ogni mese. Lei era orgogliosa, e continuava a provare risentimento per lui.

    ―Ha altri dettagli?― aveva chiesto all’assistente.

    ―Stanno svolgendo una procedura di selezione per un cliente molto grosso e importante.

    ―E chi vi ha detto che voglio lavorare lì...?

    ―Signorina Marsden, io semplicemente...

    ―Sì, lo so. Mi dispiace. Lei esegue gli ordini e il mio nome è stato raccomandato da qualche estraneo all’agenzia.

    ―Mi piacerebbe poterle dire di più, ma è tutto ciò che mi ha riferito il signor Talley... Lo sa? Mi si complica la giornata quando lui non ottiene i risultati che si aspetta.

    ―E ora il risultato è riuscire a convincermi a partecipare all’incontro?

    ―Beh, io...

    ―Da quanti anni lavora per la ditta?

    ―Più di quindici anni.

    ―Capisco, Marla. Non vorrei rovinarle la giornata. Ci sarò.

    ―Grazie, signorina Marsden.

    L’idea di incontrarsi con Matt la inquietava e al contempo la riempiva di curiosità.

    Da quando lo aveva visto la prima volta, quando aveva quattordici anni, era stata catturata dalla sua sicurezza e dal suo carisma. Lui andava spesso a casa loro, perché era assistente di suo padre. Anche dopo essersi laureato all’università, Matt aveva continuato a far loro visita. Era bellissimo ma in modo poco convenzionale. Forse era la durezza dei suoi lineamenti intelligenti, la dolcezza di quella bocca sensuale o gli spettacolari occhi verdi, ma il tutto faceva di lui un uomo impossibile da ignorare. Il modo in cui era solito inarcare un sopracciglio quando lei faceva un commento che lo lasciava perplesso, gli conferiva un’aria tenebrosa e riflessiva. Era affascinata dal modo in cui i suoi occhi brillavano quando diceva quello in cui credeva o difendeva una sua idea; o da come gli si illuminava il volto quando scoppiava a ridere. Il suono grave e profondo della voce di Matt era meraviglioso. Tra loro c’erano otto anni di differenza, e per questo, forse, lui l’aveva sempre vista come una ragazzina un po’ irritante.

    Le dispiaceva aver fatto proprio con lui l’esperienza giovanile più umiliante, una che aveva segnato la sua adolescenza.

    Anni prima, suo padre aveva deciso di organizzarle una grande festa per il suo compleanno. E, ovviamente, il suo pupillo prediletto aveva partecipato. Non senza una compagnia femminile; questo era impossibile. Lo aveva accompagnato una donna che sembrava uscita da una rivista d’alta moda. Victoria non amava occuparsi di faccende di moda, ma quando non poté evitare di paragonarsi a quella ragazza che era al braccio dell’uomo che lei adorava, il suo punto di vista in merito alle questioni collegate con il vestiario assunse un’altra angolatura. Iniziò a provare interesse. Un pochino.

    Per la sua festa, ebbe la buona idea di andare ad un salone di bellezza e depilarsi le sopracciglia per la prima volta, chiedendo che le dessero un’espressione simpatica. Ovviamente, non ebbe voce in capitolo sull’orrendo vestito nero che suo padre volle farle indossare a tutti i costi. Sì, i suoi seni erano cresciuti, notevolmente, la vita si era ristretta e le cosce tornite con delicatezza. Nonostante questo vestito non fosse aderente e nascondesse tutto quello che di rado esibiva, lei sapeva che Matt sarebbe venuto, per il suo compleanno, e avrebbe voluto mettersi in mostra.

    Quasi nessuno dei suoi compagni di classe partecipò alla festa. La data aveva coinciso con la festa che dava Maggie Bones, la ragazza più popolare della scuola. Non fu lei la prima scelta dei suoi compagni di classe per festeggiare i suoi diciassette anni. Avrebbe gradito che Lilly Talley non fosse stata malata, perché, anche se era la sorella di Matt e tra loro non erano amiche, si trovavano bene a conversare, ogni volta che si incontravano. Con sua grande gioia, comunque, lei era sempre nella lista delle priorità di Devon, suo amico adorato e incondizionato. Alla fine, non le importava che gli altri non fossero andati alla sua festa.

    Devon Patroll era figlio dei proprietari di una delle concessionarie di automobili più grandi degli Stati Uniti. I Patroll si conoscevano con John Marsden da tutta la vita, e l’amicizia era arrivata fino ai figli di entrambe le famiglie. Devon aveva una sorella gemella, Julianne, che però non aveva nessun rapporto con Victoria, se non il saluto e qualche misera conversazione. Non c’era chimica, tra loro.

    Devon non la faceva mai sentire a disagio né la prendeva in giro per le sue pronunciate curve femminili. Al contrario, le diceva che l’invidia e le beffe facevano diventare la gente stupida, ed era quello che lei doveva pensare di chiunque la prendesse in giro. Come poteva non amarlo?

    La sera della festa, fu la prima volta che Victoria bevve più di quattro coppe di champagne. Pessima idea, soprattutto perché la sua disinibizione – e senza buon senso, tra l’altro – la indusse ad approfittare di un momento in cui Matthew rimase solo, per avvicinarlo. «È il momento perfetto», pensò, prima di attuare il suo piano. Un piano che si rivelò il peggiore che avesse mai macchinato.

    ―Salve, Matt― lo salutò, toccandogli la manica della giacca nera. Secondo lei, anche se lui indossava una tuta da meccanico, sarebbe stato comunque elegante e distinto. Era bellissimo, eppure sembrava non scomporsi affatto per il modo in cui le donne praticamente se lo mangiavano con gli occhi.

    ―Victoria Anne―. Lei detestava che la chiamasse in quel modo. ―Buon compleanno! Diciassette, giusto?

    ―Diciassette― enfatizzò lei. ―Non si notano, forse?― cercò di fare la civetta, sorridendogli e strizzandogli l’occhio. Perché o era così, o accettava che il suo orrendo vestito la facesse apparire come un tavolo con la tovaglia sopra. Era lieta che due mesi prima le avessero tolto l’apparecchio ortodontico, altrimenti non avrebbe neanche potuto sorridere. Il che sarebbe stato un peccato perché, almeno secondo suo padre, aveva un sorriso bellissimo.

    ―In realtà, no, ma sono certo che col tempo cambierai.

    Le coppe che aveva bevuto prima impedirono a Victoria di offendersi. «Grazie, universo, per l’invenzione dello champagne!»

    ―Matthew?― lo chiamò, schiarendosi la gola con delicatezza.

    Lui piegò leggermente la testa, guardandola negli occhi.

    ―Dimmi, Victoria Anne― rispose, in tono burlone. Quel giorno, per uno stupido errore aveva perso la possibilità di agganciare un cliente europeo molto importante. Voleva solo spassarsela con Charlotte per sfogare la sua frustrazione. Al compleanno di Victoria non poteva mancare, però, sicché si era dovuto portare dietro la sua amante. A festa finita, avrebbe potuto dare libero sfogo a un ardente incontro di sesso. Cercò Charlotte con lo sguardo, di nascosto. Non era da nessuna parte.

    ―Credo che potresti ballare con me― affermò lei, muovendo le scarpe grigie col tacco sull’erba del giardino. Lo guardò con quegli occhi azzurri così limpidi e onesti che Matthew non vedeva da tanti anni in una donna. Le ragazze con cui usciva erano delle arpie, ma, dato che non cercava compromessi, era felice con qualsiasi donna che fosse brava sotto le coperte. ―In fondo, è il mio compleanno, e Devon― indicò con la testa il punto in cui il giovane stava parlando con John ―non è capace di ballare in coppia―. Fece spallucce, come per concludere quella spiegazione.

    Matt sorrise.

    ―Dai... che scortesia, da parte mia, non invitarti a ballare alla tua stessa festa di compleanno. Mi faresti l’onore?― Le tese la mano quando iniziò a suonare una bella ballata.

    Lei prese quella mano e in quell’istante si sentì la ragazza più felice del mondo. Il cielo di San Francisco le regalava una notte stellata e vento fresco. Matthew la conduceva al ritmo della musica e Victoria si sentiva fluttuare.

    Alla fine del pezzo, lui l’accompagnò fuori dalla pista e lei approfittò della lontananza dagli invitati per coglierlo alla sprovvista, piantandogli un bacio sulla bocca. Forse se l’era meritata tutta, la reazione seccata che Matthew ebbe verso di lei: la prese con forza per il polso, senza farle male, e la guardò negli occhi, furioso.

    L’effetto dell’alcol le sfumò dal corpo, quando si rese conto di quello che aveva fatto. Non riuscì ad identificare se negli occhi di Matt vedeva, oltre alla rabbia, anche condiscendenza o compassione, e questo le fece sprofondare l’anima. Desiderava che la guardasse allo stesso modo in cui lei guardava lui: con speranza e amore. Capì, sconfitta e triste, che non era possibile.

    ―Perché lo hai fatto, Victoria Anne Marsden?― domandò, senza lasciarle il polso e mostrando i denti mentre parlava, quasi sputando le parole.

    ―Io... io volevo sapere cosa si provava― abbassò lo sguardo, pentita del suo stupido impulso. ―Mi dispiace, Matthew...― Le lacrime le si bloccarono in gola. ―Io...

    Le mani di Matt si posarono sulle sue spalle.

    ―Sei una bambina, per me, e la figlia di un amico che apprezzo e rispetto come un padre. E a te resta molto, sia da vivere che da imparare―. Se lei avesse potuto scavare una fossa e gettarcisi dentro, lo avrebbe fatto. ―Voglio che ti sia chiaro: ti vedo come una sorella. Niente di più.

    Questa frase fu per lei una pugnalata nel cuore. Diventò pallida.

    ―Mi piaci molto, Matthew...― sussurrò, un miscuglio di desiderio e tristezza.

    Lui ebbe la decenza di non mettersi a ridere. Allentò la pressione sulle sue spalle e fece un sospiro, come se fosse stanco.

    ―Questo non è vero. È solo l’effetto dell’alcol. Le bambine della tua età non dovrebbero bere tanto...e, nel tuo caso, per niente. «Non sono una bambina» aveva voglia di gridare lei. ―Victoria Anne, è sempre meglio la sincerità. Quello che ti dirò è perché non vorrei che tu fraintendessi le cose―. La guardò serio, e lei si impose di non tremare. Il dolore del rifiuto era molto duro, a quell’età, quando le speranze ti ribollono dentro. ―Ti apprezzo, ma non ti vedrò mai come una donna; una compagna, per essere più esatto, perché quello che provo per te è più vicino ad un affetto familiare. Comprendilo.

    Matt sapeva di essere crudele, ma non voleva limonare con un’adolescente. Lui non aveva niente da offrirle. Era spezzato dentro. Scoraggiarla era l’unica maniera per fare sì che Victoria si togliesse dalla testa le fantasie nei suoi confronti. Non credeva nelle cavolate romantiche. Non più. Con Victoria, per quanto una parte di lui lo spingesse a prendere quello che lei gli offriva, non poteva permettersi di essere debole. Aveva altri obiettivi. La sua professione era tutto, e non poteva rischiare il futuro che aveva davanti, per una sola notte. Tra l’altro, come poteva mettersi con la figlia del suo mentore e capo? Impossibile. Avrebbe mandato all’aria le sue possibilità, se lei avesse deciso di rendergli la vita impossibile davanti a John. Era una questione di priorità: e, per lui, sarebbe sempre stata la sua carriera.

    Victoria non poteva sentirsi più mortificata e amareggiata. E la botta finale le arrivò quando vide la mora dalle gambe interminabili mettersi a fianco di Matthew, che la baciò con ardore davanti ai suoi occhi azzurri, carichi di tristezza e sogni romantici infranti. «Questa passione doveva essere mia e di nessun’altra». Le sembrò che l’alcol si fosse trasformato in una ferita aperta. Matt le aveva appena spezzato il cuore in modo crudele.

    Con l’orgoglio calpestato, Victoria si girò e se ne andò.

    Da quella sera, lui non tornò ad incrociare il suo cammino. In realtà, lo evitò a tutti i costi. In tutto quell’orribile anno del suo diciassettesimo compleanno, in cui lei iniziò il college e si trasferì fuori dal centro città.

    E adesso, sette anni dopo, stava per andare a colloquio da lui. Si diceva che lo faceva perché la povera Marla era sembrata tanto addolorata e preoccupata, che non le era rimasto altro che accettare l’incontro, ma la verità era che la sua vena curiosa palpitava di sapere che tipo di cliente stavano trattando in agenzia e che genere di benefici offriva la Spring & Marsden.

    Nonostante sapesse di essere l’erede naturale delle azioni dell’agenzia, tuttavia non voleva averci niente a che fare, a meno che non fosse per propri meriti. A quanto pareva, era il caso di questa situazione. Se avesse avuto qualche sospetto che suo padre stava tentando di attirarla con degli espedienti, avrebbe rifiutato qualsiasi conversazione o proposta, e avrebbe abbandonato gli uffici dell’agenzia immediatamente.

    Anche se era passato quasi un anno da quando era iniziato l’inferno che aveva vissuto, pensare a Devon, e a come avevano dovuto separarsi, le causava molta tristezza e senso di colpa. Suo padre non le aveva creduto, quando lei avrebbe avuto più bisogno di lui. Per questo si sentiva tradita e addolorata.

    Con un sospiro, si sistemò una forcina tra i capelli e uscì di casa.

    ***

    Il bozzetto che Matt stava revisionando era uscito come sperava, e la presentazione in digitale era eccellente. Si sentiva orgoglioso del suo gruppo di lavoro. Si sarebbero aggiudicati l’appalto Harrington, ne era sicuro. Controllò il suo piano di lavoro. «Altra giornata complicata.»

    Si prese una tazza di caffè.

    ―Marla― chiamò con l’interfono.

    ―Sì?

    ―È confermato o no l’arrivo di Victoria Marsden?

    ―Mi hai costretto a mentirle...

    ―Non ho tempo per le tue recriminazioni―. Aveva un affetto speciale per quella donna. Se sua nonna Edna l’avesse conosciuta, sicuramente sarebbero state buone amiche, pensò. ―Rispondimi e basta, per favore.

    ―Spero che sia per una buona causa.

    ―Non dovevi andare a fare i tuoi esami medici di routine?― domandò in cambio.

    ―D’accordo, ragazzo. Non mentirò mai più per te, che sia chiaro.

    ―Questo significa che sei riuscita a farla venire?― insistette, sollevando gli occhi al cielo.

    ―Sì...

    ―Bene. Buona fortuna con la tua visita medica. Sono le nove e mezza. Sei in ritardo.

    ―Dovresti darmi una promozione...― mormorò, prima di chiudere la comunicazione.

    Matthew si appoggiò alla poltrona.

    Si considerava un uomo fortunato; almeno, adesso lo era. Se guardava indietro di una decina di anni, non restavano tracce del ragazzo spaurito che era stato strappato al legame di quella famiglia anormale e violenta a cui apparteneva. Né esisteva più l’insicurezza che aveva avuto, quando aveva iniziato a farsi strada nel mondo del lavoro e pensava di non farcela. Adesso, era un uomo sicuro, deciso e di successo.

    Gli piaceva lo spazio in cui lavorava ogni giorno, specialmente il suo ufficio: molto ampio, con arredi art déco e una grande poltrona, sufficientemente imbottita per fare una pausa quando i suoi neuroni dovevano riprendersi. Il suo maggiore orgoglio era la mensola, vicino alla biblioteca improvvisata, con tutti i premi che aveva vinto per la Spring & Marsden con le sue campagne pubblicitarie. L’agenzia prendeva sempre dei riconoscimenti, quando c’erano i galà di premiazione per i pubblicitari della regione.

    Rivolse lo sguardo all’elenco delle riunioni sul foglio excel che Marla gli aveva mandato per email la sera prima. Mentre lo faceva, la porta del suo ufficio si aprì di scatto ma lui non si scompose; aveva delle idee in testa e guardava il suo computer, totalmente concentrato.

    ―Buongiorno― disse una voce vagamente familiare.

    ―Sì?― domandò, senza smettere di guardare lo schermo del computer.

    Dato che la persona non rispondeva, smise di leggere lo schermo e si girò. Quel viso. I capelli color mogano erano splendidamente acconciati e ricadevano come preziose tende di seta. Il nasino all’insù, labbra colorate di rosa; e poi l’errore di fissarla negli occhi. Non aveva mai dimenticato quelle lagune calde e limpide che guardavano con innocenza, perché non aveva mai ritrovato quella sincerità nello sguardo di nessuno.

    ―Victoria Anne?― domandò retoricamente. Non si aspettava che la sua bellezza lo avrebbe colpito in quel modo. Si schiarì la gola con studiata dissimulazione. ―Mi fa piacere che sei venuta. Posso offrirti qualcosa da bere?― Le fece segno di accomodarsi.

    ―No, grazie, sto bene così― rispose senza emozione, anche se i suoi sensi erano ben consapevoli di quanto lui fosse bello. «Bello? Naa. Era impressionante». Il cuore accelerò, e cercò di respirare più lentamente. Dio, che ingiustizia per il suo autocontrollo! Perché non era brutto, smunto, e magari anche con la pancetta? Gli anni erano stati più generosi con lui. Matt risplendeva, più imponente e bello dell’ultima volta che lo ricordava. E da allora era passato molto tempo, ormai.

    Senza riuscire ad evitarlo, si ricordò della stupidaggine che aveva commesso quella sera, dopo che lui l’aveva rifiutata al suo compleanno.

    Sensibile com’era, dopo le coppe di champagne che aveva trangugiato con così tanta generosità, era uscita correndo dalla sua camera dopo aver lasciato la pista da ballo, luogo del rifiuto di Matthew. Nel tragitto, si era scontrata con un simpatico ragazzo che si era presentato come Wayne, figlio di un certo Arthur Parker, amministratore di un locale di moda in quegli anni, e amico di suo padre.

    Quando l’aveva vista piangere, così abbattuta, l’aveva consolata, dapprima con un abbraccio. Dopo, poco a poco, le sue carezze era cambiate, e lei non le aveva rifiutate. Wayne le disse che poteva curare la sua tristezza, quella sera. Sentendosi umiliata e risentita con Matt, permise a quel ragazzo di accompagnarla in camera sua.

    Wayne fu abbastanza attento, quando si rese conto della sua innocente ingenuità. Il dolore che provò al principio passò rapidamente. Poi, man mano, si lasciò andare alle nuove sensazioni che sperimentava. Lui pronunciava ogni tipo di incoerenza, il che le diede fastidio, mentre l’accarezzava e la baciava. Lei, dal canto suo, pensava che chi le stava portando via l’innocenza, quella sera, era un bel pubblicitario che le aveva spezzato il cuore minuti prima, e non lo sconosciuto figlio di uno degli invitati di suo padre.

    Grazie a Dio, quella sera non ebbe conseguenze. Era stata stupida e impulsiva. Mossa dal risentimento e dal rifiuto. Si pentì di essere andata con Wayne: non fu altro che un riprendere coscienza, risvegliandosi un po’ dolorante, nuda e sola nella sua camera. Quella stessa mattina, finalmente più libera e decisa, informò suo padre che voleva andarsene per conto suo, con i risparmi che sua madre le aveva lasciato prima di morire. John si arrabbiò con lei. Ma nella sua decisione non era sola, perché trovò l’appoggio di Devon.

    Ma ormai quello era il passato, e adesso stava di nuovo per conto suo. Sola.

    ―Bene, non mi chiamavano con i miei due nomi da molto tempo― abbozzò un sorriso per rompere il ghiaccio. ―Vedo che hai avuto un grande successo. Mi rallegro per te― disse con sincerità, ammirando lo spazio che li circondava e i premi e i riconoscimenti esposti sulla libreria.

    ―Grazie― rispose, alquanto sintetico. Non sapeva come reagire, senza dire una qualche stupidaggine sulla sua bellezza, o sulla sensualità discreta che lei emanava. ―Mi hanno parlato molto bene del tuo lavoro, e ho avuto l’opportunità di vedere un paio di cose tue― disse, cambiando argomento. ―Hai iniziato una carriera molto interessante, per essere così giovane. La campagna delle stilografiche di lusso non ha precedenti. E quella de L’Oreal è stata decisamente impressionante; l’idea di lavorare quel concetto con i capelli è stato davvero innovatrice.

    Si sentì lusingata nel sentirlo menzionare alcuni dei suoi successi. Supponeva che fare la pubblicitaria, essendo cresciuta circondata da quel linguaggio, fosse la carriera più naturale da seguire.

    ―Mi fa piacere che lo consideri un buon lavoro.

    ―Victoria Anne...

    Lei inclinò la testa, sorridendo. Nonostante detestasse essere chiamata con i suoi due nomi, per qualche motivo con la voce di Matt suonava perfetto. Tentò di pensare ad altro, non voleva riesumare emozioni che aveva sepolto molto tempo prima.

    ―Ci conosciamo da tanti anni, preferisco che mi chiami Victoria o Tori. Mi fa strano quando qualcuno mi chiama in un altro modo.

    ―D’accordo. Victoria, allora― concesse con un cenno della testa. Quegli occhi azzurri lo avevano perseguitato per tutti quegli anni, chiedendogli una parola gentile; ma adesso lo osservavano, calmi e imperturbabili. Tuttavia, erano anche pieni di una tristezza profonda, che lei tentava di coprire mantenendo un atteggiamento sereno. Non c’era più la scintilla di emozione che lui aveva conosciuto nella Victoria adolescente. Avevano passato troppi anni senza parlarsi, per cui erano praticamente due estranei.

    Matt non si rese conto che la stava osservando fisso da diversi secondi, finché lei non inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. Lui si schiarì la gola, cercando di dissimulare l’ovvietà del suo sguardo scrutatore. Che diavolo gli era preso?

    ―Qui in azienda esiste il novantanove percento di certezza che entri un cliente molto importante. Si tratta di un lavoro complicato, che durerà finché Paul Harrington, il cliente, non deciderà quale agenzia gestirà la campagna nazionale per la promozione di The Dolphin Shine, la nuova linea di orecchini e ciondoli di diamanti della loro azienda. Si tratta di una linea di lusso. Se il progetto negli Stati Uniti andrà bene, probabilmente allargheremo la campagna fino all’Europa. Anche se quest’ultima cosa è prevista entro i cinque mesi successivi all’avvio della campagna in tutto il paese. Abbiamo bisogno di una persona che si incarichi di fare da tramite tra Paul e noi. Ho visto che sei specializzata anche in relazioni pubbliche, e questo è un plus. Sicuramente ti avvali anche di questa expertise per il lavoro di pubblicitaria, vero?― Lei annuì.

    ―Io non ho inviato il mio curriculum― disse, ripetendogli quello che aveva tentato di dire a Marla, prima che l’interrompesse.

    ―Ma hai un profilo su Linkedin― disse lui con un sorriso, quando lei annuì. Per fortuna si era aggiornato, e Victoria, aveva in effetti un account professionale sulla piattaforma. ―La persona assunta sarà presente alle riunioni con me.

    Lei lo interruppe con un gesto della mano. Si accigliò.

    ―In qualità di cosa, esattamente?

    ―Cerchiamo un esecutivo per quel cliente. Io sono il responsabile dei clienti VIP, e quindi il capo dipartimento. L’importo dello stipendio te lo comunicherà più in dettaglio Jude, alle risorse umane. Quando ci aggiudicheremo l’appalto,

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