Locus Sanctorum: Comacchio e Ferrara nei secoli
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Anteprima del libro
Locus Sanctorum - Antonio Samaritani
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Intro
Questo libro pubblica due inestimabili saggi di due fra i maggiori storici del territorio ferrarese: Monsignor Antonio Samaritani (1926-2013) e Don Enrico Peverada. Il primo studio, Locus Sanctorum, si occupa dei luoghi sacri nell’area comacchiese e sul relativo versante adriatico; il secondo, I Giglioli: favoriti e perseguitati di Nicolò III D’este, riporta fra l’altro anche un prezioso documento (in lingua originale latina) del 18 maggio 1434.
LOCUS SANCTORUM
Antonio Samaritani
Richiamiamo una panoramica ambientativa.
Durante l’occupazione longobarda (568-775/776), per quanto riguarda la fascia costiera tra Ravenna e Grado, è verosimile che Comacchio sia stata fortificata in quanto in posizione di poter sbarrare la strada verso Ravenna.
Agilulfo espugnò e rase al suolo Padova nel 615, devastò l’Istria, occupò Monselice e Altino (diocesi dal IV secolo dell’entroterra veneto, collegata con Ravenna) quest’ultima venne abbandonata nel 647 ca., quando aggredita da Rotari la popolazione con il vescovo emigrò a Torcello, in laguna.
Qui l’esarca Isacio con l’intervento del dux militum del luogo, aveva eretto la celebre basilica, la cui consacrazione, compiuta dal vescovo Mauro nel 639, è attestata dall’epigrafe che costituisce il documento più antico della consociazione lagunare, dalla quale, distaccatasi da Torcello, sorgerà Rialto-Venezia.
La basilica di Torcello rimanda come stile alle quasi coeve basiliche di Ravenna (secolo V), di Parenzo (secolo VI) e di Grado (avanzato secolo IV).
In questo contesto Adria, essendo rimasta bizantina, permise a Ravenna di rimanere ininterrottamente in contatto con Torcello, Grado e l’Istria.
Comacchio diveniva così, tra la fine del secolo VI e l’inizio del VII, la chiave di volta
del sistema di collegamento endolagunare e costiero tra la capitale dell’Occidente bizantino e l’Istria, tradizionale fornitrice di derrate (Cassiodoro, Variae, XII, 24, aa. 537-38).
A ridimensionare, a sua volta, il capitolare
di Liutprando in favore dei comacchiesi del 10 maggio 715 o 730 (circa i pedaggi da contribuirsi dai milites locali nei porti del regno longobardo, con fondata probabilità risalente a patti avvenuti tra il 603 e il 643) erano sopraggiunte la caduta dell’esarcato nel 751 con l’occupazione da parte di Rotari e la contemporanea affermazione dei venetici sostenitori dell’autorità bizantina contro i longobardi e poi i franchi.
Questi accadimenti favorivano Rialto-Venezia nei riguardi di Comacchio e di Grado.
In correlazione agli atteggiamenti filofranchi mostrati dai comacchiesi sin dalla conquista da parte di Pipino nel 754 del regno longobardo (includente pure l’Istria), nel Patto di Lotario (840) questi verranno aggregati al regno italico, per quanto in posizione minoritaria rispetto a Venezia, derogando così alla loro prevista inclusione della restituzione
di Pipino alla Chiesa del 755, rinnovata poi nel 774 ¹.
Già il 15 marzo 781, Carlo Magno era intervenuto dalla parte dei comacchiesi, sostenuti dal loro vescovo, in merito ai contributi da versare nei porti del regno ².
I bizantini in evidente favore di Venezia tra l’808 e l’809 puntano a distruggere Comacchio difesa da Pipino che attacca Venezia.
Papa Giovanni VIII, che nell’874 aveva ribattuto all’imperatore Ludovico II di non aver sottratto all’arcivescovo di Ravenna in Cumaclo
il monastero di Pomposa e l’anno successivo Comacchio aveva subito la disastrosa invasione saracena, ancora nell’879 invita Berengario, duca carolingio del Friuli, a soccorrere il vescovo di quella stessa città Stefano in merito alla cura di quel ducatus (ducato in senso molto lato e limitativo) in dissenso con i suoi cives.
Non prendendosene cura Berengario, il papa si rivolgerà al duca di Venezia Giovanni, al quale si sostituirà, per un malinteso tra Roma e Venezia, il vescovo di Pavia.
In questo contesto si colloca il placito dell’850-859 con rimandi al 778 e al 744 che oppone i comacchiesi di un determinato plesso territoriale extracittadino all’arcivescovo di Ravenna ³.
Comacchio, frattanto, nella seconda metà del secolo decimo, si presenta da un punto di vista urbanistico, strutturata in regiones.
Ripartizioni per regiones, remotamente, sono reperibili a Roma dall’età repubblicana e imperiale, a Ravenna dai tempi dell’annessione a Roma (per quanto si può supporre), restano documentate dai tempi di Agnello quali che siano le vicende polisemiche del vocabolo, nella prima metà del secolo IX e a Ferrara, in epoca precedente la metà dell’VIII secolo, quando nel 757 la città è documentata per la prima volta.
A Ravenna tali ripartizioni sono contrassegnate quasi sempre, a Ferrara e a Comacchio sempre, da nomi di santi ⁴, dentro e fuori il castrum.
La prima regione documentata a Comacchio è Santa Maria Formosa, monastero (secolare, ritengo) nel 963, menzionata ancora nel 977, 1003, 1004 (due volte) e 1007.
Il titolo rimanda a Ravenna, in quanto l’arcivescovo Massimiano di quella città (aa. 546-556 ca.) eresse in Pola, sua patria, e annesse poi al proprio arcivescovato una maestosa basilica sotto questa denominazione ⁵.
A Ravenna in età bizantina, non meglio precisabile, si trovava una S. Maria in Callore (ossia Formosa) nell’area centrale della città ⁶.
A Venezia abbiamo una Santa Maria Formosa chiesa matrice, comunemente riferita all’inizio del secolo X, ma la cui esistenza risalirebbe al VII, precedente quindi