Guida del pellegrino di Santiago: Libro quinto del Codex Calixtinus. Secolo XII
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Anteprima del libro
Guida del pellegrino di Santiago - Paolo Caucci von Saucken
Capitolo primo
MILLE ANNI IN YTINERE SANCTI JACOBI
Nel mondo in piena evoluzione e rinnovamento che comincia ad articolarsi con Carlomagno, un avvenimento di eccezionale importanza scuote improvvisamente tutta la cristianità: all’estremo occidente del mondo conosciuto, sulle sponde dell’Atlantico, viene scoperta da Teodomiro, vescovo di Iria Flavia, la tomba dell’apostolo Giacomo che la tradizione voleva fosse stato l’evangelizzatore della Spagna. Agli inizi sembra trattarsi di una questione che ha rilievo locale e che può influenzare solo i regni cristiani del nord della penisola iberica, impegnati nella dura lotta contro gli arabi, poi la devozione si estende vertiginosamente e accende un pellegrinaggio che ancora non si è spento. Prende vita in tal modo un fenomeno che avrà conseguenze determinanti nella formazione della civiltà occidentale e che lascerà profondi segni nelle città, nelle espressioni artistiche e letterarie, nei costumi, nell’organizzazione assistenziale, nelle strutture sociali, nel folclore di tutta Europa¹, tali da far dire da più di una voce che l’Europa si è formata attraverso il pellegrinaggio compostellano².
Si è discusso ampiamente sulle origini del culto di san Giacomo in Spagna³. Elementi certi confermano come la tradizione della sua predicazione nella penisola iberica sia anteriore alla scoperta della tomba da parte di Teodomiro. Se ne parla in una serie di documenti liturgici, il più esplicito dei quali è il De ortu et obitu patrum, opera attribuita a sant’Isidoro di Siviglia (570?-636) in cui si indica la genealogia di Giacomo, gli si attribuisce erroneamente l’epistola di Giacomo Alfeo, si sostiene la sua predicazione in Spagna e nelle estreme regioni occidentali e si riafferma la sua morte sotto Erode Agrippa. Si aggiunge, inoltre, che è seppellito in acha marmarica, toponimo che ha dato origine alle più varie interpretazioni: Iacobus, filius Zebedaei, frater Ioannis, quartus in ordine, duodecim tribus quae sunt in dispersione gentium scripsit atque Spaniae et occidentalium locorum evangelium praedicavit et in occasum mundi lucem praedicationis infudit. Hic ab Herode tetrarcha gladio caesus occubuit. Sepultus est in acha marmarica⁴.
Il tema è ripreso con maggiore vigore nella seconda metà dell’VIII secolo nei Commentari dell’Apocalisse conosciuti con il nome generico di Beatos e, alla fine del secolo, sempre in ambiente asturiano, nel significativo inno O Dei Verbum Patris, ove san Giacomo viene definito Caput refulgens aureum Ispanie/Tutorque nobis et patronus uernulus, cioè testa risplendente d’oro in Spagna, nostro tutore e patrono del nostro paese…⁵. Per la prima volta san Giacomo viene chiamato patrono della Spagna, legando il suo nome definitivamente al destino di questo paese.
Quando Teodomiro scoprirà la tomba dell’apostolo, si avrà la conferma di una evangelizzazione e di una presenza nella penisola iberica annunciata da tempo. L’evento non sembra stupire nessuno e presto l’acha marmarica degli antichi breviari visigotici viene identificata nell’arca marmorica, ovvero nel sepolcro romano di marmo, dove Teodomiro aveva individuato i resti dell’apostolo⁶.
Tutto ha inizio, quindi, con la scoperta da parte del vescovo di Iria Flavia Teodomiro († 847) del sepolcro in cui immediatamente vengono riconosciute le spoglie dell’apostolo Giacomo. La Revelatio avviene, come ricorderà la Historia compostellana, dopo angelici segnali e l’apparizione di misteriose luci celesti che faranno, in seguito, nascere l’interpretazione del toponimo compostella come derivante da campus stellae, il «campo della stella»⁷. Nel Tumbo A, che raccoglie i più antichi documenti compostellani, una bella miniatura mostra il vescovo Teodomiro nel momento della eccezionale scoperta⁸. Intorno viene fatta costruire una piccola chiesa ex petra et luto opere parvo, secondo la descrizione dell’atto di consacrazione della chiesa che nell’899 la sostituirà, dallo stesso Teodomiro che ottiene subito dal re Alfonso II alcuni significativi privilegi. Ne vengono beneficiati Ildefredo e la comunità di dodici monaci a cui è affidato il culto di quello che viene indicato come Locus Sancti Jacobi. La chiesa ottiene inoltre una zona di uso esclusivo di circa tre ettari che si estende sulla collina alle sue spalle e che costituisce il primo spazio su cui si espanderà la città di Santiago.
López Alsina⁹, che ha studiato attentamente lo sviluppo medievale di Santiago, individua due primi gruppi di edifici: uno direttamente legato agli interessi del vescovo che ancora risiede ad Iria Flavia e l’altro alla comunità monastica. L’intera zona viene poi cinta da mura fornite di torri difensive. Sempre nel IX secolo il Locus sanctus aumenterà la sua zona di influenza diventando de jure titolare di una zona, prima di 85 chilometri quadrati, poi, dall’858, di 240. Segno evidente dell’improvvisa, fortissima devozione che si è accesa intorno al luogo dove riposano le ceneri di san Giacomo e anche del ruolo che i re leonesi vogliono attribuire a questo culto¹⁰.
Un ulteriore indizio dello sviluppo che sta assumendo la venerazione a san Giacomo in questa estrema terra dell’occidente è dato dall’esigenza di costruire una nuova e più capiente chiesa, non essendo più sufficiente quella fatta edificare da Teodomiro. Se ne occupa il vescovo Sisnandus (880-920), che è il secondo grande promotore del culto jacopeo, insieme al re che lo protegge, Alfonso III. La chiesa è solennemente inaugurata nell’899 e si trova ormai al centro di un piccolo ma attivo centro urbano in continua espansione. Diverse donazioni reali indicano come siano già presenti a Santiago numerosi pellegrini ai quali si fa espressamente riferimento per la loro assistenza. Vicino agli edifici ecclesiastici, nascono abitazioni di artigiani, di piccoli nobili, di uomini affrancati dal servaggio della gleba che, per un privilegio concesso da Ordoño II nel 915, rompono ogni vincolo con l’antico padrone se riescono a soggiornare dentro le mura della nuova città perlomeno quaranta giorni.
I pellegrinaggi ormai si estendono oltre i confini della Spagna. La prima documentazione certa è del 950 e indica un pellegrinaggio organizzato da Gotescalco, vescovo di Le Puy, che va a Santiago guidando una grossa comitiva. Lo testimonia l’abate Gómez, del monastero riojano di Albelda, il quale copia un prezioso manoscritto per il vescovo «qui, gratia orandi egressus a partibus Aquitaniae, devotione promtissima, magno comitatu fultus ad finem Gallecie pergebat concitus»¹¹.
Una spedizione musulmana guidata da al Mansur si abbatte nel 997 su Santiago che viene rasa al suolo¹². Dalla spedizione si salva solo l’edicola sepolcrale intorno alla quale il vescovo San Pedro Mezonzo (930-1003) e il re Bermudo II († 999) fecero costruire immediatamente una nuova chiesa, la terza, che tuttavia pochi anni dopo è già insufficiente a contenere i pellegrini che ormai da tutta la cristianità vi giungono sempre più numerosi. Tanto che il vescovo Diego Peláez, nel 1075, pone la prima pietra nell’attuale cattedrale di Santiago, una basilica adeguata al culto che ormai è esteso in tutta Europa¹³. La crescita della città, quindi, va di pari passo con lo sviluppo del pellegrinaggio, anzi ne è uno degli indici più significativi. D’altra parte il pellegrinaggio a Santiago è ormai una precisa realtà e alla fine dell’XI secolo comincia ad essere ampiamente documentato in tutti i paesi cristiani, unitamente a quanto esso riflette nei costumi, nell’arte, nella vita spirituale dei paesi interessati: è una presenza peculiare che si articolerà, con un linguaggio specifico e riconoscibile, nella fondazione di chiese, di ospedali, di confraternite, nella redazione di guide, nella letteratura di viaggio, nella pittura, nella scultura, nella musica, nella diffusione di leggende e di tradizioni tipicamente jacopee.
Nel Liber Sancti Jacobi leggiamo una suggestiva descrizione della presenza a Santiago di pellegrini provenienti da ogni parte della cristianità: «A questo luogo vengono i popoli barbari e coloro che abitano in tutti i climi della terra e cioè: i franchi, i normanni, gli scozzesi, gli irlandesi, i galli, i teutoni, gli iberi, i guasconi, i bavari, gli empi navarri, i baschi, i goti, i provenzali, i garaschi, i lorenesi, i gauti, gli inglesi, i brettoni, quelli della Cornovaglia, i flamenchi, i frisoni, gli allobrogi, gli italiani, i pugliesi, gli abitanti del Poitou, gli aquitani, i greci, gli armeni, i daci, i norvegesi, i russi, i nubiani, i parti, i rumeni, i galati, gli efesini, i medi, i toscani, i calabresi, i sassoni, i siciliani, gli asiatici, gli abitanti del Ponto, quelli di Bitinia, gli indii, i cretesi, quelli di Gerusalemme, quelli di Antiochia, di Galilea, quelli di Sardi, i ciprioti, gli ungheresi, i bulgari, gli slavi, gli africani, i persiani, gli alessandrini, gli egiziani, i siriani, gli arabi, i colossesi, i mori, gli etiopi, quelli di Filippi, quelli della Cappadocia, i corinzi, gli elamiti, quelli della Mesopotamia, i libici, quelli di Cirene, quelli di Panfilia, quelli della Cilicia, i giudei e altre innumerevoli genti di tutte le lingue, tribù e nazioni, vengono da lui in carovane, falangi, compiendo i loro voti, per ringraziare il Signore e portando il premio delle lodi. Causa allegria e ammirazione osservare i cori dei pellegrini ai piedi dell’altare di san Giacomo in continua veglia: i tedeschi da un lato, i francesi dall’altro e gli italiani dall’altro; riuniti in gruppi, con ceri accesi nelle loro mani; per cui tutta la chiesa si illumina come nel sole in un giorno chiaro…»¹⁴.
Il testo apologetico non nasconde una realtà che ormai è profondamente penetrata nel costume di tutti i paesi cristiani. Il pellegrinaggio a Santiago è ormai diventato un fenomeno imponente che coinvolge lo stesso modo di essere di gran parte d’Europa. Ne troviamo un’ulteriore conferma nella nascita di itinerari specificatamente jacopei che si formano lungo i principali percorsi verso Santiago e che la Guida del pellegrino registra puntualmente.
Uno dei problemi più importanti del pellegrinaggio compostellano fu, infatti, quello degli itinerari per raggiungere Santiago¹⁵. Un problema sentito forse con maggiore preoccupazione che negli altri pellegrinaggi medievali, perché andare ad limina Sancti Jacobi significava giungere ai confini stessi del mondo conosciuto. In ogni caso occorreva attraversare tutto il territorio oltre i Pirenei, esporsi a rischi di ogni genere, percorrere una zona di confine con il mondo musulmano, spesso insicura e in alcune parti abitata, come ci ricorda la Guida, da popolazioni ostili e inospitali. Fissare un itinerario sicuro e protetto diviene così una necessità prioritaria per i promotori della devozione jacopea.
Sul finire dell’XI secolo si consolida, così, un itinerario che assume la fisionomia di strada di pellegrinaggio, ovverossia di una strada dotata di strutture assistenziali e devozionali finalizzate al suo scopo essenziale che è quello di portare i pellegrini alla tomba dell’apostolo Giacomo, una strada che venne indicata assai presto come iter sancti Jacobi, e, successivamente, Camino de Santiago. Diverse fonti ci permettono di ricostruirla. Innanzitutto le guide per pellegrini e i racconti di viaggio che costituiscono la documentazione più diretta e reale. La Guida del pellegrino compostellano è il prototipo di questa letteratura, il testo più completo e meglio organizzato che non solo indicherà e stabilizzerà gli itinerari principali, ma marcherà anche le caratteristiche del genere. Nella Guida troviamo già tutti gli elementi utili per compiere un pellegrinaggio a Santiago in età romanica, suddivisi con un criterio pratico e ideologico che mostra chiaramente il disegno a cui si ispira.
Fin dal primo capitolo la Guida indica gli itinerari su cui si articola il pellegrinaggio compostellano: «Quattro sono le strade per Santiago che a Puente la Reina, ormai in Spagna, si riuniscono in una sola…». Dopo questa prima dichiarazione definitoria troviamo, nei successivi capitoli, informazioni più dettagliate: nel secondo si riportano le giornate in cui può essere diviso l’intero tragitto; nel terzo le città e i paesi di maggior rilievo, nel sesto si indicano i fiumi buoni e cattivi da attraversare, nel settimo le regioni che si incontrano e il carattere degli abitanti, nell’ottavo le reliquie e i corpi santi che visitanda sunt, che si devono visitare… Ci troviamo di fronte a una progressiva puntualizzazione di località, quasi a un accumulo di informazioni che vogliono chiarire tutti i problemi e tutti gli aspetti del percorso che si dovrà affrontare. L’ottavo capitolo, d’altra parte, è anch’esso fonte di ulteriori informazioni utili per l’identificazione degli itinerari. Infatti, attraverso il succedersi liturgico delle devozioni e delle visite da compiere, offre nuovi, precisi e ineludibili elementi di riferimento.
Iniziando dalla più meridionale delle quattro vie francesi segnalate dalla Guida, la via tolosana o via di Saint Gilles, Aymericus è molto chiaro: questo itinerario va per Saint-Gilles, Montpellier, Toulouse e il passo di Somport¹⁶. Nel secondo e terzo capitolo specifica che i Pirenei vanno affrontati passando per Borce «che si trova ai piedi del monte dalla parte della Guascogna», e che, sul valico, l’ospedale di Santa Cristina, potrà offrire ospitalità ai pellegrini. Quindi segnala la strada per Canfranc, Jaca, Osturit, Tiermas, Monreal, fino all’incontro con le altre tre vie più settentrionali a Puente la Reina.
Si tratta di una via che verrà seguita innanzitutto dai pellegrini provenzali, poi da quelli italiani e da quelli slavi che facilmente vi si inseriscono, sia passando dalle Alpi che percorrendo la costa ligure, ma anche dai tedeschi delle regioni meridionali che vi si immettono seguendo la Oberstrasse. È la strada più diretta per inserirsi, dal sud, nel Camino de Santiago, ma con il diffondersi nel mondo jacopeo del richiamo delle tradizioni carolingie, già nel XII secolo, si comincia a preferire, per entrare in Spagna, il valico di Roncisvalle, che viene raggiunto da Toulouse lungo una variante destinata a divenire, nel XIV e XV secolo, l’itinerario più seguito.
La via podense si iniziava ai piedi di Notre-Dame du Puy, punto di raccolta dei pellegrini borgognoni e tedeschi delle regioni centrali. Un importante ospedale forniva tutte le informazioni utili per compiere un percorso che si presentava subito impegnativo. I pellegrini dovevano infatti affrontare le montagne di Aubrac, una zona aspra e solitaria, rifugio nel Medioevo di banditi e ladri. Tra questi monti il conte Adalardo di Fiandra, di ritorno da Santiago, era stato assalito e depredato e, in ricordo della brutta avventura, vi aveva fondato un ospedale fortificato e un piccolo ordine religioso cavalleresco con il compito di curare le anime e di difendere i corpi dei viandanti. Su questo itinerario che si congiunge in Ostabat agli altri due più settentrionali la Guida indica due importanti centri di devozione: Sainte-Foy de Conques e Saint-Pierre de Moissac.
La via lemovicense, chiamata così perché passava per Limoges, veniva usata dai borgognoni, dai pellegrini del centro e del nord della Francia, dai tedeschi che vi giungevano da Treviri, e in parte, anche, dai pellegrini fiamminghi e scandinavi. Il punto di riunione e partenza era Vézelay dove si venerava il corpo di Maria Maddalena a cui la Guida dedica molto spazio e un pressante invito a fermarvisi. Con il tempo si affermarono due percorsi diversi per raggiungere Limoges, uno settentrionale per Bourges e Châteauroux, e uno più a sud per Nevers e Le Châtre. Dopo aver visitato il corpo di san Leonardo