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Il processo a Lucca del brigante Musolino. 14 aprile 1902 – 11 luglio 1902
Il processo a Lucca del brigante Musolino. 14 aprile 1902 – 11 luglio 1902
Il processo a Lucca del brigante Musolino. 14 aprile 1902 – 11 luglio 1902
E-book214 pagine2 ore

Il processo a Lucca del brigante Musolino. 14 aprile 1902 – 11 luglio 1902

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Info su questo ebook

Giuseppe Musolino era un taglialegna di 21 anni quando, per una partita di nocciole, scoppia una rissa in un'osteria a Santo Stefano in Aspromonte. Il giorno dopo, il 29 ottobre del 1897, uno degli avversari, Vincenzo Zoccali, viene ferito in un agguato. Musolino è accusato del tentato omicidio e dopo sei mesi di latitanza viene arrestato e condotto a Reggio Calabria. Il processo si basa su prove artefatte e false testimonianze che portano alla condanna per 21 anni del giovane, che però fugge dal carcere iniziando la propria vendetta. Nasce così da un errore giudiziario il mito del Brigante Musolino che in pochi mesi uccide cinque persone, ne ferisce gravemente altre quattro oltre ad essere responsabile del tentativo di aver fatto saltare in aria la casa dell'odiato nemico. Dopo una fuga rocambolesca e mesi di latitanza casualmente Musolino viene catturato nelle Marche ad Acqualagna, da due carabinieri comandati dal brigadiere Antonio Mattei (padre di Enrico Mattei). Tradotto a Lucca è processato, diventando la persona più famosa di inizio secolo in Italia, accogliendo simpatie e attirando attenzioni come eroe e giustiziere che combatte dalla parte degli ultimi.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2020
ISBN9788832281255
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    Anteprima del libro

    Il processo a Lucca del brigante Musolino. 14 aprile 1902 – 11 luglio 1902 - Stelvio Mestrovich

    Nota dell'Autore

    La vicenda, quasi epica, del brigante Giuseppe Musolino mi ha sempre interessato. Un giorno, da un libraio di Lucca, ho trovato due libri che ne parlavano e cioè Musolino di Bruno Santalena – Storia di un bandito moderno – edito dalla Società Editoriale Milanese di Milano, sita in Via Agnello, 13 e Processo Musolino e complici, resoconto stenografico illustrato a dispense.

    Da qui l'idea di scrivere un libro per riportare alla ribalta questo storico personaggio della malavita calabrese, pressoché dimenticato, almeno fuori della Calabria.

    Questo mio lavoro non è un romanzo né un saggio né vuole essere un plagio, avendo io attinto molto dai libri sopra menzionati. Vi ho raccolto dati, informazioni, cronaca giudiziaria e non.

    Certo vi è anche del mio, ma lo scopo è solamente quello di riproporre all'attenzione dei lettori la storia riassunta di un brigante calabrese che tanto fece parlare di sé non solo in Italia, ma fuori dei confini nazionali.

    Stelvio Mestrovich

    Lucca, 22 marzo 2019

    Ai Borbone e alla Calabria.

    L'inizio

    Giuseppe Musolino fu un uomo d'onore, una testa calda, un romantico e famoso brigante, accusato di omicidio in base a false testimonianze, un latitante, un omicida, un vendicatore, una leggenda. Lo giudicarono un pazzo, un oppositore dello Stato, ma così non fu. Condannato ingiustamente a 21 anni di carcere, vittima della Giustizia, di natura ribelle ma schietta, Enzo Magri lo descrisse così: un sanguinario vendicatore degli emarginati del sud, uno spaccone di paese visionario e smargiasso, il portabandiera anarchico delle lotte pre-socialiste, un paranoide sbandato e irresponsabile, una vittima del disadattamento.

    Di lui parlarono tutti i giornali, diventando un mito. Le sue vicende fecero scalpore e risuonarono per tutto il territorio nazionale e non solo, catturando, nella sua evoluzione, l'attenzione dei media dell'epoca.

    Quando fu arrestato, Giovanni Pascoli gli dedicò un'ode dal titolo "Musolino", rimasta incompiuta. Nel 1950 ispirò un film a Mario Camerini. Totò lo menzionò nella poesia A mundana. Raffaele Zurzolo ne fece un Poema. Pitigrilli gli dedicò un saggio nel 1989. Michele Fera ne raccontò la storia in dialetto calabrese. Dino Murolo e Natino Rappocciolo scrissero l'album La vera storia di Peppe Musolinu. Tuttora è ricordato e molti canti folcloristici descrivono i suoi fatti.

    Nacque a Santo Stefano in Aspromonte il 24 settembre 1876 da Giuseppe e Giovanna Filastò e morì a Reggio Calabria il 22 gennaio 1956.

    Santo Stefano è un paese di duemilacinquecento anime che risale al primo medioevo e che sorge sul versante tirrenico aspromontano della provincia di Reggio Calabria, dalla quale dista poco più di trenta chilometri. La sua ricchezza è il legname. Fiorente ne è il commercio.

    Al tempo di Musolino, taglialegna di mestiere, i duelli a base di colpi di coltello erano di ordinaria amministrazione. La malavita spadroneggiava e ciò era causa di lotte intestine tra fazioni diverse. Giuseppe, uno dei capi, con i suoi seguaci, odiava ed era odiato dai suoi nemici di paese. Era questo il clima che si respirava a Santo Stefano in Aspromonte nell'ottobre del 1897.

    Il 28 ottobre scoppiò una rissa rusticana nell'osteria della Frasca per una partita di nocciole. Da una parte Musolino e Antonio Filastò, dall'altra i fratelli Zoccali, ai vertici della locale cosca mafiosa e un loro seguace. Si smise di bere vino, di giocare alla Passatella, un gioco volgare di moda in quei paesi, di vociare e di parlare di donne. La calda atmosfera interna che si stava creando cozzava con la prima leggera nevicata che imbiancava Santo Stefano.

    Musolino era, seppure di delicata apparenza, muscoloso, vigoroso e gagliardo nel fisico. Bruno, dagli occhi vivaci, il volto pallido, i capelli crespi. Piaceva moltissimo alle fanciulle della Pieve. Rosalia si chiamava la sua prima fidanzata che poi andò sposa a un possidente di Santa Eufemia. Giuseppe si rifece con Cate, una bellissima ragazza di Aspromonte, ma sorsero contrasti nella famiglia della giovane, perché lui era considerato sì un grande lavoratore, ma anche un uomo prepotente e collerico, nonché un frequentatore dell'onorata società.

    E proprio la Passatella fu causa della rissa del 28 ottobre. Il gioco, trasformatosi in scherzo ai danni di Vincenzo Zoccali, il maggiore dei due fratelli, spalle larghe e aria da prepotente, costretto a pagare la sua parte senza però avere bevuto neppure un bicchiere di vino, che era andato a Nino Filastò, si alzò e buttò le monete della sua parte sul banco.

    - Non entrerò più in questa bettola! - gridò.

    - Nessuno sentirà la tua mancanza. - gli rispose a tono Musolino.

    - Zitto, bestia!

    - Bestia, sei tu, farabutto, che non sai stare agli scherzi!

    - Nutri rancore verso di me, stupido bellimbusto?

    - Sì.

    - Bene. Ti rispondo per le rime.

    - Non qui.

    - Vieni fuori!

    Le giovani sorelle e gli amici dei contendenti riuscirono a sedare gli animi. Ma l'odio riesplose alcuni giorni dopo.

    Musolino, una sera, incontrò alla fontana Marietta, la sorella di Vincenzo e Stefano Zoccali, e, com'era sua abitudine, le rivolse alcune parole galanti, ma la ragazza non le gradì e riferì l'accaduto ai fratelli e al fidanzato Rocco. Quest'ultimo avrebbe voluto subito correre alla Frasca e chiedere ragione, ma Vincenzo lo fermò, dicendogli che ci avrebbe pensato lui.

    I tre andarono all'osteria, ma Peppe non c'era. Allora si sedettero e chiesero da bere. Dopo poco, apparve Musolino. Vincenzo gli porse il bicchiere pieno:

    - Bevi, Musolino!

    - Non mi va, - rispose lo spaccalegna, convinto che lo Zoccali volesse superarlo in generosità, visto che lui gli aveva negato di bere alla Passatella.

    - Non te l'ha insegnato nessuno che è un'offesa rifiutare il

    vino?

    - Lo so ...

    Si percepì una forte aria di litigio. La volontà di Vincenzo di sfidare l'odiato Giuseppe era palese. In quel mentre, entrò il cugino di Musolino.

    - Che sta succedendo qui? - s'informò.

    - C'è che Peppe mi offende.

    - Lui mi ha offerto da bere, ma io non bevo perché non ho sete.

    - Questa, a casa mia, si chiama ingiuria. Rendimene conto e vieni fuori!

    Niente poté fare Nino Filastò.

    Per il duello fu scelto un campo oltre una siepe.

    Slanciatisi l'uno addosso all'altro, si scazzottarono ben bene. L'oscurità impedì ai presenti di vedere bene le mosse dei due. A un certo punto, Musolino urlò:

    - Ma tu sei armato, bastardo!

    E fu colpito alla mano, all'orecchio e a un braccio da un punteruolo. Allora Nino tirò fuori la rivoltella e sparò, ma senza prenderli, contro lo Zoccoli e i suoi. Le ferite di Musolino per fortuna non furono gravi. Bastò un fazzoletto e un po' d'acqua per arginare il sangue. Qualche goccia rossa cadde sulla fresca neve nel gelo della notte aspromontana.

    Lu Briganti si accorse di avere perso la còppula, ma non riuscì a trovarla. Filastò gli domandò se avesse intenzione di denunciare l'aggressione. Lui gli rispose che non era una spia e che si sarebbe vendicato da solo e al momento opportuno.

    Il tragico errore

    Due giorni dopo, alle sei e un quarto del mattino, si udirono tre fucilate. Un proiettile sfiorò lo Zoccali e si conficcò nel muro della sua casa. Non ci furono testimoni ma, per mania di protagonismo o altro, tre persone si fecero avanti sostenendo di avere visto Musolino e Filastò dietro a un cespuglio e Giuseppe sparare sullo Zoccali e poi darsela a gambe con il compagno. Altresì, gli amici di Musolino sostennero che se lui voleva uccidere Vincenzo non lo avrebbe mancato in tre colpi, essendo un buon tiratore. Ma gli Zoccali addussero come inconfutabile prova a carico il cappello di Giuseppe ritrovato poco distante dalla siepe, cadutogli durante la fuga.

    I carabinieri requisirono il berretto, fu riconosciuto che lo stesso apparteneva al taglialegna, che fu denunciato per tentato omicidio.

    Nel paese chi parteggiò per l'accusato chi per gli accusatori. Nel frattempo, Musolino, datosi alla macchia, spalleggiato da molti, continuò a sperare di venire prosciolto prima del processo, non dando ascolto al consiglio della sorella Ippolita che gli suggerì di costituirsi. Filastò, invece, fu arrestato in breve tempo con un tale Nicola Travia.

    Sei mesi durò la latitanza di Musolino. Mentre un giorno andava da una sua parente a Sant'Alessio, fu visto da una donna che nutriva del rancore per lui. La vecchia andò a Gerace e fece la spia, ma il ricercato riuscì a scappare e a rifugiarsi nei boschi, seguito dai carabinieri e dalle guardie. Fu questione di ore. Ormai accerchiato, dopo essersi difeso come un leone, esausto, fu afferrato dalla guardia municipale Alessio Chirico e tradotto a Reggio Calabria dove fu processato per mancato omicidio. Quando sempre si trovava per terra nella cella del corpo di guardia di Sant'Alessio, Musolino ricevette la visita di Chirico. Con lo sguardo fiero, lo minacciò senza mezzi termini e gli disse:

    - Infame! Maledetto sorcio! Ti farò fuori senza pietà! Che cosa ti ho fatto di male? Potevi lasciarmi andare, non sei un carabiniere, tu. Avrò vendetta! -

    Queste parole turbarono la moglie del Chirico.

    Quando portarono via Musolino, una moltitudine di persone lo applaudì, mentre, ammanettato, fu chiuso nella carrozza.

    La condanna

    Tribunale di Reggio Calabria, 28 settembre 1898.

    La Corte alle ore 11 condanna Giuseppe Musolino e Nino Filastò alla pena di anni 21 di carcere, più all'interdizione perpetua dei pubblici uffici e ai danni e spese verso la Parte Civile.

    La morte di Carmela Filastò

    Carmela Filastò, sorella di Nino, era una giovane sposa incinta di sei mesi. Si trovava in mezzo alla gente che affollava il Tribunale, quando seppe che il Presidente aveva condannato il suo amato fratello a ventuno anni di reclusione. Fu una mazzata dalle conseguenze tragiche.

    La donna, piangente, si fece largo tra amici e curiosi, maledicendo i giudici con una rabbia inaudita.

    Essendo gravida, l'eccitazione le fu fatale. Appena riuscì a raggiungere la sbarra che divideva il pubblico dalla Corte, Carmela si sentì male e piombò a terra.

    I giudici si alzarono turbati.

    La Filastò era morta.

    Morta davanti agli occhi di Nino.

    Quest'ultimo, allora, ritto tra le sbarre, bianco come un cencio e carico di odio, puntò il dito verso Vincenzo Zoccali e gli urlò:

    - Giuda! Assassino di mia sorella! Io e Nino siamo innocenti. La pagherai cara! Tu sei la causa di tutto, maledetto! -

    - Ti giuro su mia madre morta che uscirò di galera e che mi vendicherò di te, dei tuoi figli, dei tuoi parenti e dei tuoi complici. - rincarò la dose Musolino.

    - Intanto sconta la pena! - gli fu risposto da un parente dello Zoccali, un certo Zirilli.

    I due condannati furono portati via. E così pure la povera Carmela Filastò.

    Il pubblico, piano piano, abbandonò il Tribunale.

    La prigionia e l'evasione

    Musolino, abituato alla libertà e alle foreste, patì l'ira di Dio chiuso come fu in una cella umida e quasi priva di luce del carcere di Reggio Calabria. Urlò la sua innocenza, delirò, vaneggiò, singhiozzò, maledisse l'intero creato. Filastò, invece, suo compagno di detenzione, si dimostrò più calmo e cercò addirittura di consolare Giuseppe, ma quest'ultimo non sentì ragioni e dette in escandescenze, tanto che gli fu messa la camicia di forza e costrinse il direttore delle carceri a trasferirlo, insieme a Nino, al penitenziario di Gerace Marina, l'odierna Locri, in una cella con altri detenuti. Lì si calmò un poco, perché aveva già in mente un piano di evasione ed era convinto che i suoi amici dell'onorata società non l'avrebbero abbandonato. Sognò persino San Giuseppe che gli avrebbe indicato il punto in cui avrebbe dovuto scavare nella cella e scappare insieme ai suoi compagni di galera Giuseppe Surace, Antonio Filastò e Antonio Saraceno.

    Questo avvenne alle ore 3:30 del nove gennaio 1899.

    Si per casu a lu paisi turnu

    Chidd'occhi chi arridiru ciangirannu.

    Il Brigante divenne l'Eroe del popolo che si batté contro l'ingiustizia dello Stato.

    I quattro saltarono da un'altezza di 14 metri, prendendo terra sul cammino di ronda del cellulare, scavalcando due alti muri, per raggiungere la via senza che i soldati di guardia si accorgessero di nulla. Ci vollero ben quattro ore, affinché i carcerieri scoprissero la fuga, e infine – cosa incredibile – non ci furono provvedimenti da parte delle autorità di fare i ritratti fotografici, elementare prescrizione di ogni stabilimento di pena. Il solo provvedimento che fu preso da parte del Governo fu di indire un altro processo terminato con la condanna a sei mesi di detenzione dei secondini colpevoli di negligenza e a diciotto mesi della stessa pena il Musolino, Filastò, Surace e Saraceno rei di fuga con infrazione.

    Liberi, i quattro si rifugiarono in una foresta dell'Aspromonte. L'idea, maturata in carcere, di tentare la via dell'America, aiutati dall'onorevole società, fu discussa. Musolino

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