Un mistero occitano
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“Un mistero occitano” è ambientato nella drammatica attualità e calato sulle intolleranze dei nostri giorni.A Guardia Piemontese, ex enclave occitano-valdese sul Tirreno cosentino, distrutta per volere dell'Inquisizione nel 1561, un feroce delitto tiene la gente nel terrore. Si verificano strani episodi che fanno pensare a un rituale. Un suicidio, la sparizione di un antico libro, la comparsa di oggetti dai mille significati, strofe e versi inquietanti. Il commissario Gabriele Abruzzese si sta curando la rinite alle Terme Luigiane ed è costretto a intervenire. Nessuno ci capisce niente, tanto meno un Pubblico Ministero che non ha esperienza di omicidi.
La mano assassina non si ferma. La raccapricciante serie nera continua a Napoli, ex capitale dell'ex Viceregno e crocevia del Mediterraneo, al rientro del commissario. D’improvviso riaffiorano, devastanti, i fantasmi del passato e mentre tutti sono convinti che i delitti abbiano autori diversi, Abruzzese sospetta una matrice comune. Ma deve dare il meglio del suo fiuto e indagare anche nella storia per venire a capo della misteriosa vicenda.
Massimo Siviero, con “Un mistero occitano”, ha scritto un’altra avventura del commissario,di nome e di origine, Abruzzese. Il capo della Mobile napoletana non adopera pistole e quando può preferisce camminare a piedi. Il contatto della terra sotto i piedi lo aiuta a pensare, a concentrarsi sulla scena del crimine e sui luoghi frequentati dalla vittima e dalle sue conoscenze. Abruzzese si appoggia a un alpenstock, un vecchio bastone di montagna che lo aiuta a scrutare nei meandri più nascosti della metropoli e del crimine.
Il romanzo è stato finalista del Premio Scerbanenco per il miglior giallo italiano.e il più votato dalla giuria dei lettori.
Dal libro: «Varcarono a piedi la Porta Grande. Fu molto disponibile l’incaricato del Centro di cultura Pascale. Abruzzese notò sul banco dei libri, in una campana di vetro, alcuni oggetti antichi e un piccolo teschio. L’uomo spiegò: «Di un bambino vittima delle persecuzioni in quella notte tragica». Di lato a quei poveri resti c’era un astuccio di velluto rosso. Vide che era vuoto.
"E questo che cosa custodiva?", indicò all’uomo il contenitore che era alquanto consumato.
"Uh!... non me n’ero accorto! Ma dov’è finito?", disse gesticolando con viva apprensione l’incaricato del Centro.
"Dov’è finito che cosa?", domandò Abruzzese un po’ eccitato.
Entrò un uomo sui quarantacinque in compagnia di un ragazzino: "Cercavate questo?", disse calmo.
Massimo Siviero
My parents were Neapolitans, I was born in Rome and I live in Naples.When I was a child I wanted to be a diplomat or a doctor. Then I had the good fortune to read “Of mice and men” by John Steinbeck and two days later I obtained “The Grapes of Wrath”. A few months later, a classmate of mine gave me “Death in the Afternoon” and “Across the River and Into the Trees” of Hemingway and I realized that the craft of writing would become my great love. I liked knowing the facts of the day , I read many newspapers and began to attend the drafting of a newspaper. I started writing articles and at age 19 I went as an envoy on the football fields and I studied at university. Then I became a reporter. One day I was struck by a news of crime, a double murder. In the garden of a restaurant in Naples were found the bodies of a man and a woman, it was discovered that they were drug couriers . Until then Naples was seen mainly in the imagination as the city of mandolins and songs , pizza and hospitality. In addition to the neighborhood thugs . I realized that the city had dramatically changed and it became an important crossroads of crime. Although in more than two thousand years of history had been a place of philosophers and scientists, writers and poets (Giambattista Della Porta invented the telescope before Galileo...). So I decided to write my first crime novel , "Il diavolo giallo" which was published in 1992 . There followed " Il terno di San Gennaro" " Un mistero occitano per il commissario Abruzzese", "Vendesi Napoli", " Mater munnezza " and in 2012 " Caponapoli " published in the historic editorial series Il Giallo Mondadori . In 2015 it was published the detective novel "Scorciatoia per la morte". I wrote several essays , including " How to write a Neapolitan crime novel" ("Come scrivere un giallo napoletano"). In this manual I have revealed that the first Italian crime novel was written in Naples in 1852. Several of my books have been published in the convenient eBook editions that I think an effective instrument of freedom of authors and readersI miei genitori erano napoletani, sono nato a Roma e vivo a Napoli.Quando ero un bambino volevo essere un diplomatico o un medico . Poi ho avuto la fortuna di leggere " Uomini e topi " di John Steinbeck e due giorni dopo ho ottenuto in regalo " The Grapes of Wrath " . Pochi mesi dopo, un mio compagno di scuola mi ha dato "Death in the Afternoon " e "Di là dal fiume e tra gli alberi " di Hemingway e ho capito che il mestiere di scrivere sarebbe diventato il mio grande amore. Mi è piaciuto conoscere i fatti del giorno, ho letto molti giornali e cominciai a frequentare la redazione di un giornale. Ho iniziato a scrivere articoli, all'età di 19 anni sono andato come inviato sui campi di calcio e ho studiato all'università. Poi sono diventato un giornalista. Un giorno sono stato colpito da una notizia di reato, un duplice omicidio. Nel giardino di un ristorante a Napoli sono stati trovati i corpi di un uomo e una donna, si è scoperto che erano corrieri della droga . Fino ad allora Napoli è stata vista soprattutto nell'immaginario come la città di mandolini e canzoni, pizza e ospitalità. Oltre ai guappi di quartiere . Mi resi conto che la città era drammaticamente cambiata ed era diventata un importante crocevia della criminalità. Anche se in più di duemila anni di storia era stata la terra di filosofi e scienziati, scrittori e poeti ( Giambattista Della Porta ha inventato il telescopio prima di Galileo ... ). Così ho deciso di scrivere il mio primo romanzo poliziesco, "Il diavolo giallo " che è stato pubblicato nel 1992. Seguirono "Il terno di San Gennaro ", "Un mistero occitano per il commissario Abruzzese ", " Vendesi Napoli", " Mater munnezza " e nel 2012 " Caponapoli ", pubblicato nella storica collana editoriale Il Giallo Mondadori. Nel 2015 è stato pubblicato il romanzo poliziesco "Scorciatoia per la morte". Ho scritto diversi saggi, tra cui " Come scrivere un giallo napoletano ". In questo manuale ho rivelato che il primo romanzo poliziesco italiano è stato scritto a Napoli nel 1852. Molti dei miei libri sono stati pubblicati nelle edizioni eBook che penso siano un efficace strumento di libertà di autori e lettori.
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Anteprima del libro
Un mistero occitano - Massimo Siviero
A Guardia Piemontese, piccola comunità occitana sul Tirreno cosentino, distrutta per volere dell'Inquisizione, un feroce delitto tiene la gente nel terrore. Si verificano strani episodi che fanno pensare a un rituale. Un suicidio, la sparizione di un antico libro, la comparsa di oggetti dai mille significati, strofe e versi inquietanti. Il capo della Mobile napoletana Gabriele Abruzzese si sta curando la rinite alle Terme Luigiane ed è costretto a intervenire. Nessuno ci capisce niente, tanto meno un Pubblico Ministero che non ha esperienza di omicidi. La raccapricciante serie nera continua a Napoli, ex capitale dell'ex Viceregno, dove d'improvviso riaffiorano i fantasmi del passato. E mentre tutti sono convinti che i delitti abbiano autori diversi, il commissario Abruzzese sospetta una matrice comune.
La comunità montana di Guardia, l’unica di lingua occitana nel Sud d’Italia, d’inverno conta appena 400 anime e da quasi mezzo secolo conserva intatta la sua parlata e le tradizioni. La popolazione era di religione valdese e nel 1561 fu distrutta per volere dell’Inquisizione.
Nota
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I fatti e i personaggi descritti nel romanzo sono del tutto immaginari. Ogni riferimento alla realtà contemporanea è puramente casuale. Sono, invece, realmente accaduti i tragici eventi storici richiamati nel libro, le stragi e i processi per eresia dei valdesi di Guardia Piemontese, Montalto e San Sisto.
Ringraziamenti
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Desidero esprimere la mia gratitudine al professor Domenico Laise e al compianto Nicola Carrozzino per le notizie storiche e i documenti che mi hanno fornito. Un ringraziamento particolare anche a Silvana Primavera per la traduzione in occitano del canto popolare sul massacro dei valdesi, raccolto nel 1896 da Giovanni de Giacomo nella campagna di Torano Castello. A questi versi mi sono liberamente ispirato per la leggenda del piccolo poeta trucidato dal boia, con l’intera famiglia, durante le persecuzioni avvenute in Calabria.
Personaggi
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GABRIELE ABRUZZESE (capo della Squadra mobile)
COSTANTINO MUGLIA (ex poliziotto in pensione)
POLIFEMO (assistente di Abruzzese)
LUIGI CONTINI (artista immigrato)
MONICA STERLING (moglie di Contini)
DON FRANCO BOSCO (parroco di Guardia Piemontese)
GONINO (sagrestano di don Franco)
CARONTE (bagnino delle terme)
AMELIA DELL’ORSO (sostituto p.m. a Paola)
MARESCIALLO MARTINO (della stazione di Guardia Marina)
DOMENICO LAIS (docente universitario)
CATERINA APRILE (insegnante di lingua occitana)
OTTO QUARANTA (uomo d’affari)
BORTOLO BORTOLO (metronotte di Guardia)
SCEGLIA (panificatore di Guardia)
NICOLA DE FEUDIS (del Centro di cultura Pascale)
LA SIGNORA ADELE (della pensione Belsito)
SALVATORE ANANIA (reporter di cronaca nera)
CLARA DE CIUCEIS (fidanzata di Anania)
GIACOMO BELLISSIMO (antiquario napoletano)
MOHAMMED ALÌ KHAN (domestico dell’antiquario)
DON MATTEO BRUNO (parroco del Carmine di Napoli)
ATTILIO CILIBERTO (procuratore aggiunto di Napoli)
CORRADO AUBRY (sostituto procuratore di Napoli)
ANNIBALE D’ERRICO (della Squadra catturandi)
COSMO DELLA MORTE (medico legale)
DAMIANO (addetto all’obitorio)
ORFEO (portiere del Serraglio)
MONSIGNOR CORRADINI (appassionato di lirica)
CARLO MAGNO (direttore di giornale)
CAPITOLO 1
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Guardò nervosamente l’orologio, fissò l’ingresso, ma non lo vide arrivare. Cominciò ad essere preoccupato.
C’era una calma eccessiva in netto contrasto con la natura violenta dei luoghi che rendeva l’attesa ancora più snervante. L’acqua ribollente diffondeva in tutta la zona un odore penetrante di zolfo.
In quel momento sentì alle sue spalle una voce amplificata dal silenzio: «Lucifero, scacciato dal Paradiso, precipitò sulla roccia e aprì due polle bollenti. Così nascevano la Rupe e il Dito del Diavolo».
Girò il mento e vide strani zombi in piedi immobili: tanti spiedini umani coperti di fango che si cuocevano al sole. Nel parco termale si facevano incantare da Caronte, il bagnino della piscina addetto all’impasto di terra e acqua sulfurea. Il vecchio raccontava l’origine di quei luoghi misteriosi: «L’Angelo Ribelle fu punito due volte. Allontanato da Dio, fece un favore involontario ai frequentatori delle Terme Luigiane».
«Pubblicità a buon mercato», disse a denti stretti, non aveva alcuna voglia di ascoltarlo.
Leggenda e mitologia del male diventavano la storia di Guardia Piemontese e dintorni. La montagna, il verde dei boschi e l’azzurro del mare suscitavano un senso di smarrimento. E quel puzzo disgustoso e seducente, fin dall’antichità indizio di presenze demoniache.
Era il primo lunedì d’agosto e il commissario Abruzzese entrò ufficialmente nel club dei privilegiati del diavolo dando inizio senza entusiasmo a un ciclo di cure inalatorie. La rinite allergica e l’asma non gli davano tregua e questa non era una leggenda.
Controllò di nuovo l’ora: le otto e tre quarti. Il soprintendente Muglia, un tipo così puntuale, ancora non si vedeva. Un fatto insolito. Abruzzese fremeva seduto sotto un tiglio del parco termale. Adesso era veramente preoccupato. Accese il sigaro ed ebbe un accesso di tosse. Gli zombi infangati lo fissavano con curiosità continuando a girargli intorno. Uno in particolare gli teneva gli occhi addosso, come se volesse parlargli. Il più strano, ai loro occhi, doveva sembrare proprio lui, in pantaloni e camicia e le maniche appena rivoltate. Si mise a sfogliare i giornali e lo colpì questa notizia della Provincia cosentina: Un intero paese in festa, metronotte mette in fuga un pervertito e salva una bambina dalle sue grinfie
.
Aveva accettato una breve vacanza curativa dietro le insistenze di Muglia, ma ora quel ritardo cominciava ad angosciarlo.
Dopo più di mezz’ora lo vide arrivare di corsa e trafelato: «Commissario, una cosa terribile, spaventosa!». L’ex poliziotto era tutto concitato e affannava.
«Oh, calmati. Che è stato, un terremoto?», Abruzzese si sfilò gli occhiali e tolse il bastone invitandolo a sedere sulla sdraio accanto.
«Assai peggio! Don Franco... il parroco... Una scena che non si può immaginare... Dovete venire subito, commissario». Muglia parlava ora con gesti più che con parole, in piedi davanti al dirigente della Mobile napoletana (Abruzzese aveva lasciato da sei mesi la Criminalpol, ormai sepolta da una riforma di polizia).
«Ma io che c’entro. Muglia, non sono nella mia giurisdizione... Lo hanno rapito?», domandò poi.
«Capo, c’è bisogno di voi... il paese è terrorizzato... le donne sembrano impazzite...».
Abruzzese, conoscendo la sua freddezza di carattere, rimase sorpreso.
Con la Thema imboccarono la superstrada delle Terme, mentre Muglia gli riferiva alcuni particolari agghiaccianti. Cinque chilometri di sopraelevata e sei gallerie per superare le asperità di balze rocciose molto ripide, sopra un paesaggio di fitta vegetazione. Davanti a loro si apriva l’orizzonte sconfinato e scomparivano le ultime case di Guardia Lido. In alto si scorgeva la Torre dell’antico paese, a più di cinquecento metri d’altezza. Si erano lasciati alle spalle le Terme Luigiane, a mezza costa tra il mare e la montagna.
Dopo qualche minuto di corsa, raggiunsero Guardia Piemontese. Lasciarono l’auto nella piazza affollata di gente: in maggioranza vecchi che discutevano formando capannelli. Abruzzese lesse la scritta metallica sulla facciata dell’edificio che si appoggiava sulla porta d’ingresso del paese: Centro di cultura Gian Luigi Pascale
. S’incamminarono a fatica, su ripide viuzze e cunicoli, fino a piazza Pietro Valdo. Lungo il tragitto il commissario udì provenire da quelle case tutte uguali, ad un piano e con la scala esterna, colpi sordi di porte che sbattevano e finestre spalancate con violenza.
«Che succede?», chiese inquieto.
«Le donne, quando c’è una morte violenta, allontanano lo spirito, lo aiutano a lasciare la casa e il paese».
Il commissario cacciò il sigaro spento dalle labbra e tossì ripetutamente.
Lo spiazzo antistante la parrocchia di Sant’Andrea, patrono di Guardia, era invaso da curiosi tenuti a distanza da polizia e carabinieri con una recinzione di nastro rosso legato a due transenne. Si avvicinarono due agenti del commissariato di Paola che dovettero riconoscerlo perché lo lasciarono passare. A quattro, cinque metri dalla chiesa, Abruzzese notò sui ciottoli una sagoma coperta da un lenzuolo. Si curvò e sollevò il lembo che ne nascondeva il volto e reagì con raccapriccio. La gola era orribilmente tagliata. Abruzzese alzò lo sguardo sull’orologio della facciata da dove provenivano suoni assordanti. Contò dieci rintocchi simili a martellate per i suoi orecchi. Vide l’ora: «Muglia, ma sono le undici, l’orologio della chiesa va indietro di un’ora?».
«Commissario, suona dieci rintocchi ogni quarto d'ora».
«Ah, quaranta ogni ora», osservò Abruzzese.
Un poliziotto del servizio di segnalamento e documentazione del commissariato raccoglieva i primi dati sulla scena del crimine. Su un modello cominciò a stendere il rapporto informativo. Classificazione del caso: omicidio. Aggressore: sconosciuto. Cognome, nome, età, professione e indirizzo di chi ha scoperto il delitto: Contini Luigi, anni 45, artigiano, via Usceglio, Guardia Piemontese. Ora del rinvenimento: 6,47. C’era una descrizione dettagliata con i numeri di catalogo delle numerose foto scattate sulla scena del delitto. Gli altri dati richiesti dal formulario erano quelli di routine: Generalità della vittima: Bosco Franco, anni 64. Luogo di nascita: Cetraro. Residenza/domicilio: Guardia Piemontese, piazza Pietro Valdo, canonica di Sant’Andrea. Professione: sacerdote. Stato civile: celibe. Il questionario prestampato, sulla vita privata della vittima, proseguiva richiedendo notizie su spaccio di droga, vagabondaggio, abitudini sessuali. Le caselle riferite a voyerismo e omosessualità
erano state riempite con due punti interrogativi. Abruzzese dette un’occhiataccia all’agente per l’uso di certi luoghi comuni. C’è sempre posto, nell’immaginario collettivo, per il prete pedofilo, omosessuale o con l’amante.
«Scannato con un coltello come un capretto», fu il commento di Abruzzese. «Da orecchio a orecchio».
Colpiva un particolare inquietante, gli occhi della vittima erano bendati con un fazzoletto rosso.
«Sembra aggredito da un lupo», azzardò uno dei poliziotti.
«Peggio, da un uomo!», disse severo il commissario. «Il taglio è netto, da destra verso sinistra. Il giugulo è squarciato, tendini e muscoli recisi».
«Da destra verso sinistra...», ripeté Muglia interrogativo.
«Se lo ha colpito alle spalle, è un mancino».
Il commissario osservò le palme delle mani. «No, il prete ha cercato di farsi scudo, l’assassino lo ha aggredito standogli di fronte. Lo avrà guardato negli occhi mentre infieriva. Ucciso con accanimento».
L’agente incaricato dei rilievi si fermò ad ascoltare e completò il modulo con questi nuovi dati. Poi si mise a lavorare accovacciato, adoperando polveri e pennello alla ricerca di impronte e materiali da trasmettere alla Scientifica di Roma.
Abruzzese accostò il dorso della mano al volto del cadavere e gli sollevò appena un braccio.
«La temperatura è scesa di un paio di gradi, la rigidità cadaverica non è cominciata. Dev’essere morto da meno di cinque ore, aspettiamo il medico legale».
I quattro uomini in divisa rimasero in silenzio a fissare le atroci ferite con i lembi coperti dal coagulo. La stola sacerdotale, che girava intorno al collo e cadeva sul davanti, era completamente macchiata di sangue.
Abruzzese annusò l’aria e avvertì un odore di materia organica combusta. Curvo sul morto, tirò il lenzuolo fino ai piedi o a ciò che rimaneva. Dalla sottana bruciata uscivano due moncherini di carbone.
Senza troppa voglia ironizzò: «Un lupo che ha anche dato alle fiamme le gambe. Voleva distruggere il cadavere per occultare le prove. Ce lo rivela l’evidenza».
Il commissario scrutò il terreno: «Strano, non ci sono macchie di sangue. Eppure deve averne perduto almeno tre litri in un paio di minuti, il tempo dell’agonia».
Poi sollevò appena, per una sommaria perquisizione, la pianeta del prete, il soprabito di seta con spacchi laterali. Per completare l’esame ispezionò le tasche della sottana e tirò fuori un foglietto. Lo mostrò disorientato agli agenti:
«Che roba è?».
I quattro uomini in divisa e il collega che faceva i rilievi si passarono, senza fiatare, quel pezzo di carta.
Muglia dette un’occhiata e esclamò: «Accidenti,
capo!».
«Che roba è?», ripeté Abruzzese.
Era scritto con inchiostro rosso in stampatello. Muglia lentamente lesse:
PAISË IN CHÌËLË E PAISË IN TÈRRË / DIVË A NË GARDË DË LA GUÈRRË. / DIVË A NË GARDË, LUNA SANTË, / DË LHI TROUËNË E DE LHI LAMP, / DIVË A NË GARDË DË LHI POUNHALË / E DË LHI MALË CRISTIAN...
CAPITOLO 2
«È in occitano, la lingua dei valdesi», spiegò Muglia.
«Che significa?».
«Cerchiamo di tradurre... Pace in cielo e pace in terra, Dio ci guardi dalla guerra. Dio ci guardi, luna santa, dai tuoni e dai lampi, Dio ci guardi dai pugnali e dai cattivi cristiani...
».
«Il parroco, un poeta?», si chiese Abruzzese.
«Strano. Don Franco non era del luogo e non conosceva la nostra parlata», spiegò Muglia.
Il commissario si alzò e raggiunse la parrocchia, seguito dagli altri poliziotti.
Lungo la navata centrale erano ben visibili diverse orme rosse che conducevano fino al retro dell’altare maggiore. Il pavimento di maiolica era imbrattato da un lago di sangue raggrumato.
Abruzzese le scrutò: «Devono essere orme di gambali».
Arrivò di corsa uno degli agenti che a bassa voce riferì: «È scomparso il sagrestano, pare che non si trovi».
Abruzzese contrasse le mascelle.
Muglia era preoccupato e spiegò: «Fa pure il banditore, per un’antica usanza di Guardia. Chiama a raccolta il paese con gli squilli di tromba. Speriamo che non gli sia successo niente».
«Avete sentito i familiari?», chiese il commissario.
Muglia rispose scuotendo la testa: «Non ha parenti».
Arrivarono insieme, su un’auto scura, un tipo tarchiato con valigetta nera e una donna che teneva una borsa di pelle piena di carte. Con loro c’erano due uomini in borghese. Si fermarono per qualche istante a osservare il cadavere e si diressero in chiesa.
Abruzzese continuava a lavorare, incurante della loro presenza: «È stato aggredito qua dietro, prima di dire messa. Qualche mattiniero come te può aver visto in chiesa l’assassino che cerchiamo. Ha camminato con i piedi imbrattati... Dev’essere abbastanza forte per averlo trascinato fuori...», parlava sottovoce con Muglia.
«Se ho ben capito, c’è con noi il famoso commissario Abruzzese...». La donna gli andò incontro con la sigaretta accesa tra le labbra.
«Sì... Sherlock Holmes...», fece lui sfottente. Gli sembrò di riconoscerla. Si ricordò quasi subito che, qualche mese prima, era stata giudice del lavoro a Napoli. Abruzzese era stato chiamato come testimone in una causa finita come doveva finire per un lavoratore giudicato da un magistrato di sinistra
contrario ai lavoratori. Comunque, acqua passata, ora c’era da risolvere un caso di omicidio.
Con espressione accigliata accese il sigaro.
«Amelia Dell’Orso della Procura di Paola... Noi ci conosciamo... Siete il benvenuto, raccogliete tutte le informazioni, purché non ci intralciate. Dovremo sbrigarcela da soli...». La donna cercò di prendere le distanze, ma subito chiese: «Che ne pensate?». Aveva il grugno volitivo dell’arroganza presuntuosa.
Abruzzese non rispose.
Tornarono in piazza. L’orologio della chiesa scandì inesorabile un altro quarto d’ora con dieci rintocchi: così assordanti da far esplodere la testa di un elefante.
Da una gazzella scese il maresciallo Crescenzo Martino della stazione dei carabinieri di Guardia Marina. Un’ora prima si era allontanato dal luogo del delitto per informare il magistrato che aveva il cellulare scarico. In paese non s’era mai vista prima tanta polizia.
«Mi sembra un assassinio anomalo», disse poi laconico Abruzzese.
«Sarebbe?», la sostituta inquirente cercava un punto