Non porsi limiti "la terza dimensione della disabilità"
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Anteprima del libro
Non porsi limiti "la terza dimensione della disabilità" - Giuseppe Brancato
diverse"
Prefazione
APPREZZARE LA DISABILITA’
E LA DIVERSITA’ COME NORMALITA’
Tanti libri parlano di diversità, di disabilità e analizzano dall’esterno questa particolare condizione della persona disabile e delle loro famiglie.
Ma trovarsi davanti ad un libro che riporta i dialoghi e le reazioni della disabilità, attraverso le parole, i gesti e le sensazioni dei diretti interessati, è cosa rara.
Rara e nello stesso tempo importante, perché fa capire meglio a tutti noi un mondo che troppo spesso guardiamo con affetto, ma anche con paura. La paura di non riuscire a capire, di non riuscire ad avere un rapporto e un dialogo con un disabile.
E invece, in questo libro, Giuseppe Brancato ci porta dentro la disabilità che diventa normalità attraverso le parole dei ragazzi, le esperienze che quotidianamente vivono nel Centro di socializzazione, con gli operatori che sono più amici e compagni di viaggio piuttosto che educatori o docenti.
Ho conosciuto il Centro di socializzazione L.I.N.A.R. ONLUS di Firenze e via via che scorrevo la bozza di questo libro e leggevo i commenti dei ragazzi ai vari fatti di cronaca, mi sono tornati in mente le parole che mi hanno rivolto quando sono andata da loro, per conoscere il luogo dove Daniele passa tante ore e di cui molto mi aveva parlato il padre Giuseppe. E’ uno spazio aperto, vissuto, dove immediatamente mi sono sentita normale fra i normali, diversa fra i diversi e non ho mai avuto l’idea di essere un visitatore o peggio ancora, un osservatore. Mi hanno accolta facendomi toccare con mano i loro lavori, facendomi entrare attivamente nelle loro attività quotidiane, come se mi avessero conosciuta da sempre e mi hanno fatto sentire, come dicono loro, a casa mia
.
La lettura di questo libro farà sicuramente apprezzare a tutti una realtà che non deve diventare un mondo
da guardare con curiosità o da analizzare per dare giudizi o peggio ancora da isolare, ma uno dei tanti momenti della nostra vita da vivere e da apprezzare insieme. Grazie, quindi, a Giuseppe Brancato per averci, con questo suo libro, accompagnato in questo bellissimo spazio a conoscere queste belle persone.
(Anna Ravoni, Sindaco di Fiesole)
Post prefazione
SOGGETTIVITA’ E INTERSOGGETTIVITA’
Il bel libro di Giuseppe Brancato sull’esperienza personale e degli operatori che a vario titolo operano all’interno del Centro di socializzazione L.I.N.A.R. ONLUS di Firenze, ci offre la possibilità di riflettere sul significato del loro operare tralasciando le, pur suggestive, valutazioni di carattere psico-filosofico
, a cui, ad essere sincero, sarei tentato di abbandonarmi. Ma dobbiamo dare senso e significato sia al loro lavoro che ai risultati eccellenti che ottengono! Per questo ci vengono incontro le neuroscienze e soprattutto lo sviluppo che queste hanno avuto da quando negli anni 90 del secolo scorso un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma diretti e coordinati da Rizzolatti e Gallese ha scoperto nel cervello del macaco alcuni neuroni che si attivavano all’osservazione del movimento e per tale motivo chiamati neuroni mirror
. Tale linea di ricerca ha sovvertito concettualmente l’approccio all’individuo, come di seguito diremo.
Il problema del soggetto vede oggi convergere la prospettiva fenomenologica e quella neuroscientifica. Per pensare il soggetto, il Se autocosciente, è cruciale affrontare prima il problema del Chi, chiedendosi "chi è" il soggetto e non, invece il problema di Cosa, chiedendosi "cos’è" il soggetto. Se prendiamo il soggetto a partire dal Chi, cioè dalla sua dimensione storico-individuale, e non dal Cosa, cioè da un supposto universale valido per tutti e per nessuno, ci rendiamo conto come la nozione di soggetto abbia significato solo all’interno di una dimensione sociale.
Un’ulteriore conseguenza di questo approccio consiste nel rendere compatibile la nozione di soggettività – io sono l’evoluzione realizzata attraverso le mie relazioni con gli altri – con quella di uno sfondo che rende possibili le sue singole determinazioni. E ciò senza dipendere da un soggetto universale, pensabile a priori rispetto alle singole realizzazioni incarnate della soggettività, cioè, a prescindere dai singoli soggetti che noi siamo. Potremmo tranquillamente dire che all’assunto cartesiano del cogito ergo sum ne vada opposto un altro: relaziono ergo sum. Io mi strutturo e mi formo attraverso le mie relazioni dalla fase intrauterina ad oggi.
La scoperta avvenuta nei primi anni ’90 del secolo scorso dei neuroni mirror nel cervello del macaco e la successiva scoperta di meccanismi mirror nel cervello dell’uomo suggeriscono come esista una modalità diretta di accesso al significato dei comportamenti altrui, una modalità che può prescindere dall’attribuzione esplicita di atteggiamenti proposizionali. Una delle conseguenze della scoperta dei neuroni specchio è stata rendere possibile la derivazione – al livello di descrizione sub-personale – della soggettività dall’intersoggettività. Cioè non è l’essere con il risultato, ma l’uomo, il Chi, il risultato dell’essere con. La scoperta dei neuroni specchio ci consegna una nuova nozione di intersoggettività fondata empiricamente, connotata in primis e principalmente come intercoporeità – la mutua risonanza di comportamenti sensori-motori intenzionalmente significativi. La capacità di comprendere gli altri in quanto agenti intenzionali, lungi dal dipendere esclusivamente da competenze mentalistico-linguistiche, è fortemente dipendente dalla natura relazionale dell’azione. Secondo questa ipotesi, è possibile comprendere direttamente il senso delle azioni di base altrui grazie ad un’equivalenza motoria tra ciò che gli altri fanno e ciò che può fare l’osservatore.
L’intercorporeità diviene così la fonte principale di conoscenza che abbiamo degli altri. Il meccanismo di risonanza motoria dei neuroni specchio, originariamente scoperto nel cervello della scimmia ed in seguito in quello umano, è verosimilmente il correlato neurale di questa facoltà umana, descrivibile in termini funzionali come simulazione incarnata
(Gallese, 2003,02005, 2011). Ogni relazione interpersonale implica la condivisione di una molteplicità di stati quali, ad esempio, l’esperienza di emozioni e sensazioni.
Oggi sappiamo che le stesse strutture nervose coinvolte nell’esperienza soggettiva di sensazioni ed emozioni sono attive anche quando tali emozioni e sensazioni sono riconosciute negli altri. Una molteplicità di meccanismi di rispecchiamento
sono presenti nel nostro cervello. Grazie alla creazione di una consonanza intenzionale
(Gallese, 2006), questi meccanismi ci consentono di riconoscere gli altri come nostri simili e verosimilmente rendono la comunicazione intersoggettiva ed una comprensione implicita degli altri.
Cosa esprime il concetto di simulazione incarnata? Significa che parti corporee, azioni o rappresentazioni corporee svolgono un ruolo determinante nei processi cognitivi. Mente e corpo sono due livelli di descrizione di una stessa realtà che manifesta proprietà diverse a seconda del livello di descrizione prescelto e del linguaggio impiegato per descriverla. Un pensiero non è né un muscolo né un neurone. Ma i suoi contenuti, i contenuti delle nostre rappresentazioni mentali, sono inconcepibili a prescindere della nostra corporeità. Il cervello esprime la propria piena funzionalità solo ed esclusivamente perché legato a un corpo situato in un particolare mondo materiale sottoposto ad una serie di leggi fisiche, popolato da altri individui. Da ciò discende che un approccio neurobiologico alla comprensione dei processi mentali non può limitarsi ad indagare la relazione tra i concetti con cui li descriviamo e le aree cerebrali che si attivano durante l’applicazione di tali concetti, ma debba studiare come dal sistema cervello-corpo nelle sue situate relazioni mondane scaturisca l’attività mentale e venga recepita quando espressa dagli altri. Uno degli obiettivi delle neuroscienze cognitive è comprendere la connessione tra i meccanismi di funzionamento del sistema cervello-corpo e le nostre competenze cognitive sociali. Il tema dell’intersoggettività è tuttavia inscindibilmente legato a quello del Soggetto. Lo studio neuroscientifico dell’intersoggettività non può, quindi, eludere il problema della soggettività, e dell’esperienza che la costituisce. Ma cosa sono le neuroscienze cognitive? Sono soprattutto un approccio metodologico i cui risultati sono fortemente influenzati dalla cornice teorica di riferimento, studiare i singoli neuroni e/o il cervello non prefigura necessariamente le domande che tale approccio scientifico alla comprensione dell’uomo può svolgere, e ancor meno le risposte. Lo studio dei neuroni specchio nel cervello hanno aperto un nuovo scenario che riconosce la cognizione motoria
come elemento cardine per la comparsa dell’intersoggettività umana.
Oltre a quello motorio, altri meccanismi di rispecchiamento sono coinvolti nella nostra capacità di condividere emozioni e sensazioni altrui. Quando osserviamo gli altri esprimere una data emozione attraverso la mimica facciale, i muscoli facciali dell’osservatore si attivano in maniera congruente, con un’intensità che appare proporzionale alla natura empatica degli osservatori stessi. Meccanismi simili sono stati descritti per la percezione del dolore e del tatto. Osservare il corpo di qualcuno mentre viene toccato, accarezzato, schiaffeggiato o ferito, attiva parte dei nostri sistemi motorio, somatosensoriale e viscero-motorio/limbico che normalmente guidano il nostro comportamento e mappano le sensazioni sensomotorie, tattili, nocicettive ed enterocettive che esperiamo a livello soggettivo. Non solo le azioni ma anche l’esperienza di un dato stato sensoriale o affettivo-emotivo sembra avvenire all’interno di una dimensione noicentrica. Quando osserviamo l’espressione facciale di qualcun altro, non ne comprendiamo il significato solo mediante un’esplicita inferenza per analogia. L’emozione o la sensazione dell’altro è prima di tutto costituita e direttamente compresa attraverso il riutilizzo degli stessi circuiti neurali su cui si fonda la nostra esperienza in prima persona di quella data emozione.
Quello esposto è un meccanismo che viene definito come simulazione incarnata
che rende possibile una forma diretta di comprensione degli altri, come consonanza intenzionale ottenuta grazie all’attivazione di sistemi neurali alla base di ciò che noi e gli altri facciamo ed esperiamo. Parallelamente alla distaccata descrizione sensoriale in terza persona dell’altro, nell’osservatore sono attivate rappresentazioni
interne degli stati del corpo associati alle azioni, emozioni e sensazioni osservate, come se l’osservatore stesse eseguendo una simile azione o esperendo simili emozioni o sensazioni. Grazie alla simulazione incarnata possiamo intrattenere con gli altri relazioni fondate su di una prospettiva in seconda persona, dove all’Io risponde un Tu. La teoria della simulazione incarnata non implica necessariamente che noi esperiamo gli altri come sé che hanno esperienze simili alle nostre. Credo che non sia possibile concepire se stessi come un sé, senza ancorare questa consapevolezza a una matrice intersoggettiva condivisa, noi-centrica.
La prospettiva fenomenologica e quella neuroscientifica rende compatibile la nozione di soggettività – intesa come divenire chi si è incontrando gli altri – con quella di uno sfondo che rende possibili le sue singole determinazioni. La consapevolezza corporea gioca un ruolo primario nella consapevolezza di sé. La consapevolezza corporea di sé è chiaramente multidimensionale, in quanto attiene non solo al mondo esterno in cui il corpo si proietta, ricostruendone i contorni percettivi, iscrivendovi il proprio agire e ricevendone afferenze propriocettive, ma anche al mondo interno della sfera enterocettiva, il mondo del respiro, del battito cardiaco, della sudorazione, dei movimenti peristaltici. Una terza dimensione che verosimilmente abbraccia e sintetizza le precedenti è costituita dalle emozioni e dagli affetti.
La ricerca empirica delle neuroscienze cognitive ha dimostrato la stretta relazione che sussiste tra azione e percezione: la nostra percezione del mondo è plasmata dall’azione, anche quando non eseguiamo un movimento, e rappresenta un modo originale e primario di essere coinvolti col mondo circostante. Ciò ha delle conseguenze sul piano fenomenico a proposito del modo in cui facciamo esperienza di noi stessi come sé corporei. Infatti, quando percepiamo qualcosa come afferrabile, lanciabile o calciabile, stiamo facendo esperienza di noi stessi come un corpo che può afferrare, lanciare o calciare. Tale "può" si riferisce a una possibilità motoria, di cui un individuo è consapevole. Quando percepiamo qualcosa come afferrabile o calciabile, il nostro corpo ci si offre nei termini di una certa possibilità motoria. La nostra esperienza di