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Lettera a una religiosa, ovvero della tenerezza
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Lettera a una religiosa, ovvero della tenerezza
E-book178 pagine2 ore

Lettera a una religiosa, ovvero della tenerezza

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Info su questo ebook

Agli inizi degli anni 70, molti preti e religiose lasciano la vita consacrata ed entrano nella vita coniugale. Il problema coinvolge anche un prete e una suora che lavorano nel cuore dell’Africa.
La risposta a una domanda della suora viene messa per scritto in una lunga lettera, in cui si riflette su un celibato liberamente scelto e conservato, come mistero di povertà, di libertà per servire, di amore pieno di tenerezza nei confronti di quanti si incontrano.
LinguaItaliano
Data di uscita27 mar 2020
ISBN9788865127216
Lettera a una religiosa, ovvero della tenerezza

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    Anteprima del libro

    Lettera a una religiosa, ovvero della tenerezza - Abbé Jean

    Abbé Jean

    LETTERA A UNA RELIGIOSA, OVVERO DELLA TENEREZZA

    © 2019, Marcianum Press, Venezia

    Marcianum Press

    Edizioni Studium S.r.l.

    Dorsoduro 1 - 30123 Venezia

    Tel. 041 27.43.914 - Fax 041 27.43.971

    marcianumpress@edizionistudium.it

    www.marcianumpress.it

    Impaginazione e grafica: Massimiliano Vio

    ISBN 978-88-6512-721-6

    ISBN: 9788865127216

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione

    I. Vedere

    II. Valutare

    L’esempio di Gesù: un mistero di fede

    Mistero di povertà

    Mistero di libertà – e di servizio

    Mistero di amore

    III. Agire

    Vivere il celibato in comunità

    Allargare la comunione

    Le amicizie

    Uomo e donna nel disegno di Dio

    Amicizie fra uomo e donna

    Alcuni criteri per vagliare la validità delle nostre amicizie

    Come manifestare esteriormente l’amicizia

    Vivere e manifestare la tenerezza

    Aprirsi al servizio del mondo

    Conclusione

    L’ordinazione al ministero di persone sposate

    Riammettere all’esercizio del ministero i sacerdoti che si sono sposati?

    E finalmente si conclude davvero…

    Abbé Jean

    LETTERA A UNA RELIGIOSA, OVVERO DELLA TENEREZZA

    Prefazione

    L’ultima volta che ho incontrato padre Paolo Dall’Oglio, al termine di una settimana di digiuno per la Siria che egli aveva fatto nella sede di " Religioni per la Pace ,, al momento di salutarci mi disse: però, ho un rimprovero da farti. Rimasi molto sorpreso, ma chiesi in che cosa avessi mancato. Ti rimprovero di non avere ripubblicato ‘ Lettera a una religiosa ’. E’ stato un libro importante per la mia vocazione, e so anche per quella di altri".

    Naturalmente quanto mi aveva detto mi fece piacere, per la stima sempre avuta per chi mi aveva fatto questa confidenza. Mostra che la lettera, senza recensioni o presentazioni, aveva conosciuto una certa diffusione. Di fatto essa arrivò a tre edizioni in due anni e venne apprezzata soprattutto negli ambienti missionari. Visitando in Africa i missionari della Consolata scoprii che ne avevano copia in tutte le loro comunità missionarie. Ben presto tuttavia, esaurita la terza edizione, la lettera venne considerata acqua passata ed era caduta nel dimenticatoio.

    Nonostante il rimprovero di padre Paolo, il libro di fatto mi pareva troppo datato per poter essere ripubblicato. Se c’è uno scritto che intendeva rispondere a una crisi precisa, quella crisi che ha fatto seguito al concilio Vaticano II, per la quale si diceva che un terzo delle religiose negli Stati Uniti (e in misura minore anche in altri paesi del mondo) avevano lasciato la vita religiosa, e che una cosa analoga accadeva nel mondo dei preti, delusi le une e gli altri da un’applicazione che pareva insufficiente delle decisioni del concilio, questo è proprio ‘ Lettera a una religiosa’. In quegli anni di grande travaglio per la vita della chiesa cattolica e delle persone consacrate, questo scritto cercava di esplorare i valori più profondi presenti nel celibato e nella castità consacrata, valori che possono giustificare la loro scelta e il restarvi fedeli di fronte a Dio. Essa cercava di far conoscere dall’interno come si arriva a una decisione di consacrazione al Signore e a una scelta di celibato e di castità e come si può meglio apprezzare questa condizione quando ci si sente chiamati a viverla dalla grazia del Signore. Ma in ogni caso ci sono nella lettera alcune pagine che avrebbero avuto bisogno di essere riscritte perché troppo ridondanti o troppo ripetitive.

    E tuttavia, dopo diversi anni di esitazioni, una nuova edizione è stata decisa. Essa vuole essere un gesto di amicizia e di comunione spirituale con padre Paolo, un modo affettuoso per fargli una sorpresa se ritornasse, in ogni caso una maniera per ricordarlo. Il testo viene ripubblicato senza praticamente nessuna variazione rispetto alla sua prima edizione del 1973, salvo l’aggiunta di qualche titoletto in corsivo che aiuta a reperire punti importanti del discorso che viene fatto. Per fortuna, con sorpresa dello stesso autore che da tanti anni non l’aveva riletta, la lettera affronta già alcuni temi diventati di importanza vitale nella chiesa di questi ultimi anni.

    Il primo è costituito dalla necessità sulla quale si insiste ripetutamente di passare a un celibato facoltativo per i ministri che devono essere ordinati per l’annuncio della Parola e la celebrazione dell’Eucaristia, sapendo che esso può essere osservato solo per una particolare grazia di Dio, per un dono dall’alto, e non per una legge.

    è vero che la ‘lettera’ riguardava innanzitutto la difesa della vita religiosa, nella quale viveva la sua destinataria, e solo secondariamente l’obbligo del celibato per i preti. Non si deve comunque dimenticare il fatto che all’epoca (come forse ancora oggi) nel sentimento popolare non si faceva grande distinzione fra la vita religiosa con i tre voti di castità, di obbedienza e di povertà e la vita del ministro ordinato al servizio della chiesa locale, che per sé si impegna solo al celibato. Un impegno che comunque veniva considerato come la scelta della castità assoluta, non prevedendo la dottrina della chiesa la possibilità di un’intimità coniugale fuori del matrimonio.

    Parlando di questo tema si può ricordare che papa Paolo VI sottrasse alla competenza del concilio le decisioni relative alla legge del celibato per i ministri della chiesa, in quanto esso aprendo alla possibilità di ordinare al diaconato uomini sposati sembrava prepararsi a decidere anche l’ordinazione di persone sposate per lo stesso presbiterato. Il problema venne sottoposto poi al Sinodo dei vescovi del 1971 nel quale, secondo il racconto che ne fece ai missionari presenti in Repubblica Centro Africana mons. N’Dayen, allora arcivescovo di Bangui, che vi aveva partecipato, si propose la facoltatività del celibato non per le chiese di antica cristianità ma soltanto per le giovani chiese dell’Africa e dell’Asia, che rifiutarono questa decisione che avrebbe dato vita a due categorie distinte di preti e che era considerata offensiva per il clero definito indigeno. Il risultato fu che il celibato continuò a essere obbligatorio per legge nella chiesa latina sino a oggi, anche se stando ai documenti preparatori del sinodo dell’Amazzonia dell’ottobre 2019 quest’ultimo dovrebbe consentire il superamento della richiesta di obbligatorietà del celibato per essere ordinati come presbiteri al servizio del Popolo di Dio in quella regione. E rendere facoltativo il celibato per coloro che intendono servire la comunità nel ministero ordinato in qualche regione del mondo potrebbe indurre secondo la convinzione di papa Francesco altre chiese locali a fare la stessa richiesta alla Santa Sede, che lo concederebbe quando si fosse convinta che il bene della comunità cristiana e la maturazione del popolo dei fedeli su questo punto consentirebbe di compiere questo passo anche in quella regione.

    Un secondo tema direttamente collegato al primo riguarda proprio l’opportunità di ordinare al ministero delle persone sposate, e quindi uomini ma anche donne, come si afferma nella ‘lettera’ proprio in una pagina in cui ci si rivolge direttamente alla destinataria. Tema che all’epoca si cominciava appena ad affrontare mentre oggi dovrebbe essere risolto con urgenza, in quanto la necessità di superare una discriminazione nei confronti della donna per quanto riguarda la sua esclusione dall’ordinazione al ministero appare sempre più sentita da parte del Popolo di Dio. Non esistono ragioni né bibliche né dogmatiche che possano giustificare questa esclusione, legata in passato soltanto al dato sociologico della condizione di subordinazione della donna nei confronti dell’uomo, e assolutamente incompatibile con tutte le dichiarazioni del concilio e con tutti gli insegnamenti della chiesa intorno al superamento di ogni discriminazione fra i sessi. Il prolungare questa esclusione costituisce infatti una netta contraddizione con quanto si afferma nella chiesa a proposito della piena parità fra uomo e donna, è di scandalo al mondo e pregiudica la causa dell’Evangelo, oltre ad allontanare molte donne dalla chiesa cattolica.

    Il terzo tema riguarda il rispetto dovuto a coloro che hanno deciso di lasciare il ministero del presbiterato per sposarsi, uomini che non hanno commesso alcun reato accedendo al sacramento del matrimonio, un diritto che Paolo VI alle Nazioni Unite ha dichiarato imprescrittibile. Queste persone in molti casi avevano speso con grande generosità anni della loro vita nel servizio che avevano reso al Popolo di Dio, e un gesto di misericordia anche nei loro confronti sarebbe di grande conforto per quanti soffrono di non potere più esercitare un ministero al quale pure si sono sentiti chiamati e nello stesso tempo sarebbe un dono prezioso alla comunità cristiana che potrebbe tornare a fruire della loro preparazione ed esperienza e delle loro ricchezze spirituali.

    Un altro segno fra tanti altri dei frutti positivi del pontificato di papa Francesco è costituito da un recente rescritto della Santa Sede che cambia completamente l’atteggiamento nei confronti dei preti che si sposano trattandoli con grande rispetto e umanità e dando loro la possibilità di esercitare in modi sempre più allargati il loro servizio nella comunità ecclesiale.

    In questa ‘lettera’ si troveranno anche alcune affermazioni e terminologie oggi in larga misura superate. Quanto alle affermazioni, forse oggi non ci si riferirebbe più con tanta sicurezza al celibato di Gesù di Nazareth, come si poteva fare in passato. Quanto alle terminologie, nella lettera troviamo correntemente il termine ‘sacerdote’ per indicare il ministro ordinato, e cioè il presbitero. Oggi sappiamo meglio che tutti i battezzati sono sacerdoti in quanto partecipano del sacerdozio di Cristo ( LG 10-11), mentre il solco che separava preti e religiosi dalla vita dei laici è in larga misura colmato. Nessuno potrebbe più sostenere con i medievali che " duo sunt genera christianorum anche se qualche sopravvivenza c’è ancora. La comunità cristiana nonostante la secolarizzazione è più viva e vitale che mai, la partecipazione di tutti i credenti alla vita della comunità si è enormemente sviluppata, e sono molti coloro che si impegnano in essa per i più diversi servizi. Questo è il frutto di una valorizzazione del battesimo, di cui non si parla abbastanza nella lettera", ma tutto quello che in essa si dice sull’amore fraterno nelle comunità e sulla compassione e tenerezza reciproca corrisponde a uno stile di vita che nella Bibbia si attribuisce agli anawim, stile di vita ampiamente sottolineato in tutta la lettera e che oggi si dovrebbe poter realizzare proprio come conseguenza del battesimo in tutte le nostre comunità.

    Anche la nuova edizione presenta l’autore con l’unico nome con cui egli era conosciuto in Africa quando è stata redatta e tradotta questa lettera. Una tale scelta viene giustificata dal desiderio di non concentrare l’attenzione del lettore su chi ha scritto, ma di consentirgli di cogliere quanto di positivo può esserci in questa lettera per la crescita della comunità cristiana e nello stesso tempo anche per la nostra umanità nel suo cammino verso il Regno.

    4 ottobre 2019, festa di san Francesco

    Abbé Jean

    15 agosto 1973

    Carissima Maria Teresa,

    mi hai scritto che un amico ha fatto vedere la mia lettera dell’anno scorso a un editore in Italia, e che egli ha dichiarato che avrebbe avuto piacere di farla tradurre e pubblicare.

    Non posso oppormi, perché può darsi che nella lettera ci sia un qualcosa che possa essere utile ad altri, come mi hai detto che è stato utile a te.

    Data la delicatezza dell’argomento e la franchezza del discorso, ti pregherei però di far pubblicare questa lettera come una testimonianza anonima, e di far scomparire quei nomi di luoghi e di persone che potrebbero permettere una nostra identificazione.

    Prega l’editore di badare che la pubblicazione resti in ambienti che, secondo la parola dell’evangelo, possano comprendere. Occorre ricordarsi talvolta anche dell’altra misteriosa parola dell’evangelo: «Non date le vostre perle ai porci, affinché non le calpestino con le zampe e non si voltino poi a sbranare anche voi» (Mt 7,6).

    Spero che la tua salute continui a reggere, nonostante la malaria e la durezza del clima africano, e che tu possa continuare bene il tuo lavoro.

    Conservati nella gioia e nella pace.

    Ti abbraccio con l’amicizia di sempre,

    Abbé Jean

    I. Vedere

    Come sono arrivato al sacerdozio e al celibato

    Cara Maria Teresa, ricordo che una volta abbiamo discorso a lungo delle origini della tua fede e della tua vocazione. Io cercavo di sondare questo mistero: perché hai abbracciato la fede cristiana, come sei arrivata a decidere di consacrare [1] la tua vita al Signore? Ricordo perfettamente le tue risposte, ricordo che mi dicevi che l’una e l’altra cosa affondavano le loro radici nella tua prima giovinezza, nell’educazione della tua famiglia come nelle prime esperienze di preghiera, ma ricordo soprattutto quanta parte di inesprimibile e quanta parte di mistero e di grazia mi parve restasse alla base di queste tue scelte.

    Se adesso io dovessi rendere conto a te delle prime origini della mia fede e poi della scelta che ho fatto di gettare interamente la mia vita per Dio – e mi pare giusto raccontarti di me dopo che tu mi hai raccontato tanto di te – io mi sentirei altrettanto imbarazzato a rispondere. Quando e come ho cominciato a credere? E certo che l’educazione familiare vi è entrata per una larga parte: esiste un patrimonio spirituale accumulato nel corso delle generazioni, che è stato trasmesso a me insieme a mille altri valori, dai miei nonni, come dai miei genitori, come da tutto l’ambiente della famiglia. Di questo non c’è affatto da scandalizzarsi. Il Cristianesimo è religione rivelata, che ha bisogno di essere annunciato attraverso la parola e la testimonianza, e ogni famiglia credente è una piccola chiesa che annuncia il messaggio evangelico ai suoi nuovi membri. Ammesso questo, l’educazione familiare non spiega tutto. A quanti lo stesso messaggio è stato annunciato da parte della famiglia, eppure è stato rifiutato oppure ha avuto sempre una posizione talmente marginale, da influire molto poco sulla loro vita? Perché allora noi siamo arrivati a giocare sopra di esso tutta la nostra esistenza?

    Ci sono forse nella personalità umana certe dimensioni e certe tendenze che appaiono quasi innate. Quando un musicista ha cominciato ad amare la musica? Quando un pittore ha cominciato a dipingere? Così è per me, se questo paragone è consentito. L’esperienza religiosa – che è certo uno dei vertici se non il vertice della nostra esperienza umana (è proprio soltanto dell’uomo interrogarsi circa il senso della propria esistenza, cercare Dio ed entrare in dialogo con Lui, e

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