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La liberazione della donna
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E-book283 pagine4 ore

La liberazione della donna

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Giornalista, scrittrice, attivista dei diritti civili, Anna Maria Mozzoni fu la voce più forte nel chiedere, tra Otto e Novecento, pari diritti politici e sociali per le donne italiane, e quindi precorritrice dei movimenti femministi.
“Il mio lavoro, siccome diretto all’utile vostro materiale e morale, e tendendo ad affermare il vostro individualismo, era d’uopo cominciasse per mostrarvi quali siete e non attraverso le lenti della opinione”.
Anna Maria Mozzoni ha 27 anni quando, nel 1864, pubblica La donna e i suoi rapporti sociali: per lei, ardente mazziniana, la speranza è che il Risorgimento politico sia anche – e finalmente – una rinascita delle donne in Italia.
Una donna all’avanguardia, Anna Maria: tiene conferenze, traduce, scrive (“Che fa la penna in mano ad una donna se non serve alla sua causa come a quella di tutti gli oppressi?”), si impegna con i socialisti sulle tutele del lavoro, specialmente femminile; la sua battaglia, combattuta per tutta la vita, è per il diritto al voto delle donne; conquistato solo 26 anni dopo la sua scomparsa.

ANNA MARIA MOZZONI nasce a Rescaldina, alle porte di Milano nel 1837. Dai genitori, un padre fisico e matematico e una madre dell’alta borghesia milanese, che la alleva nel libero pensiero, ottiene le basi di un’educazione aperta.
Giornalista e scrittrice, autrice di saggi, conferenze e traduzioni, impegnata politicamente, muore a Roma nel 1920.

Introduzione di Donatella Alfonso –  Prefazione di Fiorenza Taricone
 
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2020
ISBN9788899332631
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    La liberazione della donna - Anna Maria Mozzoni

    ANNA MARIA, UNA MANO SULLE SPALLE DELLE DONNE

    di DONATELLA ALFONSO

    Uno sguardo fiero e severo, ma illuminato dalla passione. Un abito scuro e una spilla sul petto; e ancora, una piccola catena d’oro. Il ritratto di Anna Maria Mozzoni riprende vita in quello stesso monile nelle mani di Etta, la bisnipote: erede e custode del ricordo di una donna in cui pensiero e azione hanno seguito un unico richiamo: la liberazione della donna, il riconoscimento dei diritti, primo tra tutti quello al voto. «Quando c’è da votare vai, che vedi quanta fatica ci è costata, diceva la nonna: e io non ho mai dimenticato queste parole» spiega Etta Mozzoni, nella casa di Genova ricca di ritratti, documenti, oggetti che riportano ad Anna Maria.

    Severa, fiera, ma capace di ironia: ha soltanto diciotto anni quando pubblica, in francese, La masque de fer, comédie en trois actes. D’altronde, la libertà di pensiero è quella che si respira nella casa di Rescaldina, alle porte di Milano, dove Maria Anna (sarà lei stessa a modificare il suo nome) nasce il 5 maggio 1837. Nobiltà lombarda quella del padre, Giuseppe Mozzoni, che ha sposato Delfina Piantanida, alta borghesia milanese, proprietaria di terre. Uomo dalle mille risorse, Giuseppe Mozzoni: ingegnere e architetto, che studia le applicazioni di luce e calorico e la filosofia del creato; osserva i gelsi e inventa una macchina per tagliarne le foglie; si cimenta in un apparecchio per estrarre i veleni dallo stomaco e metterà a punto uno splendido progetto per il rifacimento della facciata del Duomo di Milano: le guglie corrono dritte e pulite verso il cielo, nel disegno a matita incorniciato tra i ritratti di famiglia. Ma fu lui stesso, alla fine, a decidere di non partecipare al concorso contestandone alcuni giurati: benché il suo fosse considerato il progetto migliore.

    Giuseppe è un eclettico, positivista ante litteram, insegue le suggestioni della scienza e della progettazione tecnica mentre Delfina alleva la figlia indicandole tutti i conformismi, le convenzioni anti femminili. Liberali, indipendenti, progressisti: in partenza, lo stesso tipo di educazione per Anna Maria come per i fratelli Lucio Ottavio - il bisnonno di Etta - che si laureerà in matematica a Smirne, e Giacomo, medico. Per quali ragioni lei venga inviata a soli cinque anni nel Collegio delle famiglie nobili e povere di Milano, non si sa: se non che le ricerche di Giuseppe e gli studi dei figli abbiano assorbito buona parte del patrimonio familiare. Ma non serviranno a molto, quegli anni in collegio, se nel 1851 torna a casa, decisa a continuare gli studi da sé, riprendendo il filo delle conversazioni con il padre e la madre, ma anche entrando progressivamente nel mondo mazziniano: sempre libera di scegliere e decidere però, se arriverà a scrivere Non mi ritengo appigliata a nessuna setta, a nessun sistema, a nessuna scuola. Non credo all’infallibilità del Papa, ma rinnegando questa, non sostituisco quella di Mazzini né di nessun altro.

    Ma tra le mazziniane Anna Maria incontra altre ragazze e donne che pensano che non si possa costruire una nuova Italia se le donne non avranno il ruolo che compete loro. Giorgina Saffi, Adelaide Cairoli, sono tra le pensatrici e attiviste che più colpiscono Anna Maria. Ma è alla madre Delfina che dedica La donna e i suoi rapporti sociali, nel 1864. «Perché ha sempre riconosciuto in lei la prima ad averle fatto capire che le donne avevano gli stessi diritti degli uomini. E questo libro arriva cinque anni prima di John Stuart Mill» dice Etta, accarezzando la riproduzione di quel volumetto lontano e attualissimo. In quelle pagine, l’idea e la speranza che il Risorgimento sia anche quello delle donne italiane; ma anche il dubbio che non sarà così. Negare alla donna una competa riforma nella sua educazione, negarle più ampii confini alla istruzione, negarle un lavoro, negarle una esistenza nella città, una vita nella nazione, una importanza nella opinione, non è ormai cosa più possibile; e gli interessi ostili al suo risorgimento potranno bensì ritardarlo con una lotta ingenerosa, ma mai impedirlo.

    Studia e scrive, Anna Maria, traduce – La servitù delle donne da Stuart Mill – viaggia, si impegna contro le norme sulla prostituzione (nel 1877 al Congresso di Ginevra). E nello stesso anno, l’impegno per il voto alle donne prende la forma, con una conferenza che fa scalpore - Del voto politico alle donne - di un atto d’accusa al governo Depretis per il mancato suffragio universale. E poi ancora libri, ancora viaggi, ancora conferenze e convegni: fonda a Milano nel 1879 la Lega Promotrice degli Interessi femminili, si avvicina al socialismo. Ma, prima ancora, l’urgenza è quella di sostenere, di promuovere l’istruzione femminile. D’altronde, già nel 1866 aveva pubblicato Un passo avanti nella cultura femminile. Tesi e progetto, per sollecitare una vera istruzione completa per le donne, in cui si studi, oltre che la scienza e le lingue straniere, anche la storia della condizione femminile nel mondo. Un sogno? Forse. Ma c’è da costruire l’identità delle donne libere, perché non sognare? Anna Maria Mozzoni e Maria Antonietta Torriani Viollier (giornalista del Corriere della Sera dove si firma la marchesa Colombi) ideano e progettano a Milano un liceo femminile che intitolano Maria Gaetana Agnesi in onore della grande matematica; qui Annamaria riserva per sé l’insegnamento di Filosofia Morale. Intanto tiene conferenze in città diverse, scrive – e sarà un lungo impegno – per il giornale La donna, prende posizioni politiche nette, come la denuncia delle condizioni in cui è incarcerato Giovanni Passannante, l’anarchico che cercò di uccidere Umberto I. Propone e propaganda il voto femminile in più parlamenti, sotto governi diversi. Le sue idee sono sì socialiste, ma il rapporto con Anna Kuliscioff, prima amicale, si interrompe poi sui progetti di tutela del lavoro femminile: in questo modo, secondo la Mozzoni, si sarebbero perpetuate le differenze, a partire dai salari.

    E la vita, Anna Maria? Una famiglia, dei figli? «Ad un certo punto apparve accanto a lei una ragazzina, si chiamava Bice del Monte, poi le diede il suo cognome. Lei diceva che era figlia di un’amica, probabilmente era una sua figlia naturale, ma non ci sono documenti sulla paternità» sospira Etta. Così come i racconti di famiglia non indugiano su un matrimonio tardivo, quello con il conte Malatesta Covi Simoni, nel 1886: lui ha dieci anni di meno e quella figlia non la riconoscerà mai. Un lungo strascico giudiziario accompagna la separazione.

    La famiglia d’origine, invece, è un punto di riferimento; morti i genitori, restano i fratelli, e poi i nipoti Giulio e Giovanni. Ma la scelta interventista di Anna Maria diventerà per lei un rimorso, quando l’amato Giovanni muore attraversando il Tagliamento a cavallo.

    «Molti si erano dimenticati di lei, ma ancora a fine guerra risultava schedata: numero 16620 nel casellario giudiziale come pericolosa sovversiva socialista» racconta Etta. E ricorda la grande delusione, tramandata nei racconti familiari, davanti agli esiti della commissione che Giovanni Giolitti aveva istituito per valutare la possibilità di concederlo, quel desiderato voto: ma la decisione finale fu che sarebbe stato un salto nel buio.

    Quando Anna Maria muore, il 14 giugno del 1920 al Policlinico di Roma, ha 83 anni, una vita di passione e ancora molta amarezza. «Non ha avuto la gioia di vedere molto del suo lavoro – sospira Etta – e quanta fatica per arrivare al primo voto delle italiane, nel 1946. Ma per me è una persona meravigliosa che sento vicina come se avessi la sua mano sulla spalla».

    Ad Anna Maria Mozzoni sono intitolati un parco a Rescaldina e un altro a Imola, strade a Milano e in altri centri, e numerose scuole in diverse località italiane. Per mettere una mano sulla spalla a tante giovani donne.

    Che fa la penna in mano a una donna se non serve alla sua causa, come a quella di tutti gli oppressi?.

    ALLE ORIGINI DELLA TRASVERSALITÀ DI GENERE

    di FIORENZA TARICONE*

    La data di nascita di Anna Maria Mozzoni, che si è già lasciata alle spalle i moti carbonari, e la sua terra natale, la Lombardia, sono indicative della sua personalità e attività futura. La Lombardia era quella provincia dell’Impero asburgico cui le riforme dell’Imperatrice Maria Teresa, nel ’700, avevano contribuito a cambiare volto, con la riforma del catasto, l’istruzione elementare impartita teoricamente anche dalle maestre, la razionalizzazione dell’agricoltura, un minimo diritto di voto per le donne possidenti che sceglievano i propri amministratori¹.

    Il progressismo della Lombardia quindi aveva un debito anche con quell’Impero contro cui dovettero combattere i e le patriote per unificare l’Italia; e l’italianità di conseguenza fu per la Mozzoni una scelta in parte dolorosa; quando fu varato il Codice Civile Pisanelli dal nome del Ministro di Grazia e Giustizia, che unificava le legislazioni degli Stati preunitari, contro cui la Mozzoni aveva pubblicato La donna in faccia al Codice Civile Italiano, del 1865, criticandolo pesantemente per il trattamento riservato alle donne, la spaccatura fu evidente. La sua fu una delle pochissime, serrate e intellettualmente organizzate risposte femminili al Codice Pisanelli, in cui rivendicò il diritto di voto amministrativo e politico per le donne. L’unità significò quindi per le donne del Lombardo Veneto un parziale regresso, se paragonato anche alle richieste contenute in volantino a stampa datato 1861, firmato dalle donne lombarde, in cui si chiedeva che fossero estesi alle donne di tutte le province i diritti finora riconosciuti a quelle lombarde². Il Codice fu anche, nel pensiero di chi scrive, la prova concreta dell’ingratitudine dello stato unitario verso le tante patriote che alla costruzione dello stato stesso avevano sacrificato energie, affetti, denaro.

    Nella sua prima opera di una certa mole, qui fra le altre presentata, La donna e i suoi rapporti sociali (1864) mise a fuoco impietosamente non solo la condizione delle operaie e in genere delle lavoratrici, ma anche la disistima che gravava su di loro. Allo sfruttamento dell’imprenditore poteva opporsi solo la resistenza organizzata dalle operaie stesse, per mettere fine al sottosalario percepito, non corrispondente al reale valore del lavoro svolto; esso era misurato sui pretesi bisogni delle donne che, come si affermava, erano minori di quelli degli uomini, convinzione che faceva il paio con l’intramontabile convinzione anche novecentesca di un salario femminile integrativo di quello maschile e quindi accessorio, opzionale.

    Collocata politicamente alla sinistra della democrazia repubblicana, fu una convinta mazziniana, anche per il ruolo fondamentale che Giuseppe Mazzini riservava all’educazione nella rigenerazione sociale e politica. Nel 1870, come ricorda anche Donatella Alfonso nel suo scritto, tradusse The Subiection of Women del filosofo liberale inglese John Stuart Mill, con il titolo La servitù delle donne, diventati entrambi una sorta di Bibbia dell’emancipazionismo e del suffragismo; insegnò anche Filosofia morale nella scuola superiore femminile Maria Gaetana Agnesi di Milano, una delle più famose donne d’eccezione del Settecento, matematica, poliglotta, filosofa, terziaria per sua scelta, orfana di madre e costretta ad allevare i suoi ventuno fratelli³.Sua collega era anche Maria Antonietta Torriani, più tardi nota come scrittrice con lo pseudonimo di Marchesa Colombi.

    Dal 1870 al 1890 la Mozzoni collaborò a La donna di Padova, fondato dalla mazziniana Gualberta Alaìde Beccari, uno dei primi giornali all’avanguardia nella lotta per i diritti delle donne, che raccolse le firme delle più autorevoli scrittrici e giornaliste del tempo. Sul giornale, Anna Maria Mozzoni diede notizia sugli scioperi di operaie come le tessili, le sigaraie, le mondariso, contribuendo a creare un’opinione pubblica favorevole alle rivendicazioni delle lavoratrici. Nel ’72 iniziò una vivace campagna contro la statalizzazione della prostituzione, collegandosi alla lotta contro la sua regolamentazione, così come aveva fatto all’estero Josephine Butler e diventando, insieme a Salvatore Morelli, l’interlocutrice italiana⁴.

    Già dal 1876 Agostino Bertani aveva caldamente invitato Anna Maria Mozzoni e Jessie White Mario, mazziniana e moglie del federalista Alberto Mario, a collaborare alla prima inchiesta sulle condizioni dei contadini e degli operai. I risultati dell’inchiesta furono però dispersi e lei stessa denunciò la scomparsa di sette volumi dagli archivi del Ministero dell’Agricoltura, dove erano stati depositati. Nel 1886 sposò quasi quarantenne, contro la volontà della famiglia, il conte Malatesta Covo Simoni, più giovane di lei, procuratore milanese, più tardi presidente di un comitato suffragista; il matrimonio durò pochi anni, come ricorda anche Donatella Alfonso.

    Nel 1892, per quanto avesse partecipato all’organizzazione del Congresso dei socialisti a Genova, che doveva sancire la nascita del Psi, non entrò nel partito nel timore che la questione dell’uguaglianza dei sessi fosse considerata secondaria, politicamente poco redditizia e perciò messa da parte. L’esperienza di un socialismo diventato partito non la convinse fino in fondo e preferì tenere alta la bandiera dell’autonomia di una questione femminile. Se per la Mozzoni, la questione sociale emergente implicava certamente un mutamento dei rapporti di proprietà fra le classi, non era affatto di secondaria importanza il mutamento dei rapporti fra i sessi. Tipica di Anna Maria Mozzoni, fu la diffidenza verso la legislazione protettiva per il lavoro femminile, posizione che la portò ad una famosa polemica con Anna Kuliscioff, teorica riformista e donna di partito appunto, che vedeva nella eccessiva tutela un possibile strumento per l’espulsione femminile dal mercato del lavoro.

    Anna Maria Mozzoni dedicò molte energie anche alla campagna per il voto alle donne. Stabilitasi a Roma con la figlia Bice che studiava legge, attiva anche lei nel movimento femminile, nel 1902 fu tra le fondatrici dell’Alleanza femminile per il suffragio e nel 1906 scrisse la Petizione delle donne italiane al Senato del Regno e alla Camera dei Deputati per il voto politico e amministrativo. Nel 1908 figurò nell’ennesimo comitato per la ricerca della paternità, poiché era proibito alle donne citare in giudizio il presunto padre del loro figlio, una volta rimaste incinte illegittimamente. Quando scoppiò la guerra mondiale fu un linea con il suffragismo inglese e quindi con l’interventismo democratico.

    Nella sua più che quarantennale attività partecipò a decine di congressi, fu presente in tutte e o quasi le associazioni in favore dell’emancipazione femminile. Si servì di ogni strumento a sua disposizione: conferenze, letture, articoli, saggi e tribune da cui potesse far sentire la sua voce contro le ingiustizie di sesso e di classe. Collaborò a moltissimi periodici a cominciare da La Roma del popolo dietro invito di Mazzini e La Riforma del Secolo XIX, quindicinale dei liberi pensatori cristiani, a La Plebe. In questo testo, come in molti altri, mise in evidenza i tanti limiti imposti alle donne al di là del censo e della classe di appartenenza, costruendo un ponte fra generazioni diverse, ma anche all’interno del suo stesso genere. Nella convinzione di chi scrive, Anna Maria Mozzoni è stata in definitiva un’antesignana della trasversalità di genere. Ma purtroppo per lei, è stata anche una testimone dei prezzi che le donne hanno pagato per la conquista della libertà.

    Morì in solitudine, alle prese con difficoltà economiche, ma almeno le fu risparmiato di assistere all’affermazione di una forma di governo illiberale e misogina come il fascismo.

    LA DONNA E I SUOI RAPPORTI SOCIALI

    Alle Giovani Donne

    La revisione del Codice Civile Italiano per opera del parlamento nazionale mi poneva fra le mani un argomento -La donna, per vieto costume esclusa dai consigli delle nazioni, ha sempre subìto la legge senza concorrere a farla, ha sempre colla sua proprietà e col suo lavoro contribuito alla pubblica bisogna, e sempre senza compenso.

    Per lei le imposte, ma non per lei l’istruzione; per lei i sacrificii, ma non per lei gl’impieghi; per lei la severa virtù, ma non per lei gli onori; per lei la concorrenza alle spese nella famiglia, ma non per lei neppur il possesso di sé medesima; per lei la capacità che la fa punire, ma non per lei la capacità che la fa indipendente; forte abbastanza per essere oppressa sotto un cumulo di penosi doveri, abbastanza debole per non poter reggersi da sé stessa...

    ... Se non che prevedo l’obiezione, che mi può esser fatta anche da qualche amico generoso della redenzione femminile; che cioè in mano all’ignorante ed al pregiudicato potrebbe assai facilmente servire il diritto ad uccidere il diritto; che pur troppo al dì che corre, subendo la donna le antiche influenze, e né potendo d’un tratto diradarsi dinnanzi gli occhi la fitta tenebrìa di sessanta secoli, essa finirebbe o per non comprendere il suo diritto e trascurarlo o, che peggio è, per mal applicarlo, non altrimenti che un coltello, utilissimo arnese in mano al savio ed all’adulto, si fa pericoloso e funesto fra mani al bambino od al mentecatto.

    Nulla di più vero, e di più giusto in verità, che siffatto timore; laonde ciò considerando risolsi di rivolgere a voi, giovani donne, il mio libro, e parlare a voi dei vostri doveri prima, poscia dei vostri diritti, né passerò a parlar di questi, se non quando mi lusingherò di avervi a sufficienza provato che il diritto sul dovere si fonda, non altro quello essendo che lo strumento col quale questo si compie.

    Ognun vede e sa, che potente ed efficace si è destato il bisogno d’istruzione nella donna in questo quinquennio di libera vita. Ognun vide l’entusiasmo che la donna italiana portò nel patrio risorgimento, la devozione sua agli interessi nazionali, i sacrificii che lieta compì sull’altare dei patrii bisogni.

    Se ciò tutto non rivela massima intelligenza della pubblica cosa; se l’avere scossa l’inconscia pace dell’ignoranza; se il suo caldo parteggiare per cose, per individui o per principii, non prova ampiamente in lei sazietà della vieta apatia, e bisogno supremo di nuova vita, di più libera atmosfera e di più ampio orizzonte; se ciò non è, dico, allora noi assistiamo ad un fenomeno che non ha ragione d’essere, epperò non possibile soluzione.

    Negare alla donna una completa riforma nella sua educazione, negarle più ampii confini alla istruzione, negarle un lavoro, negarle una esistenza nella città, una vita nella nazione, una importanza nella opinione non è ormai più cosa possibile; e gli interessi ostili al suo risorgimento potranno bensì ritardarlo con una lotta ingenerosa, ma non mai impedirlo.

    Ma ogni ragione e l’esperienza di tutti i secoli prova che l’iniziativa d’ogni redenzione incombe all’oppresso medesimo; epperò è d’uopo, studii la donna il suo terreno, e sciolgasi prima ad un tratto da ogni influenza che tenti piegarla e formarla ad interessi non suoi; ed ecco ragion per cui io tento riscattarla dai vieti principii d’una morale relativa per sostituirvi una morale assoluta, che non già sé stessa, ma le sole forme sue modifica in faccia ai rapporti...

    ... Ma aborrendo per natura dalla polemica pura che le passioni solleva e poco giova all’argomento; convinta che, più col fatto che colla parola si trionfa dei secolari pregiudizii se, come questo, basati su numerosi e forti interessi; desiderosa prima, e sovra tutto, d’esservi utile, persuasa che il conquisto del bene esige sforzo e violenza, ammaestrata dalla storia, che diritto ed importanza mai non si concedono gratuitamente, ma fa d’uopo conquistarseli; io mi rivolsi a voi, onde incoraggiarvi a tentare l’impresa; onde esortarvi a chiarire coi fatti quanto s’ingannino coloro, che bassamente di voi pensarono, che vi credettero incapaci di applicare lo innato ingegno a studii utili e severi, che crearono per voi una morale relativa, la quale vi pieghi ad interessi speciali, che non altro sembrano vedere in voi d’amabile se non ciò che non è vostro ma dono gratuito della natura, che di niuna influenza vi credono potenti oltre quella che sui ciechi istinti si fonda; dottrine queste che non è d’uopo mostrarvi come al nulla vi riducano quando, per fatto di natura matrigna, o d’età, o di circostanze, cessate d’essere oggetto di passione e di simpatia.

    E tanto basti per chiarirvi il punto mio di partenza - Il mio lavoro, siccome diretto all’utile vostro materiale e morale, e tendendo ad affermare il vostro individualismo, era d’uopo cominciasse per mostrarvi quali siete e non attraverso le lenti della opinione.

    Dalle leggi eterne della morale all’infuori non v’ha arbitrato che pesi sulle umane azioni, il quale non sia continuamente modificato da circostanze di luogo, di tempo, di condizione e di persona, e capovolto affatto talora dai progressi della civiltà e dell’intelligenza. Un secolo fa, l’immortale Molière, colle sue Preziose Ridicole, faceva argomento al sarcasmo la dottrina femminile; ed il pubblico francese applaudiva freneticamente all’autore, all’opera, all’argomento; in oggi l’istruzione femminile ha avanzato. Sovente la donna dirige al pubblico la parola, ed è volentieri sentita e spesso lodata - Ecco l’opinione.

    È evidente che talune dovettero per prime affrontarla, ma siccome desse non gettavano il guanto che al pregiudizio, questo dovette pur far posto alla ragione...

    ... Ed ecco in qual modo, sollevando la donna dall’opinione, intendo avviarla alla morale.

    La religione fu sempre e dovunque potentissimo mezzo a dominare la donna, e sta bene; ma io vorrei che questo sentimento, ch’è in lei tanto sentito e dominante, non in mano altrui fosse, ma in sua mano; non diretto a farla schiava perpetua dell’altrui avviso, epperò dell’interesse altrui talora cieco strumento, ma sollievo le fosse e guida attraverso i delirii

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