Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Ragioniamo sul 1992 stragista
Ragioniamo sul 1992 stragista
Ragioniamo sul 1992 stragista
E-book301 pagine4 ore

Ragioniamo sul 1992 stragista

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Il racconto di avvenimenti dimenticati da tutti gli esperti, ma che è fondamentale, forse addirittura illuminante, per ricostruire, e mostrare il vero e completo contesto storico-politico delle stragi del 1992.

La ricerca della verità come principio guida, per non tralasciare nulla di quanto accaduto in quell'anno, ci insegna, che non devono esserci dei tabù, che ci potrebbero impedire di vedere se il re sia nudo. Quei morti meritano un resoconto lucido e disincantato sia delle contraddizioni irrisolvibili, sia delle responsabilità politiche del sancta sanctorum del Potere.

Informazioni altamente significative sia ai giovani, che altrimenti non ne avrebbero mai accesso, sia agli esperti, i quali vi troveranno anche una prospettiva originale e innovativa, apportatrice di un nuovo paradigma assiologico di analisi e di comprensione, che apre a scenari finora impensabili, e suscettibili di ulteriori sviluppi da parte degli stessi studiosi.

Il gioco grande del potere, come lo chiamava Giovanni Falcone, era figlio di un mondo grande, che ci veniva mostrato e indicato da Agostino Cordova, ma quel mondo grande non poteva accettare che pure Falcone si interessasse ad esso, unendosi a Cordova.
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2019
ISBN9788831644006
Ragioniamo sul 1992 stragista

Correlato a Ragioniamo sul 1992 stragista

Ebook correlati

Storia per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Ragioniamo sul 1992 stragista

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Ragioniamo sul 1992 stragista - Francesco Spanò

    Indice

    QUARTA

    INTRODUZIONE

    Premessa

    Non riuscivo a crederci

    Con la forza e la lucidità di uno sguardo diverso

    LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA DEI MINISTRI È NECESSARIA PER LA SALVAGUARDIA DELLE ISTITUZIONI

    La responsabilità oggettiva non è sinonimo di complicità, ma non la esclude

    Antefatto

    Alcuni cenni sulla storia dei responsabili politici di allora

    Giulio Andreotti

    Vincenzo Scotti

    Claudio Martelli

    Francesco Cossiga

    Nicola Mancino

    Giuliano Amato

    Oscar Luigi Scalfaro

    Alcune riflessioni

    Mario Mori e Ultimo (Sergio De Caprio)

    ALTRI PROTAGONISTI

    La Costituzione italiana

    Agostino Cordova

    Giovanni Falcone

    Un uguaglianza e una concordanza allora non capite, oggi nullificate

    Paolo Borsellino

    Carlo Alberto dalla Chiesa

    Il Comandante Alfa

    Un protagonista negativo - Totò Riina

    Un protagonista ambiguo - Leonardo Sciascia

    RIFLESSIONI CONCLUSIVE

    Alcune riflessioni di carattere generale sulla cultura italiana

    Le forze di polizia

    Gli errori di Giovanni Falcone

    Ancora sul governo Andreotti: risultati - critiche - interrogativi - proposte alternative.

    L’illusione ottica di noi cittadini

    Quali tesi non mi convincono

    Chi ha perso

    Chi ha vinto

    Il naturale tendere verso la verità aiuta sempre a capire, e a comprendere

    Cosa dire ancora

    FONTI

    Bibliografia

    Filmografia

    Altro

    1) Come giudicheremo dei potenti politici nelle Istituzioni:

    - Se indebolissero l’autonomia del CSM e dei giudici?

    -Se denigrassero il giudice NICOLA GRATTERI, MA nel contempo magnificassero il giudice NINO DI MATTEO?

    -Se sovraesponessero Di Matteo alla mafia?

    -Se Di Matteo non venisse protetto adeguatamente da quei politici, che tanto lo incensavano, e rimanesse ucciso con facilitá dalla mafia mediamente un attentato stragista?

    + Tutto ciò avvenne realmente nel 1192, ma i giudici erano: AGOSTINO CORDOVA e GIOVANNI FALCONE.

    2) Una ricostruzione del contesto delle stragi del 1992, che è senza MEMORIA STORICA: di Agostino Cordova & de IL CONCERTO del ministro della Giustizia, è una rappresentazione fallace e insulsa, la quale MAI potrà giungere, a conquistare la veritá di quelle tragedie.

    3) I principi della COSTITUZIONE, gli INSEGNAMENTI di Giovanni Falcano e di Paolo Borsellino, le lezioni della nostra STORIA e la RESPONSABILTÁ OGGETTIVA dei politici non sono degli orpelli retorici, ma degli illuminati CONCETTI guida, per mostrare e spiegare il veritiero contest storico-politico di quell’anno.

    4) Giovani Falcone non era piú interessato a Totó Riina, ma lo era fortemente alla struttura paramilitare Gladio, agli omicidi politici Michele Reina – Piersanti Mattarella – Pio La Torre e alle massonerie deviate, a proposito delle quali confidó: «Chi tocca questi fili muore».

    - Se GIOVANNI FALCONE avesse potuto dirige la Superprocura, avrebbe operato sulla medesima questione, sulla quale di già stava indagando l‘altro fuoriclasse dei giudici italiani, AGOSTINO CORDOVA, cioè sui rapporti tra mafia – massoneria deviata – politica.

    A tutti i Patrioti della Repubblica costituzionale italiana

    RAGIONIAMO SUL 1992 STRAGISTA

    Agostino Cordova e Giovanni Falcone - VISTI ASSIEME -

    sono il nucleo della verità per iniziare a capire quell'anno

    Titolo | Ragioniamo sul 1992 stragista

    Autore | Francesco Spanò

    ISBN | 9788831644006

    Prima edizione digitale: 2019

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Youcanprint Self-Publishing

    Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

    info@youcanprint.it

    www.youcanprint.it

    Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

    Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti  dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

    INTRODUZIONE

    Premessa

    - 'Ragioniamo sul 1992 stragista' è un discorso, che tenta di ricostruire la verità sul periodo delle stragi del 1992, riportando ciò che è stato dimenticato, ampliando la visuale, evidenziando le troppe antinomie, gettando uno sguardo verso aree e periodi storici, che abitualmente non vengono messi in relazione concettuale a quegli eventi tragici.

    Giovanni Falcone incontrò sia l’uomo più potente d’Italia, Giovanni Agnelli, sia l’uomo più potente del mondo, George Herbert Bush (Bush padre), mi è sembrato quindi ancor più necessario, tentare di ricostruire un grande mondo, che è appunto complesso nello spazio, nel tempo, nei temi e nelle dinamiche, anche i miei fuori tema e le mie proposte alternative hanno l’ambizione di voler mostrare, e far comprendere meglio al lettore il grande e variegato mondo, nel quale visse Falcone, non dimenticando mai, che il passato è sempre vivo e operante nel presente.

    Il mio intento è anche quello di comunicare al lettore le mie nozioni guida e l’abitudine mentale a porre uno sguardo ampio, inconsueto e innovativo sui diversi avvenimenti storici della nostra Repubblica.

    - E’ un ragionamento, che ha per concetti guida: la Costituzione italiana, la Storia italiana, gli alti insegnamenti degli eroi e gli sviluppi storici mancati. L’uso intelligente, sinergico, se possibile armonioso, di questi concetti ci permette di vedere, e mostrare con chiarezza la realtà.

    - E’ UNA CONCEZIONE DIVERSA su quel periodo storico, anche perché, citando dei politici per gli avvenimenti del 1992, dà un contributo, per far crollare un tabù e per rafforzare un clima culturale, che potrebbe agevolare quei giudici e quei membri di Commissione parlamentare, i quali continuano a lottare, per trovare per quell’estate tragica qualche collegamento giudiziario tra la Cupola e la Politica, tra la Cupola e il Potere.

    I politici coinvolti nelle stragi potrebbero essere tra quelli, che io cito, oppure no, non ha importanza, ciò che veramente conta, è poter inserire in maniera forte e definitiva questo tassello di verità dimenticata nella Nostra Storia.

    - La solidità di una Repubblica risiede nella conquista da parte del Popolo della propria Storia – nella vivificazione continua dei principi della Costituzione – nell’applicazione dello Stato di diritto per tutti i cittadini – nella custodia della propria Legge costituzionale e delle proprie Istituzioni, che tutti noi dobbiamo ben conoscere, onorare, custodire e difendere.

    - La forza di uno Stato risiede nelle proprie forze militari e nelle proprie forze di polizia, che devono essere volte UNICAMENTE alla difesa dello Stato democratico e al presidio delle Istituzioni, onorando la Costituzione.

    - Quando i mandanti delle stragi sono troppo in alto, per riuscire ad  individuarli, non bisogna subito cercarli, ma sempre bisogna prima cercare la verità.

    - I titoli dei paragrafi sono anche uno spunto, per andare oltre, ed elaborare una costruzione razionale, che porti un po’ di luce sulla questione del 1992 e anche sulla nostra Storia dal dopoguerra al '92.

    Non riuscivo a crederci

    Eravamo negli anni 1991-92 e io seguivo l’informazione poco e distrattamente, MA alcuni avvenimenti erano sin troppo chiari:

    - Agostino Cordova allora procuratore di Palmi era un eroe, che difendeva i cittadini italiani e le Istituzioni democratiche dagli attacchi della ‘ndrangheta, delle massonerie deviate e dei politici corrotti, i quali e i loro referenti nazionali con prassi aggressive, se non addirittura eversive, tentavano di delegittimare quell’onesto e serissimo giudice;

    - come era altrettanto chiaro, che quei politici avevano ben poco rispetto delle Istituzioni, che erano stati chiamati a onorare e a servire, perché non appena quel giudice tentava di entrare nel sancta sanctorum del potere, per svelare i rapporti indicibili tra alcuni pezzi dello Stato, molte logge massoniche deviate e la politica, essi reagivano con virulenza e con la ferrea volontà di denigrare l’integerrimo e valorosissimo procuratore di Palmi, il quale continuava imperterrito ad operare, seppur a serissimo rischio della propria vita;

    - MA un uomo onesto e valoroso come Giovanni Falcone, che in quel periodo lavorava come direttore generale degli affari penali del ministero della Giustizia, non difendeva il giudice calabrese, il quale veniva attaccato ingiustamente e prepotentemente dal ministro della Giustizia Claudio Martelli e dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ma taceva.

    Io non riuscivo a crederci, non riuscivo a capire, perché una persona perbene come Falcone, potesse tollerare quel genere di condotte da parte di una certa politica? Attacchi, che di fatto erano identici a quelli, che lo stesso giudice siciliano aveva dovuto subire quando era alla procura di Palermo. Attacchi che avevano tentato di infangare la sua onorabilità, come quella di tanti altri giudici prima di lui, i quali avevano pagato la loro intransigente fedeltà alla Repubblica con il sangue.

    Il quadro, che mi si presentava davanti agli occhi, era letteralmente incredibile, ma era la realtà. Persino un profondo estimatore come me del giudice Falcone aveva dei dubbi, aveva difficoltà a credere, che egli fosse rimasto lo stesso di pochi anni prima. Alcuni, e mi riferisco a persone in buona fede, avevano addirittura dei sinceri dubbi sulla stessa lealtà di Falcone verso le Istituzioni, tanta era la subdola confusione, che era stata creata attorno a lui. Per quanto mi riguarda non avevo dubbi sull’onestà di Falcone, ma ero abbastanza convinto, che egli si fosse stancato di lottare e di rischiare la vita continuamente, per poi ricevere la continua delegittimazione e l’immancabile sgambettamento da parte di uomini, che come lui erano nello Stato, ma, contrariamente a lui, non vi erano certo per servirlo. Pensavo insomma, che avesse preferito una semi-tranquilla poltrona ministeriale, perché oramai stanco di tutto. Non gliene facevo un torto, sia perché continuava ad adoperarsi per contrastare la mafia, sia perché tutti abbiamo un punto limite oltre il quale non possiamo andare e in ogni caso Falcone aveva servito a livelli altissimi la collettività e le Istituzioni con il suo coraggioso e intelligente lavoro giudiziario.

    Agostino Cordova e Giovanni Falcone erano i due candidati ideali per la corsa alla Superprocura, e la magnificazione di Falcone da parte di Cossiga e di Martelli e la delegittimazione profonda e virulenta sempre da parte dei due medesimi politici contro Cordova, crearono una situazione di autentico NICHILISMO. Era letteralmente inimmaginabile quella antiteticità di valutazioni da parte delle massime autorità politiche italiane sui due migliori giudici d’Italia, oltre che essere istituzionalmente scorretta.

    I miei dubbi sulla lealtà fino all’estremo sacrificio del giudice Falcone vennero spazzati via, con la deflagrazione del 23 maggio del 1992, MA confermarono ancor più la mia totale fiducia nel giudice Cordova e aumentarono a dismisura i miei inevitabili dubbi sulla condotta ambigua, di chi aveva creato, anche con il silenzio assenso, quella, che io definisco l’insolubile antinomia, cioè magnificare Falcone e contemporaneamente denigrare e ostracizzare con una vis persecutoria inaccettabile un galantuomo come Agostino Cordova e il tutto da parte di politici, che avevano un passato e un allora presente tutt’altro che candido: la P2, Licio Gelli, Gladio, Anello, il sistema tangentizio, i rapporti continui con la mafia siciliana (quella stessa che Falcone aveva sempre combattuta) e i rapporti con le massonerie deviate, che avevano in odio totale Cordova, poiché egli le combatteva con la determinazione dell’uomo della Repubblica, che deve difendere le Istituzioni democratiche e i cittadini più deboli dallo strapotere soffocante delle forze del male.

    Cordova combatteva la ‘ndrangheta e gli appartenenti alle logge deviate con la medesima generosità, intelligenza ed energia con cui Falcone combatteva la Cosa Nostra siciliana e i politici ad essa collegati.

    Con la forza e la lucidità di uno sguardo diverso

    Le stragi del ’92 apparentemente sembrano abbastanza chiare, un capomafia stragista contro due valorosi giudici (Falcone e Borsellino), invece, appena vi ci riflettiamo con pacatezza, ci rendiamo conto, che siamo in una condizione quasi onirica, quasi stregata, di chi percepisce una realtà, mentre è in una condizione semi alienata. Insomma nel momento in cui tentiamo, di coglierne le ragioni, di coglierne l’essenza, tutto ci rimane ancora oscuro. Abbiamo tante situazioni davanti agli occhi, eppure il significato di qualcosa di importante ci sfugge, e senza neanche capirne il perché.

    Per svelare qualche aspetto di valore di ciascuno dei momenti tragici della nostra Repubblica, nei quali sono stati mortalmente attaccati degli uomini delle Istituzioni, è necessario saper scegliere qualcosa di diverso, per discernere la verità dalle tante menzogne precostituite.

    Le cosiddette stragi di Stato le si potrebbero vedere intellettualmente con occhi diversi, se riuscissimo ad utilizzare strumenti di analisi diversi da quelli consuetudinari.

    Per capire le stragi Falcone-Borsellino, io scelgo altri due giudici: Agostino Cordova e Antonino Scopelliti, scelgo ciò che è stato dimenticato. Sì, scelgo il dimenticato come orientamento per la mia ricerca. Agostino Cordova è la cifra per interpretare quel mondo e quel periodo complesso, perché egli è la pietra di paragone, la cartina di tornasole, che mi e ci permette di dare l’onesto e il retto giudizio sui diversi protagonisti di allora, fugando tutte le apparenze.

    Se oggi dei politici di primissimo piano attaccassero con livore e virulenza giudici come: Nicola Gratteri, Nino Di Matteo, Francesco Neri, Roberto Scarpinato, noi diremmo, che quei politici non sono delle persone corrette, sia perché non si invade l’autonomia dei giudici, sia e ancor più e ancor peggio perché quei giudici rischiano costantemente la vita, e non possono e non devono essere delegittimati dai politici, ancor più se questi sono tra coloro, che dirigono o hanno influenza sulle forze di polizia, i servizi segreti e le forze militari. Agostino Cordova, che da giudice valoroso stava indagando i rapporti tra la ‘ndrangheta, dei politici corrotti e dei massoni deviati, ricevette degli attacchi possenti oltre che vergognosi e delegittimanti da parte di politici con le massime responsabilità pubbliche, i quali tentavano costantemente di delegittimarlo. Chi è parte di un Governo, se vede, che un altro membro del Consiglio dei ministri, oppure un'alta carica dello Stato inveisce contro un giudice, deve manifestare e intensamente il proprio dissenso, viceversa col proprio silenzio assenso si conforma, o per meglio dire è complice di quelle spregevoli condotte.

    Le immagini a volte ci permettono di raccontare meglio ed efficacemente la realtà, quindi io per spiegare le stragi del ’92 alla foto di Falcone e Borsellino affiancati, i quali parlano mentre sono ospiti ad un incontro organizzato da Giuseppe Ayala, metterei la foto di Agostino Cordova con sopra scritte le parole di Antonino Scopelliti, del quale ripeterò più volte questa frase nel libro, perché è una delle frasi chiave, tanto semplice quanto illuminante, per definire il corretto e giusto quadro rappresentativo del mondo di allora: "La mafia, si dice, si vince con la guerra. Ma la guerra fatta da chi? La Costituzione vuole il giudice in toga, non in divisa"¹. Porterei molti argomenti e molti ragionamenti, ma in onore alla massima sinteticità e chiarezza dell’eroico Scopelliti, scriverò poche parole a corollario delle sue:

    1) i giudici devono essere protetti in maniera adeguata, invece di sovraesporli negligentemente, anzi inspiegabilmente alla mafia;

    2) più che di un superprocuratore avremmo avuto bisogno di un superpoliziotto, che coordinasse al meglio tutti i corpi di polizia (polizia, carabinieri, guardia di finanza, guardie carcerarie), poiché il problema mafia e il problema Riina erano una questione ben poco giudiziaria e molto poliziesco-militare, e a dimostrarlo c’erano un lungo elenco  di cadaveri di giudici, poliziotti, carabinieri e anche di politici onesti.

    Con un lungo elenco di giudici ammazzati, non capisco la necessità e la fretta di una Superprocura, invece che di una super-protezione per i giudici?!

    Divide et impera (dividi e domina) è uno storico motto, che ha guidato tutti gli uomini di potere, e io in risposta a quell’insegnamento e applicando geograficamente la mia risposta, voglio ricordare il sindacalista siciliano Placido Rizzotto, il quale insegnò a dei braccianti calabresi, a far valere i loro diritti, e voglio ricordare il poliziotto calabrese Francesco Spanò, che fu il più stretto collaboratore di Cesare Mori per la lotta al brigantaggio in Sicilia. Ho riportato questi due avvenimenti di relazioni tra siciliani e calabresi, perché ho avuto l’impressione, che uno dei motivi del silenzio attorno a Cordova sia stato dettato anche da motivazioni regionalistiche, se così fosse, ciò sarebbe stato un gravissimo errore, di fatto volto contro il sacrificio di Falcone, di Borsellino e degli altri Caduti.

    Recuperare tutto ciò, che in questi anni è andato perso, è costitutivo per la verità e per la Storia, perché intelligentemente e furbescamente i vincitori scrivono loro la Storia, perché chi è padrone del passato, conseguentemente lo sarà anche del futuro. Ricostruire lo scenario in maniera completa, è necessario, per poi poter inserire nello sfondo in quel momento illuminato quegli eventi tragici, di modo che gli si possa dare un più vero e completo significato, che non può essere dato, per ovvi limiti intrinseci, dalle sole sentenze giudiziarie.


    ¹ Corriere della Sera 09/03/1991; oppure da: L’assedio, Giovanni Bianconi, Einaudi. Pag. 125.

    LA RESPONSABILITÀ OGGETTIVA DEI MINISTRI È NECESSARIA PER LA SALVAGUARDIA DELLE ISTITUZIONI

    La responsabilità oggettiva non è sinonimo di complicità,

    ma non la esclude

    Noi spesso confondiamo la responsabilità politica oggettiva con le accuse contro un politico di essere egli un complice o un mandante di un dato reato, o di una data strage, invece dobbiamo tenere ben distinte le due posizioni, per rispetto verso i politici coinvolti e anche verso le vittime e i loro familiari. Le due posizioni potrebbero coincidere, ma non vi è in linea di principio nessuna identità.

    Il concetto di responsabilità è assai semplice, ma lo dimentichiamo sempre nel momento in cui sarebbe doveroso e necessario applicarlo.

    Ci sono, a mio avviso tre livelli di responsabilità, passando da uno all'altro c'è un autentico salto di qualità.

    PRIMO. Il più basso, è quello che ognuno di noi ha. Se non garantiamo un impegno, siamo responsabili, sia dell'inadempimento, sia ed ancor maggiormente dell'eventuale danno causato.

    SECONDO. In una repubblica democratica l’avere molto potere, non può non significare avere preventivamente acquisito una parallela e pari entità di responsabilità. Pensiamo ai poteri di un ministro dell’Interno: solo a tanti oneri devono poi corrispondere tanti poteri-onori.

    TERZO. Il più importante. La certezza assoluta dell'onestà, cioè l'essere sempre al di sopra di qualsivoglia sospetto.

    L’Affare Moro

    L’inarrivabile statista era da anni nel centro del mirino, tant’è che venne minacciato di morte già nel 1974 dall’allora segretario di Stato americano Henry Kissinger, ma il livello di protezione di Moro non venne rafforzato in maniera significativa, infatti non viaggiava neanche su un’auto blindata, ma né il rapimento, né la segregazione, né l’assassinio di Moro (1978) causarono l’esclusione della direzione della cosa Pubblica dei due maggiori responsabili politici di allora, cioè del ministro dell’Interno Francesco Cossiga e del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Invece dell’esilio dei due protagonisti negativi, si verificarono delle splendide carriere, ciò non significò altro, che le regole per la buona custodia delle Istituzioni era stata infranta, e infranta a danno di tutti noi e delle nostre Istituzioni.

    Non bisogna dimenticare, che da quando Cossiga divenne ministro dell’Interno, il potere e la ferocia delle Brigate Rosse crebbe a dismisura. Durante il rapimento Moro le unità di crisi costituite da Cossiga erano state riempite di piduisti dallo stesso ministro, infine quando Cossiga lasciò il ministero dopo l’assassinio di Moro, dicendo lascio il paese in buone mani, queste buone mani erano un lungo elenco di piduisti. Non entro nel merito se Cossiga fu complice contro Moro o meno, MA voglio porre in evidenza, che in Italia in seguito a eventi destabilizzanti per le Istituzioni, troppi politici ipocriti e deboli non vollero affrontare con l’onestà dovuta il tema della responsabilità politica oggettiva. Lo stesso Cossiga dopo l’assassinio di Moro disse "Sono un politico finito", invece poi consegui una carriera istituzionale da primatista: Presidente del Consiglio (strage di Ustica e alla stazione di Bologna), Presidente del Senato e poi della Repubblica.

    Io personalmente sono critico nei confronti di Cossiga, MA lo sono molto di più nei confronti di molti deputati della DC e del PCI, che per una questione di principio avrebbero dovuto pretendere dei passi indietro definitivi da parte di quegli uomini di Governo, che in buona o in cattiva fede, non protessero adeguatamente Aldo Moro, invece tutti fecero finta di nulla, a parte l’utilizzo delle solite parole polemico-propagandistiche di brevissima durata, e, fatto ancor più indegno, per fini propagandistici, volti ad un qualche tornaconto elettorale, indebolendo l’avversario nel momento, per poi, se conveniente, sostenerlo il giorno dopo le durissime critiche.

    Giovanni Spadolini e Virginio Rognoni

    Erano rispettivamente il Presidente del Consiglio e il ministro dell’Interno durante gli assassinii sia di Pio La Torre, sia di Carlo Alberto dalla Chiesa, ma nessuno rinfacciò loro di non essere stati all’altezza. Dopo l’assassinio di La Torre, mandarono il prefetto Dalla Chiesa, preannunciando, che egli avrebbe ricevuto dei poteri speciali come contro le Brigate Rosse, invece furono colpevolmente inadempienti e per di più temerari all’inverosimile verso il Prefetto, perché lo inviarono disarmato in una fossa di leoni.

    Come cittadini non ringrazieremo mai abbastanza il Prefetto sia per il suo sacrificio totale, sia per aver avuto la prontezza di denunciare pubblicamente, mediante il rilascio di un’intervista, la colpevole, direi io criminale, inadempienza del Governo, da cui il Prefetto dipendeva, MA le alte parole, quanto NON previste dalle menti raffinatissime, di denuncia del Prefetto contro il Governo, NON  toccarono minimamente le coscienze di una casta politica avvezza ai peggior istinti corporativi.

    Bettino Craxi e Oscar Luigi Scalfaro

    Ci furono dei poliziotti di un valore talmente alto, che io, pur avendo una notevole sensibilità, ne ho una percezione solamente vaga, come lo furono: Ninni Cassarà e Beppe Montana, i quali, in un periodo storico da Milano da bere e spese folli dei Governi Craxi di allora, vennero posti nella condizione de I DISARMATI (l’ottima definizione è del giornalista Luca Rossi) contro la mafia sanguinaria dei corleonesi. Il vicequestore Cassarà, per una colpa non sua, venne immediatamente sospeso dal servizio non dal Capo della Polizia, il quale rifiutò di firmare quella sospensione, che altro non era, che un’altra spinta verso la delegittimazione, e la morte, ma direttamente dal ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro in accordo col Presidente del Consiglio Bettino Craxi¹, mentre Cassarà dopo l’assassinio del commissario Beppe Montana, continuava a dire: "Siamo cadaveri che camminano".

    Nei primi anni 90 in Germania

    Ci fu un operazione antiterrorismo condotta dalle teste di cuoio tedesche, ma finì male. Un terrorista e due poliziotti uccisi (un poliziotto uccise l’altro, poi un altro ancora quegli), ma tutto ciò ebbe delle serie conseguenze, infatti diede le dimissioni il ministro dell’Interno, invece in Italia non avrebbero chiesto le dimissioni neanche del comandante delle

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1