Lupus in Fabula
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Anteprima del libro
Lupus in Fabula - Angelo Galantino
Angelo Galantino
Lupus in fabula
il passato è una bugia
Youcanprint
Titolo | Lupus in fabula - il passato è una bugia
Autore | Angelo Galantino
Isbn | 9788831664257
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Seconda edizione digitale 2020
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A mio padre
Esempio meraviglioso di uomo, padre e marito,
con la speranza di poter diventare, un giorno,
quanto più simile a lui.
Nella vita ci sono cose che ti cerchi ed altre che ti vengono a cercare. Non le hai scelte e nemmeno le vorresti, ma arrivano e dopo non sei più uguale. A quel punto le soluzioni sono due: o scappi cercando di lasciartele alle spalle o ti fermi e le affronti. Qualsiasi soluzione tu scelga, ti cambia, e tu hai solo la possibilità di scegliere se in bene o in male."1
(Giorgio Faletti)
1 Giorgio Faletti, dal libro Io uccido
, 2002.
LUPUS IN FABULA
Il passato è una bugia
Il vento sembrava aver lasciato quel posto, probabilmente disgustato dalla macabra scena che si poneva ai miei occhi.
Le lamiere dell’auto accartocciata sul bordo della strada brillavano come pietre preziose; ma di prezioso c’erano solo le vite spezzate di tre giovani ragazzi poco più che ventenni.
Nonostante fossero solo le 10 del mattino, dall’alto il sole picchiava con i suoi raggi con la stessa forza di un minatore che stringe tra le mani un possente martello e se fossi rimasto ancora qualche minuto sotto i suoi colpi terrificanti avrei rischiato di perdere i sensi.
L’afa era insopportabile e l’asfalto puzzava di sangue e morte. A mitigarlo solo il fumo della mia Chesterfield, ormai quasi a metà, che mi usciva fuori dai polmoni.
Da lontano vidi avanzare verso di me il medico dell’ambulanza giunta sul posto. I suoi passi, appesantiti dal camice bianco, si posavano sull’illusione ottica generata dal riflesso del sole sull’asfalto, dando la sensazione che camminasse sull’acqua.
Che non fosse dotato di poteri ultraterreni era ben evidenziato dai cadaveri dei tre ragazzi già imbustati
che la mortuaria stava caricando sul loro carrozzone
.
Nella potente auto rossa delle vittime lo stereo era ancora acceso ad alto volume con gli ultimi pezzi house che pompavano decibel dalle casse fissate nella portiera squarciata dell’auto. Una morte a tempo di musica.
La mietitrice era giunta alle prime luci di una domenica mattina di metà giugno dopo un sabato da sballo nella mia Napoli.
L’unico sballo vero era stato riservato a me e al mio collega a cui era toccato trovarsi a dover iniziare la mattinata a bordo della volante rilevando l’ennesimo incidente stradale.
Le nostre operazioni, i movimenti, denotavano una triste quanto sconcertante consuetudine. E proprio questa ritualità mi fece pensare che forse questo tipo di lavoro dopo 15 anni stava iniziando a diventarmi pesante.
Dopotutto a chi piacerebbe dover fare un tipo di vita che ti porta a vedere cadaveri, vittime di violenze in lacrime, un mondo che va a pezzi mentre i colpevoli riescono quasi sempre a farla franca nonostante tu ogni giorno rischi la vita proprio per evitare che tutto questo accada?!
Domanda retorica che scivolò via dalla mia mente con la stessa velocità di una goccia di sudore che veniva giù dalla mia testa pelata.
Inermi. Che senso atroce di inutilità ed impotenza.
«Vede Ispettore» mi disse il collega della Stradale che stava effettuando i rilievi dell’incidente, «L’Audi rossa a bordo della quale viaggiavano i tre ragazzi si è schiantata violentemente contro il muro perimetrale della carreggiata» Mi indicò il luogo.
«Colpo di sonno?» domandai.
«Lo escludo. L’auto procedeva a forte velocità e sull’asfalto non ci sono segni di frenata.»
«Probabilmente hanno perso il controllo.»
«Si, o magari gliel’hanno fatto perdere.»
«Cosa vuole dire?»
«Voglio dire che abbiamo trovato tra i rottami anche alcuni pezzi della parte anteriore, probabilmente sinistra, di un paraurti scuro probabilmente di un SUV1…» fece una pausa «…ma potrebbero essere stati già qui da prima dell’incidente.»
O forse no
pensai. Considerata la forte velocità alla quale viaggiavano magari lo schianto era stato dovuto proprio ad una fatalità mentre le due autovetture gareggiavano tra loro.
Possibile che i giovani oggi riescano a trovare lo sballo solo nelle cazzate che ti portano in una fossa?
Ricordo ancora quando qualche anno prima mi schiantai frontalmente con la moto contro un’auto. Se mi concentro un po’ riesco ancora a sentire il suono dell’ambulanza che mi trasportò in ospedale e l’odore di medicina che proveniva dalla flebo che mi infilarono nel braccio quando avevo ancora l’asfalto che mi pizzicava la pelle della schiena.
Appena giunsi in ospedale lo sguardo preoccupato del medico del pronto soccorso non lasciava presagire nulla di buono.
«Fate presto! Altrimenti lo perdiamo!» Urlò appena mi vide.
«Cazzo! Come…lo perdiamo???» Domandai preoccupato.
«Ma sei cosciente?»
«Si cazzo!!!»
«Sedatelo!!!»
E in un attimo un’infermiera si avventò contro di me facendomi una iniezione che mi fece svegliare solo qualche giorno dopo in una bianca stanza con tanti tubicini in plastica trasparente dura che fuoriuscivano da ogni parte del mio corpo.
Quando mi dimisero il dottore mi disse sorridente:
«Sei stato fortunato…. Ti abbiamo preso per i capelli…..»
«Dottore…..più che altro lei mi sta prendendo per il culo visto che sono pelato!»
Sorrise. «Sono contento che le sia tornato il buonumore….»
In effetti solo quando tornato a casa vidi quello che era rimasto della mia Kawasaki Z750 mi resi conto che evidentemente mi ero giocato il bonus con l’altro mondo.
«Riccetti» dissi rivolgendomi al mio collega «prendi la volante, andiamo via; qui non c’è più bisogno di noi» lanciando il mozzicone a terra e pestandolo con veemenza.
La divisa blu pregna di sudore e rabbia per l’ennesima brutta notizia da dover comunicare alle famiglie dei tre ragazzi, cambiò tonalità tendendo al nero; quasi in segno di lutto.
Sono l’Ispettore della Polizia Yuri Lupariello detto Lupo, Napoli è la mia città e questa dose di morte è il mio pane quotidiano.
Eppure quando ancora ragazzo mi arruolai all’età di 19 anni il mondo era un po’ diverso. Non dico migliore, no. Ma diverso.
C’era ancora l’illusione di poterlo rendere un posto più giusto. Poi col tempo è giunta la triste consapevolezza che il mondo non si cambia e allora oggi a 34 anni mi trovo costretto a lottare per salvare quella piccola fetta di mondo che c’è attorno a me. In un certo senso sono un po’ una sorta di antieroe postmoderno da fumetto.
Poco dopo le 14 terminai il turno e mentre nello spogliatoio tentavo di togliere via la divisa che sembrava essersi ormai incollata alla pelle a causa del sudore e del pessimo materiale di cui era fatta, squillò il telefono.
Per le stanze vuote dei locali si diffusero le note della suoneria del mio cellulare …come gli adesivi che si staccano, come le cerniere che si incastrano, come interruttori che non scattano o caricatori che si inceppano… io tradisco le ultime mie volontà… tutte le promesse ora si infrangono penso ai tuoi crimini senza pietà contro la mia ingenua umanità… scelgo di dissolvermi dentro di te mentre tu saccheggi le mie lacrime…
2
«Pronto?»
«Yuri? Mamma…» La sua voce sembrava preoccupata.
«Ciao Mà, cos’hai?»
«Nulla. Questa mattina alle 8 ha chiamato un ragazzo qui a casa. Dice di essere un tuo amico, anzi no. Ha detto che era un tuo collega. Gli ho detto che non vivi qui con noi.»
«Ti ha detto chi era?»
«No. Ha solo detto che ti avrebbe cercato. Era molto agitato, sembrava avesse fretta. Poi ha subito riagganciato. Non sarà che ti sei messo in qualche altro casino?»
«No mamma. Tranquilla! Un bacio.»
«Ciao e smetti di fumare che ti fa male!»
«Si Mà.»
È inutile, puoi fare anche un lavoro pericolosissimo in una città come Napoli ma per la mamma resti sempre il suo cucciolo indifeso.
Probabilmente doveva essere qualche amico di vecchia data che non sapeva fossi andato a vivere da solo circa sette anni prima.
Non so perché ma ebbi la sensazione che avrebbe richiamato.
Da quando ero andato a vivere da solo avevo perso un po’ di contatti con una parte dei vecchi amici d’infanzia e con alcuni colleghi che avevano solo i miei vecchi recapiti telefonici e di residenza.
La scelta di questo cambiamento era dovuta più che altro ad un sempre maggiore bisogno di indipendenza. Credo sia fisiologico come passaggio e che arriva il momento per ognuno di mettersi in proprio
con tutte le conseguenze positive e negative che la cosa comporta.
Quando abitavo con i miei a volte avevo la sensazione che la mia casa fosse magica
. C’erano mattine in cui provavo decine di vestiti prima di scegliere cosa indossare e poi scendevo di casa di corsa in perenne ritardo lasciando tutte la maglie gettate sul letto.
Al mio rientro quasi come per magia le maglie erano tornate al