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Il signore delle tre lune
Il signore delle tre lune
Il signore delle tre lune
E-book868 pagine12 ore

Il signore delle tre lune

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Info su questo ebook

Nell’ignaro Presente, successivo alla Caduta dell’Aurore, il confine fra le Nuove Terre Abitabili e le Terre Conosciute è segnato solo dalle cime aguzze e gelide dei Monti Biancofine: lo Spazio è divenuto percorribile così, ad opera dell’antica Magia, anche il Tempo.In un remoto Tempo passato due esimi studiosi, provenienti dalle terre oltre Bhor-Hok, si sfidano a colpi di birre nella ricerca dell’impossibile e scoprono un’oscura opportunità: quella stessa che Gherardo il Bardo teme in un lontano Tempo futuro…Il rapimento di un bambino, gesto spietato e misterioso, crea rinnovate collaborazioni e fa riemergere dal recente passato vecchi nemici scomparsi.La soluzione di tutto andrà ben oltre l’immaginabile, metterà alla prova coraggio, intelligenza, amicizie e amori, e ci riporterà alla Locanda della Quercia Incantata, ai suoi tavoli affollati di cibo e di parole, al suo grande focolare, odorose di verde legna del bosco degli Elfi e di tabacco nanico bruciato.In tutta questa storia solo un bibliotecario dimenticato in cerca di gloria non trovò e non troverà pace, rimanendo, suo malgrado, un’innominata chiava nella Porta degli Eventi…Il Gioco di Ruolo che ha dato origine e spessore a questi racconti continua con questo secondo volume della saga: Le Storie della Locanda.
LinguaItaliano
Data di uscita22 feb 2020
ISBN9788835815266
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    Anteprima del libro

    Il signore delle tre lune - Daniela Ferraro Pozzer

    Daniela Ferraro Pozzer

    IL SIGNORE DELLE TRE LUNE

    Daniela Ferraro Pozzer Il signore delle tre lune©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    Via Pozzo, 34

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    e-mail:  edizionigds@hotmail.it

    Illustrazione e progetto copertina di ©Stefano D’Auria

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Il presente romanzo è frutto della fantasia dell’Autrice. Ogni riferimento a fatti, persone e luoghi realmente esistenti e/o esisititi è puramente casuale.

    A Margherita ;ed alla sua partecipazione al mio ‘mondo’

    Questa è una storia di libri. Ai libri che insegnano, ai libri che suggeriscono, ai libri che raccontano e a quelli che inventano: con la speranza che un bravo lettore sappia distinguerli fra di loro e che un bravo cantastorie sappia narrarne piacevolmente i contenuti, così come io mi appresto a fare…

                           - Gherardo il Bardo -

    PROLOGO

    Nell’anno -897 dalla Caduta Dell’Aurora la Magia raggiunse vette eccelse e pericolose e fu capace di creare un Libro del Tempo: ogni 100 anni, da quel fatidico momento, esso acquistava un pari Potere di Spostamento

    Pieninverno / Anno -97 DCA

    (99 anni prima del Tempo Presente)

     - Bosco di Borgovino -

    L’uomo arrancava, affannando e aggrappandosi con la mano libera alle radici emerse della Grande Quercia.

    L’altro braccio era ormai quasi paralizzato intorno al fagotto pesante che trasportava con fatica: i libri antichi non erano mai leggeri, l’uomo lo sapeva bene, ma li amava anche per questo, per quel senso di importanza e di ricchezza di contenuti che lo stesso ‘peso’ sembrava attribuire loro.

    Il declivio della collina era dolce ma il viaggiatore era allo stremo delle forze. Lasciò che le dita mollassero la presa e che il gomito si piegasse, toccasse la terra ghiacciata e lì rimanesse, mentre grossi respiri profondi aiutavano il suo corpo a riprendersi quel tanto da raggiungere, almeno, il vecchio albero silenzioso che era in cima all’altura. Un vento quasi gentile gli accarezzò, allora, i capelli radi mentre nella sua mente, approfittando della sosta fisica, i pensieri e le idee si affollavano di nuovo, come sempre.

    E la rabbia ritornava.

    Fra le ultime nevi già gocciolanti e le prime gemme che rigonfiavano i rami di un pruno selvatico, quella rabbia riprese forma e disegnò le solite accuse: era solo colpa loro! Non avevano dato abbastanza valore ed importanza alla sua preparazione, alla sua cultura! Quei boriosi Maghi lo avevano relegato fra la polvere dei cataloghi di una oscura e gigantesca biblioteca i cui testi più ‘significativi’ erano inaccessibili oltre l’orario di lavoro. Almeno così credevano.

    Settimana dopo settimana il bibliotecario aveva forzato il catenaccio meccanico, rozzamente costruito dai fabbri nanici di Bhor-Hok, il villaggio in costruzione fra i Monti Biancofine ai confini con l’Aurora.

    La goccia scava la pietra. Quante volte aveva pronunciato quella frase, nel buio polveroso della Sezione-Volumi-Proibiti, ridendo dentro di sé della ingenuità che aveva spinto quei presuntuosi dell’Accademia a non usare incantesimi di protezione sulle serrature e a fidarsi solo della pura forza meccanica! Notte dopo notte, al suono ovattato di quelle stesse parole, l’improvvisato scassinatore aveva limato l’anello di lucido trekor nanico di cui era fatto il complesso catenaccio, là dove esso si infilava nel legno dell’anta, fino a renderlo un piccolo cumulo di schegge alla base di una delle librerie vietate e, con folle perseveranza, alla fine lo aveva aperto!

    La ragazza gli si avvicinò proprio mentre i ricordi più recenti disegnavano sul viso del bibliotecario un sorriso tirato; in quel gelido giorno d’Inverno, mentre la neve acquosa aspirata dai suoi respiri affannati quasi gli entrava nelle narici, l’uomo inizialmente neanche se n’era accorto. Aveva viaggiato per giorni verso l’unico Enaidès di cui avesse conoscenza, una Quercia per la precisione, una divinità antica i cui consigli sarebbero stati sicuramente preziosi per comprendere quei vecchi testi e per affrontare il ‘viaggio’, anche se immaginava abbastanza improbabile poter parlare con un albero. A tratti, durante le interminabili notti trascorse all’addiaccio accanto ad un piccolo fuoco fumoso, e con la pancia piena solo di pessimo liquore di ginepro, l’uomo aveva perfino riso immaginando la bizzarra situazione che avrebbe dovuto affrontare. In ogni caso non aveva altri a cui rivolgersi e poi, fra gli stolti maghi dell’Accademia, aveva carpito racconti bisbigliati in cui si narrava di una specie di ‘Gran Sacerdotessa della Quercia Incantata’, una donna antica come il Tempo, misteriosa e molto saggia, che avrebbe saputo sicuramente comunicare con quell’Essere.

    Comunque, in quel momento la stanchezza lo aveva vinto e il bibliotecario giaceva carponi nella neve, con la testa bassa, respirandone qualche fiocco. Il battito del suo cuore, rimbombandogli nelle orecchie, aveva di gran lunga coperto il tenue rumore dei passi di lei.

    Pieninverno / fine Anno +802 DCA

    (899 anni dopo quei fatti e 800 anni dopo il Tempo Presente)

    - Bosco di Borgovino -

    In quello stesso luogo, ma in un ‘altro Tempo’, si aggirava distrattamente Gherardo il Bardo, perso come sempre in infinite divagazioni e in elaborate costruzioni mentali e letterarie.

    Siamo alla fine del Gelo, le case di Borgovino grondano ghiaccioli gocciolanti! declamò ad alta voce, alzando il braccio col piglio di un attore tragico e poi, fiero di quella allitterazione che rendeva la frase tanto ridondante, sorrise compiaciuto!

    Un altro Giro di Sole stava per ricominciare, l’803° dalla Caduta dell’Aurora, da quando cioè gli abitanti delle Terre Conosciute e  quelli delle Terre Abitabili avevano stabilito di ricominciare la misurazione del tempo: Lo Momento in cui lo falso confine disparve et i viventi si riunirono di nuovo in Armonia come citavano le Antiche Carte.

    Chiedere in giro, però, cosa significasse quella piccola sigla ‘DCA’ segnata in calce alla data in tutti i tipi di documenti ufficiali, e spesso nelle missive fra persone di un certo rango, avrebbe ottenuto solo risposte molto vaghe… la gente aveva dimenticato.

    A Gherardo piaceva camminare di buon mattino fra i primi alberi del bosco e i bassi cespugli di candomirto. L’aria frizzante e gelata si infilava nella sua gola dandogli la stessa sensazione di una tisana di menta forte e risvegliandogli i pensieri nella mente assonnata. Dai rami dei frassini e dei grandi cedri, quel giorno, si staccavano però di tanto in tanto pezzi di neve e piccole stalattiti, luccicanti ai primi raggi di un sole timido, che rendevano la sua passeggiata meno distensiva di quanto avrebbe voluto. Il grosso Bardo camminava con lentezza, ben avvolto in un mantello di lana di equì dal colore del cielo cupo. I suoi passi erano lunghi e pesanti e spesso dondolanti perché, a metà di un movimento, qualche volta si fermava su una gamba sola, preso da qualche elucubrazione mentale, dimenticando di poggiare l’altro piede per terra: aveva appena terminato la lettura ‘pubblica’ di un libro molto interessante… si trattava di un antichissimo volume, ritrovato nella Biblioteca dei Maghi Neri, in cui lo studioso aveva scoperto l’origine di una remota storia, quella della cosiddetta Aurora, ma sentiva la necessità di approfondirne in santa pace, e solo nella propria testa, i passaggi salienti andando oltre il semplice racconto dell’avventura di tre pietre e di una tale Henneth che sembrava essere stata la protagonista degli eventi. Gherardo, seguendo la propria, insaziabile, natura di narratore, aveva declamato nel grande Salone del focolare durante le lunghe sere dell’appena trascorso Pieninverno, la leggenda di quella donna, ambigua e coraggiosa, che aveva avvinto ed appassionato gli avventori della Locanda della Quercia Incantata.

    Così, per non essere distratto ulteriormente dal gocciolio delle stalattiti e da tutte le sfrontate manifestazioni di un anticipato Primosole che lo distoglievano dal suo daffare intellettuale, quella mattina Gherardo era salito fino alla cima dell’altura dove un tempo sorgeva la grande Quercia Incantata, uno degli ultimi Enaidès, e, fra un respiro fumoso di freddo e un tossicchiare sommesso, era rimasto fermo a pensare.

    Pieninverno / Anno -97 DCA

    (99 anni prima del Tempo Presente)

    - Bosco di Borgovino -

    Il bibliotecario aveva annaspato fino alla cima della piccola collina, credendo di scappare da una folle inseguitrice intenzionata a rubargli i libri con la forza bruta, e poi si era abbattuto per la stanchezza, accasciandosi ai piedi del tronco della grande Quercia Incantata. La ragazza lo osservava perplessa.

    Pieninverno / fine Anno +802 DCA

    (899 anni dopo quei fatti e 800 anni dopo il Tempo Presente)

    - Bosco di Borgovino -

    Oltre l’Aurora! Gherardo pronunciò queste parole come se si trattasse di un antico incantesimo, poi tacque e scivolò, come spesso accadeva, nella propria testa, continuando il discorso da solo: Che pensiero assurdo, quale ingenuità! Quanto chiusa è la mente degli esseri viventi, a volte, da non scorgere i falsi confini che ha proprio sotto il naso! Confini di Terra, ma anche di vita, di possibilità, di idee… e la sua mano si alzò di nuovo, come se stesse declamando ancora parole, ma solo un timido cerbiatto osservava quella strana scena muta.

    Oltre i monti Biancofine in quei tempi remoti c’era stato quindi un mondo senza più le razze… e senza più il mare, come citano i testi che ho trovato, e dove una genia mista, formata da individui chiamati ‘obbrobri’ si scontrava perennemente con la gente cosiddetta ‘normale’! Qui l’Accademia era ancora in piedi allora, maestosa e bellissima, e le cinque città degli uomini erano forse solo dei villaggi, poco più che accampamenti; e gli elfi, gli elfi… rise ad alta voce … magari erano simili ai folletti dei bosco, quelli delle fiabe per bambini!  L’imponente bardo respirò a pieni polmoni l’aria fredda del mattino e aggiunse E poi tutto fu distrutto, di nuovo, da una sconsiderata ed inarrestabile dose di Magia! Certo: danni ne ha fatti anche qui la Magia, devo ammetterlo. Il cerbiatto, intento a mangiare qualche altra bacca residua di Tardinverno fu scosso da un rapido colpo di tacco del bardo, che accompagnò il suo gesto teatrale di chinare la testa di scatto ed assumere un’espressione contrita. Subito però i pensieri dell’uomo si rilassarono di nuovo ed anche il delicato animale si sentì nuovamente al sicuro e riprese la sua ricerca fra i rovi spinosi e le foglie, ormai rosse, di candomirto. Non fu la Magia, stava infatti meditando Gherardo, rialzando il capo con fierezza e fermandosi in una posa che, ad un osservatore maggiormente interessato a lui del cerbiatto, avrebbe fatto pensare stesse scrutando l’orizzonte nebbioso. No, non fu la Magia… ripeté a se stesso Fu l’avidità, la brama di Potere, come sempre è stato! Il mezzo è irrilevante: al posto degli incantesimi avrebbero potuto esserci mille cavalieri o un branco di orchi! Il vero nemico non è il mezzo, è la cupidigia, la brama, il distorto ego dei regnanti… a quel punto l’espressione dell’uomo era cambiata di nuovo e le sue braccia si erano alzate verso il cielo, sempre in totale silenzio.

    Il cerbiatto, sazio, si era allontanato prima della fine dello spettacolo.

    Anche Gherardo si sentiva soddisfatto… aveva meditato abbastanza, considerando che non aveva ancora fatto colazione e che i profumati biscotti di Donna Verbena ed il piatto di formaggio e miele che aveva visto in attesa sul tavolo della Locanda sembravano chiamarlo da lontano, insieme all’irresistibile odore del buon caffè di ghiande caldo! Così, con cautela, scese dalla collina ancora ghiacciata posando con attenzione i piedi sulle vecchie radici, ormai quasi pietrificate, della Grande Quercia che un tempo viveva lì: Eh sì questa sarebbe un’altra bellissima storia da raccontare… disse, stavolta ad alta voce, avviandosi verso Borgovino.

    CAPITOLO 1

    Brandelli di metallo

    Priminverno / Anno +2 DCA

    (Tempo Presente)

    - Gelido cielo del Nord -

    Non piacque ad Aydrian quello che l’attendeva a casa.

    Aveva trascorso il Tempo che aveva ritenuto giusto, come affermava spesso, viaggiando nelle Terre Abitabili per aiutare l’assestamento delle nuove genti e il ripristino delle vecchie città; poi aveva avuto un bel periodo di sosta tranquilla, di corpo e di mente! come ironicamente il Mago El Isereth spesso ancora gli rinfacciava, nel territorio dei Kana, e più precisamente nelle fertili e piacevoli terre di Blondorkana dove, fra birre e serate intorno al fuoco, aveva conosciuto una giovane guerriera barbara, Sanah, che ben presto era diventata l’imprevista madre di suo figlio: il piccolo Axyel.

    Sanah era una donna libera, una guerriera dei Kana, aveva voluto quel figlio e, una volta nato, aveva deciso insieme ad Aydrian che sarebbe stato bene costruire per lui un luogo più adatto alla sua crescita e, naturalmente, lì aveva voluto seguirlo. Gli allenamenti per Axyel sarebbero iniziati molto presto e lei ne avrebbe preso parte…

    All’alba di quell’ottavo giorno di Priminverno, però, di ritorno da un giro di sorveglianza, mentre Aydrian volava alto e libero godendosi la totale assenza di pensieri e dirigendosi verso le pendici del grande massiccio montuoso che ora culminava, a Nord, con i Monti Biancofine… prima lo stupore e poi l‘orrore colsero improvvisamente i suoi occhi ed il suo animo.

    Il suo impegno era stato quello di creare una nuova e più confortevole dimora, nascosta fra le alte montagne, per sé e per l’imprevista progenie: una vera casa dove far crescere Axyel, il giovane mezzodrago, in fierezza, forza e competenza. Eppure qualcuno doveva averla trovata, il fumo che avvolgeva le cime dei monti coprendone la vista era denso e scuro, Questo non è fumo di legna. si disse immediatamente il mezzodrago tuffandosi in picchiata in quella specie di lago di fuliggine gorgogliante. Le grandi ali sentivano l’aria densa e quasi collosa Detriti vischiosi di materiali sconosciuti… registrò il suo cervello senza aspettare un ordine razionale e intanto il vento gli fischiava nelle orecchie e gli occhi gli bruciavano. Il fumo era sempre più denso.

    L’aria era ben più corposa di quello che avrebbe dovuto, sembrava quasi appoggiarsi sulle cose, sui fiocchi di neve ghiacciata che si scansavano rapidamente al passaggio del mezzodrago in picchiata, sui primi picchi pungenti di roccia scura che comparvero rapidi allo sguardo attento di Aydrian. I suoi respiri trascorsero in un istante sulle pareti mobili di quel tuffo verso terra che lo stava quasi risucchiando.

    Vide prima i fuochi residui e le impalcature crollate. Scese con una furia cieca, con un’ansia sempre crescente.

    Vide pesanti blocchi di metallo dalle forme strane emergere fra   i poveri cadaveri, dilaniati e bruciati, dei suoi uomini: quegli uomini che stavano costruendo una ‘casa’ per suo figlio, una fortezza di serenità e distacco, di addestramento e di sicurezza. Alcuni di essi imbracciavano ancora pali di legno o arnesi da carpentiere; sembrava che non si fossero arresi facilmente, che avessero tentato di difendersi e che fossero morti combattendo. Aydian provò un senso di rispetto per il loro inaspettato coraggio. Frugò fra i poveri resti con lo sguardo attento, planando su di loro come un falco impazzito, spostandosi rapidamente da una parte all’altra del grande cortile e temendo ad ogni istante di provare un orrore ancora più profondo con il ritrovamento del corpo del piccolo Axyel.

    Fu allora che quello che non vide lo allarmò ancora di più. Dov’era il bambino? Dov’era sua madre?

    Quando posò a terra i piedi respirò profondamente per calmare i battiti del cuore, abbassò le ali, rilassandole, e chiuse gli occhi; poi li riaprì e si accorse del sangue, in parte assorbito dalla terra ed in parte residuo in zone simili a pozzanghere negli incavi della pietra, e notò le strane tubature di ferro che perdevano una sostanza oleosa: il liquido viscoso si mischiava al sangue in quelle pozze e lo tingeva di un colore verdastro. L’odore era forte ed assomigliava a quello dell’olio rancido.

    Un gemito poco distante. Proveniva da un cumulo di macerie.

    Aydrian, imponendosi un ferreo autocontrollo, corse in soccorso dell’uomo che vi era rimasto sepolto, liberandolo con cura: sembrava stesse riprendendo i sensi.

    Grazie, mio signore… biascicò quello con le labbra arse dalla polvere. Prima di chiedergli altro il mezzodrago gli porse la borraccia d’acqua che aveva alla cintura e aguzzò la vista e l’udito per ritrovare altri eventuali sopravvissuti; fra la fuliggine nerastra e pesante che man mano tendeva a depositarsi ed il vento che liberava finalmente le zone più esposte, ne individuò una decina e, senza perdersi in pensieri tragici e congetture personali, li soccorse tutti.

    La sera era ormai limpida e le stelle sembravano pungere un cielo nero come l’inchiostro, forandolo in più parti. I feriti erano stati portati al riparo nella grande caverna oltre il piazzale e grandi cumuli di sacchi e paglia, sopravvissuti al disastro, erano stati usati come improvvisati giacigli, mentre un pentolone di acqua aspettava di accogliere un paio di lepri di montagna e tuberi: fu solo allora che Aydrian chiese cosa mai fosse accaduto.

    Draghi. gli dissero.

    Questa prima risposta lo lasciò senza parole, costringendolo ad un banale: In che senso, draghi? Niente di ciò che aveva visto, neanche le tracce di fuoco, gli aveva riportato alla mente quelle creature, considerate per altro estinte da un bel po’ di tempo. Immediatamente pensò al drago di cenere, ma quello era stato già distrutto dalla Madre. Poi ricordò una storia che, nelle nuove Terre Conosciute, volava di bocca in bocca fra i bardi delle taverne: parlava di un’isola lontana, abitata solo da draghi, un’isola leggendaria e ormai separata da ogni realtà.

    Favole, lavoro per menestrelli e girovaghi… No, non può essere stato un drago. rispose con decisione Tantomeno più d’uno. aggiunse.

    Il silenzio accolse quella sua osservazione, un tossicchiare a metà fra l’imbarazzo e la sofferenza la sottolineò.

    In ogni caso: avete notizie di mio figlio e di sua madre? tagliò allora corto Aydrian. La domanda che aspettava di fare dal primo istante, ma di cui al tempo stesso temeva la risposta, era finalmente emersa dalle nebbie del dovere.

    Madama Sanah ha combattuto in maniera sorprendente, mio Signore, non ha mai esitato, non si è mai arresa: ha perfino staccato la testa ad uno di quei dra… ‘cosi’, che è rotolata giù nel crepaccio, ma poi gli altri l’hanno presa. rispose piano una voce, che si spense subito in un gemito di dolore.

    E hanno preso anche il bambino. aggiunse un'altra, respirando con fatica.

    Il mezzodrago non commentò. Il silenzio pesante scese di nuovo nella grande caverna ed aleggiò sul falò e sul calderone, trasformando il suo ribollire in un rumore quasi assordante.

    Riposate ora. Andrò a fare un giro qui sotto per cercare tracce. Al ritorno avrò senz’altro con me la cena che vi ho promesso. I tuberi saranno ormai cotti e aspettano il resto! concluse Aydrian, interrompendo di nuovo quel momento e riuscendo perfino a sorridere ai volti tirati e sofferenti che si erano raccolti intorno al fuoco. Avevano combattuto per difendere la sua famiglia, oltre che la propria vita: meritavano tutto il suo aiuto.

    ………

    Un paio di lune dopo, nella Reggia di Neodar - Sovrano del Sejàr

    Quindi cosa hai trovato? La domanda di El come al solito sembrava tendenziosa.

    Questo. rispose semplicemente Aydrian, aprendo il grosso sacco che aveva trascinato all’interno della sala del trono nella Reggia del Sejar.

    ………

    La trasformazione delle Terre Abitabili, avvenuta dopo l’equilibrato riposizionamento delle tre ‘gemme energetiche’ chiamate ‘figlie’, aveva portato con sé la successiva rinascita di gran parte delle zone ormai desertificate ma anche di quelle paludose che, fra l’altro, circondavano il bell’arcipelago del Sejar.

    Le isole, da sempre fertili e verdeggianti, ora si riflettevano serene in un mare tanto limpido da assomigliare a puro cristallo, tanto azzurro da sembrare irreale e tanto gelido, in quella stagione di Priminverno, da permettere solo ai più temerari qualche tuffo dalle scogliere a picco sulla baia. El Isereth era fra quelli. Incredibilmente il mago sembrava addirittura incauto nel lanciarsi dagli scogli scuri fino alle profondità ghiacciate di quell’acqua gelida e poi risalirne, volando e spargendo intorno a sé una specie di nube di spruzzi, divertiti e rapidi. Aveva trascorso molti mesi a Inchantus, la nuova Città dei Maghi governata da Bruno il Sorridente. Lì, con i dodici Arcimaghi provenienti dall’Antica Accademia oltre i Monti Biancofine, aveva predisposto costruzioni e stabilito Regole e poi si era recato da Neodar, sovrano del Sejar, per far trascrivere nelle Nuove Mappe delle Terre Abitabili i cambiamenti effettuati. Il passo successivo sarebbe stato farle consegnare all’archivio di Mnema, la città della Conoscenza, dove il Vice Sapiente Primo, Ennio Quantaltro, avrebbe preso in consegna il prezioso documento che sarebbe diventato parte della Storia delle Nuove Terre Abitabili e sicuramente, di uno dei suoi dotti trattati. Portato a termine il proprio compito con estremo rigore, El aveva pensato bene di prendersi un giorno di tranquillità e di riposo, approfittando della regale ospitalità di Neodar, sempre pronto a far mostra di opulenza, e di sua moglie Ilearya, in lieta attesa del secondogenito. Proprio in questo istante di tempo rubato al dovere ed alla necessità… era piombato Aydrian, annunciando una riunione urgentissima.

    L’oggetto che sbucò fuori dal pesante sacco di tela grezza fece saltare all’indietro un paio di presenti: lo stesso mago e Eriel, sorella della Regina, ‘sempre’ pronta all’avventura ma, contemporaneamente,  ‘sempre’ sull’orlo di una crisi di nervi.

    Per quella tragica e misteriosa occasione, oltre al solito Rayek il barbaro, Signore di Rayekana, potente e muscoloso… appena tornato dalle cucine dove era andato a ‘salutare’ un paio di vecchie conoscenze, il mezzodrago aveva voluto avvisare anche un esponente del Regno degli Elfi e uno del Regno che sorgeva ‘oltre Bhor-Hok’: la costruzione dell’inaccessibile Porta per le Terre dei Nani era appena cominciata ma già se ne parlava come di una leggenda.

    Le Antiche Razze di quei luoghi che un tempo definivamo ‘oltre l’Aurora’, cioè gli elfi e i nani, magari sanno cose che noi abbiamo dimenticato… aveva detto Aydrian, con voce pacata e seria, prima di presentare i due nuovi arrivati ai vecchi compagni, e poi, indicandoli, aveva aggiunto: Questo è Tathar Oronar, della razza degli Elfi. Viene da un bosco mi pare… ed è anche Signore di qualcosa, nonché imparentato con uno degli arcimaghi, Dandelion, credo.

    Sì. rispose quello con un lieve cenno del capo Dandelion è il padre della mia promessa sposa, Elvorfilia, ed è un grande guerriero e Supremo Arcimago dell’Antica Accademia. Io sono suddito di Eliodin, Signore degli Elfi delle Terre Conosciute e, a mia volta, sono Re del piccolo Reame di Foglia, una delle Ramificazioni Elfiche, come vengono detti i nostri distretti.

    La voce profonda sembrava nascondere a stento una divertita curiosità, impermeabile perfino a quella tragedia di cui, per sommi capi, era stato messo a conoscenza. Una specie di cresta di capelli chiari come l’alba spuntava fuori dalla sua testa sottile, le orecchie appuntite erano ornate da svariati cerchietti e punte d’argento e un tatuaggio simile a rami e foglie ricamava tutto il lato sinistro del suo corpo, o almeno la parte che il leggero mantello scuro e i pantaloni di cuoio spesso lasciavano intravedere. Due bracciali, quasi più grossi delle braccia asciutte, gli ricoprivano i polsi fino al gomito ed un arco magnifico, dal colore imprevedibile e mutevole del vento d’Inverno, scintillava sulle sue spalle.

    Il sacco ormai era completamente aperto ed ammucchiato sul pavimento di marmo lucido, intorno ad un grosso groviglio di lastre di metallo e tubi. La forma di quello strano costrutto somigliava indiscutibilmente alla testa di un drago.

    L’ha staccata Sanah con un colpo di ascia ben mirato. Ma poi l’hanno presa. Erano in cinque mi hanno detto i superstiti.

    Una istantanea scintilla di orgoglio aveva illuminato gli occhi azzurri del mezzodrago all’inizio della frase, ma poi si era spenta immediatamente dietro ad un velo di rabbia contenuta.

    Ho chiesto anche al nano Bahlinor di essere presente a questo incontro, aggiunse poi, rompendo di nuovo il silenzioso stupore che quell’oggetto così bizzarro aveva creato intorno a sé e indicando un individuo basso, completamente rivestito di piastre di metallo e di barba.

    Si parla di me? Si parla di me e non mi si presenta a dovere? Si parla di me, quindi, senza il dovuto rispetto! rispose immediatamente l’individuo tarchiato e, col fare rissoso di chi sembrava non stesse aspettando altro, fece due passi avanti risuonando di metalliche vibrazioni, impugnò con entrambe le mani il manico gemmato della grande ascia bipenne che aveva al fianco, spostandola davanti a sé, ed esclamò con voce tonante: Sono Bahlinor il giovane del clan dei Thorson di Overmur, detto Saltatempo il bello, grande eroe, braccio possente, sgretolatore di nemici, coacervo di possenza…

    Aydrian lo interruppe ‘bussandogli’ sull’elmo.

    Il colore di quel poco di pelle della faccia del nano che si poteva scorgere fra capelli legnosi e barba intrecciata divenne paonazzo dalla rabbia. Il suo naso quasi si illuminò e gli occhi saettarono furia. Le mani si strinsero con più forza intorno all’arma dalle mezzelune affilate e scintillanti ma poi, inaspettatamente, Bahlinor concluse: … nonché comprensivo e pietoso essere dalla suprema tolleranza e pazienza, benché solitamente punitore di male-educati! e fece due passi indietro, ritornando al proprio posto.

    Tutti tirarono un blando respiro di sollievo, tranne l’elfo che sembrò un po’ deluso.

    Il Regno dei Nani, governato da Re Guntrador il Lungimirante, si stava espandendo fra i monti Biancofine con la costruzione di una torre laboratorio e, verso sud, con la creazione di una enorme muraglia fortificata. L’unico accesso al Regno, detto Bhor-Hok, la Grande Porta, dava su un ampio piazzale: un altopiano circondato dalle cime più alte di quella catena montuosa e raggiungibile solo attraverso una lunga grotta antistante. Il vento, che incessantemente si creava in quel tunnel volutamente buio e dissestato, creava un suono cupo e continuo, simile all’urlo di dolore di un gigantesco troll, che rimbombava in tutto quello spazio rimbalzando sulle sue pareti gelide e raggiungendo, affievolito, la stessa soglia di Bhor-Hok. Il Canto di Hedgar veniva chiamato quel rumore, e una storia era stata scritta per giustificarlo. Era una storia breve e ripetitiva, come quelle che piacciono ai nani, in rima, come quelle che piacciono ai nani, e anche molto pratica, come quelle che piacciono ai nani… e, oltretutto, aveva un ritmo sul quale era facile battere a tempo i boccali sul tavolo:

    "Che cos’è questo rumore?

    Che cos’è questo rumore?

    E’ la pancia di quel tale

    o un lamento di dolore?

    Che cos’è questo fracasso?

    Che cos’è questo fracasso?

    L’ha rifatto un’altra volta:

    ha mangiato un grosso sasso!

    Che cos’è questo rimbombo?

    Che cos’è questo rimbombo?

    Quante volte gliel’ho detto:

    hai lo stomaco di piombo

    grande Hedgar, vuoi star bene?

    Mangiar rocce non conviene!

    Molto meglio se un quintale

    ti arrostisci di cinghiale!"

    In ogni caso non era certo il Canto di Hedgar che risuonava nella mente del nano Bahlinor in quel momento, davanti alla testa mozzata di un grande drago di metallo: Roba da Nordri disse quasi fra sé … quelli ci assomigliano ma non sono come noi. Usano il ferro per farne strani tubi e macchinari, ingranaggi e ruote. Utili sì, non lo nego, ma niente è come le asce e gli scudi…

    Aydrian, attentissimo ad ogni parola, si chinò su di lui con gli occhi simili a fessure e chiese immediatamente: Credi sia stata opera loro? E per quale motivo avrebbero voluto rapire la mia famiglia?

    L’altro ribatté immediatamente, agitando la tozza mano davanti alla sua faccia, No, no! Io dico solo che sembra una cosa fatta da loro, non certo da loro ‘usata’. È ben diverso, mio caro giovine.

    A parte lo strano modo di rivolgersi a lui, l’informazione, nella sua purezza, raggiunse il cervello del mezzodrago e così anche di quelli intorno.

    Dobbiamo andare a Nordri quindi, tanto per cominciare. disse Neodar.

    Come mai questa cosa tanto saputella non l’ha detta Ielenya eh? Che si sente poco bene o ha mal di gola? ridacchiò allora Rayek, come sempre poco partecipe alle questioni altrui che riteneva tempo perso quando, invece, si sarebbe potuto parlare dell’unico argomento veramente interessante per un giovane barbaro in  perfetta salute: le donne.

    Perché, come tu NON avrai evidentemente notato: Ielenya non c’è. L’amore per il suo affascinante Maestro dell’Accademia l’ha spinta a rimanere con lui. Sano egoismo, direi. rispose El Isereth.

    Una serie di alzate di spalle, qualche testa scossa e un sorriso romantico accolsero queste parole ma poi il discorso si focalizzò subito sui rapidi preparativi da fare e sui tempi di viaggio. Avrebbero impiegato almeno due settimane per raggiungere Nordri.

    Con i limitati ‘mezzi’ a voi disponibili… commentò ironicamente il mago.

    Lo ignorarono. Sarebbero partiti, comunque, all’alba del giorno seguente.

    Il sole ormai basso proseguì il proprio cammino e si concesse, come al solito, una tranquilla passeggiata nel cielo grigio di Priminverno, poi si rivestì d’oro e di porpora e si tuffò nel mare ghiacciato. Le isole del Sejar, piccole briciole di terra nel buio infinito, si addormentarono tranquille, certe che oltre quelle nuvole scure ci fossero mille stelle brillanti ed una benevolente luna.

    CAPITOLO 2

    La nuova partenza

    L’alba seguente li colse sul molo, immobili ed un tantino infreddoliti, gonfi di una regale colazione che, nella sua ostentata opulenza, li aveva ulteriormente appesantiti e rallentati.

    Voglio una tavola imbandita che emani un senso di generosità e di ricchezza. Mai si dica che le Reali cucine del Sejàr non siano ben oltre le normali aspettative e non si possano, quindi, vantare dell’eccellenza! aveva ordinato Re Neodar al Ciambellano la sera prima, ed un fervere operoso di sguatteri e cuochi si era manifestato già verso la tarda notte fra le grossa mura pietrose della reggia, disturbando non poco i piani ‘strategici’ del povero Rayek. Per il troppo lavoro nessuna cameriera aveva trascorso l’intera notte nel proprio letto: quindi, malgrado i suoi tentativi, al barbaro era toccato un sonno solitario.

    Ora un vento leggero e freddo soffiava da Sud Est, gonfiando le vele della piccola stivia che li avrebbe accompagnati fino alla terraferma e a quella che ora era una bellissima spiaggia, composta da una specie di mistura naturale di pezzetti di gusci chitinosi e roccia.

    La grande vela quadrata con le insegne reali si gonfiava di tanto in tanto, nutrendosi delle folate più insistenti, ma senza troppo entusiasmo

    Tendiamo il bordo verticale della tela anche se questo distorcerà un po’ lo stemma Sire? Magari andiamo di bolina puntando a Est - Nord Est?

    Il Capitano della nave era completamente rivestito d’argento e blu, i colori del Sejàr, dal fluttuante mantello all’armatura risplendente ai primi raggi del sole ancora basso… ma era anche un bel po’ in difficoltà davanti all’apatia generale e ai palesi sbadigli dei suoi futuri passeggeri.

    Questo ti renderà un po’ più difficile svolazzare in giro eh?! sogghignò El, indicando col bastone la pancia di Aydrian, palesemente ben piena.

    Tu pensa a non cadere dalla… ‘scopa’ per un colpo di sonno! rispose quello senza neanche voltarsi dalla sua parte.

    Il mago avrebbe voluto precisare che un ‘bastone’ era ben diverso da una ‘scopa’, che il suo incantesimo di volo era uno dei più avanzati e gli era costato un bel po’ di anni di studio… ma non lo fece e si limitò a scuotere la testa.

    Comunque l’alba riscaldava il cielo grigio ad oriente quando la stivia, lentamente, lasciò il porto con tutti a bordo e il nano Bhalinor ben aggrappato alla paratia. La sua barba, spinta da quello stesso vento che li avrebbe costretti ad un percorso un po’ più lungo, si ostinava a frustargli la faccia, rendendo quel momento ancora più fastidioso. Due traversate a distanza di qualche ora! borbottava con voce baritonale, Qualcuno dovrà darmi serie spiegazioni per tutto questo: l’acqua non è un elemento adatto ai Nani!.

    I tamburi suonavano ritmicamente per salutare il Re del Sejàr che si allontanava, poi la Regina Ilearya, in piedi sull’estremità del molo, abbassò il braccio che aveva sollevato in segno di saluto e fece loro cenno di smettere; nei suoi occhi c’erano orgoglio e forza, ma anche un po’ di tristezza ben nascosta e un’inconfessata scintilla di invidia, immediatamente seppellita sotto un pensiero felice: il figlio che portava in grembo sarebbe nato a breve, insieme alle prime gemme dei nuovi fiori ed ai morbidi agnelli, e quella era sicuramente, per il momento, la sua unica priorità. La donna richiuse intorno a sé il caldo mantello di lana di equì, sventolante come una bandiera ormai solitaria, e si mosse sorridendo Forza ‘bambini’: torniamo a casa! disse.  La piccola Bea la seguì in silenzio.

    La traversata fu lunga. Lunga e silenziosa. Lunga silenziosa e fredda.

    Il vento pareva non avesse altro da fare quella mattina che infastidire i naviganti: così mantelli sventolavano,  spalancandosi improvvisamente e divellendo fibbie e fermagli, capelli svolazzavano davanti a visi pensosi e a nasi gelati, offuscando la vista del mare grigio e spumoso, e la barba di Bahlinor si ostinava  a stamparsi sulla sua faccia ogni volta che il poveretto cercava di lanciare una distratta occhiata speranzosa in direzione della costa; non vedeva l’ora di scorgere almeno un sottile lembo di quelle spiagge che aveva lasciato, un paio di giorni prima, con lo stesso profondo disappunto.

    Un nano non galleggia lo sapete? affermò Tathar urlando dalla prua della stivia ed il vento riportò quelle parole sottolineandone la beffarda ironia.

    Non è il mio corpo a non stare a galla quanto la mia armatura, razza di non-interpellato-chiacchierone-dalla-testa-galleggiante, invece, per tutta l’aria che contiene!

    Eriel rise.

    E tu che vuoi? Cosa ti diverte tanto eh, piccola donna? Ti vedo aggrappata a questo legno dalla partenza: non troppo diversamente da me! ribatté immediatamente il nano.

    È perché soffro tremendamente il mal di mare, ma so perfettamente nuotare ‘io’, ecco! rispose quella un po’offesa.

    Non cominciamo da subito, per tutti gli dei del mare! li interruppe allora Neodar, prima che l’altro potesse ribattere. Uno sguardo sfuggente alla cognata, poi sbuffò e si strinse meglio nel mantello.

    A fine giornata, dopo uno spuntino difficoltoso, inzuppato qua e là da spruzzi di acqua salata e molta noia, interrotta solo da improvvise onde che costringevano tutti a spostamenti repentini, finalmente una bassa spiaggia comparve all’orizzonte.

    Credo che queste tue ‘stivie’ abbiano bisogno di una revisione,  dello scafo, Neo: mi sa che quello che funzionava bene sulla palude non sia abbastanza adatto al mare! commentò El Isereth, alzandosi la tunica fino alle ginocchia per non farla inzuppare. Per fortuna siamo comunque arrivati. concluse.

    Sto revisionando tutta la mia flotta, infatti. rispose il Re del Sejàr con un po’ di stizza Queste mie navi personali erano le ultime nella lista… e ‘comunque siamo arrivati’ come tu hai appena detto.

    La prossima volta usa i tuoi potenti mezzi. commentò Aydrian e poi aggiunse Come sai anche io avrei potuto farlo, per cui non mi lamento. Che deve dire quel povero nano boccheggiante?

    Sempre pronto ad intervenire, vero? Soprattutto quando non sei stato interpellato. gli ribatté il mago.

    Io non boccheggio, resisto. precisò una voce-di-nano, depressa, dal fondo dell’imbarcazione.

    La costa era sempre più vicina e la stivia con la sua forma piatta li portò pian piano fino a riva, ondeggiando ad ogni flusso e riflusso delle onde, ma rimanendo perfettamente ferma sul posto. Il rumore dell’argine sabbioso, sotto di loro, somigliava a unghie che graffiavano instancabili le assi della nave.

    Terra! esclamò Bahlinor saltando felice sulla terraferma e schizzando di fanghiglia tutto il bordo esterno della piccola nave e gran parte della propria armatura.

    Tathar si mosse per ultimo, aiutando Eriel che sembrava ormai allo stremo delle forze: pallida e tremante la donna si lasciò adagiare sulla sabbia asciutta qualche metro più avanti.

    Un tramonto fuggevole illuminava ancora il cielo ma il freddo, con l’umidità, era diventato insopportabile. Così El accese un piccolo fuoco accumulando alghe secche e qualche ramo portato dalla corrente. Sembrano ossa, vero? Questi pezzi di legno sbiancati dal sale e dal gelo, intendo…  aveva detto il mago schioccando più volte le dita intorpidite per creare un maggior numero di scintille.

    Prendo qualcosa di più durevole. intervenne allora Rayek, che pareva essersi svegliato solo in quel momento… forse per il bagno involontario che si era fatto scendendo dalla stivia di soprassalto senza esaminare prima da che parte fosse la spiaggia. Aveva dormito all’interno di un rotolo di funi per tutto il tempo della traversata.

    Così ben presto un grande falò riscaldava la notte gelida e, intorno ad esso, tutti si sentirono lentamente meglio. C’era il cibo portato dalla reggia, il tepore di coperte  rimaste asciutte grazie agli zaini foderati di tela intrisa di grasso di equì, praticamente impermeabile, e il tepore del fuoco che rendeva ogni pensiero molto più accettabile.

    Quindi la nostra meta è Nordri? La nevosa città dei tecno scienti, mi incuriosisce molto a dire il vero. cominciò a dire El, dopo un bel po’ di carne alla griglia e birra, ovviamente molto fredda.

    So che in quella zona a Nord prima dei monti Biancofine, che ora si chiama il Grande Altopiano, Nordri è una delle città più bizzarre che si siano mai viste! Pare che sia stata costruita in verticale, che sia fatta di lunghe torri di pietra scura, e che i suoi abitanti facciano uso del vapore per far funzionare un bel po’ di strani aggeggi! intervenne Eriel entusiasta.

    Se ti piace tanto perché non ti trasferisci lì? Stabilmente intendo. borbottò Neodar esaminando da che parte attaccare un grosso boccone di fumante equì arrosto, appena tolto dalla griglia improvvisata che avevano costruito con i resti di una cotta di maglia rotta trovata fra le gomene nella nave.

    Delle volte un po’ di disordine non guasta: si trovano tesori inaspettati nel disordine! aveva detto Rayek in quell’occasione, aggiungendo poi Dovreste vedere casa mia… spesso non trovo più neanche la mia stessa testa! H!H!H!

    Tutti avevano annuito.

    Eriel, intanto, sembrava non aver colto il lato ‘polemico’ della frase di Neo e rispose in ritardo e con rinnovato fomento Ah non potrei mai vivere a Nordri! Fa troppo freddo… anche se si dice che con quel vapore gli abitanti riscaldino anche la stessa città, che infatti è sempre un po’ lucida e bagnata. Certo, immagino che, con gli edifici altissimi in pietra scura e le sue strade strette e nebbiose e tutti quei tubi di trekor che sbucano ovunque, scintillanti come se fossero sempre appena lavati, sia veramente un bello spettacolo, soprattutto al tramonto, ma le mie ossa non reggerebbero a tanta umidità!

    Soprattutto al tramonto… fece eco suo cognato, con la voce in falsetto e alzando gli occhi al cielo.

    Ma Eriel non lo degnò di uno sguardo, o non se ne accorse.

    Il mare accompagnava con le sue onde ritmiche e lunghe le loro parole.

    Quindi passeremo da Inchantus, la nuova città dei maghi, quella che sorge  sulle ceneri del vecchio ‘Villaggio dei Non Tollerati’ dove tu, El, insieme ai dodici hai costruito quella strana Accademia con le scale a… guscio di chiocciola? chiese allora il Re del Sejàr per cambiare discorso e anche per studiare un po’ la nuova ‘concorrenza’ in fatto di opulenza e di regge!

    Esatto. E si tratta di una scala a ‘guscio di chiocciola di cristallo’, mio caro: una meraviglia per gli occhi ed una sfida per la mente!

    Ma reggerebbe anche se ci salisse Bahlinor? intervenne immediatamente Tathar indicando con la testa il nano, finalmente ubriaco di birra e di cibo, felicemente addormentato sulla spiaggia accanto al grande fuoco; sembrava un ciocco di legna, grosso e tozzo, avvolto da strane alghe marroni.

    Ti ho già risposto: una sfida per la mente… ti assicuro, mio caro, che tutti si chiederebbero come mai non crolla sotto tanta ferraglia! gli sussurrò El con fare misterioso e divertito, agitando le dita come se stesse per lanciare un incantesimo nell’aria gelida della notte.

    E poi? Poi da dove passeremo? chiese ancora l’elfo.

    Io sarei curioso di dare un’occhiata a queste femmine del nuovo Reame dell’Altopiano, quello con quel ragazzino che regna e tutti gli obbrobri che ci abitano! Mi sono immaginato un bel po’ di cose su quelle signorine! intervenne pronto Rayek, con gli occhi stranamente scintillanti alla luce del fuoco.

    A parte le insaziabili curiosità del nostro villoso amico, ripose Aydrian, sorridendo suo malgrado, credo che passare per Invero ci darebbe invece la possibilità di trovare ciò che potrebbe servirci per affrontare il resto del viaggio: provviste ed abiti e, se ci dice bene, anche una delle nuove ‘mappe delle Terre del Nord’ di Loris Belcanto. In fondo quella è una grande città, e Leoneo I la sta governando con intelligenza, circolano merci di tutti i tipi…

    Che tipo di ‘merci’? Quelle che piacciono alle donne? ribatté immediatamente Rayek senza perdersi d’animo e acciuffando un trancio di equì ormai rassegnato a carbonizzarsi.

    Basta: sei un malato di mente… intervenne allora Eriel ridendo.

    Così quella giornata, iniziata nel gelo di un’alba grigia e lenta, finì in una serena e conviviale atmosfera, riscaldata dal caldo colore di un fuoco forte, pieno di improvvisi scoppiettii e di scintille danzanti nel vento freddo, come pollini di allegria.

    Dietro una coltre di nubi la luna attendeva qualche spiraglio per lanciare un’occhiata indiscreta al mondo.

    ………

    L’alba seguente li trovò riposati e pronti per il viaggio: l’umore era buono e perfino Eriel e Neodar sembravano andare d’accordo.

    Mi ricordano un po’ te e me qualche tempo fa, vero? Quando ancora pensavi che io ti dovessi delle scuse per aver distrutto… cominciò a dire El, mentre si spolverava la tunica e ripiegava con precisione la bella coperta rossa dall’interno nero di seta dei Settefili.

    Ti prego: non cominciamo di nuovo con questa storia. rispose Aydrian, al quale la frase era stata rivolta. Stava spiegando le ali, stiracchiandole al vento gelido come se si trattasse di una brezza primaverile. I suoi muscoli sembravano di cuoio azzurro e le sue gambe, ben salde sulla sabbia ghiaiosa, due colonne squamose e lucenti.

    Beh, sì: non cominciamo… borbottò il mago.

    L’alba aveva invece colto Tathar già sveglio. Mentre il mare rombava infaticabile ed un leggero nevischio volteggiava nell’aria, mentre tutti ancora dormivano, protetti dai sogni di caldi focolari e letti morbidi, l’elfo si era alzato di soppiatto e silenziosamente aveva ricoperto Messernano Bahlinor di sabbia, lasciando libera solo la sua faccia. Poi, non contento, aveva adornato il tumulo di alghe e sassetti, disegnandovi sopra una specie di foglia. Ora il cumulo russava ancora ritmicamente mentre tutti gli altri si preparavano a partire.

    Credo che dovremmo svegliarlo. disse El, osservandolo con un interesse quasi scientifico.

    Sì, ma prima spolveriamolo rispose Eriel, se no pensa quanto si arrabbia.

    Spolveriamo chi? il ronfo si era improvvisamente interrotto e due grossi occhi si erano aperti nel mucchio di sabbia che ricopriva il nano.

    Tathar cominciò a ridere.

    Con la grazia di un grosso orso di montagna appena risvegliato dal letargo, Bahlinor sbadigliò e un bel po’ di sassetti, sistemati artisticamente sulla sua barba, gli caddero in bocca. Il nano li sputò, poi lentamente si tirò su.

    Incredibilmente: sorrideva.

    Non ho capito a cosa devo questo tuo gesto gentile, disse rivolto all’elfo ma non credere che ricambierò mai la cortesia in qualche modo: tu non mi piaci. Tu e tutta la tua razza. E non mi fido delle tue viscide cortesie gratuite, anche se mi hai assicurato una notte calda ed hai perfino ‘ornato’ a tuo modo il mio rifugio, sono certo che questo gesto nasconda qualcosa. La benevolenza di Bahlinor il Bello, del clan dei Thorson di Overmur, detto Saltatempo, non si guadagna con tanta facilità!

    Tathar era sconfortato, tutti gli altri risero e, con calma, finirono di sistemare le proprie cose in silenzio, si strinsero nei mantelli e cominciarono a muoversi verso Nord: avrebbero trovato presto uno dei cosiddetti ‘Luoghi dei viandanti’, piccole taverne a ridosso di stalle ben fornite di cavalli, calessi veloci, o di grossi carri, sorte negli ultimi due anni per permettere un rapido e semplice spostamento della popolazione, che fino a quel momento era stata rigorosamente stanziale.

    Le prime dune, bianche di una brina spessa e pesante, si sbriciolarono sotto gli stivali di ferro del nano che marciava aprendo la strada al gruppo.

    Ma perché non voli? chiese El al mezzodrago senza rallentare. Nel suo tono c’era sempre una fastidiosa ironia, anche quando la frase pronunciata sembrava assolutamente innocente.

    Dopo qualche passo, durante il quale Aydrian stava evidentemente considerando se rispondergli o meno, le sue parole furono nette: Per educazione.

    Mentre il vento soffiava loro contro quasi perplesso da quella inaspettata perseveranza, il mago riprese Fai bene. In fondo siamo in questa seccatura per aiutare te. Il minimo che ‘tu’ possa fare è non lasciarli qui nel gelo da soli.

    L’altro rise. Sapeva bene che El Isereth si aspettava una lunga polemica, ma lui non l’avrebbe cominciata.

    Le prime colline delle Terre Risanate, come si chiamava la zona della Piaga dopo il riassestamento, comparvero alla loro vista mentre un mattino pigro sorgeva ad est, dietro nuvole grigie e insistenti.

    Fra un po’ dovrebbe esserci la taverna… disse Eriel affrettando istintivamente il passo. Indossava un mantello bellissimo dalla fibbia dorata, che però aveva fatto ben attenzione a non chiudere.

    La Regina Ilearya, sua sorella maggiore, le aveva donato  quell’oggetto speciale un bel po’ di tempo prima, prendendo il prezioso indumento dall’uniforme dei suoi Arcieri Reali, che la donna guidava con estrema capacità, dando loro esempio e sicurezza. La capacità ‘tecnoscentifica’ di quei mantelli, dopo la Battaglia di Invero, detta dei 45 Piccoli Soli e avvenuta un paio di anni prima, era ormai nota: le due parti della sua chiusura in oro, una volta incastrate, chiudevano un circuito che attivava un meccanismo di deviazione visiva e, in pratica, rendeva invisibile agli occhi chiunque lo indossasse.

    Aran Fortelente, il tecnosciente Primo di Nordri ancora in carica, aveva più volte tentato di spiegare in ‘parole povere’ il funzionamento fisico di quel marchingegno all’apparenza tanto semplice… bastava allacciare la fibbia e voilà: il gioco era fatto, e questo perché è l’energia stessa della materia… aveva più volte ripetuto il vecchio studioso … che ne tiene insieme le micro-parti, aggregate da sistemi per lo più magnetici, e che crea una fluttuazione, una vi-bra-zio-ne… ad Aran piaceva sempre sillabare quella parola seguendone il ritmo con l’indice ossuto, … che fa rimbalzare su di sé le particelle della luce, le quali vengono deviate e vanno a finire da varie parti come schegge impazzite, non colpendo più i nostri occhi con precisione. Questo effetto è esteso a tutto il corpo fisico che è in contatto con la ‘macchina in questione’ per cui, osservando un individuo ammantato, non ci capiterà certo di scorgere, per esempio, stivali che camminino senza una gamba al loro interno o cappelli fluttuanti nell’aria… anche se non fossero ricoperti del tutto dal mantello. In pratica: quello che è a contatto  fisico con la fibbia, fino ad una certa distanza ovviamente, vibra in armonia con essa. Chiarissimo, no?

    Sguardi vacui e persi degli astanti avevano sempre accolto questa ‘semplice spiegazione’ ad ogni conferenza sulle nuove tecnologie,  ma non aveva ancora fatto desistere l’indomito studioso dal riprovare quella dotta delucidazione la volta successiva.

    In ogni caso Eriel non voleva assolutamente diventare invisibile in mezzo a quelle colline sconosciute, e magari perdersi, e gridare fino a perdere anche la voce e non essere mai più ritrovata: questa scena ‘tragica’ che si era più volte svolta nella sua mente ogni qual volta un soffio di vento gelido le aveva aperto il mantello, l’aveva convinta che soffrire il freddo fosse il male minore. Eriel aveva paura di quel meccanismo.

    D’altra parte erano quasi arrivati alla taverna e da lì la situazione sarebbe cambiata ed avrebbero preso una comoda carrozza.

    CAPITOLO 3

    Herozar

    - Grande Altopiano Ghiacciato -

    Intanto…

    Fatica inutile! Tempo sprecato! Un ennesimo fallimento! l’uomo, alto e magro, camminava su e giù nel freddo laboratorio di pietra scuotendo impercettibilmente la testa. Indossava un abito grigio, lungo e rigoroso, ben abbottonato fin quasi alle caviglie. La luce tremolante delle fumose lampade ad olio che erano agganciate al muro sembrava volerlo deridere disegnando di lui ombre strane e allampanate. Oltretutto anche le chiazze allungate, create dalla fuliggine delle stesse lanterne nelle zone ad esse soprastanti, ricordavano stranamente proprio la sua fisionomia, come se tanti ritratti di quell’individuo adornassero la stanza. Quelli e nient’altro. Solo un lungo tavolaccio di legno, un paio di gabbie grosse ed una più piccola, una mensola con strumenti di ferro dalle forme spaventose e un bel po’ di libri, pergamene e fogli di appunti disordinati, sporchi di qualcosa simile a sangue, completavano l’arredamento rendendo il luogo sinistro e spaventoso.

    Herozar, tale era il nome dell’uomo, un paio di anni prima si era rifugiato, durante una tempesta battente di grandine e vento, in una grotta all’estremo nord del Grande Altopiano per sfuggire alla rabbiosa caccia che si svolgeva contro di lui in tutte le Terre Abitabili. Quindi ne aveva esplorato, con la pazienza della disperazione, i tunnel angusti e gelidi, resi accessibili dai recenti assestamenti sismici, e aveva scoperto che erano abitati da piccoli esseri striscianti e commestibili e da un tipo di funghi dallo stelo molle e bianchiccio, ma almeno dolci e sorprendentemente profumati di limone.

    Era rimasto così, acquattato nell’oscurità sotterranea, per un tempo per lui imprecisato, nutrendosi di quei cibi disgustosi e temendo il minimo rumore. ‘Ogni’ goccia di umidità raccolta che si lasciava mollemente andare lungo ‘ogni’ stalattite per tuffarsi in ‘ogni’ pozza acquosa e calcarea sottostante era stata una frustata alla sua sanità mentale… il suo cuore accelerava i battiti, il suo pallore aumentava e non gli era certo necessario uno specchio per accorgersene: nel buio quasi totale sentiva il terrore salire dalle ginocchia, gelargli la pelle e ricoprirla di un mantello fremente di brividi sottili. Così aveva creduto che fossero trascorsi forse mesi quando, una notte, aveva preso coraggio e messo il lungo naso adunco fuori dalla frattura tagliente della roccia che era stato costretto ad eleggere come ‘porta di casa’. Silenzio e gelo. Una distesa bianca e ventosa, vagamente scintillante alla luce di una luna troppo vicina.

    Herozar allora aveva respirato profondamente per liberare i polmoni dal tanfo di umidità che li aveva ammorbati fino a quel momento, poi aveva tossito forte, la gola stretta dall’improvviso cambio di temperatura.

    Le immagini che lo avevano accompagnato in quello che per lui era stato come un eterno momento di pre-sepoltura erano tornate allora più chiare. Si era seduto sul ghiaccio, infilando le dita sottili nello strato di nevischio che lo ricopriva e quasi godendo di quella sensazione forte di freddo intenso che sembrava richiamarlo alla vita. Così, tutto quello che durante i dieci giorni in cui era rimasto nascosto, perché in effetti non erano stati di più, aveva considerato fossero solo fugaci e confuse allucinazioni, era emerso chiaro alla sua mente.

    Gli davano la caccia come fosse il peggiore degli obbrobri, lo avevano braccato costringendolo a quell’esilio solo per aver ripulito un villaggio di maghi falliti? Neanche si erano accorti del furto dei libri, gli sciocchi, era per i resti degli inutili corpi carbonizzati che lo stavano inseguendo e per la faccenda di quel miserabile Dentedoro, morto arrostito come meritava…

    L’uomo aveva spalancato nella notte occhi pieni di rabbia: quanto avvenuto durante lo spettacolo al quale aveva assistito, ben nascosto dietro ai grandi alberi che allora sorgevano sulla collina di Invero, era ritornato nei suoi pensieri… quell’essere inutile, il cosiddetto ‘Libro di Henneth’, Dentedoro, nel pieno della battaglia era sbucato fuori di nuovo, scintillando stupidamente fra le fiamme. Una smorfia di disgusto aveva allora accentuato la curva degli angoli della sua bocca verso il basso  facendogli aggottare la fronte. Poi… un ricordo era riaffiorato per intero e la faccia di Herozar si era tesa di nuovo ma in un’espressione, stavolta, di estatica ammirazione: era arrivato il Drago! Un immenso e meraviglioso drago di cenere e lava, il cui corpo maestoso e gigantesco si ricreava per la sola potenza della propria, inarrestabile, Volontà! Un essere il cui respiro di fuoco illuminava l’intera vallata, portando Morte e Distruzione al solo tocco e Terrore e Follia alla sola vista!

    A quel sublime pensiero il mago aveva sorriso nella notte gelida, senza neanche accorgersi che le sue dita sottili stavano diventando blu: aveva le unghie spezzate dal suo stesso scavare nervoso fino alla terra dura e gelata. Sapeva bene, Herozar, che quegli esseri erano ritenuti estinti, almeno nella parte delle Terre Abitabili in cui aveva vissuto; aveva certo compreso chiaramente che quell’immagine, tanto suggestiva, in realtà era stata solo il frutto di un potente ed antico incantesimo, creato dai maghi di un tempo per difendersi dalla magia stessa, ma non poteva resistere al fascino del ricordo di quella visione. Non poteva resistere neanche mentre perfino i suoi polsi stavano diventando blu.

    Sarebbe meraviglioso ‘avere’ un Drago, essere il Suo Unico Signore, colui che impartisce gli ordini… aveva gridato allora alla luna perplessa, scuotendosi dal torpore estatico e alzandosi in piedi con fatica. Un essere al mio comando che saprebbe punire come si deve questi vigliacchi, questi eretici adoratori di terrose Madri, difensori dei deboli che a null’altro dovrebbero ‘servire’ se non, appunto… a servirmi! Maghi vili e traditori, protettori di sgorbi creati da errori di Natura,  e forniti a volte perfino di ciò che non meritano… aveva continuato preso dall’impeto. Ed era stato proprio in quel momento che l’embrione di un’idea era germinato nel suo cervello ormai claudicante: Ragione e Follia non andavano più allo stesso passo e la sua visione del mondo era zoppicante e definitivamente instabile.

    ………

    Molto più a Sud il cammino continuava…

    La Taverna era a vista; la sua struttura semplice, di pietra e legno, si ergeva di poco fra le piante basse e i cespugli di candomirto marino che segnavano il limite naturale delle dune di sabbia.

    Quel ‘Luogo dei Viandanti’ era uno dei più forniti della zona perché l’arcipelago del Sejàr era spesso meta di ogni genere di mercanti e quindi il passaggio per quelle vie  era quasi forzato; la taverna, con la grande stalla annessa, si era rivelata quindi una comoda sosta per tutti, buona per uomini e cavalli, soprattutto nei gelidi mesi di Pieninverno.

    Il percorso era stato lungo, faticoso, e incredibilmente silenzioso: tutti avevano pensato bene di conservare le forze per avanzare contro il vento ostinato e la sabbia, che frustava loro la faccia e si infilava a forza anche negli occhi ben stretti, in quei rari momenti di sosta in cui potevano chiuderli.

    Muoviti elfo! Non senti già da qui l’odore della birra o quel tuo naso a punta ti serve solo per annusare le querce? esclamò ad un tratto Bahlinor, accelerando improvvisamente e spingendo il giovane Tathar di lato per farsi spazio. L’altro lo osservò sorpassarlo e procedere a grandi passi verso la porta, ancora un po’ distante, del rifugio, sorrise e rivolse uno sguardo veloce al gruppo che avanzava piano dietro di lui, scuotendo la testa e alzando le mani.

    Sicuramente adesso quell’elfo gli combinerà qualcosa di fastidioso con la scusa di vendicarsi della spinta ricevuta: non sa mai quando deve regolarsi. Non so come fa Bally a sopportarlo commentò Eriel a bassa voce, poi aggiunse E io che li immaginavo un popolo superiore, un concentrato di grazia e raffinatezza! Questo qui che è capitato a noi è una specie di malfattore dai capelli a porcospino, folle o scherzoso che sia.

    Mah, commentò il mezzodrago, forse gli altri sono decenti e siamo solo stati sfortunati: d’altra parte è l’unico che mandino di qua e di là, magari neanche loro lo vogliono per troppo tempo a casa!

    Aydrian rise. Nell’ultima luce del tramonto la sua grande ombra si stagliava lunghissima e ricopriva le rocce calcaree ad est, come un morbido mantello di oscurità.

    Quanto sei ingenua Eriel, rispose acido Neodar, che si era un po’ ripreso dalla stanchezza del lungo cammino forse perché la vista della taverna, ormai prossima, gli aveva ridato forza, Questo tal Tathar Oronar non è solo il fidanzato a quanto pare ma proprio il marito di Elvorfilia, figlia di Dandelion… hai capito chi è Dandelion? Uno dei Dodici Arcimaghi dell’Accademia: ha le spalle protette quell’elfo e quindi può permettersi di fare lo sbruffone! Comunque si dice che sia un arciere eccellente e che sappia trasformarsi perfino in una specie di grosso gufo!

    Beh, veramente a parer mio, e anche a parere delle leggende che ho letto su di loro, gli elfi dovrebbero essere benevoli e superiori non per costrizione bensì per indole: quindi anche il suo comportamento dovrebbe essere gentile in ogni caso! continuò impavida Eriel, aspettandosi una contro-risposta, ma l’attenzione degli altri era stata inevitabilmente attirata dall’ultima parte della frase di Neodar.

    Trasformarsi in un grosso gufo hai detto? esclamò El, contenendo a stento il disappunto.

    Quindi vola? E a che velocità? E che apertura alare avrebbe? incalzò Aydrian col piglio del ‘professionista in materia’.

    Ma che ne so io! rispose solo Neodar, facendo spallucce e accelerando il passo.

    Eriel era indignata. Si stava parlando di comportamenti signorili e ben educati, di quanto sia conveniente  essere gentili e sempre ‘opportuni’… e la semplice trasformazione, del tutto unicamente ipotizzata, di un teppistello con la cresta da gallo in qualche altro tipo di pennuto sembrava invece avere maggior rilievo. Inaudito. La piccola donna strinse i pugni, alzò la testa di scatto con un evidente ‘Mpfh!’ e si mosse, quasi marciando, verso il rifugio di pietra, accogliente e ora vicinissimo.

    Nessuno si accorse che Rayek aveva fatto una piccola deviazione. L’‘indomito barbaro’ aveva infatti annusato nel vento un profumo di acqua di lavanda mista ad estratto di fragole di bosco: Donne! si era detto, Qui ci sono delle donne… almeno due, perché nessuna mischierebbe quelle essenze così diverse, che appartengono a generi di femmina opposti. Così, seguendo il proprio olfatto, si era diretto verso le stalle. Non sarà un po’ di odore forte di cavallo a confondere l’inarrestabile cacciatore… pensava mentre, appostandosi di tanto in tanto fra i cespugli, si avvicinava ai carri parcheggiati sotto una tettoia di paglia di alghe secche.

    E infatti da una bella carrozza, appena ripulita dalla polvere di un recente viaggio, come dimostravano le striature umide ancora visibili sul grande stemma che ne ornava il retro, provenivano le voci di due donne molto divertite.

    Lo stemma brillava perfino alla scarsa luce del tramonto; La Granduchessa era scritto a grandi lettere d’oro e appena sotto la ‘G’ troneggiavano una botte e due spade incrociate.

    Asakùn! sussurrò allora il barbaro, riesumando per l’occasione un antico grido di guerra dei Kana e la cosa gli piacque: lo fece sentire ancora pià forte. Me ne ricorderò anche quando potrò gridarlo a voce più alta. si disse Grazie, oh Padri, per avermi mandato questo atavico ricordo! concluse fra sé.

    A quel punto però la curiosità e l’attrazione erano diventate inarrestabili e, lasciata ogni cautela, il barbaro, intriso perfino di antica forza, gonfiò il petto e tutti i muscoli del proprio corpo, compresi quelli degli alluci che, indubbiamente, erano poco visibili visti i pesanti stivali e le fasce che indossava, e si mosse verso di loro con passo sicuro. Tre cose piacciono al Rayek: pensava, quasi confuso da quell’eccessiva compresenza di godurie, le donne, la birra e le armi. E quest’unica carrozza le promette tutte! Aveva quasi gli occhi lucidi dalla commozione.

    Un foglietto, ricoperto da una bella grafia femminile, avrebbe avvisato poco dopo i suoi compagni di viaggio, ormai ben sistemati ad un tavolo, che si sarebbero rincontrati con lui direttamente ad Invero, nella locanda La Granduchessa, che a quanto diceva la scrivente, era stata da lei medesima aperta al posto dell’infelice taverna del Gatto Nero dove troppo sangue era stato versato. Un post scriptum, stilato sempre dalla stessa mano ma firmato dalla grossa e tremolante ‘x’ di Rayek, concludeva il messaggio Piccolo particolare: nelle taverne si deve versare la birra e non il sangue!

    Quando Eriel ebbe finito di leggere queste ultime parole, non riuscì a trattenere le risate e per poco non cadeva dalla pesante sedia impagliata su cui era vezzosamente accucciata.

    E siediti come si deve, altrimenti uno di questi giorni saremo costretti a portarti alla casa della Buona Signora per farti riaggiustare tutte le ossa! le borbottò immediatamente Neodar.

    Quanto sei noioso! gli rispose la donna, alzando gli occhi al cielo.

    Messernano Bahlinor intanto era alla sua terza birra grande e aveva appena finito anche quella: le ordinava, le aspettava con palese nervosismo, le tracannava tutto d’un fiato, scuoteva la testa con l’espressione di disapprovazione, emetteva una serie di versi poco cortesi, si batteva sulla pancia e diceva: Non un granché! Non un granché! e poi ne ordinava un’altra.

    Mentre la zuppa di alghe si raffreddava,

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