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Il vedente non vedente
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E-book54 pagine44 minuti

Il vedente non vedente

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Info su questo ebook

Florence K. presenta la storia di immigrazione di Sahle, immigrato eritreo. La narrazione ci porta a scoprire la realtà complessa  dell’emigrazione. Si svela  la descrizione genuina e disincantata con bozzetti di realismo tragicomico che mostrano una qualità di vita che trae la propria forza da un abile uso equivoco di parole e di situazioni. L’autore non si ferma al puro racconto, ma chiede al lettore di condividere la storia di Sahle. Questo rende la narrazione aperta, attuale, interattiva, adattabile, con le dovute differenze ad ogni singola esperienza di vita, di ogni lettore che è aiutato a vedere al di là del proprio vissuto. Gioie e dolori di una storia di immigrazione è la storia che l’autore propone di condividere.

Florence K., menzione di merito al Pegasus Literary Awards 2018, è autore dei libri Elena, Umani o disumani, Occhio della giungla e Figlia mia!
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2020
ISBN9788855088909
Il vedente non vedente

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    Il vedente non vedente - Florence K.

    Florence K.

    Il vedente non vedente

    EDIFICARE

    UNIVERSI

    © 2020 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it

    I edizione elettronica marzo 2020

    ISBN 978-88-5508-890-9

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri

    Egli ebbe compassione per la mia sorte di orfano e mi rispose che in quella casa tutti quanti si consideravano orfani

    L’ingresso dell’inferno: la mia nuova dimora

    Attraversando il cancello dell’ingresso, io e mio cugino Mehret stavamo per fare i primi gradini dell’edificio quando lo vidi girare la testa e fare velocemente qualche passo indietro cercando disperatamente un fazzoletto da appoggiare sul naso. Anch’io avevo avuto la stessa reazione qualche giorno prima, quando mi ero fermato per chiedere se era possibile per me trovare una sistemazione dove accoglievano stranieri maschi in difficoltà di alloggio.

    Ero stato accolto da un ragazzo che si fece premura di presentarmi l’edificio senza fare nessuna allusione alla tremenda puzza che si spargeva e copriva l’ambiente dove si trovava una moltitudine di uomini (quel giorno non vidi nessun volto femminile).

    La mia guida mi aveva fatto visitare due edifici entro lo stesso spazio, spiegandomi che non c’era più posto ma mostrandomi, nella taverna del primo edificio, un angolo di corridoio, lasciato da poco tempo da un ospite, che mi poteva servire da stanza.

    Era ben allestito con un letto, un tavolo e una sedia. C’erano altre cosette che mi potevano essere utili. Per rispetto nei confronti della mia guida, che si presentò come Adenike senza altri commenti, non ebbi il coraggio di tirare fuori un fazzoletto per sfuggire alla puzza che mi dava voglia di rimettere il mio pranzo dì quel giorno. La struttura, si mise a spiegarmi, era gestita da una associazione ben nota.

    Lui era stato tra i primi ad aver occupato l’edificio dopo aver perso il suo lavoro. Non avendo mezzi per continuare a pagare l’affitto, si era rivolto all’associazione che, insieme ad altre, cercava a suo modo di tutelare gli stranieri ed aiutarli nelle loro difficoltà.

    Adenike era un tipo più basso di me, con il volto molto simpatico, con un’espressione del viso che non faceva affatto trapelare tristezza per la situazione difficile e dura dell’ambiente in cui viveva. Se io avessi vissuto come lui per cinque anni immerso in quella puzza, avrei di sicuro avuto sul mio volto i segni della sofferenza e del dolore.

    Il suo modo di darmi una visione completa della cinquantina di persone che ci viveva, dei profili diversi, del destino comune che erano costretti a condividere, mi fece credere che quella puzza non mi avrebbe mai ucciso e mi convinsi a lasciare la casa di mio cugino per il motivo che vi spiegherò nel capitolo che segue.

    Insomma, potevo benissimo anch’io condividere il mio destino di disgraziato rifugiato con loro. La casa non aveva un capo che controllasse chi si installava e chi lasciava. Con un’intesa quasi unanime, quelli che avevano per primi goduto della possibilità dell’alloggio, per solidarietà, accoglievano chi arrivava spiegando il perché e come si viveva.

    In due parole feci sapere ad Adenike che ero eritreo e mi chiamavo Sahle, che ero rimasto orfano in Eritrea, ad Asmara, e con mia sorella avevo deciso di raggiungere l’Italia tramite il mio cugino Mehret che viveva da dieci anni a Milano e ci lavorava.

    Mehret mi aveva inserito subito presso la sua azienda per un lavoro serale. Dopo un mese, tra spese di casa che dovevo condividere con lui, il vitto, eccetera, non ero neanche capace di fare una chiamata a mia sorella più giovane che avevo lasciato in Eritrea.

    Così mi ero

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