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Parole di pace per il nuovo anno
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E-book217 pagine2 ore

Parole di pace per il nuovo anno

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Info su questo ebook

A cura di Piero Spagnoli

«C’è poi una guerra più profonda che dobbiamo combattere tutti. È la decisione forte e coraggiosa di rinunciare al male e alle sue seduzioni e di scegliere il bene, pronti a pagare di persona.»
Papa Francesco

Fin dalla sua elezione, papa Francesco non ha perso occasione per comunicare messaggi di pace al mondo intero, che accomunano tutti i popoli di qualunque religione o etnia. In questo libro, tramite i discorsi e le preghiere del pontefice, c’è spazio per la pace interiore, la pace tra persone vicine, con il creato e tra le nazioni. Parole dense di significato e amore che sapranno indicare la strada da percorrere per un nuovo anno fatto di amore e rispetto tra tutti.
Papa Francesco
Jorge Mario Bergoglio è stato eletto il 13 marzo del 2013 266mo Vescovo di Roma e papa della Chiesa Cattolica
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2016
ISBN9788854199774
Parole di pace per il nuovo anno

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    Anteprima del libro

    Parole di pace per il nuovo anno - Papa Francesco

    Prima parte

    La pace di Dio dentro di te

    1

    La pace spiegata ai bambini

    ²

    Io ho la tentazione di fare questa domanda: «Alzi la mano chi non ha mai litigato con un fratello o con qualcuno della famiglia, proprio mai». Tutti lo abbiamo fatto! È parte della vita, perché io voglio fare un gioco, l’altro vuole farne un altro, e poi litighiamo… Ma alla fine l’importante è fare la pace. Sì: litighiamo, ma non dobbiamo mai finire la giornata senza fare la pace. Bisogna tenere sempre in mente questo.

    A volte io ho ragione, altre volte ho sbagliato. Come vado a chiedere scusa? Non chiedo scusa, ma faccio un gesto, e l’amicizia continua. Questo è possibile: non lasciate che l’aver litigato arrivi al giorno dopo. Questo è brutto! Anch’io ho litigato tante volte, anche adesso... Mi riscaldo un po’, ma cerco sempre di fare la pace insieme. È umano litigare.

    «Se una persona non vuole fare pace con te, tu cosa fai?». Prima di tutto serve il rispetto per la libertà della persona. Se questa persona non vuole parlare con me, non vuole fare pace con me, ha dentro di sé, non dico odio, ma un sentimento contro di me... io lo devo rispettare! Devo pregare, ma mai, mai vendicarmi. Se tu non vuoi fare la pace con me, io ho fatto tutto il possibile per farla, ma rispetto questa tua scelta. Dobbiamo imparare il rispetto. Nel lavoro artigianale di fare la pace, il rispetto per le persone è sempre al primo posto.

    In questo la religione ci aiuta perché ci fa camminare in presenza di Dio; ci aiuta perché ci dà i Comandamenti, le Beatitudini; soprattutto ci aiuta – tutte le religioni, perché tutti hanno un comandamento che è comune – ad amare il prossimo. E questo amare il prossimo aiuta tutti per la pace. Ci aiuta tutti a fare la pace, ad andare avanti nella pace.

    La religione ci ricorda che Dio perdona tutto! Capito? Siamo noi a non saper perdonare. Siamo noi a non trovare strade di perdono, tante volte per incapacità o perché cerchiamo la strada più facile. Invece il perdono cosa significa? Sei caduto? Alzati! Io ti aiuterò ad alzarti. Sempre c’è il perdono e noi dobbiamo imparare a perdonare, aiutando chi ha sbagliato.

    C’è una bella canzone che cantano gli Alpini. Dicono più o meno così: «Nell’arte di salire, la vittoria non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto». Tutti cadiamo, tutti sbagliamo. Ma la nostra vittoria su noi stessi e sugli altri – per noi stessi – è non rimanere caduti e aiutare gli altri a non rimanere caduti.

    ² Incontro con bambini e ragazzi, 11 maggio 2015.

    2

    La misericordia, fonte della pace

    ³

    Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina.

    Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.

    «È proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza». Le parole di san Tommaso d’Aquino mostrano quanto la misericordia divina non sia affatto un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. È per questo che la liturgia, in una delle collette più antiche, fa pregare dicendo: «O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono». Dio sarà per sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvidente, santo e misericordioso.

    Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr. Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr. Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr. Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr. Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto.

    Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr. Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.

    La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia.

    L’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che dice: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). È un programma di vita tanto impegnativo quanto ricco di gioia e di pace. L’imperativo di Gesù è rivolto a quanti ascoltano la sua voce (cfr. Lc 6,27). Per essere capaci di misericordia, quindi, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita.

    ³ Bolla Misericordiae Vultus (2014), 1-2; 6; 8-9; 12-13.

    3

    La gioia del Vangelo

    La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento.

    Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto.

    Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore» (Paolo VI, esort. ap. Gaudete in Domino, 1975, 22).

    Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti!

    Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti!

    ⁴ Esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), 1-3.

    4

    «Pace a voi!»

    «Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro» (Gv 20,30). Il Vangelo è il libro della misericordia di Dio, da leggere e rileggere, perché quanto Gesù ha detto e compiuto è espressione della misericordia del Padre. Non tutto, però, è stato scritto; il Vangelo della misericordia rimane un libro aperto, dove continuare a scrivere i segni dei discepoli di Cristo, gesti concreti di amore, che sono la testimonianza migliore della misericordia.

    Siamo tutti chiamati a diventare scrittori viventi del Vangelo, portatori della Buona Notizia a ogni uomo e donna di oggi. Lo possiamo fare mettendo in pratica le opere di misericordia corporale e spirituale, che sono lo stile di vita del cristiano. Mediante questi gesti semplici e forti, a volte perfino invisibili, possiamo visitare quanti sono nel bisogno, portando la tenerezza e la consolazione di Dio. Si prosegue così quello che ha compiuto Gesù nel giorno di Pasqua, quando ha riversato nei cuori dei discepoli impauriti la misericordia del Padre, effondendo su di loro lo Spirito Santo che perdona i peccati e dona la gioia.

    Ogni infermità può trovare nella misericordia di Dio un soccorso efficace. La sua misericordia, infatti, non si ferma a distanza: desidera venire incontro a tutte le povertà e liberare dalle tante forme di schiavitù che affliggono il nostro mondo. Vuole raggiungere le ferite di ciascuno, per medicarle. Essere apostoli di misericordia significa toccare e accarezzare le sue piaghe, presenti anche oggi nel corpo e nell’anima di tanti suoi fratelli e sorelle. Curando queste piaghe professiamo Gesù, lo rendiamo presente e vivo; permettiamo ad altri, che toccano con mano la sua misericordia, di riconoscerlo «Signore e Dio» (cfr. v. 28), come fece l’apostolo Tommaso. È questa la missione che ci viene affidata. Tante persone chiedono di essere ascoltate e comprese. Il Vangelo della misericordia, da annunciare e scrivere nella vita, cerca persone con il cuore paziente e aperto, buoni samaritani che conoscono la compassione e il silenzio dinanzi al mistero del fratello e della sorella; domanda servi generosi e gioiosi, che amano gratuitamente senza pretendere nulla in cambio.

    «Pace a voi!» (v. 21): è il saluto che Cristo porta ai suoi discepoli; è la stessa pace, che attendono gli uomini del nostro tempo. Non è una pace negoziata, non è la sospensione di qualcosa che non va: è la sua pace, la pace che proviene dal cuore del Risorto, la pace che ha vinto il peccato, la morte e la paura. È la pace che non divide, ma unisce; è la pace che non lascia soli, ma ci fa sentire accolti e amati; è la pace che permane nel dolore e fa fiorire la speranza. Questa pace, come nel giorno di Pasqua, nasce e rinasce sempre dal perdono di Dio, che toglie l’inquietudine dal cuore.

    Essere portatrice della sua pace: questa è la missione affidata alla Chiesa il giorno di Pasqua. Siamo nati in Cristo come strumenti di riconciliazione, per portare a tutti il perdono del Padre, per rivelare il suo volto di solo amore nei segni della misericordia.

    ⁵ Omelia, 3 aprile 2016.

    5

    Amare per essere felici

    L’amore è la carta d’identità del cristiano, è l’unico documento valido per essere riconosciuti discepoli di Gesù. Se questo documento scade e non si rinnova continuamente, non siamo più testimoni del Maestro. Allora vi chiedo: volete accogliere l’invito di Gesù a essere suoi discepoli? Volete essere suoi amici fedeli?

    Il vero amico di Gesù si distingue essenzialmente per l’amore concreto – non l’amore nelle nuvole – l’amore concreto che risplende nella sua vita.

    L’amore è sempre concreto. Chi non è concreto e parla dell’amore fa una telenovela, un teleromanzo. Volete vivere questo amore che Lui ci dona? Volete o non volete? Cerchiamo allora di metterci alla sua scuola, che è una scuola di vita per imparare ad amare. E questo è un lavoro di tutti i giorni: imparare ad amare.

    Anzitutto, amare è bello, è la via per essere felici. Però non è facile, è impegnativo, costa fatica. Pensiamo, ad esempio, a quando riceviamo un regalo: questo ci rende felici, ma per preparare quel regalo delle persone generose hanno dedicato tempo e impegno, e così, regalandoci qualcosa, ci hanno donato anche un po’ di loro stesse, qualcosa di cui hanno saputo privarsi. Amare infatti vuol dire donare, non solo qualcosa di materiale, ma qualcosa di se stessi: il proprio tempo, la propria amicizia, le proprie capacità.

    Guardiamo al Signore, che è invincibile in generosità.

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