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Tutti insieme ce la faremo
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E-book208 pagine3 ore

Tutti insieme ce la faremo

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Info su questo ebook

Nel tempo della pandemia, la voce del papa si è alzata forte. Ci si aspettava che dalla cattedra di Pietro arrivasse un abbraccio al mondo malato, la consolazione e insieme la spinta a guardare con fiducia al futuro. Tutto questo c’è stato, ma Francesco è andato oltre. Ha colto l’occasione della crisi per rilanciare la propria visione del mondo, indicare le vie percorribili per una società più giusta e fraterna. Relazioni personali e sociali, politica, istituzioni: papa Francesco ha tracciato un percorso verso il cambiamento, essenziale al superamento di ogni difficoltà. In questo libro sono raccolti i testi del Santo Padre che più hanno simboleggiato questa spinta propositiva all’insegna dell’impegno e della speranza. Il servizio del bene comune, la dignità umana, il lavoro, i diritti umani, la pace, la giustizia. In un’epoca di grande incertezza, papa Francesco è riuscito a trasmettere a milioni di persone un messaggio di speranza e coraggio. E le sue parole rimarranno nella storia come esempio di straordinaria sensibilità, saggezza e umanità.

Le parole di speranza del Santo Padre: si può avere successo solo se si procede insieme

«Desidero tanto che, in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità.»
Papa Francesco, Enciclica Fratelli tutti
Papa Francesco
È stato eletto il 13 marzo 2013 266mo Vescovo di Roma e papa della Chiesa Cattolica Romana con il nome di Francesco.
LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2021
ISBN9788822758415
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    Anteprima del libro

    Tutti insieme ce la faremo - Papa Francesco

    1. Tre antidoti contro l’oscurità

    Tutti noi, specialmente nei momenti difficili, cerchiamo consolazioni. Spesso ricorriamo solo a consolazioni terrene, che svaniscono presto, sono consolazioni del momento. Gesù ci offre la consolazione del Cielo, lo Spirito, è il Consolatore perfetto. Qual è la differenza?

    Le consolazioni del mondo sono come gli anestetici: danno un sollievo momentaneo, ma non curano il male profondo che ci portiamo dentro. Distolgono, distraggono, ma non guariscono alla radice. Agiscono in superficie, a livello dei sensi e difficilmente del cuore. Perché solo chi ci fa sentire amati così come siamo dà pace al cuore.

    Lo Spirito Santo, l’amore di Dio, fa così: scende dentro, in quanto Spirito agisce nel nostro spirito. Visita nell’intimo il cuore, come ospite dolce dell’anima. È la tenerezza stessa di Dio, che non ci lascia soli; perché stare con chi è solo è già consolare.

    Sorella, fratello, se avverti il buio della solitudine, se porti dentro un macigno che soffoca la speranza, se hai nel cuore una ferita che brucia, se non trovi la via d’uscita, apriti allo Spirito. Egli, scriveva san Bonaventura, «dove c’è maggiore tribolazione porta maggiore consolazione, non come fa il mondo che nella prosperità consola e adula ma nell’avversità deride e condanna» (Sermone fra l’ottava dell’Ascensione). Così fa il mondo, così fa soprattutto lo spirito nemico, il diavolo: prima ci lusinga e ci fa sentire invincibili – le lusinghe del diavolo che fanno crescere la vanità – poi ci butta a terra e ci fa sentire sbagliati: gioca con noi. Fa di tutto per buttarci giù, mentre lo Spirito del Risorto vuole risollevarci.

    Guardiamo agli Apostoli: erano soli la mattina della Pentecoste, erano soli e smarriti, stavano a porte chiuse per la paura, vivevano nel timore e davanti agli occhi avevano tutte le loro fragilità e i loro fallimenti, i loro peccati: avevano rinnegato Gesù Cristo. Gli anni passati con Gesù non li avevano cambiati, continuavano a essere gli stessi.

    Poi ricevono lo Spirito e tutto cambia: i problemi e i difetti rimangono gli stessi, eppure non li temono più perché non temono nemmeno chi vuol fare loro del male. Si sentono consolati dentro e vogliono riversare fuori la consolazione di Dio. Prima impauriti, ora hanno paura solo di non testimoniare l’amore ricevuto.

    Gesù l’aveva profetizzato: lo Spirito «darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza» (Gv 15,26-27).

    E facciamo un passo avanti. Pure noi siamo chiamati a testimoniare nello Spirito Santo, a diventare paracliti, cioè consolatori. Lo Spirito ci chiede di dare corpo alla sua consolazione. Come possiamo farlo? Non con grandi discorsi, ma facendoci prossimi; non con parole di circostanza, ma con la preghiera e la vicinanza.

    Ricordiamo che la vicinanza, la compassione e la tenerezza sono lo stile di Dio, sempre. Il Paraclito dice alla Chiesa che oggi è il tempo della consolazione. È il tempo del lieto annuncio del Vangelo più che della lotta al paganesimo. È il tempo per portare la gioia del Risorto, non per lamentarci del dramma della secolarizzazione. È il tempo per riversare amore sul mondo, senza sposare la mondanità. È il tempo in cui testimoniare la misericordia più che inculcare regole e norme. È il tempo del Paraclito! È il tempo della libertà del cuore, nel Paraclito.

    Il Paraclito, poi, è l’Avvocato. Nel contesto storico di Gesù, l’avvocato non svolgeva le sue funzioni come oggi: anziché parlare al posto dell’imputato, gli stava di solito accanto e gli suggeriva all’orecchio gli argomenti per difendersi. Così fa il Paraclito, «lo Spirito della verità» (Gv 15,26), che non si sostituisce a noi ma ci difende dalle falsità del male ispirandoci pensieri e sentimenti. Lo fa con delicatezza, senza forzarci: si propone ma non si impone.

    Lo spirito della falsità, il maligno, fa il contrario: cerca di costringerci, vuole farci credere che siamo sempre obbligati a cedere alle suggestioni cattive e alle pulsioni dei vizi. Proviamo allora ad accogliere tre suggerimenti tipici del Paraclito, del nostro Avvocato. Sono tre antidoti basilari contro altrettante tentazioni, oggi tanto diffuse.

    Il primo consiglio dello Spirito Santo è: «Abita il presente». Il presente, non il passato o il futuro. Il Paraclito afferma il primato dell’oggi, contro la tentazione di farci paralizzare dalle amarezze e dalle nostalgie del passato, oppure di concentrarci sulle incertezze del domani e lasciarci ossessionare dai timori per l’avvenire. Lo Spirito ci ricorda la Grazia del presente. Non c’è tempo migliore per noi: adesso, lì dove siamo, è il momento unico e irripetibile per fare del bene, per fare della vita un dono. Abitiamo il presente!

    Poi il Paraclito consiglia: «Cerca l’insieme». L’insieme, non la parte. Lo Spirito non plasma degli individui chiusi, ma ci fonda come Chiesa nella multiforme varietà dei carismi, in un’unità che non è mai uniformità. Il Paraclito afferma il primato dell’insieme. Nell’insieme, nella comunità lo Spirito predilige agire e portare novità.

    Guardiamo agli Apostoli. Erano molto diversi: tra loro, ad esempio, c’erano Matteo, pubblicano che aveva collaborato con i Romani, e Simone, detto Zelota, che si opponeva a loro. C’erano idee politiche opposte, visioni del mondo differenti, ma quando ricevono lo Spirito imparano a non dare il primato ai loro punti di vista umani, ma all’insieme di Dio. Oggi, se ascoltiamo lo Spirito, non ci concentreremo su conservatori e progressisti, tradizionalisti e innovatori, destra e sinistra: se i criteri sono questi, vuol dire che nella Chiesa si dimentica lo Spirito. Il Paraclito spinge all’unità, alla concordia, all’armonia delle diversità. Ci fa vedere parti dello stesso Corpo, fratelli e sorelle tra noi. […]

    Infine, il terzo grande consiglio: «Metti Dio prima del tuo io». È il passo decisivo della vita spirituale, che non è una collezione di meriti e di opere nostre, ma umile accoglienza di Dio. Il Paraclito afferma il primato della Grazia. Solo se ci svuotiamo di noi stessi lasciamo spazio al Signore; solo se ci affidiamo a Lui ritroviamo noi stessi; solo da poveri in spirito diventiamo ricchi di Spirito Santo.

    Vale anche per la Chiesa. Non salviamo nessuno e nemmeno noi stessi con le nostre forze. Se in primo luogo ci sono i nostri progetti, le nostre strutture e i nostri piani di riforma […] non porteremo frutto. […]

    La Chiesa non è un’organizzazione umana – è umana, ma non è solo un’organizzazione umana – la Chiesa è il tempio dello Spirito Santo. Gesù ha portato il fuoco dello Spirito sulla Terra e la Chiesa si riforma con l’unzione, la gratuità dell’unzione della Grazia, con la forza della preghiera, con la gioia della missione, con la bellezza disarmante della povertà.

    Mettiamo Dio al primo posto.

    2. Guarire il mondo

    Perché avete paura?

    Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo, siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda.

    Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia, durante la tempesta, dicono: «Siamo perduti» (Mc 4,38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

    È facile ritrovarci in quel racconto del Vangelo. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre: è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme. Quando viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (Mc 4,40).

    Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (Mc 4,38). Non t’importa. Pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro.

    Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: «Non t’importa di me?». È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

    La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità.

    La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di imballare e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli, tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente salvatrici, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

    Con la tempesta è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ego sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

    «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: «Svegliati Signore!».

    «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. Risuona il tuo appello urgente: «Convertitevi» (Mc 1,15) e «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12).

    Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri.

    Possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né sulle grandi passerelle ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo.

    Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

    «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle.

    Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

    Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede.

    Abbiamo un’àncora: nella sua Croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua Croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua Croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore.

    In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua Croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la Grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr. Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

    Abbracciare la sua Croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà.

    Nella sua Croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.

    Trasformare le nostre infermità

    La pandemia sta continuando a causare ferite profonde, smascherando le nostre vulnerabilità. Molti sono i defunti, moltissimi i malati, in tutti i continenti. Tante persone e tante famiglie vivono un tempo di incertezza, a causa dei problemi socioeconomici, che colpiscono specialmente i più poveri.

    Per questo dobbiamo tenere ben fermo il nostro sguardo su Gesù e con questa fede abbracciare la speranza del Regno di Dio che Gesù stesso ci porta. Un Regno di guarigione e di salvezza che è già presente in mezzo a noi. Un Regno di giustizia e di pace che si manifesta con opere di carità, che a loro volta accrescono la speranza e rafforzano la fede.

    Nella tradizione cristiana, fede, speranza e carità sono molto più che sentimenti o atteggiamenti. Sono virtù infuse in noi dalla Grazia dello Spirito Santo: doni che ci guariscono e che ci rendono guaritori, doni che ci aprono a orizzonti nuovi, anche mentre navighiamo nelle difficili acque del nostro tempo.

    Un nuovo incontro col Vangelo della fede, della speranza e dell’amore ci invita ad assumere uno spirito creativo e rinnovato. In questo modo, saremo in grado di trasformare le radici delle nostre infermità fisiche, spirituali e sociali. Potremo guarire in profondità le strutture ingiuste e le pratiche distruttive che ci separano gli uni dagli altri, minacciando la famiglia umana e il nostro pianeta.

    Il ministero di Gesù offre molti esempi di guarigione. Quando risana coloro che sono affetti da febbre, da lebbra, da paralisi; quando ridona la vista, la parola o l’udito, in

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