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La dittatura dell'economia
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E-book240 pagine4 ore

La dittatura dell'economia

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Info su questo ebook

«Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide».
Il saggio – a cura di Ugo Mattei e introdotto dalle parole di Luigi Ciotti – raccoglie alcuni tra i più attuali e importanti discorsi di Papa Francesco sul nostro tempo. Globalizzazione, lavoro, economia, capitalismo, vite ai margini della società, ecologia e cura del pianeta Terra. Un grido d’allarme, contro l’economia che ci sovrasta, per affermare la difesa dell’umanità e del suo futuro.
LinguaItaliano
Data di uscita18 mar 2020
ISBN9788865792315
La dittatura dell'economia

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    La dittatura dell'economia - Papa Francesco

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    Papa Francesco

    La dittatura

    dell’economia

    a cura di Ugo Mattei

    prefazione di Luigi Ciotti

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    © Libreria Editrice Vaticana

    © Associazione Gruppo Abele Onlus 2020

    Edizioni Gruppo Abele

    corso Trapani 95 - 10141 Torino

    tel. 011 3859500

    www.edizionigruppoabele.it / edizioni@gruppoabele.org

    ISBN 9788865792315

    Progetto grafico di copertina a cura di Elisabetta Ognibene

    Il libro

    «Così come il comandamento non uccidere pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide».

    Il saggio – a cura di Ugo Mattei e introdotto dalle parole di Luigi Ciotti – raccoglie alcuni tra i più attuali e importanti discorsi di Papa Francesco sul nostro tempo. Globalizzazione, lavoro, economia, capitalismo, vite ai margini della società, ecologia e cura del pianeta Terra. Un grido d’allarme, contro l’economia che ci sovrasta, per affermare la difesa dell’umanità e del suo futuro.

    Il curatore

    Ugo Mattei è professore di Diritto civile all’Università di Torino e di Diritto internazionale e comparato all’Università della California, Hastings, San Francisco. Teorico e attivista dei beni comuni, ha fondato l’International University College di Torino, partecipato alla redazione dei quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua, presieduto l’acquedotto di Napoli, patrocinato in Corte costituzionale gli esiti referendari e il tentativo di far dichiarare incostituzionale il decreto sicurezza. Presiede il Comitato per la difesa dei beni pubblici e comuni Stefano Rodotà, dopo essere stato vicepresidente della Commissione presieduta dallo stesso Rodotà. è stato editorialista de il manifesto e collabora con il Fatto Quotidiano. I suoi saggi sono tradotti in molte lingue.

    Indice

    Prefazione. Papa Francesco e la radicalità del Vangelo

    di Luigi Ciotti

    Introduzione. Con Francesco contro la dittatura dell’economia

    di Ugo Mattei

    La globalizzazione dell’indifferenza

    Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (2013)

    Nota. Possiamo, con Gramsci, odiare gli indifferenti?

    Terra, casa e lavoro

    Primo incontro mondiale Movimenti popolari (2014)

    Nota. Karl Polanyi e le radici della disorganizzazione sociale

    La nostra casa comune

    Enciclica Laudato si’ (2015)

    Nota. La visione ecologica del Papa e il pensiero di Fritz Schumacher

    Seminatori di cambiamento

    Secondo incontro mondiale Movimenti popolari (2015)

    Nota. Stefano Rodotà e la rivoluzione dei beni comuni

    La saggezza dei quartieri popolari

    Discorso nel quartiere di Kangemi, Nairobi ( 2015)

    Nota. Con Fanon tra i dannati della terra

    Capitalismo e società degli scarti

    Discorso all’incontro Economia di comunione - Movimento Focolari (2017)

    Nota. Hannah Arendt: per non arrenderci alla banalità del male

    La solidarietà non basta

    Messaggio Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (2017)

    Nota. La comunità concreta di Adriano Olivetti

    C’è lavoro e lavoro

    Incontro con il mondo del lavoro a Genova (2017)

    Nota. Un simposio conclusivo

    Riferimenti bibliografici sui beni comuni

    Prefazione

    Papa Francesco e la radicalità del Vangelo

    di Luigi Ciotti

    Credo sia impossibile restare indifferenti di fronte alla ricchezza, alla coerenza e anche alla bellezza dei testi raccolti in questo libro, scritti da Papa Francesco tra il 2013 – primo anno di pontificato – e il 2017. Testi che, attingendo alla dottrina sociale della Chiesa, affrontano le questioni e i drammi del nostro tempo. E che appaiono tanto più lucidi e lungimiranti se confrontati ai silenzi, agli slogan, al cinico opportunismo di gran parte della politica, responsabile di una crisi sociale, economica e ambientale di vastissima e certo inedita portata. Crisi che rappresenta per il Papa un cruccio costante, scandalo da denunciare in tutti i suoi risvolti con parole meditate e profonde, capaci di indicare il male e individuare possibili vie di cura e guarigione.

    Parole che spesso hanno creato e continuano a creare scompiglio fuori ma anche dentro la Chiesa, nei tanti che ignorano o fingono d’ignorare che la spiritualità del Vangelo – come evidenziò il Concilio Vaticano II – ha enormi implicazioni e ripercussioni socio-politiche, se restituiamo al concetto di politica il suo nobile, originario significato di servizio per il bene comune e impegno per la giustizia. Papa Francesco è pienamente consapevole di tali resistenze, se è vero che già nella Evangelii gaudium – la straordinaria esortazione apostolica con cui, nel 2013, ha posto le basi del suo pontificato – constata con immaginabile amarezza come dia «fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia».

    Ecco, leggendo queste pagine si vede l’impegno per la giustizia articolarsi in tutti i suoi risvolti. Chiamata in causa è innanzitutto l’etica, la coerenza tra le parole e le azioni, la necessità che le parole traggano linfa e significato dalla carne viva dell’esperienza e della vita: «Un cambiamento non accompagnato da una sincera conversione degli atteggiamenti e del cuore – dice il Papa incontrando i Movimenti popolari in Bolivia – finisce alla lunga o alla corta per burocratizzarsi». E quanto alla responsabilità delle parole, come non notare che uno dei concetti chiave della Laudato sì’ – la grande enciclica sull’ambiente qui in parte riportata – ossia il concetto di conversione ecologica è stato rimodellato nel discorso politico in un più cauto e vago transizione ecologica? Ma una transizione senza conversione è cambiamento solo esteriore, un farsi condurre altrove rimanendo gli stessi di prima. Invece quello che Papa Francesco non smette di sottolineare è che per cambiare le cose dobbiamo prima cambiare noi, cambiare i nostri rapporti sociali e interpersonali, la nostra relazione con la natura e la Terra che ci accoglie, cambiare la coscienza che abbiamo di noi stessi riconoscendo l’essenza relazionale dei nostri io isolati, egoisti ed egocentrici. Cioè scoprire che l’altro, prima che davanti, è dentro di noi, ci abita come emozione e come coscienza, come quell’alter ego senza il quale non può esserci alcun io. Senza conversione non c’è insomma transizione che possa trasformare la globalizzazione dell’indifferenza – altra folgorante espressione del Papa – in globalizzazione della speranza.

    Cura delle parole e conoscenza del loro significato, quindi, tanto più necessarie nell’epoca dell’informazione torrenziale e della connessione ininterrotta, cioè di una comunicazione non solo impulsiva ma compulsiva, dettata dal bisogno di stupire, farsi notare, ottenere consenso e dunque potere, dove la parola è sempre meno veicolo di verità e sempre più di persuasione e manipolazione. Strategie a volte rozze – pensiamo alla propaganda contro i migranti – a volte più sottili, basate sulla sostituzione lessicale, sul chiamare le cose con nomi diversi, più rassicuranti ma ipocriti. Il Papa fa l’esempio dell’espressione senza fissa dimora riferita ai poveri, agli sfrattati, agli emarginati, e commenta argutamente: «È curioso come nel mondo delle ingiustizie abbondino gli eufemismi».

    Il secondo piano a cui richiama l’impegno per la giustizia ispirato dal Vangelo è, come detto, quello politico. E qui la riflessione del Papa si caratterizza per una radicalità, una profondità e vastità di sguardo sconcertanti. Da un lato la denuncia dell’economia come sistema che divinizza un mercato che si configura ormai come una struttura idolatrica imperniata sul «feticismo del denaro». Dall’altro, i danni prodotti. E se all’inizio lo sguardo si sofferma soprattutto su quelli inflitti alle persone – «l’iniquità è la radice dei mali sociali» scrive – in seguito, guidato dalla cruciale intuizione della Laudato sì’, si allarga su quelli ambientali, sottolineando come disgregazione sociale e devastazione ambientale siano figlie di una stessa logica di sfruttamento e di dominio, figlia a sua volta di quello che il Papa chiama paradigma tecnocratico: visione del mondo che considera il pianeta e tutto ciò che di animale, naturale e umano contiene come materia disponibile e manipolabile, a conti fatti inerte, priva d’anima e dignità. Da qui la conversione ecologica e il nuovo umanesimo come vie di radicale cambiamento, basi di una civiltà fondata sulla giustizia sociale, la pacifica convivenza e la cura del Creato, nella consapevolezza – motivo conduttore dell’intera enciclica – che, essendo tutto connesso, il vantaggio e il benessere individuali non possono che scaturire dal bene comune.

    Infine, c’è un terzo aspetto che Papa Francesco non si stanca di sottolineare: la responsabilità di ciascuno di noi, credenti o meno, in quest’impegno per il cambiamento, impegno che non può che essere collettivo. Responsabilità di cui l’istituzione che il Papa rappresenta deve, in primis, farsi carico: «La Chiesa non può e non deve essere aliena da questo processo nell’annunciare il Vangelo». Ma le implicazioni etiche e sociali della fede, l’impegno richiesto a chi non si limita a predicare il Vangelo ma vuole viverlo, ritornano spesso in queste pagine. Riporto qui due passi significativi. Il primo è tratto dalla Evangelii gaudium:

    «Qualsiasi comunità di Chiesa che pretenda di stare tranquilla senza occuparsi dei poveri rischia di essere sommersa da una mondanità spirituale dissimulata con pratiche religiose, riunioni infeconde, discorsi vuoti».

    La seconda, ancora dal discorso tenuto in Bolivia nel 2015, in occasione dell’incontro mondiale con i Movimenti popolari:

    «L’equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è semplice filantropia. È un dovere morale. Per il cristiano ancor di più: è un comandamento […] La destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa».

    Il libro offre ulteriori, numerosi spunti di riflessione attraverso pagine che toccano i cuori e risvegliano le coscienze, pagine vibranti di stupore, di gratitudine, a volte di rabbia, in una parola di vita nella loro, inesausta, ricerca di verità. Ecco allora la solidarietà che non può ridursi ad atti sporadici di generosità, il testimoniare che è ben altra cosa dalla teorizzazione astratta e dall’indignazione elegante, e ancora – nel discorso pronunciato nello stabilimento dell’ex Ilva di Genova, nel 2017, di fronte alle maestranze – la degradazione del lavoro, strumento non più di riscatto ma di ricatto sociale e la necessità quindi di rivedere secondo criteri di giustizia non solo la distribuzione ma la produzione della ricchezza, pena il violare il principio fondativo della nostra Repubblica: «Togliere il lavoro alla gente o sfruttare la gente con il lavoro indegno o malpagato – osserva il Papa – è anticostituzionale».

    Questo è il Papa – l’amico Francesco, mi permetto di chiamarlo – figura in cui ho ritrovato il coraggio, la lungimiranza e l’umanità del mio maestro e padre spirituale: Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino autore della Camminare insieme, memorabile lettera pastorale. Entrambi profeti di una Chiesa povera per i poveri, Chiesa della strada e delle periferie, Chiesa di un Vangelo non solo predicato ma vissuto, strumento di speranza e lievito di giustizia.

    Nota

    Gli interventi dei papi – le encicliche, ma anche le esortazioni, le omelie, i messaggi, i discorsi – sono, per i fedeli, magistero e dottrina. Per i pastori della Chiesa sono anche guida e ispirazione; per i teologi oggetto di studio ed esegesi; per i commentatori d’ogni estrazione documenti di analisi e di confronto.

    Ma Papa Francesco, il pastore venuto da lontano, vi ha aggiunto un senso nuovo e un ruolo inedito: quello di un dialogo diretto con il mondo, con i cristiani e i credenti di altre fedi, con gli atei e i laici. In sintesi, con le donne e gli uomini in quanto tali, senza distinzioni. Un dialogo esteso alle condizioni di vita e alla dignità di tutti e alla giustizia sociale e ambientale. Un dialogo vero, fino al sorprendente – per i più ‒ «chi sono io per giudicare»?

    Tale apertura consente – o addirittura richiede – risposte, interlocuzioni, allargamento del confronto. Da qui questo libro: selezione di documenti e interventi papali sull’uomo, sulla terra, sulla giustizia accompagnati da una riflessione generale e da note specifiche di un laico dichiaratamente agnostico, Ugo Mattei, studioso dei beni comuni come nuova prospettiva per l’umanità. Un percorso inevitabilmente soggettivo, ma anche – insieme – un ponte tra mondi diversi (e i relativi eterogenei protagonisti) che vogliono e possono incontrarsi.

    I testi dei documenti papali pubblicati sono tratti dal sito www.vatican.va. I titoli dei capitoli sono redazionali mentre gli estremi dei documenti sono riportati nelle note in calce.

    Si ringrazia la Libreria Editrice Vaticana per l’autorizzazione alla pubblicazione.

    Introduzione

    Con Francesco contro la dittatura dell’economia

    di Ugo Mattei

    1. Due grandi forze si contendono l’egemonia politica sulla Terra al crepuscolo dello Stato sovrano, forma giuridica imposta dalla modernità alla fragile tregua nelle guerre di religione che insanguinarono l’Europa agli albori del capitalismo.

    Con un ricorso storico ancora non sufficientemente notato dal dibattito pubblico, la contesa per il dominus mundi, il potere planetario capace di indirizzare il cammino di tutta l’umanità¹, vede nuovamente protagonisti l’Impero e il Papato, entrambi radicalmente trasformati da circa quattro secoli di sviluppo capitalistico. In quello che si annuncia come un confronto ideologico totale, l’Impero² si presenta, al momento, trionfante, con le fattezze scintillanti della società smart, del tecnottimismo dei grandi Ceo delle società multinazionali, della Fortune 500 e della classifica fra gli uomini più ricchi del mondo. I suoi leader sono gli uomini forti, che controllano un dispositivo tecnologico-militare-industriale spietato, capace di ultimare in poche ore il processo di distruzione della vita sulla Terra che, in ogni caso, il riscaldamento globale mostra essere a buon punto. Il Papato, da un secolo e mezzo privo di potere temporale, chiusa una fase di subalternità all’Impero in tempi di Guerra fredda, si candida, sotto la guida rivoluzionaria di Francesco, a essere guida politica di chi non si rassegna al trionfo della morte sulla vita ed è disposto a lottare a ogni costo per la conversione ecologica dell’umanità. È uno scontro del bene contro il male quello fra i nuovi guelfi francescani e i ghibellini imperiali. È uno scontro di grande complessità, senza esclusione di colpi, duro come quello fra schiavi e schiavisti, fra colonizzatori e colonizzati, fra capitalismo e socialismo, di cui è diretto erede. Esso potrà risolversi solamente quando la sintesi sarà trovata, nell’emancipazione permanente o nella nuova schiavitù. Tutti devono scegliere da che parte stare e testimoniarlo nei fatti con la loro vita.

    2. È per questo che per me, teorico e militante benicomunista, preparare un’edizione critica di alcuni scritti di Papa Francesco non costituisce soltanto un grande onore, ma anche una sfida politica e intellettuale per lavorare, con una guida tanto prestigiosa, alla ricomposizione di un mondo, quello dei beni comuni, che si presenta in questa fase politicamente debole e diviso e che deve arruolarsi nell’esercito guelfo. Un mondo che tuttavia – ne sono convinto – ha la possibilità di diventare egemonico nel nostro paese tramite radicali ripensamenti giuridici in chiave ecologica³ e di qui diffondersi globalmente. Ho accolto perciò con grande piacere, per ragioni sia personali che politiche, tanto l’onore quanto la sfida a esso connessa.

    Quindici anni di riflessione teorica e di azione politica mi legano alla difesa dei beni comuni (e agli specifici temi toccati in questi scritti del Papa: acqua, ambiente, povertà, migrazioni, trasformazioni tecnologiche) in modo così intimo e viscerale da aver provato non solo piacere ma perfino orgoglio quando, cinque anni fa, la visione del mondo nella prospettiva della casa comune ha ricevuto una mirabile sintesi, tanto autorevole quanto originale, nell’enciclica Laudato si’.

    Avevo da poco dato alle stampe un mio breve scritto che provava, con i limitati strumenti culturali di un giurista, a proporre i tratti di una teoria (o ideologia) politica benicomunista, capace di far tesoro del pensiero ecologico e sistemico, per proporre una contro-narrazione rispetto a quella dominante dell’individualismo liberale divenuto neoliberista⁴. Nel titolo ‒ Il benicomunismo e i suoi nemici ‒ avevo provocatoriamente citato, a fini di dirottamento⁵, quello del Popper anticostruttivista della Società aperta⁶, uno dei primi manifesti teorici del pensiero unico, ricelebrato in questi mesi senza alcun senso del ridicolo, da diversi commentatori ghibellini per il trentennale della caduta del Muro di Berlino. In quel testo mi ero posto il problema, non solo lessicale ma legato alla tensione (apparente?) fra trascendenza e immanenza, del rapporto fra la visione tomistica del bene comune elaborata dai padri della Chiesa e quella dialettica dei beni comuni come spazi concreti (qualcuno dice emergenti) di sintesi e composizione di conflitti sociali. Avevo cioè provato a disegnare le grandissime linee di demarcazione fra due campi del politico non più comprensibili, o pienamente comprensibili, nella contrapposizione destra/sinistra: il conflitto (forse neppure più soltanto di classe) del sotto contro il sopra, del basso contro l’alto, della base contro il vertice, del 99 per cento contro l’1 per cento, per usare la potente immagine che a inizio dello scorso decennio veniva lanciata da Occupy Wall Street. Tale sfida dal basso al pensiero unico chiamava a gran voce un’ideologia politica che andasse oltre quella borghese fondata sulla rappresentanza parlamentare, in cui destra e sinistra riflettevano posizioni che trovavano voce in una diversa collocazione spaziale nell’anfiteatro o, come in Inghilterra, rispetto alla posizione del primo ministro.

    Come bene insegna uno dei massimi esponenti della sociologia critica: «La simpatia verso le vittime del processo storico e lo scetticismo verso le pretese dei vincitori costituiscono una salvaguardia essenziale contro il pericolo di lasciarsi abbindolare dalla mitologia dominante»⁷. Su questa falsariga, volevo (e ancora vorrei) restituire al conflitto fra proprietari e non proprietari, o meglio fra grandi concentrazioni di capitale privato e comuni cittadini (che pure possono essere piccoli proprietari), cioè fra vincitori e sconfitti delle trasformazioni sociali iniziate con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, una possibile articolazione o financo piattaforma ideologica fondata sui beni comuni⁸. Più in generale, ritenevo (e ancora ritengo) necessaria e urgente la ricostruzione del senso del collettivo (comune) in un momento in cui, dopo i fasti globali del 2011 (Occupy Wall Street, M15, primavere arabe, referendum Acqua Bene Comune), la reazione neoliberale si era scatenata con tutta la sua violenza politica e simbolica e il movimento per i beni comuni a metà della decade scorsa non sembrava per nulla in grado di sopravvivere alla restaurazione liberista. Troppo squilibrate sembravano le forze in campo nell’agone politico dei diversi Stati, oggi più che mai privi di effettivi spazi di sovranità popolare

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