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Il metodo del risparmio intelligente
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E-book411 pagine6 ore

Il metodo del risparmio intelligente

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Info su questo ebook

Consigli pratici per imparare a gestire i soldi una volta per tutte

Come massimizzare i benefici di ciò che si possiede

Il denaro esercita su di noi e su chi ci sta intorno un potere notevole, ma quanto ne siamo coscienti? Questo libro è un viaggio approfondito nei campi delle neuroscienze, della psicologia e della biologia e ci offre uno sguardo fresco e provocatorio sul rapporto che abbiamo con i soldi. Sappiamo di averne bisogno e spesso desideriamo accumularne sempre di più, ma non pensiamo mai al fatto che questo impulso (non sempre razionale) influenza la nostra mente e le nostre emozioni, altera le nostre percezioni e a volte cambia persino il nostro modo di essere. Claudia Hammond esplora l’inconscio per mostrare che il nostro rapporto con il denaro è più complesso di quello che potremmo pensare. Confrontando studi psicologici ed economici, emerge il modo in cui il denaro ci controlla. Esistono però alcuni “trucchi” per utilizzare al meglio i soldi e gestire i risparmi in maniera intelligente. Il metodo del risparmio intelligente fornisce una nuova e consapevole prospettiva che cambierà il modo di guardare il nostro portafogli e il conto in banca.

«Un libro interessante e intelligente. Claudia Hammond chiama in causa una serie di esperimenti psicologici per mostrarci come spendere (e risparmiare) meglio.»
Sunday Times

«Un’intrigante analisi della psicologia del denaro e della complessità del nostro rapporto con i soldi.»
Library Journal
Claudia Hammond
è una scrittrice, speaker radiofonica e docente di psicologia. Conduce programmi radiofonici di psicologia su BBC Radio 4, è autrice di diversi libri e insegna alla Boston University di Londra. Ha vinto diversi premi conferiti dalle più eminenti associazioni britanniche di Neuroscienze.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2017
ISBN9788822713353
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    Anteprima del libro

    Il metodo del risparmio intelligente - Claudia Hammond

    Introduzione

    La sera del 23 agosto 1994 sull’isola di Jura, nell’arcipelago scozzese delle Ebridi Interne, un incendio divampava dentro un piccolo capannone abbandonato. Se qualcuno fosse entrato là dentro avrebbe pensato che l’intero archivio di un giornale fosse stato dato alle fiamme. Enormi pile di carta stampata stavano bruciando, innalzando in cielo colonne di fumo e cenere.

    L’ipotetico osservatore avrebbe inoltre notato che nel modo in cui quella carta prendeva fuoco c’era qualcosa di strano. Ci voleva un po’ prima che le fiamme attecchissero, per poi bruciare lentamente. Alla fine si sarebbe accorto che la carta era più densa di quella utilizzata per i giornali, e che i fogli erano molto più piccoli delle pagine di un quotidiano. Magari un angolo bruciacchiato svolazzante nella corrente d’aria calda avrebbe attirato la sua attenzione: non era un disegno della corona della regina, quello? Non erano in effetti banconote da cinquanta sterline, quelle che stavano bruciando? E neppure poche: erano centinaia.

    La verità è che il nostro ipotetico spettatore sarebbe stato il testimone dell’incenerimento di un milione di sterline, quella notte di agosto. Un milione di sterline in biglietti da cinquanta. Ci volle appena un’ora – 67 minuti, a essere precisi – per completare il lavoro. Un’ora abbondante per mandare in fumo il sogno di qualsiasi giocatore di lotto.

    I due uomini responsabili dell’incendio appartenevano al gruppo musicale klf. Avevano guadagnato quei soldi con brani di musica dance nei primi anni Novanta, pezzi come Justified and Ancient e 3 a.m. Eternal. Stanchi della scena musicale, si erano dedicati all’arte. Dal loro punto di vista l’incenerimento di un milione di sterline era un’opera d’arte concettuale. La loro prima idea era stata quella di realizzare una scultura con fasci di banconote inchiodate a un telaio di legno. Ma, a riprova del fatto che ciò che stavano facendo fosse un tabù, non riuscirono a trovare una sola galleria che fosse disposta a esporre una scultura del genere. Così ebbero un’altra idea.

    Bruciare il denaro, semplicemente.

    L’intero procedimento venne filmato. Oggi lo si può vedere su YouTube. Cosa piuttosto prevedibile, i due membri dei klf vestono in nero. All’inizio prendono una banconota alla volta da una mazzetta e la buttano nel fuoco con nonchalance, come stessero dando briciole ai piccioni. Jimmy Cauty prima di consegnarla alle fiamme accartoccia ogni banconota; Bill Drummond le lancia a mucchietti come fossero frisbee. Il denaro brucia lentamente. Qualche biglietto finisce lontano dal falò, lo raccolgono e lo gettano di nuovo nel fuoco. Dopo un po’ la K Foundation, come i due si fanno chiamare a quel tempo, si rende conto che di quel passo il lavoro durerà ore. Così velocizzano le cose, dando in pasto alle fiamme le banconote a bracciate intere.

    Malgrado la testimonianza video, qualcuno in seguito sospettò che tutta quella storia fosse stata una messinscena. Chi avrebbe bruciato davvero tutti quei soldi? Per smentire i dubbiosi la K Foundation fece analizzare i resti del falò in laboratorio. Da lì giunse la conferma che le ceneri erano davvero quanto restava di una cospicua quantità di cartamoneta.

    La performance andò secondo i piani, ma nulla poteva preparare i membri della band alle ostilità che quel gesto avrebbe provocato. La gente giunse a odiarli per quel che avevano fatto, dissero che, se non volevano quei soldi, perché allora non li avevano dati in beneficenza? Diedero loro degli egoisti e degli stupidi.

    Dopo alcuni minuti spesi a guardare il denaro che brucia nel video tutti noi vogliamo sapere perché Cauty e Drummond fecero quel che hanno fatto. D’accordo, era una sorta di opera d’arte, ma che cosa stava a significare?

    Sorprendentemente, nelle tante interviste rilasciate nel corso degli anni (anche queste visibili su YouTube), i due fanno fatica a rispondere a questa domanda, apparendo incoerenti, privi di senso e non convincenti neppure alle loro stesse orecchie.

    Nel documentario ufficiale Jimmy Cauty ammette che quel che fecero possa essere privo di significato, e che lo statuto di opera d’arte è altamente discutibile. «Ti puoi ritrovare in quest’area che è completamente nera», lo si può sentir dire, annaspando in cerca di una spiegazione.

    In un’intervista televisiva Bill Drummond dice: «Avremmo potuto smetterla con i soldi». Tra tutti e due, avevano sei figli in tutto. Ma poi aggiunge: «Però volevamo bruciarne ancora». Quindi, alla domanda su cosa si provasse a gettare le sterline nel fuoco, risponde che era rimasto impassibile, e che l’unico modo per farlo era agire con il pilota automatico. «Se ti metti a pensare a ogni pezzo da cinquanta o a ogni mazzetta…», poi la voce sfuma, quasi come se non riuscisse a sopportare quell’idea¹.

    Eppure Drummond insiste nel dire che in realtà non avevano distrutto niente. «L’unica cosa che non c’era più era un mucchio di carta. Non è che fossero venuti a mancare pane o mele, nel mondo»².

    È proprio questo argomento, apparentemente indiscutibile, che giunge al cuore della questione – e spiega perché tanta gente fosse così arrabbiata e turbata per quanto fatto da Cauty e Drummond. Perché se è vero che nessuna reale mela o pagnotta sono state distrutte nel fuoco, comunque qualcosa è stato effettivamente bruciato. La possibilità di mele e pagnotte. Per il valore di un milione di sterline. Cibo che avrebbe potuto sfamare persone.

    A essere distrutta era stata anche la possibilità di piantare alberi che facessero crescere le mele, o di costruire un forno per cuocere il pane – o di assumere persone per farlo. Il che, nel corso degli anni, avrebbe generato svariati milioni di sterline di merce prodotta.

    Ma la cosa non finisce qui. Chiunque guardi il video del denaro in fiamme pensa a quel che avrebbe potuto fare lui con quel contante. Una nuova casa. Una nuova macchina. La libertà dai debiti. La possibilità di metter su una nuova impresa. L’opportunità di aiutare amici e familiari. La chance di girare il mondo. Fornire assistenza a migliaia di bambini in un Paese povero. Contribuire a un progetto per salvare la foresta amazzonica.

    Sarebbe stata una situazione diversa se Cauty e Drummond avessero dato fuoco a un oggetto specifico del valore di un milione di sterline. In quel caso solo tale specifico oggetto – fosse un quadro, uno yacht o un gioiello prezioso – sarebbe stato distrutto. E ci sarebbe stato perfino qualcuno per cui quello specifico oggetto non avrebbe avuto grande valore.

    Avessero scialacquato i quattrini nel tipico modo delle rockstar – sfasciando un albergo, o sparandoseli su per le narici – senza dubbio la gente avrebbe deplorato lo spreco e gli eccessi, ma non ci sarebbe stata tanta indignazione. Se i soldi fossero stati accumulati o messi in un conto bancario ad alto rendimento, oppure investiti nel mercato azionario (per poi magari perderli), a ben pochi sarebbe interessato. Mentre se li avessero ceduti ad altri avrebbero senz’altro riscosso consensi.

    La questione non riguarda il fatto che quei due prima avevano un milione di sterline e poi non l’avevano più. È che da quell’enorme somma non è venuto fuori nulla. Tutte le potenzialità intrinseche nel denaro – per loro due, ma anche per tutti noialtri – erano state perse.

    In questo risiede lo straordinario potere che il denaro ha sulle nostre menti. Abbiamo infuso in pezzi di carta, di metallo e in cifre su uno schermo (in sé privi di valore) l’aspettativa di moltissime delle cose che per noi hanno importanza. Soprattutto, tale aspettativa e la nostra fiducia nel fatto che sia fondata evoca davvero quella miriade di cose, le rende reali. Se al mondo esiste la magia, deve essere sicuramente questa. Qualcosa di astratto e virtuale, un prodotto delle nostre menti, ci aiuta a creare gli oggetti di cui abbiamo bisogno e che desideriamo.

    È stata questa caratteristica del denaro a rendere la performance di Cauty e Drummond tanto trasgressiva, sacrilega al punto da rivelare un vero tabù. Attaccare il denaro vuol dire non soltanto colpire le fondamenta della società moderna, ma in un certo senso il significato stesso dell’essere umano contemporaneo.

    Questo perché noi siamo esseri profondamente psicologici – è la nostra mente a renderci ciò che siamo – e il denaro è una costruzione mentale: non esiste al di là dell’idea che abbiamo di esso, ma da esso dipendiamo per la maggior parte delle cose che ci servono per vivere.

    Eppure la maggior parte di noi è incline a disprezzarlo. Vorremmo poterne vivere senza e siamo attratti dalle società, reali o immaginarie che siano, che sembrano in grado di farne a meno. Prendete questo brano tratto dalla prima opera di Herman Melville, Taipi, romanzo di viaggio in parte autobiografico pubblicato nel 1846. Chi non vorrebbe vivere in questo paradiso terrestre?

    Non esisteva in Taipi alcuna di quelle infinite cause d’irritazione che l’ingegnosità dell’uomo civilizzato ha creato per guastare la sua felicità. Non vi erano né ipoteche né protesti cambiari; non conti da saldare; non debiti d’onore; nulla di tutto ciò in Taipi. Né v’era sarto o calzolaio tanto perverso da voler esser pagato; non esistevano uscieri di tribunale, e nemmeno avvocati e procuratori a fomentare le discordie tra i loro clienti, anziché a placarle; non parenti o noiose conoscenze che si stabiliscono in casa vostra e alla vostra tavola; non vedove senza mezzi, che con la loro numerosa figliolanza muoiono di fame a onta della fredda carità del prossimo; nessun mendicante; niente prigione per debiti; e meno ancora, nessun orgoglioso e spietato nababbo; no, nessuna di queste magagne della civiltà esisteva a Taipi. O, per dirla in poche parole: non esisteva il danaro!

    Melville finì a Taipi, un luogo reale in un’isola dei mari del Sud, dopo esser caduto fuori bordo. Ma malgrado tutto il suo fascino, con tanta malinconia rievocato e reinventato dall’autore, egli è sempre desideroso di fuggire, di tornare alla civiltà che conosce e, di conseguenza, al denaro.

    È così che funziona anche per noi. Abbiamo preso le distanze dai presunti Eden senza soldi come Taipi. E desiderare di tornarvi, o cercare di ricrearli (come il mio amico Dylan Evans ha provato recentemente a fare fondando una società autosufficiente in Scozia, dove le cose non sono andate proprio secondo i piani)³ significa non capire il punto della questione. I mali della società non sono causati dal denaro in sé, ma dal modo in cui lo usiamo. Perciò come potremmo fare per usare finalmente i soldi in modo sano, invece che in uno malato?

    Il titolo originale di questo libro è Mind over Money: la mente al di sopra dei soldi. Una specie di gioco di parole, certo. Ma non solamente. Il mio punto di partenza è che noi troppo spesso siamo inclini al punto di vista opposto. Lasciamo che sia il denaro a controllare i nostri pensieri, a volte in maniere controproducenti e perfino distruttive. Per far sì che ciò non accada più, per lasciare che i soldi ci aiutino a condurre una vita buona e a creare una buona società (cosa che essi possono fare), abbiamo bisogno di una migliore comprensione della nostra relazione psicologica con l’oggetto in questione. Ci sono un sacco di libri che spiegano cosa fare con i soldi o come fare per averne. Questo non è uno di quelli. Non è neppure un libro sui mali del denaro, del consumismo e del capitalismo. Senza dubbio queste tre cose sono causa di problemi, ma al momento è questo il mondo in cui viviamo. Non sto dicendo che il denaro debba per forza contaminarci. È una faccenda più complessa di così, e in queste pagine scioglierò le intricate connessioni tra i soldi e la nostra mente.

    È inevitabile che discipline differenti approccino l’argomento da prospettive diverse. L’economista politico Karl Polanyi definiva il denaro in senso lato come un sistema semantico, nello stesso modo in cui possono esserlo il linguaggio o i pesi e le misure, oppure, in senso più specifico, come gli oggetti utilizzati per «pagamenti, accumulazioni e scambi»⁴. Freud paragonava il denaro alle feci, sostenendo che i bambini fossero inizialmente attratti dal giocare con i propri escrementi, per poi passare al fango, quindi alle pietre e infine al denaro. Il filosofo e psicologo del xix secolo William James considerava i soldi una parte del nostro io esteso. «Il nostro io», diceva, «è tutto ciò che un uomo», e si riferiva veramente soltanto agli uomini, «può considerare suo, il che include corpo, capacità psichiche, vestiti, casa, moglie e figli, antenati, terre, cavalli, barche e conto in banca»⁵.

    La caratteristica psicologica fondamentale dell’idea del denaro è a mio avviso la fiducia. Lo storico Yuval Noah Harari definisce il denaro «il più universale ed efficace sistema di mutua fiducia mai realizzato»⁶. I soldi ci forniscono una maniera astratta di congelare la fiducia. Per stare bene e prosperare abbiamo bisogno di cooperare tra noi. Ciò è più facile se si conosce bene qualcuno, ma nel caso di cooperazione con sconosciuti ci serve un modo per quantificare questa fiducia e poterla scambiare. Questo è quello che permettono di fare i soldi. Non c’è da meravigliarsi che nessuna società che abbia cominciato a usare il denaro sia mai tornata indietro smettendo di utilizzarlo⁷. Questo però non è un libro sulla storia del denaro. Parla dell’effetto che oggi il denaro ha su di noi, di come cambia il nostro modo di pensare, i sentimenti e i comportamenti, e del modo in cui riesce perfino ad aumentare la sua presa su di noi quando diventa scarso.

    Partiamo sempre da certi presupposti: che i bonus generosi stimolino i manager a dare il massimo, che possiamo pagare i nostri figli per fare in modo che facciano i compiti, o che messi di fronte a una serie di proposte di natura economica sappiamo scegliere con certezza quella che conviene di più. Ma come illustrerò, le prove mostrano che non abbiamo sempre ragione. Durante la lettura incontrerete persone secondo cui pensare al denaro allevia la paura della morte, l’uomo che ha perso al gioco più di quattro milioni di sterline, e la popolazione del Tamil Nadu, che si blocca di fronte a quantità di denaro tanto grandi da poter cambiare una vita.

    Una volta terminato questo libro confido che penserete che esistano risposte migliori ai problemi del denaro che non bruciare banconote da cinquanta sterline o fuggire nella vostra personale Taipi. Che invece di avere la sensazione di essere controllati dal denaro sentirete di essere voi a controllarlo. In altre parole, che la vostra mente sarà al di sopra dei soldi: mind over money.

    capitolo 1

    I. Dalla culla alla tomba

    Dove inizia il nostro rapporto con il denaro, perché i soldi sono tanto una droga quanto uno strumento, perché detestiamo vederli distrutti, e come questi tengono lontana la nostra paura di morire.

    Se come me siete inclini a godervi una tavoletta di cioccolato di tanto in tanto o l’occasionale bicchiere di vino, tutte le volte che lo fate il vostro sistema nervoso fa scattare un meccanismo di ricompensa. Si attiva un percorso nel cervello e vi arriva una scarica di dopamina. È questa a darvi piacere. Fallo ancora, sembra dire il cervello. Fallo ancora e riceverai un’altra ricompensa.

    È facile vedere quali parti del cervello si attivano in queste circostanze. Avviene una reazione a catena di tipo chimico e neurologico. Ma è stato dimostrato che la sessa cosa accade quando a una persona viene dato del denaro¹. In un esperimento si è visto che vincere soldi e sentire del buon succo di mela in bocca provoca nel cervello risposte simili². E la ricompensa non deve neppure essere necessariamente una moneta o una banconota, l’importante è che rappresenti del denaro. Quando i neuroscienziati hanno messo i soggetti dentro una macchina per la risonanza magnetica e hanno dato loro dei voucher come premi per un quiz vinto, il sistema limbico dei loro cervelli ha rilasciato dopamina³.

    La dopamina ha a che vedere con le ricompense immediate, non con le gratificazioni ritardate. E ovviamente la cosa notevole qui è che non c’è alcun collegamento diretto tra consumazione e ricompensa. Soldi e voucher sono beni promissori: vi promettono cioè che potrete fare qualcosa in futuro. È vero, potreste correre subito al negozio all’angolo per comprare vino o cioccolata (magari anche usando i voucher), ma la gratificazione resta comunque non istantanea.

    Il denaro funziona come una droga, non in senso chimico ma psicologico. Non esiste da abbastanza tempo in termini evolutivi da aver permesso lo sviluppo di uno specifico sistema neurale in grado di gestirlo. Sembra quindi che sia stato un sistema normalmente associato alle ricompense immediate a farsi carico della gestione del denaro. A volte le scoperte delle neuroscienze sembrano semplicemente proiettare sul cervello quel che noi già sappiamo essere vero per esperienza diretta. Qui invece possono dirci qualcosa di curioso.

    La promessa di denaro, ovvero qualcuno che ci sta semplicemente dicendo che ci darà del denaro, ma senza porgerci alcuna banconota o altro pezzo di carta, non ha lo stesso effetto. Quando ciò avviene ad attivarsi sono altre regioni del cervello. Non percepiamo la prospettiva di ottenere denaro nello stesso modo del denaro vero e proprio, anche in forma di voucher, malgrado il fatto che neanche quest’ultimo sia immediatamente spendibile.

    Sembra quindi che noi desideriamo il denaro come oggetto fine a se stesso. È una specie di droga. Certamente i soldi non danno fisicamente dipendenza, ma come mostrerò nel capitolo 2 siamo tutti attratti, in misure differenti, dall’oggetto in sé.

    Eppure al tempo stesso desideriamo il denaro perché ci aiuta a ottenere le cose che vogliamo dalla vita. In altre parole, esso è uno strumento: un modo per avere quel che desideriamo.

    La ricerca psicologica ha avuto la tendenza a concentrarsi o sul denaro come droga o sul denaro come oggetto. Ma gli psicologi inglesi Stephen Lea e Paul Webley, guidati anche dal buon senso, sono sicuramente concordi nel suggerire che esso sia entrambe le cose. A volte sembra che ci controlli: il denaro al di sopra della mente; altre volte siamo capaci di utilizzarlo nel modo che intendiamo: la mente al di sopra del denaro.

    Ma di certo la realtà è anche più complicata di così. Il denaro ha effetto sul nostro modo di pensare, sui sentimenti e sul comportamento. E queste tre dimensioni sono interconnesse, si fondono e si dividono in maniere affascinanti e assolutamente stravaganti.

    A rendere il tutto ancora più complicato c’è che quando il denaro viene distrutto il nostro cervello torna a vederlo semplicemente come un oggetto.

    Torniamo ora a quella notte sull’isola di Jura, quando la K Foundation ha bruciato un milione di sterline. Cos’era stato a sconvolgere tanto la gente riguardo alla distruzione di quel contante?

    Nel 2011 la coppia di neuroscienziati cognitivisti Chris e sua moglie Uta Frith condussero uno studio che potrebbe aiutarci a rispondere⁴. Fecero ruotare lentamente dei soggetti dentro un apparecchio per la risonanza magnetica fino a metterli in posizione prona. Uno specchio inclinato di 45 gradi permetteva loro di vedere una serie di brevi videoclip su uno schermo. Ogni filmato durava sei secondi e mezzo e mostrava la stessa donna con indosso un golf nero, seduta a un tavolo di un bianco brillante.

    Chi guardava il video non vedeva mai la faccia della donna, ma era visibile il suo addome e le mani, che stringevano una banconota. A volte la banconota era vera, e valeva molto (l’equivalente di sessanta sterline in corone danesi); a volte era vera ma valeva parecchio di meno (l’equivalente di dodici sterline); altre ancora era un biglietto della stessa forma e dimensioni di una banconota, ma conteneva immagini distorte, a indicare che la banconota era finta.

    Mentre i soggetti erano sdraiati nello scanner cerebrale, la donna teneva in mano una di queste banconote, muoveva lentamente le dita fino al centro del lato superiore e poi la strappava ostentatamente fino in fondo. Le reazioni furono quelle che ci si può aspettare. Quando la donna strappava gli evidenti fac-simile, i soggetti erano tranquilli. Ma quando ad essere fatto a pezzi era denaro vero, come dissero in un questionario, le persone si sentivano a disagio, specialmente nel caso di biglietti di taglio elevato.

    In molte nazioni distruggere o alterare il denaro è illegale. In Australia azioni del genere vi rendono passibili di multe fino a cinquemila dollari australiani, o due anni di prigione⁵. Sanzioni che alcuni avrebbero voluto comminare al primo ministro di quel Paese, nel 1992. Paul Keating stava visitando l’acquario di Townsville nel North Queensland quando un artista locale gli chiese di autografargli una banconota da cinque dollari australiani. Lui lo fece, fu filmato e si scatenò la furia dell’opinione pubblica.

    Venne fuori che l’artista stava protestando per il progetto del nuovo biglietto da cinque dollari, sul quale il ritratto della regina Elisabetta ii aveva sostituito quello dell’attivista per i diritti umani del xix secolo Caroline Chisholm (come vedremo nel prossimo capitolo, cambiamenti del genere possono causare forti risentimenti). Ma per aggiungere benzina al fuoco, quello era un momento storico in cui il futuro della regina come capo di Stato australiano era fonte di grandi controversie, e Keating inoltre era noto per avere riserve in merito al cambiamento. I sovranisti, adirati, fecero notare che un altro uomo reo di aver stampato un messaggio di protesta sulle banconote era stato messo in galera, e allora perché non l’artista e il primo ministro⁶?

    Un altro australiano, Philip Turner, scoprì che le banconote deturpate erano prive di valore quando gli venne dato come resto a una stazione di servizio un pezzo da venti. Su un lato c’era scritto con un pennarello Buon compleanno (simpatico, pensò lui, anche se non era il suo compleanno). Sull’altro lato: Fottiti. Adesso non puoi comprarci più niente (un po’ meno simpatico). Lo sconosciuto autore della burla a due facce aveva ragione, però. I negozi non accettarono il biglietto deturpato, la stazione di servizio rifiutò di prenderla indietro e neppure la banca glielo cambiò⁷.

    Scrivere sui soldi non è una cosa nuova. Cosa c’è di meglio per infilare letteralmente nelle tasche degli altri i tuoi pensieri? Lo fecero in Inghilterra le suffragette. In mostra al British Museum c’è un penny coniato nel 1903 e successivamente inciso con lo slogan "votes for women"⁸. Era uno scaltro metodo di protesta, perché una moneta di così poco valore probabilmente sarebbe stata in giro per parecchio tempo prima di finire fuori circolazione. Ma chiunque fece quell’incisione corse un grosso rischio, perché al tempo la deturpazione del denaro poteva condurre a una pena detentiva.

    E se ci spingessimo un po’ più in là e provassimo a distruggere tutto il denaro che c’è? Negli Stati Uniti la serietà con cui viene preso l’atto di bruciare i soldi è testimoniata dal linguaggio utilizzato nell’articolo 18 del codice degli Stati Uniti che lo proibisce, dal titolo Mutilazione delle obbligazioni della banca di Stato. Nella pratica la detenzione sembra essere cosa rara. Profanare le bandiere è questione di tutt’altra serietà. Oltre il confine, in Canada, la fusione delle monete è proibita, ma per qualche ragione non si fa menzione della banconote. In Europa invece la Commissione Europea si è raccomandata nel 2010 che gli Stati membri non incoraggino «la mutilazione delle banconote in euro per scopi artistici, ma viene loro richiesto di tollerarla»⁹.

    Ma queste sono le regole date dalle nostre istituzioni. E i nostri sentimenti personali in merito alla distruzione del denaro? Torniamo ai coniugi Frith e alla loro collega, Cristina Becchio, che insieme hanno rilevato le reazioni delle persone che assistevano alla distruzione delle banconote danesi. Gli sperimentatori non temevano di essere perseguiti legalmente, dato che avevano ottenuto il permesso dalla Banca Danese di proseguire con lo studio. Nonostante ciò quella distruzione di denaro era chiaramente un atto trasgressivo nella mente della maggioranza dei soggetti.

    Come ho accennato prima, i volontari dentro lo scanner cerebrale descrivevano il loro disagio mentre guardavano le vere banconote venire strappate a metà, ma ciò che era davvero interessante furono le aree del cervello che venivano stimolate. Non erano le regioni normalmente coinvolte nella perdita o nel disagio a essere maggiormente attive, ma due piccole zone del cervello, la circonvoluzione fusiforme sinistra e il precuneo posteriore sinistro. La prima è risultata in passato avere una connessione con l’identificazione di oggetti quali coltellini tascabili, penne stilografiche e schiaccianoci. In altre parole: attrezzi con una funzione. Ciò suggerisce che l’idea del denaro come strumento non sia solamente descrittiva. L’associazione che facciamo tra quei foglietti di carta stampata e loro utilità è così forte che il cervello sembra rispondere come se fossero veri strumenti.

    Ecco spiegate le ragioni che la gente ha dato nel corso degli anni per spiegare il grande sdegno in seguito alla performance della K Foundation. Le persone tendono a mettere in rilievo tutte le cose utili che si potevano fare con quei soldi. Non sono, in altre parole, disturbate dalla distruzione dell’artefatto fisico (anche se nel prossimo capitolo vi farò vedere che siamo anche attratti dalle forme concrete del denaro), ma dall’idea della perdita del suo potenziale.

    Sono diffidente a dare troppo peso a un solo studio, e gli autori ammettono che i cambiamenti nell’attività cerebrale potevano essere causati dal semplice disagio nel vedere le banconote strappate. Ricerche precedenti hanno scoperto che soggetti con danni a una parte del cervello chiamata amigdala non sono più tanto preoccupati all’idea di perdere denaro¹⁰. L’amigdala è un’area a forma di noce al centro dell’encefalo associata ad alcune emozioni, ma non tutte. Questi studi suggeriscono una connessione emotiva con il denaro. Ciò che c’è di davvero affascinante nella ricerca dei Frith è che sottolinea la natura simbolica del denaro, cioè che noi sappiamo che può essere usato come uno strumento. Indica – come dimostrerò ripetutamente in questo libro – che quando noi guardiamo, maneggiamo o semplicemente pensiamo a una somma di denaro, si innescano potenti reazioni. Alcune buone, altre no, altre decisamente strane. Ma prima di questo dobbiamo tornare al momento in cui comincia il nostro rapporto con i soldi.

    Bambini col denaro in testa

    Quando i bambini piccoli incontrano il denaro per la prima volta, lo vedono come qualcosa che ha valore in sé. Maneggiano una moneta luccicante o una bella banconota frusciante e ciò dà loro piacere. Imparano presto che quei pezzi di metallo o di carta vanno tenuti in gran considerazione e non gettati via, che quando uno dei nonni fa scivolare di soppiatto una moneta nelle loro mani (più probabilmente una banconota, oggigiorno) si tratta di una cosa speciale, perfino magica. Non sono certa che questa sensazione finisca mai. Di certo non lo pensava lo scrittore Henry Miller, nel suo libro Money and How It Gets That Way. «Avere soldi in tasca è uno dei piccoli ma inestimabili piaceri della vita. Averli in banca non è proprio la stessa cosa, ma prelevarli da lì è indiscutibilmente una vera gioia»¹¹.

    Recentemente mi trovavo in un parco con la figlia quattrenne di una mia amica, Tilly. Le era appena stato dato un borsellino con le perline luccicanti che conteneva un po’ di monete da lei risparmiate. Ogni volta che incrociava un passante lo agitava urlando deliziata: «Guarda! Ho un sacco di soldi!». Quando le domandai cosa avrebbe potuto comprarci, rispose di non averne idea. Non era quello l’importante. Tilly possedeva del denaro, e il denaro era una cosa magnifica.

    Quanto fosse importante per lei tenerselo ben stretto divenne chiaro quando, dopo mezz’ora di altalene e scivoli, si rifiutò di tornare a casa con noi. Provammo ad andarcene e le dicemmo che sarebbe rimasta sola. La minacciammo di dirlo a sua madre una volta tornati a casa. Provammo a giocare ad acchiapparello. Niente da fare, non voleva lasciare il parco giochi. Poi sua zia ebbe un’idea. Afferrò il borsellino di Tilly mentre lei non guardava e corse via. Lo avrebbe riavuto solo se fosse venuta con noi, le disse. Quello stratagemma funzionò. Tilly non sapeva quanti soldi avrebbe perso, ancora meno sapeva cosa poteva comprarci, ma era il suo denaro, per lei era prezioso in quanto tale. Aveva iniziato la sua relazione di lungo corso col denaro.

    È una relazione che diventa più sostanziosa e complessa alquanto velocemente.

    Quando facevo le elementari mia sorella e io avevamo un libretto di risparmio alla banca locale. Di tanto in tanto andavamo a depositare una sterlina e uscivamo da lì tutte orgogliose coi nostri libretti aggiornati. Una volta la banca organizzò un concorso per la realizzazione di un’opera artistica che raffigurasse il loro ufficio, una villa vittoriana situata sulla rotonda appena oltre la via principale del paese dove vivevo.

    Io partecipai con un collage. Feci le pareti dell’edificio con la juta color giallo pallido. Tagliai pezzi di carta a forma di persone e li sistemai in modo che si sporgessero dalle finestre del piano superiore, come se stessero agitando in aria i loro libretti di risparmio. Ripensandoci, non ho alcun dubbio che furono quegli omini di carta a farmi vincere la gara. Ma non erano stati i miei sforzi artistici a entusiasmare i giudici, uno dei quali era il direttore della banca. Più probabilmente si trattò della mia comprensione completamente sballata dei tassi di interesse.

    Sui minuscoli libretti che le mie persone di carta mostravano avevo scritto cose tipo: Deposito: £ 600, interessi: £ 300, saldo: £ 900. C’è da dire che in quegli anni gli interessi erano davvero alti, ma certamente non fino a quel punto! Eppure mostrava che sin da bambina avevo una certa comprensione del modo in cui funzionano i soldi, anche se ero un po’ confusa sui dettagli. Mi erano stati spiegati i concetti di risparmio, interesse, deposito e saldo. Sapevo che usare denaro non significava soltanto tirar fuori qualche moneta per ottenere un po’ di caramelle.

    Uno studio che trovo particolarmente interessante sul modo in cui cominciamo a capire il denaro da piccoli ha coinvolto un gruppo di bambini di sei anni in un asilo finlandese. È il 2008, e sono tutti seduti sul tappeto intenti a creare la loro recita teatrale. Ci sono anche gli adulti a dar loro una mano, ma è importante che siano i piccoli a prendere il maggior numero di decisioni possibile, dalle scenografie alla trama fino ai dialoghi della sceneggiatura.

    Dopo qualche discussione, inventano una storia che intitolano Sei milioni di leoni. Si scelgono da soli le parti, e c’è un bambino che insiste a voler interpretare un tavolo fatto di patate, un ruolo che ha tutta l’aria di mettere in difficoltà anche il più esperto tra gli attori, ma che in nome dell’autodeterminazione viene autorizzato. L’idea alla base di questo progetto è che siano i bambini a decidere. Gli adulti non fanno parola del denaro, ma questo non basta a fermare i piccoli.

    Marleena Stolp, dell’università di Jyväskylä in Finlandia, ha trascorso sei settimane a osservare la produzione teatrale, registrando le conversazioni tra i bambini per poi analizzarle¹². Ben presto ha trovato un argomento predominante: il denaro. Gli alunni sapevano di stare creando qualcosa che possedeva un valore di mercato; discussero del prezzo dei biglietti e della possibilità di filmare la performance per poter rivendere i dvd. Avevano solamente sei anni, ma non vedevano la commedia solamente come un’esperienza divertente, pensavano già a come commercializzarla per ricavarne un guadagno. Non sussistevano dubbi sul fatto che a loro piacesse l’idea di fare soldi. Discussero anche sul modo di stabilire un prezzo che gli spettatori fossero disposti a pagare, ben consapevoli che le regole del mercato non avrebbero consentito un costo eccessivo, il quale li avrebbe esposti al rischio di non avere alcun pubblico.

    Quindi quei bambini avevano già una certa comprensione del denaro, del concetto di prezzo e di mercato. Da dove proveniva?

    Risparmiare per un liuto

    In uno studio condotto a Hong Kong, a un gruppo di bambini di cinque e sei anni fu data la parola denaro e venne loro detto di giocare facendo libere associazioni. Ebbero parecchio da dire, su quel soggetto. Poco sorprendentemente essi associarono la parola soprattutto alla possibilità di comprare cose che desideravano (studi simili condotti in America ed Europa hanno portato agli stessi risultati). Tendenzialmente mancava loro un punto di vista sulle virtù o sui mali del denaro.

    Lo stesso non si può dire nel caso degli adulti. Quando gli stessi ricercatori diedero a un gruppo di adulti dei questionari sulla bontà o meno del denaro,

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